Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Brigitte Groth
“Che cos’altro al mondo, quale romanzo avrebbe mai l’epico respiro di un album di fotografie?… Cosa farei senza questa tomba di famiglia, che tutto spiega, e che è lì, aperta in piena luce?”
Comunicato stampa
Segnala l'evento
“Che cos’altro al mondo, quale romanzo avrebbe mai l’epico respiro di un album di fotografie?… Cosa farei senza questa tomba di famiglia, che tutto spiega, e che è lì, aperta in piena luce?” Come l’Oskar del romanzo di Günter Grass, che, complice il tamburo di latta che si porta appeso al collo, narra le vicende della sua famiglia prendendo le mosse da un tesoro gelosamente custodito, un album di fotografie rilegato in cuoio, così anche la giovane artista tedesca Brigitte Groth da sempre nutre la sua pittura del fascino irresistibile delle vecchie fotografie. Vere e proprie trappole per lo sguardo, reti in cui fatalmente si rimane impigliati, le immagini che sceglie come punto di partenza per i suoi dipinti sono però soltanto in minima parte tratte dall’album della sua famiglia: “Lavorando sulle foto della mia infanzia mi sento condizionata dal vissuto personale. Invece con le immagini scattate dagli altri il mio interesse è puramente artistico e riesco dunque a mantenere quella distanza emotiva indispensabile per creare in libertà”. All’origine dei primissimi lavori si riconoscono scatti realizzati da altri artisti, come Franz von Lenbach o Max Liebermann. Poi Brigitte comincia a raccogliere foto di moda d’inizio secolo e a collezionare vecchi album che scova nei mercatini delle pulci. A poco a poco mette insieme uno sterminato archivio della memoria composto da immagini in bianco e nero o istantanee dai colori sbiaditi, dove compaiono volti di sconosciuti con i quali la pittrice sente però di avere legami profondi.
Nelle immagini cambiano gli attori, ma il tema è invariabilmente lo stesso. Si celebra la famiglia e quello che costituisce motivo di orgoglio per i suoi membri: il matrimonio, la nascita di un figlio, il primo giorno di scuola, un pranzo nel salotto buono, il luogo di lavoro. Uomini, donne, bambini sono però soltanto le comparse di uno spettacolo in cui il ruolo di protagonista spetta a un personaggio occulto: il tempo. Compito dell’artista è rendere manifesta l’azione silenziosa e pervasiva del tempo, mettendo in evidenza quella patina che avvolge tutte le immagini: “Il momento in cui è stata scattata la foto trattiene un frammento di vita. Quando questo ritaglio di vita mi capita tra le mani anni o secoli più tardi, il passato diventa visibile e afferrabile attraverso il processo di invecchiamento dei soggetti”. Per questo la pittrice seleziona ed esalta tutti quegli elementi che insieme concorrono a creare l’atmosfera di un’epoca passata, dal motivo di una tappezzeria tipica degli anni Sessanta alla foggia di un abito, ma anche i colori delle vecchie istantanee che con gli anni tendono a ingiallire. “Mi intriga la domanda: quanto questi relitti fotografici di un tempo più o meno lontano somigliano ai nostri ritagli di vita pubblica e privata?”
Il suo sguardo si concentra sulla figura umana, tralasciando il contesto, ma straordinarie doti di sintesi le permettono di condensare in pochi tratti tutta una situazione e di racchiuderla in un’unica, potente immagine. Ad esempio, se la foto di partenza ritrae una donna in un giardino fiorito nell’atto di chinarsi amabilmente verso i nipotini, nel quadro può accadere che rimanga solo la figura femminile il cui atteggiamento esprime tutta l’attenzione affettuosa per chi le sta di fronte. O, ancora, due gemelli colti dall’obiettivo con la stessa aria un po’ imbronciata, stretti come sono in un’identica camicia dal collo pomposamente arricciato, sono riassunti sulla tela da un’unica figura che risalta sullo sfondo di una carta da parati anni Sessanta.
Il quadro finale è il frutto di un processo laborioso che, strato dopo strato, riesce alla fine a raggiungere quel delicato equilibrio tra rappresentazione e astrazione, tra la ricchezza ridondante della realtà e l’estremo rigore della composizione, pur mantenendo intatta tutta la spontanea bellezza della situazione. Le figure sono rese abilmente in pochi tocchi di colore acrilico, i contorni sono ora a fuoco, ora sfuggenti. I volti soprattutto sono spesso resi in modo sommario con pennellate larghe e sfatte, più o meno dense di materia. In alcuni casi la testa viene solo suggerita, e questo perché tutto ruota attorno all’atteggiamento della figura: “Non mi interessa realizzare un ritratto preciso della fisionomia individuale, mi focalizzo piuttosto sul gesto, sulla posa che racchiude il sentimento. Riconoscendolo, anche chi osserva la scena è portato a farlo suo, a immedesimarsi nella situazione e a entrare nel quadro”. E’ come se in qualche modo trasversale, altamente metaforico, le immagini evocassero le circostanze attuali, anche le più intime e nascoste, della vita di ciascuno di noi. Seppur saldamente ancorata alla realtà, con la sua interpretazione sintetica della figura umana e del suo ambiente, la pittura di Brigitte Groth propone una dimensione altra. Una memoria possibile che emerge dall’intrecciarsi di sensazioni private e sensazioni collettive. Il quadro genera nello spettatore un effetto specchio, che trasforma quelle immagini in terreno fertile per avviare una riflessione sul nostro mondo, sugli affetti e sui luoghi che, nel bene e nel male, formano l’identità di ognuno. Una riflessione su ciò che ha veramente valore: i legami e le nostre radici.
Nata a Düsseldorf nel 1977, alle spalle studi all’Accademia e al conservatorio (suona flauto traverso, sassofono e chitarra), Brigitte Groth insegna lettere e storia dell’arte al liceo. Fin dagli esordi, si è dedicata all’approfondimento in pittura del rapporto tra l’uomo e il suo quotidiano, ma il suo lavoro, nonostante presenti qualche affinità con quello degli artisti della cosiddetta Scuola di Lipsia (Matthias Weischer, Neo Rauch, Tim Eitel), ha un percorso del tutto autonomo e originale. Se vogliamo cercare delle influenze, dobbiamo piuttosto considerare il suo vivo interesse per gli sviluppi del Bildungsroman, il romanzo di formazione, nell’opera di scrittori come Günter Grass, Peter Handke o Ralf Rothmann; il cinema di registi che hanno lavorato sulla realtà quotidiana come Fatih Akin, Joseph Vilsmaier ed Edgar Reitz, e, in campo fotografico, le ricerche di autori come August Sander, Henri Cartier-Bresson, Wolfgang Tillmans e Nan Goldin. Il suo studio si trova nel centro di Düsseldorf. L’artista vi lavora, spesso fino a notte fonda, ascoltando musica: “La musica favorisce la concentrazione. Posso sempre dire quale brano abbia contribuito alla nascita di ogni quadro che ho dipinto”. Il repertorio è ampio, spazia dalla musica classica (Bach) al jazz (Keith Jarrett, Sbjorn Sverrison Trio), fino ai R.E.M., ai Radiohead, ai Metallica.
Licia Spagnesi
Nelle immagini cambiano gli attori, ma il tema è invariabilmente lo stesso. Si celebra la famiglia e quello che costituisce motivo di orgoglio per i suoi membri: il matrimonio, la nascita di un figlio, il primo giorno di scuola, un pranzo nel salotto buono, il luogo di lavoro. Uomini, donne, bambini sono però soltanto le comparse di uno spettacolo in cui il ruolo di protagonista spetta a un personaggio occulto: il tempo. Compito dell’artista è rendere manifesta l’azione silenziosa e pervasiva del tempo, mettendo in evidenza quella patina che avvolge tutte le immagini: “Il momento in cui è stata scattata la foto trattiene un frammento di vita. Quando questo ritaglio di vita mi capita tra le mani anni o secoli più tardi, il passato diventa visibile e afferrabile attraverso il processo di invecchiamento dei soggetti”. Per questo la pittrice seleziona ed esalta tutti quegli elementi che insieme concorrono a creare l’atmosfera di un’epoca passata, dal motivo di una tappezzeria tipica degli anni Sessanta alla foggia di un abito, ma anche i colori delle vecchie istantanee che con gli anni tendono a ingiallire. “Mi intriga la domanda: quanto questi relitti fotografici di un tempo più o meno lontano somigliano ai nostri ritagli di vita pubblica e privata?”
Il suo sguardo si concentra sulla figura umana, tralasciando il contesto, ma straordinarie doti di sintesi le permettono di condensare in pochi tratti tutta una situazione e di racchiuderla in un’unica, potente immagine. Ad esempio, se la foto di partenza ritrae una donna in un giardino fiorito nell’atto di chinarsi amabilmente verso i nipotini, nel quadro può accadere che rimanga solo la figura femminile il cui atteggiamento esprime tutta l’attenzione affettuosa per chi le sta di fronte. O, ancora, due gemelli colti dall’obiettivo con la stessa aria un po’ imbronciata, stretti come sono in un’identica camicia dal collo pomposamente arricciato, sono riassunti sulla tela da un’unica figura che risalta sullo sfondo di una carta da parati anni Sessanta.
Il quadro finale è il frutto di un processo laborioso che, strato dopo strato, riesce alla fine a raggiungere quel delicato equilibrio tra rappresentazione e astrazione, tra la ricchezza ridondante della realtà e l’estremo rigore della composizione, pur mantenendo intatta tutta la spontanea bellezza della situazione. Le figure sono rese abilmente in pochi tocchi di colore acrilico, i contorni sono ora a fuoco, ora sfuggenti. I volti soprattutto sono spesso resi in modo sommario con pennellate larghe e sfatte, più o meno dense di materia. In alcuni casi la testa viene solo suggerita, e questo perché tutto ruota attorno all’atteggiamento della figura: “Non mi interessa realizzare un ritratto preciso della fisionomia individuale, mi focalizzo piuttosto sul gesto, sulla posa che racchiude il sentimento. Riconoscendolo, anche chi osserva la scena è portato a farlo suo, a immedesimarsi nella situazione e a entrare nel quadro”. E’ come se in qualche modo trasversale, altamente metaforico, le immagini evocassero le circostanze attuali, anche le più intime e nascoste, della vita di ciascuno di noi. Seppur saldamente ancorata alla realtà, con la sua interpretazione sintetica della figura umana e del suo ambiente, la pittura di Brigitte Groth propone una dimensione altra. Una memoria possibile che emerge dall’intrecciarsi di sensazioni private e sensazioni collettive. Il quadro genera nello spettatore un effetto specchio, che trasforma quelle immagini in terreno fertile per avviare una riflessione sul nostro mondo, sugli affetti e sui luoghi che, nel bene e nel male, formano l’identità di ognuno. Una riflessione su ciò che ha veramente valore: i legami e le nostre radici.
Nata a Düsseldorf nel 1977, alle spalle studi all’Accademia e al conservatorio (suona flauto traverso, sassofono e chitarra), Brigitte Groth insegna lettere e storia dell’arte al liceo. Fin dagli esordi, si è dedicata all’approfondimento in pittura del rapporto tra l’uomo e il suo quotidiano, ma il suo lavoro, nonostante presenti qualche affinità con quello degli artisti della cosiddetta Scuola di Lipsia (Matthias Weischer, Neo Rauch, Tim Eitel), ha un percorso del tutto autonomo e originale. Se vogliamo cercare delle influenze, dobbiamo piuttosto considerare il suo vivo interesse per gli sviluppi del Bildungsroman, il romanzo di formazione, nell’opera di scrittori come Günter Grass, Peter Handke o Ralf Rothmann; il cinema di registi che hanno lavorato sulla realtà quotidiana come Fatih Akin, Joseph Vilsmaier ed Edgar Reitz, e, in campo fotografico, le ricerche di autori come August Sander, Henri Cartier-Bresson, Wolfgang Tillmans e Nan Goldin. Il suo studio si trova nel centro di Düsseldorf. L’artista vi lavora, spesso fino a notte fonda, ascoltando musica: “La musica favorisce la concentrazione. Posso sempre dire quale brano abbia contribuito alla nascita di ogni quadro che ho dipinto”. Il repertorio è ampio, spazia dalla musica classica (Bach) al jazz (Keith Jarrett, Sbjorn Sverrison Trio), fino ai R.E.M., ai Radiohead, ai Metallica.
Licia Spagnesi
03
aprile 2010
Brigitte Groth
Dal 03 al 30 aprile 2010
arte contemporanea
Location
DUETART GALLERY
Varese, Via Albuzzi, 27, (Varese)
Varese, Via Albuzzi, 27, (Varese)
Orario di apertura
da martedi a sabato 15.30 - 19.30
Vernissage
3 Aprile 2010, ore 18
Autore
Curatore