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Blu, blu e blu
Una ricerca linguistica sull’idea di BLU. Gli artisti definiscono, nella propria esperienza individuale, il sentire, pensare e vedere il BLU.
Comunicato stampa
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con il patrocinio della Regione Puglia e del Comune di Monopoli, domenica 18 maggio 2008 alle ore 19,00 presso la Galleria SPAZIOSEI di Monopoli in via Sant’Anna 6 sarà inaugurata la mostra BLU, BLU e BLU a cura di Mina TARANTINO.
In mostra Salvatore LOVAGLIO, Franco MARROCCO, Riccardo RIGHINI, artisti di esperienze e sensibilità diverse che, da tempo, dedicano gran parte delle loro risorse intellettuali e professionali a produrre opere che si inseriscono a pieno titolo nel sistema dell’arte.
Sono da tempo artisti riconosciuti, ognuno però con una storia individuale separata nel più vasto campo dell’arte contemporanea. Non siamo di fronte ad autori giovanissimi che cercano, a tentativi, una loro strada, ma alla dimostrazione ultima di una ricerca matura. In questa mostra testimoniano una ricerca linguistica attorno all’idea di BLU quale filo di congiunzione tra loro e di definizione, nella loro esperienza individuale, di come sentono, pensano e vedono il BLU.
Scrive in catalogo il critico d’arte Maria VINELLA «Vedere il blu per Franco Marrocco vuol dire immaginare luoghi magici e spazi sconfinati. Vuol dire riuscire a vedere oltre la visione fenomenica delle cose, guardare con la mente e comprendere con lo sguardo una realtà differente da quella che tutti conosciamo. Una realtà altra e lontana nel tempo, fatta - come in questo caso - da blu profondi generati da enigmatici abissi. E’ qui, nelle profondità seducenti e vibranti, che inspiegabilmente emergono dalle sensibilissime stratificazioni trasparenti di colore gli aloni chiari e i lievi bagliori, le ombre oscure e i leggeri intrecci, filamenti/segni/macchie/tracce rosse, impalpabili fantasmi forse di matrice organica. Queste misteriose iconografie sembrano subire metamorfosi che mutano le forme continuamente, senza mai giungere ad un corpo stabile. Tutto fluttua nell’intenso blu della pittura. La stessa spazialità - così ambigua - assume le vesti malinconiche di territori onirici dove neppure la memoria e il ricordo sanno dare risposte certe. Così lo spazio, depurato da ogni riferimento al reale, si lascia agevolmente attraversare dall’energia creativa. Energia che - come ha scritto Caramel - diviene occasione di ‘rappresentazione’ cromatica. Ed è proprio una rappresentazione intesa come narrazione che guida lo sviluppo di questo ciclo pittorico dedicato al blu. Blu amniotico e cosmico, lirico e poetico, abitato da storie del silenzio e dell’attesa, racconti di luoghi mentali e paesaggi dello spirito dove vivono preziose e inconosciute presenze.
Pensare il blu per Riccardo Righini significa condensare sulla superficie pittorica cromie compatte e opache, piene di significati e prive di figurazione, essenziali e astratte. Come in queste opere, dove pigmenti azzurrati e impasti cobalto sono occasione di riflessione su una pittura di assoluto rigore e coerenza. Ciò che l’artista ravennate percorre - con il proprio raffinato ‘mestiere’ pittorico – sono itinerari mentali dello spirito più che della geometria, del pensiero più che della vista. L’impianto di tutti i suoi lavori rispetta questa esperienza: perseguire le vie dell’astrazione mediante l’intersecarsi di piani e l’incrocio di superfici, la definizione di forme e l’addensarsi di ritmi, la costruzione di equilibrate relazioni figura/fondo, fedeli ad un tessuto cromatico corposo e insensibile alla variabilità delle modulazioni luminose. Tra nitore progettuale e coinvolgimento percettivo, elementi indissolubilmente complementari, l’artista sceglie contrasti e scale tonali, compone e scompone sagome dalle tinte vivaci e, immune da pregiudizi cromofobici, riesce a pensare attraverso il colore. Come suggeriva Gustave Moreau: “Il colore dev’essere pensato, immaginato, sognato.” E questo fa l’artista, frantumando l’unità del reale in molteplicità pittorico-cromatiche la cui tattilità sensuale e la cui forza evocativa, bilanciate dall’irrigidimento geometrico e dall’asetticità spaziale, catturano lo sguardo e offrono all’osservatore la possibilità di rischiare l’eccesso percettivo da overdose di colori senza alcun pericolo.
Sentire il blu per Salvatore Lovaglio è vivere nell’infinito. Intuirlo e afferrarlo. Non catturarlo, no, almeno non per sempre. Ma fermarlo una frazione di attimo, come si fa con l’acqua di sorgente, come si fa mettendo un piede in un torrente. Blu liquido, blu lavato, blu d’acqua, che non ha forma perché nessuna forma lo tiene, che non ha margini né confini, che non appartiene a figure né a fondi. Il blu di Lovaglio è blu qui e ora, è nella forza della pittura che non chiede altro se non di essere guardata. Blu che si espande e diventa segno, spazio, luce, corpo, ombra e gesto, sulla tela e sulla carta. Blu che si lascia nominare: “acqua …”, “lago …” “mare …” e si addensa e si dilata in grandi macchie di colore gocciolante e bagnato o arioso e atmosferico, tracce di una natura che tutto pervade e occupa, che prende l’occhio e prende la mente. Energia che scorre, che irrompe, che invade e trascina via: il paesaggio, le figure, i fondi, le parole, i pensieri. Che porta via tutto in un attimo, giusto il tempo per il gesto rapido, rapido come l’occhio dell’artista che coglie le cose e le muta in visione. Nelle ultime e grandi opere in blu di Lovaglio, nell’aspro e severo conflitto di spazio/colore, luce/ombra, segno/forma, l’emozione batte il pensiero sul tempo. Nessuna riflessione. Nessun progetto. Nessun dubbio. Ogni cosa è già nell’occhio, immediatezza e impressione, passione e sentimento, contemplazione e azione. La pittura non ha bisogno che di se stessa».
In mostra Salvatore LOVAGLIO, Franco MARROCCO, Riccardo RIGHINI, artisti di esperienze e sensibilità diverse che, da tempo, dedicano gran parte delle loro risorse intellettuali e professionali a produrre opere che si inseriscono a pieno titolo nel sistema dell’arte.
Sono da tempo artisti riconosciuti, ognuno però con una storia individuale separata nel più vasto campo dell’arte contemporanea. Non siamo di fronte ad autori giovanissimi che cercano, a tentativi, una loro strada, ma alla dimostrazione ultima di una ricerca matura. In questa mostra testimoniano una ricerca linguistica attorno all’idea di BLU quale filo di congiunzione tra loro e di definizione, nella loro esperienza individuale, di come sentono, pensano e vedono il BLU.
Scrive in catalogo il critico d’arte Maria VINELLA «Vedere il blu per Franco Marrocco vuol dire immaginare luoghi magici e spazi sconfinati. Vuol dire riuscire a vedere oltre la visione fenomenica delle cose, guardare con la mente e comprendere con lo sguardo una realtà differente da quella che tutti conosciamo. Una realtà altra e lontana nel tempo, fatta - come in questo caso - da blu profondi generati da enigmatici abissi. E’ qui, nelle profondità seducenti e vibranti, che inspiegabilmente emergono dalle sensibilissime stratificazioni trasparenti di colore gli aloni chiari e i lievi bagliori, le ombre oscure e i leggeri intrecci, filamenti/segni/macchie/tracce rosse, impalpabili fantasmi forse di matrice organica. Queste misteriose iconografie sembrano subire metamorfosi che mutano le forme continuamente, senza mai giungere ad un corpo stabile. Tutto fluttua nell’intenso blu della pittura. La stessa spazialità - così ambigua - assume le vesti malinconiche di territori onirici dove neppure la memoria e il ricordo sanno dare risposte certe. Così lo spazio, depurato da ogni riferimento al reale, si lascia agevolmente attraversare dall’energia creativa. Energia che - come ha scritto Caramel - diviene occasione di ‘rappresentazione’ cromatica. Ed è proprio una rappresentazione intesa come narrazione che guida lo sviluppo di questo ciclo pittorico dedicato al blu. Blu amniotico e cosmico, lirico e poetico, abitato da storie del silenzio e dell’attesa, racconti di luoghi mentali e paesaggi dello spirito dove vivono preziose e inconosciute presenze.
Pensare il blu per Riccardo Righini significa condensare sulla superficie pittorica cromie compatte e opache, piene di significati e prive di figurazione, essenziali e astratte. Come in queste opere, dove pigmenti azzurrati e impasti cobalto sono occasione di riflessione su una pittura di assoluto rigore e coerenza. Ciò che l’artista ravennate percorre - con il proprio raffinato ‘mestiere’ pittorico – sono itinerari mentali dello spirito più che della geometria, del pensiero più che della vista. L’impianto di tutti i suoi lavori rispetta questa esperienza: perseguire le vie dell’astrazione mediante l’intersecarsi di piani e l’incrocio di superfici, la definizione di forme e l’addensarsi di ritmi, la costruzione di equilibrate relazioni figura/fondo, fedeli ad un tessuto cromatico corposo e insensibile alla variabilità delle modulazioni luminose. Tra nitore progettuale e coinvolgimento percettivo, elementi indissolubilmente complementari, l’artista sceglie contrasti e scale tonali, compone e scompone sagome dalle tinte vivaci e, immune da pregiudizi cromofobici, riesce a pensare attraverso il colore. Come suggeriva Gustave Moreau: “Il colore dev’essere pensato, immaginato, sognato.” E questo fa l’artista, frantumando l’unità del reale in molteplicità pittorico-cromatiche la cui tattilità sensuale e la cui forza evocativa, bilanciate dall’irrigidimento geometrico e dall’asetticità spaziale, catturano lo sguardo e offrono all’osservatore la possibilità di rischiare l’eccesso percettivo da overdose di colori senza alcun pericolo.
Sentire il blu per Salvatore Lovaglio è vivere nell’infinito. Intuirlo e afferrarlo. Non catturarlo, no, almeno non per sempre. Ma fermarlo una frazione di attimo, come si fa con l’acqua di sorgente, come si fa mettendo un piede in un torrente. Blu liquido, blu lavato, blu d’acqua, che non ha forma perché nessuna forma lo tiene, che non ha margini né confini, che non appartiene a figure né a fondi. Il blu di Lovaglio è blu qui e ora, è nella forza della pittura che non chiede altro se non di essere guardata. Blu che si espande e diventa segno, spazio, luce, corpo, ombra e gesto, sulla tela e sulla carta. Blu che si lascia nominare: “acqua …”, “lago …” “mare …” e si addensa e si dilata in grandi macchie di colore gocciolante e bagnato o arioso e atmosferico, tracce di una natura che tutto pervade e occupa, che prende l’occhio e prende la mente. Energia che scorre, che irrompe, che invade e trascina via: il paesaggio, le figure, i fondi, le parole, i pensieri. Che porta via tutto in un attimo, giusto il tempo per il gesto rapido, rapido come l’occhio dell’artista che coglie le cose e le muta in visione. Nelle ultime e grandi opere in blu di Lovaglio, nell’aspro e severo conflitto di spazio/colore, luce/ombra, segno/forma, l’emozione batte il pensiero sul tempo. Nessuna riflessione. Nessun progetto. Nessun dubbio. Ogni cosa è già nell’occhio, immediatezza e impressione, passione e sentimento, contemplazione e azione. La pittura non ha bisogno che di se stessa».
18
maggio 2008
Blu, blu e blu
Dal 18 maggio al 28 giugno 2008
arte contemporanea
Location
GALLERIA SPAZIOSEI
Monopoli, Via Sant'anna, 6, (Bari)
Monopoli, Via Sant'anna, 6, (Bari)
Orario di apertura
dal martedì al sabato dalle 18.00 alle 21.00 o in altre ore previo appuntamento
Vernissage
18 Maggio 2008, ore 19.00
Autore
Curatore