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BLOW UP: Antonioni e la fine della Swinging London
ONO arte sposta la sua ricerca su quel fenomeno, culturale, sociale e artistico che investì la capitale del Regno Unito da metà degli anni Sessanta e che prende il nome di Swinging London.
Comunicato stampa
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Per analizzare a fondo il fenomeno del Swinging London siamo partiti da un film che per molti versi può essere considerato il canto del cigno di quel periodo ossia Blow up di Michelangelo Antonioni.
Verso metà del film infatti il protagonista David Hemmings dopo aver assistito ad un concerto degli Yardbirds e aver lottato per conquistare il manico della chitarra spaccato dal chitarrista Jeff Beck (Antonioni voleva per questa scena gli Who, che erano soliti spaccare gli strumenti sul palco all’inizio della loro carriera, ottenendo un cortese ma fermo ‘no’), esce dal locale abbandonando a terra l’oggetto del desiderio. Questo gesto non è altro che un simbolo del disinteresse che iniziava a serpeggiare, per gli oggetti del desiderio consumista nella seconda metà degli anni 60, nella cultura giovanile che presto si sarebbe rivolta, alla ricerca di punti di riferimento, verso le religioni orientali e le nuove promesse della psichedelia americana in fatto di droghe, musica e stile di vita.
La mostra quindi è divisa in sue sezioni, la prima incentrata sulle immagini del backstage del film di Antonioni, provenienti dall’Archivio Michelangelo Antonioni di Ferrara e dall’archivio di Tazio Secchiaroli.
La seconda sezione sarà invece dedicata alla Londra di quel periodo focalizzandosi soprattutto su moda, ed editoria legata ad essa, musica e tutto il panorama culturale dell’arte e delle gallerie soprattutto del West End che fecero della Swinging London un fenomeno internazionale.
Tra gli artisti in mostra in questa sezione: Brian Duffy, Terry O’Neill e Philip Townsend che immortalarono non solo le modelle che hanno fatto la storia del loro mestiere passanso da anonime ragazze di provincia che posavano come mannequin a super celebrità, nomi come Twiggy, Jean Shrimpton, Veruschka, Jane Birkin, ma anche i luoghi di culto frequentati dalle modelle divenute icone. Londra infatti diventa all’epoca la capitale mondiale delle moda e tra le sue strade nascono boutique e saloni di bellezza che segnarono lo stile di tutti gli anni Sessanta e di una intera generazione, tra essi l’atelier di Mary Quant, inventrice della minigonna, o BIBA il negozio di Barbara Hulanicki, e ancora i saloni di parrucchieri come Vidal Sassoon o Leonard che crearono quei tagli e quei make up che resero, appunto, Twiggy e le altre modelle delle vere e proprie icone imitate da milioni di donne fino ai giorni nostri.
Inutile sottolineare che quelli furono gli anni del boom economico e del consumo di massa. Per loro furono appositamente creati prodotti sempre nuovi, intere vie dello shopping e di ritrovo come Carnaby Street, e una serie innumerevoli di riviste specializzate in moda, musica e costume e che facevano concorrenza alle più celebri e all’epoca più che mai fiorenti Vogue ed Elle (in mostra prestito della Biblioteca della Moda di Milano).
Gli anni Sessanta a Londra furono un coacervo di idee e di influenze che si alimentavano vicendevolmente. Moda e musica sono da sempre strettamente connesse e anche in questo caso sarebbe impossibile parlare dello stile della Londra degli anni Sessanta senza parlare dei gruppi musicali che all’epoca stavano assurgendo ad uno stato di divinità che avrebbero mantenuto immutato fino quasi ai giorni nostri. Tra essi, ovviamente, i Beatles, in mostra rappresentati dagli scatti di Robert Whitaker, ma anche Rolling Stones, Cream e Yardbirds. Tutto questo accadeva mentre Jimi Hendrix atterrava nella capitale britannica dagli Stati Uniti portandosi dietro gli echi della nuova scena psichedelica che si stava imponendo a San Francisco, e che presto avrebbero colorato di fluo il finire degli anni Sessanta anche in Inghilterra.
La mostra è realizzata in collaborazione con Ben Sherman – il camiciaio di Carnaby Street - in occasione dell’anniversario per la celebrazione dei 50 anni del brand. Nel bookshop della ONO sarà disponibile per l’intero periodo della mostra il volume celebrativo 1963-2013 Cinquant’anni di Cultura dello Stile Britannico realizzato in tiratura limitata per celebrare un’eredità sviluppata in mezzo secolo di storia del brand, e alcuni capi in edizione limitata.
Sabato 6 aprile sarà inoltre presentato il volume Swinging City, edito da Feltrinelli, in cui Valentina Agostinis analizza e celebra gli anni in cui Antonioni era a Londra per girare Blow Up.
Sabato 14 aprile invece la mostra si arricchirà di una nuova sezione in collaborazione con la Biblioteca della Moda di Milano: una decina di numeri di Vogue, Harper’s Bazaar e Nova degli anni Sessanta che illustrano a pieno la moda e il costume in evoluzione a Londra.
Verso metà del film infatti il protagonista David Hemmings dopo aver assistito ad un concerto degli Yardbirds e aver lottato per conquistare il manico della chitarra spaccato dal chitarrista Jeff Beck (Antonioni voleva per questa scena gli Who, che erano soliti spaccare gli strumenti sul palco all’inizio della loro carriera, ottenendo un cortese ma fermo ‘no’), esce dal locale abbandonando a terra l’oggetto del desiderio. Questo gesto non è altro che un simbolo del disinteresse che iniziava a serpeggiare, per gli oggetti del desiderio consumista nella seconda metà degli anni 60, nella cultura giovanile che presto si sarebbe rivolta, alla ricerca di punti di riferimento, verso le religioni orientali e le nuove promesse della psichedelia americana in fatto di droghe, musica e stile di vita.
La mostra quindi è divisa in sue sezioni, la prima incentrata sulle immagini del backstage del film di Antonioni, provenienti dall’Archivio Michelangelo Antonioni di Ferrara e dall’archivio di Tazio Secchiaroli.
La seconda sezione sarà invece dedicata alla Londra di quel periodo focalizzandosi soprattutto su moda, ed editoria legata ad essa, musica e tutto il panorama culturale dell’arte e delle gallerie soprattutto del West End che fecero della Swinging London un fenomeno internazionale.
Tra gli artisti in mostra in questa sezione: Brian Duffy, Terry O’Neill e Philip Townsend che immortalarono non solo le modelle che hanno fatto la storia del loro mestiere passanso da anonime ragazze di provincia che posavano come mannequin a super celebrità, nomi come Twiggy, Jean Shrimpton, Veruschka, Jane Birkin, ma anche i luoghi di culto frequentati dalle modelle divenute icone. Londra infatti diventa all’epoca la capitale mondiale delle moda e tra le sue strade nascono boutique e saloni di bellezza che segnarono lo stile di tutti gli anni Sessanta e di una intera generazione, tra essi l’atelier di Mary Quant, inventrice della minigonna, o BIBA il negozio di Barbara Hulanicki, e ancora i saloni di parrucchieri come Vidal Sassoon o Leonard che crearono quei tagli e quei make up che resero, appunto, Twiggy e le altre modelle delle vere e proprie icone imitate da milioni di donne fino ai giorni nostri.
Inutile sottolineare che quelli furono gli anni del boom economico e del consumo di massa. Per loro furono appositamente creati prodotti sempre nuovi, intere vie dello shopping e di ritrovo come Carnaby Street, e una serie innumerevoli di riviste specializzate in moda, musica e costume e che facevano concorrenza alle più celebri e all’epoca più che mai fiorenti Vogue ed Elle (in mostra prestito della Biblioteca della Moda di Milano).
Gli anni Sessanta a Londra furono un coacervo di idee e di influenze che si alimentavano vicendevolmente. Moda e musica sono da sempre strettamente connesse e anche in questo caso sarebbe impossibile parlare dello stile della Londra degli anni Sessanta senza parlare dei gruppi musicali che all’epoca stavano assurgendo ad uno stato di divinità che avrebbero mantenuto immutato fino quasi ai giorni nostri. Tra essi, ovviamente, i Beatles, in mostra rappresentati dagli scatti di Robert Whitaker, ma anche Rolling Stones, Cream e Yardbirds. Tutto questo accadeva mentre Jimi Hendrix atterrava nella capitale britannica dagli Stati Uniti portandosi dietro gli echi della nuova scena psichedelica che si stava imponendo a San Francisco, e che presto avrebbero colorato di fluo il finire degli anni Sessanta anche in Inghilterra.
La mostra è realizzata in collaborazione con Ben Sherman – il camiciaio di Carnaby Street - in occasione dell’anniversario per la celebrazione dei 50 anni del brand. Nel bookshop della ONO sarà disponibile per l’intero periodo della mostra il volume celebrativo 1963-2013 Cinquant’anni di Cultura dello Stile Britannico realizzato in tiratura limitata per celebrare un’eredità sviluppata in mezzo secolo di storia del brand, e alcuni capi in edizione limitata.
Sabato 6 aprile sarà inoltre presentato il volume Swinging City, edito da Feltrinelli, in cui Valentina Agostinis analizza e celebra gli anni in cui Antonioni era a Londra per girare Blow Up.
Sabato 14 aprile invece la mostra si arricchirà di una nuova sezione in collaborazione con la Biblioteca della Moda di Milano: una decina di numeri di Vogue, Harper’s Bazaar e Nova degli anni Sessanta che illustrano a pieno la moda e il costume in evoluzione a Londra.
15
marzo 2013
BLOW UP: Antonioni e la fine della Swinging London
Dal 15 marzo al 02 maggio 2013
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
ONO ARTE CONTEMPORANEA
Bologna, Via Santa Margherita, 10, (Bologna)
Bologna, Via Santa Margherita, 10, (Bologna)
Orario di apertura
da martedì a sabato 10-13 e 15-21.30
Vernissage
15 Marzo 2013, ore 18.00
Autore