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Bruno Pellegrini – Racconti e intrecci nel giardino
Autore che si pone in un ben preciso solco della storia artistica, in particolare milanese, derivata dalle temperie Realismo Esistenziale, del quale l’artista, insieme a un gruppo di suoi coetanei pittori e scultori, prosegue la ricerca tra realtà e coscienza.
Comunicato stampa
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Scrive Francesca Pensa:
Una evidente coerenza, nella quale è possibile leggere un costante approfondimento nella ricerca dei temi e delle forme della rappresentazione visiva, caratterizza l'opera di Bruno Pellegrini in tutto il suo sviluppo cronologico. Risalta infatti come motivo fondante e insieme unificante in tutta la produzione dell'artista l'importanza riservata alla pittura, intesa come opportunità tecnica e come strumento di studio, con cui sperimentare nuove possibilità espressive e di comunicazione: questa idea domina le tele di Pellegrini, nelle quali i colori, i segni e la struttura compositiva accompagnano il racconto visivo e il tema rappresentato condizionandoli in modo consistente.
Quasi programmaticamente una delle prime opere dell'artista porta il titolo di Figura, secondo una definizione che si collega al senso più profondo di gran parte della nostra storia dell'arte, che non viene appunto dimenticato, ma declinato in una forma originale e personale, capace di superare le regole del chiaroscuro tradizionale rinnovandole attraverso un colore sapiente e attento. E alla stessa fase creativa è riferibile anche il trittico intitolato Racconto, nel quale la composizione si complica attraverso elementi narrativi diversi, disposti in un luogo chiuso molto simile allo spazio della rappresentazione scenica; gli attori della vicenda sono costruiti con quel colore-forma che appare derivato da un lontano ricordo del reale, attentamente e accuratamente allontanato nel risultato visivo, che vive invece di trasformazioni e sviluppi tesi a cancellare qualsiasi tentazione eccessivamente illustrativa a favore di una immagine fortemente rielaborata dalla mente.
A questo distacco da una forma semplicemente naturalistica concorrono anche le frequenti citazioni geometriche che definiscono lo spazio pittorico, sottoposto a una ricercata partizione compositiva, secondo una costante espressiva che caratterizzerà sempre la produzione pittorica di Pellegrini. Ma quanto detto non deve comunque far pensare a una visione dell'arte esclusivamente concentrata sulla sua forma, perché sempre essa viene connessa con il tema rappresentato, in queste opere abitato da emozioni generate da una sofferta condizione esistenziale, qual è quella dell'uomo della modernità.
E la poetica e la scelta espressiva delle prime opere permangono in sottofondo, oltre le inevitabili variazioni di un pensiero creativo sensibile allo svolgersi del tempo con i suoi accadimenti, anche nelle opere successive dell'artista, che affronta soggetti diversi, come il riferimento alla natura, che innerva rappresentazioni di alberi evocati come stratigrafie aggrovigliate di nodi e di intrecci, o come nelle più recenti immagini di giardini, in cui l'esuberanza totalizzante della vegetazione pare quasi uscire dallo spazio della tela.
In altre opere resta invece evidente un'atmosfera inquieta e difficile, evocatrice di suggestioni interiori, che nascono da immagini come quella ripetuta degli animali squartati e appesi o da figure sofferenti e contorte. Il segno adesso si fa maggiormente protagonista, mostrandosi senza incertezze nell'evidenza pittorica e lasciando trasparire l'itinerario mentale che ha condotto l'artista alla costruzione visiva: il racconto si sviluppa quindi attraverso una comunicazione più immediata e libera, che riesce però sempre a coniugarsi con una regia compositiva ben presente e fortemente determinante. E mentre la costruzione prospettica vive nelle opere di Pellegrini di pura invenzione e di soggettiva interpretazione, passando da una profondità volutamente distorta a una insistita e soffocante bidimensionalità, varia e diversa si mostra la tavolozza, che pare indugiare maggiormente sulla valenza costruttiva del colore piuttosto che sul carattere di piacevolezza del gioco cromatico, depurandosi totalmente negli essenziali bianchi e neri della continua e ampia produzione grafica. Molti sono poi i richiami che dimostrano quanto l'autore di questi dipinti sia un artista colto, il cui universo visivo trova riferimento in momenti e luoghi deputati della nostra storia dell'arte, come evidenziano quelle radici arboree che sanno di sinopia leonardesca, o quei guanti che ricordano le metafore metafisiche di De Chirico o ancora quelle macellerie che paiono provenire dalle tele di Rembrandt: in questo senso, Pellegrini è autore che si pone in un ben preciso solco della storia artistica, in particolare milanese, derivata dalle temperie Realismo Esistenziale, del quale l'artista, insieme a un gruppo di suoi coetanei pittori e scultori, prosegue la ricerca tra realtà e coscienza, nella convinzione della assoluta modernità della pittura, antichissima e attualissima espressione dell'arte.
Francesca Pensa
(note biografiche)
Bruno Pellegrini nasce a Milano nel 1948. Vive e lavora a Milano.
Diplomato al Liceo Artistico di Brera, è stato allievo di Giansisto Gasparini, Floriano Bodini e Liliana Balzaretti. Dopo aver frequentato a Zurigo la Kunstgewerbeschule, completa la sua formazione nell’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, alla Scuola di Scultura di Alik Cavaliere. Sulla base dell’esperienza maturata in Svizzera, ottiene nel 1972 l’insegnamento a corsi di grafica, per approdare in seguito al Liceo Artistico di Brera come titolare di “Figura Disegnata” dal 1980 al 2005. Nel 1983 è tra i fondatori del gruppo artistico “Atelier”, che esordisce nello stesso anno con una mostra a Palazzo Dugnani di Milano; partecipa alle rassegne denominate “Venature” fino al 1993. La prima mostra personale di pittura ed incisione avvenuta nel 1975 al Centro Contardo Barbieri di Broni, apre un percorso espositivo pittorico con tappe significative quali la partecipazione alla Biennale Città di Milano, Palazzo della Permanente, cui si affiancano rassegne di grafica con incisioni all’acquaforte, litografia e linoleumgrafia, tecniche cui si è dedicato costantemente parallelamente alla pittura.
La ricerca attraverso il linguaggio pittorico si unisce a interessi artistici che comprendono l’esplorazione di materiali e tecniche e differenti, quali la vetrata e l’affresco. Oggi presenta “Tracce di memoria”, un’antologia di dipinti recenti che si pongono in un’ideale simmetria con il gruppo di opere appartenenti a periodi precedenti, anch’esse presenti in esposizione; riferimenti ad una realtà evocata che appartengono alla memoria collettiva.
Una evidente coerenza, nella quale è possibile leggere un costante approfondimento nella ricerca dei temi e delle forme della rappresentazione visiva, caratterizza l'opera di Bruno Pellegrini in tutto il suo sviluppo cronologico. Risalta infatti come motivo fondante e insieme unificante in tutta la produzione dell'artista l'importanza riservata alla pittura, intesa come opportunità tecnica e come strumento di studio, con cui sperimentare nuove possibilità espressive e di comunicazione: questa idea domina le tele di Pellegrini, nelle quali i colori, i segni e la struttura compositiva accompagnano il racconto visivo e il tema rappresentato condizionandoli in modo consistente.
Quasi programmaticamente una delle prime opere dell'artista porta il titolo di Figura, secondo una definizione che si collega al senso più profondo di gran parte della nostra storia dell'arte, che non viene appunto dimenticato, ma declinato in una forma originale e personale, capace di superare le regole del chiaroscuro tradizionale rinnovandole attraverso un colore sapiente e attento. E alla stessa fase creativa è riferibile anche il trittico intitolato Racconto, nel quale la composizione si complica attraverso elementi narrativi diversi, disposti in un luogo chiuso molto simile allo spazio della rappresentazione scenica; gli attori della vicenda sono costruiti con quel colore-forma che appare derivato da un lontano ricordo del reale, attentamente e accuratamente allontanato nel risultato visivo, che vive invece di trasformazioni e sviluppi tesi a cancellare qualsiasi tentazione eccessivamente illustrativa a favore di una immagine fortemente rielaborata dalla mente.
A questo distacco da una forma semplicemente naturalistica concorrono anche le frequenti citazioni geometriche che definiscono lo spazio pittorico, sottoposto a una ricercata partizione compositiva, secondo una costante espressiva che caratterizzerà sempre la produzione pittorica di Pellegrini. Ma quanto detto non deve comunque far pensare a una visione dell'arte esclusivamente concentrata sulla sua forma, perché sempre essa viene connessa con il tema rappresentato, in queste opere abitato da emozioni generate da una sofferta condizione esistenziale, qual è quella dell'uomo della modernità.
E la poetica e la scelta espressiva delle prime opere permangono in sottofondo, oltre le inevitabili variazioni di un pensiero creativo sensibile allo svolgersi del tempo con i suoi accadimenti, anche nelle opere successive dell'artista, che affronta soggetti diversi, come il riferimento alla natura, che innerva rappresentazioni di alberi evocati come stratigrafie aggrovigliate di nodi e di intrecci, o come nelle più recenti immagini di giardini, in cui l'esuberanza totalizzante della vegetazione pare quasi uscire dallo spazio della tela.
In altre opere resta invece evidente un'atmosfera inquieta e difficile, evocatrice di suggestioni interiori, che nascono da immagini come quella ripetuta degli animali squartati e appesi o da figure sofferenti e contorte. Il segno adesso si fa maggiormente protagonista, mostrandosi senza incertezze nell'evidenza pittorica e lasciando trasparire l'itinerario mentale che ha condotto l'artista alla costruzione visiva: il racconto si sviluppa quindi attraverso una comunicazione più immediata e libera, che riesce però sempre a coniugarsi con una regia compositiva ben presente e fortemente determinante. E mentre la costruzione prospettica vive nelle opere di Pellegrini di pura invenzione e di soggettiva interpretazione, passando da una profondità volutamente distorta a una insistita e soffocante bidimensionalità, varia e diversa si mostra la tavolozza, che pare indugiare maggiormente sulla valenza costruttiva del colore piuttosto che sul carattere di piacevolezza del gioco cromatico, depurandosi totalmente negli essenziali bianchi e neri della continua e ampia produzione grafica. Molti sono poi i richiami che dimostrano quanto l'autore di questi dipinti sia un artista colto, il cui universo visivo trova riferimento in momenti e luoghi deputati della nostra storia dell'arte, come evidenziano quelle radici arboree che sanno di sinopia leonardesca, o quei guanti che ricordano le metafore metafisiche di De Chirico o ancora quelle macellerie che paiono provenire dalle tele di Rembrandt: in questo senso, Pellegrini è autore che si pone in un ben preciso solco della storia artistica, in particolare milanese, derivata dalle temperie Realismo Esistenziale, del quale l'artista, insieme a un gruppo di suoi coetanei pittori e scultori, prosegue la ricerca tra realtà e coscienza, nella convinzione della assoluta modernità della pittura, antichissima e attualissima espressione dell'arte.
Francesca Pensa
(note biografiche)
Bruno Pellegrini nasce a Milano nel 1948. Vive e lavora a Milano.
Diplomato al Liceo Artistico di Brera, è stato allievo di Giansisto Gasparini, Floriano Bodini e Liliana Balzaretti. Dopo aver frequentato a Zurigo la Kunstgewerbeschule, completa la sua formazione nell’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, alla Scuola di Scultura di Alik Cavaliere. Sulla base dell’esperienza maturata in Svizzera, ottiene nel 1972 l’insegnamento a corsi di grafica, per approdare in seguito al Liceo Artistico di Brera come titolare di “Figura Disegnata” dal 1980 al 2005. Nel 1983 è tra i fondatori del gruppo artistico “Atelier”, che esordisce nello stesso anno con una mostra a Palazzo Dugnani di Milano; partecipa alle rassegne denominate “Venature” fino al 1993. La prima mostra personale di pittura ed incisione avvenuta nel 1975 al Centro Contardo Barbieri di Broni, apre un percorso espositivo pittorico con tappe significative quali la partecipazione alla Biennale Città di Milano, Palazzo della Permanente, cui si affiancano rassegne di grafica con incisioni all’acquaforte, litografia e linoleumgrafia, tecniche cui si è dedicato costantemente parallelamente alla pittura.
La ricerca attraverso il linguaggio pittorico si unisce a interessi artistici che comprendono l’esplorazione di materiali e tecniche e differenti, quali la vetrata e l’affresco. Oggi presenta “Tracce di memoria”, un’antologia di dipinti recenti che si pongono in un’ideale simmetria con il gruppo di opere appartenenti a periodi precedenti, anch’esse presenti in esposizione; riferimenti ad una realtà evocata che appartengono alla memoria collettiva.
20
maggio 2014
Bruno Pellegrini – Racconti e intrecci nel giardino
Dal 20 maggio al 02 giugno 2014
arte contemporanea
Location
SPAZIO HAJECH – LICEO ARTISTICO DI BRERA
Milano, Via Camillo Hajech, 27, (Milano)
Milano, Via Camillo Hajech, 27, (Milano)
Orario di apertura
Da lunedì a venerdì ore 9.30/14.30 – 15.00/17.30 (ingresso via Hajech, 27) Sabato ore 9.30-12.30 (ingresso via Hajech, 27)
Vernissage
20 Maggio 2014, ore 18.00
Autore
Curatore