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Calice Ligure Città Aperta
collettiva
Comunicato stampa
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Calice Ligure Città Aperta
Nel delicato e stimolante passaggio epocale che l’arte contemporanea sta vivendo, intrecciando i suoi destini con quelli della società occidentale nel suo insieme, un ruolo importante può essere giocato, soprattutto in Italia, dall’impostazione di un nuovo rapporto tra arte e territorio. Il particolare accenno al nostro paese è motivato dalla necessità urgente di colmare il gap che purtroppo ci separa dal mondo europeo ed anglosassone, e chi mi conosce sa che le mie riflessioni non sono indotte da alcuna inclinazione esterofila. Questo argomento è tasto particolarmente dolente. I motivi sono molteplici, tra questi si può citare la presenza di un paesaggio culturale colmo di innumerevoli vestigia con urgenti esigenze di tutela e conservazione, di politiche di intervento spesso frenate da un coordinamento centrale burocratico e farraginoso che non agevola i buoni intenti spesso manifestati dalle singole municipalità, e l’ arretratezza delle strutture didattiche, ad onta della eccellente professionalità di molti operatori del settore, che dovrebbero sin dalla più giovane età educare alla bellezza, suscitando nel cittadino il desiderio di vivere in una dimensione esteticamente e non solo materialmente gratificante, agevolando la pulsione alla fruizione artistica. Chi scrive è impegnato da un quindicennio in un’azione tesa a stabilire un rapporto corretto ed equilibrato tra arte e territorio nella sua città di principale residenza, Torino e, più in generale, dove insorgano condizioni favorevoli per sviluppare dei progetti in questa direzione e cito l’esperienza del Museo d’Arte Urbana di Torino, il primo museo d’arte contemporanea all’aperto, in Italia, in realizzazione all’interno di una grande città ed il progetto di arte pubblica “Moncalieri Porta dell’Arte”. Per questo motivo ho accettato con particolare entusiasmo l’invito rivoltomi da Franz Paludetto ad occuparmi di una serie di iniziative, questa è la prima, aventi come scenario Calice Ligure ed il Museo d’Arte Contemporanea Remo Pastori. Calice è stato un luogo leggendario in un lasso di tempo che, a partire dagli anni ’60 con le intuizioni e l’attività pionieristica di Emilio Scanavino, conobbe la sua fase aurea negli anni ’70 per poi purtroppo scemare nel decennio successivo. In questo paesino tipico dell’entroterra ligure alle spalle di Finale, luogo deputato per le vacanze di torinesi e milanesi che qui hanno generalmente stabilito una seconda residenza, Scanavino radunò con gradualità e costanza una serie di artisti e di operatori : personalità come, tra gli altri, Mondino, Nespolo, Carena, Ciam, Mambor, De Filippi, Stefanoni, Nanda Vigo e gallerie che aprirono qui una sede, in particolare il Punto di Remo Pastori e la LP 220 di Paludetto. Molti, oltre ai tanti di passaggio, acquistarono od affittarono casa e studio in questi luoghi e si crearono le condizioni per l’instaurarsi di una vera e propria comunità artistica che reciprocamente si stimolava in una comunione di idee e di interessi cercando intensamente un rapporto simbiotico con i residenti al fine di creare un polo di attrazione non solo locale ma internazionale in questo territorio, come è testimoniato dal progetti per la creazione di un Centro d’Arte Contemporanea che purtroppo non ebbe attuazione. Memorabili le performances degli anni ’70: all’interno di una attività espositiva intensa spiccano eventi come il matrimonio simulato, con tanto di cerimonia e testimoni, tra Aldo Mondino e Nanda Vigo, o la mostra dal titolo significativo ed in sintonia con lo spirito caustico di quei tempi “A Calice Ligure non c’è il mare”, ed ancora situazioni legate ad un sano spirito ludico che nell’arte dei nostri giorni spesso manca o, ancor peggio, è anch’ esso strumentalizzato o fonte di ulteriore competizione, come le sfide calcistiche con gli artisti della limitrofa Albissola, città che nel corso del Novecento ha saputo ritagliarsi uno spazio importante nella scena dell’arte contemporanea internazionale. Purtroppo, per motivi anagrafici, ho potuto ricostruire quegli intensi anni solo sulla base di testimonianze verbali e scritte. Le prime risalgono alla metà degli anni ’80 quando, giovanissimo critico, collaboravo con la rivista “Over” ideata da Duilio Gambino che, insieme alla moglie artista Anna Comba fu uno dei protagonisti della Calice degli anni d’oro, e pubblicò sulla testata notizie in merito. Utilissima è stata poi la recente pubblicazione dell’ampio e documentato volume “Emilio Scanavino & C. La leggenda degli artisti di Calice Ligure” da me presentato lo scorso autunno al Castello di Rivara, una cronistoria puntuale ed appassionata di quella irripetibile stagione. Vi è il rimpianto, comprensibile, per il venir meno dell’esperienza nonostante un ultimo tentativo prodotto a metà degli anni ’80 e la responsabilità, secondo i protagonisti, è da individuarsi nella scarsa disponibilità manifestata dagli amministratori pubblici dell’epoca piuttosto che nell’atteggiamento degli abitanti, che si dimostrarono per lo più cortesi e disponibili. Non ho elementi per confermare o confutare questa tesi, tuttavia la mia esperienza ormai quasi venticinquennale mi induce a ritenere si sia trattato di un’evoluzione purtroppo naturale. I tempi erano decisamente non maturi, l’Italia ha mantenuto per molto tempo uno storico divario rispetto all’Europa nell’ambito dei progetti artistici diffusi sul territorio.Unico precedente, sebbene di grande rilievo, fu il “Laboratorio Sperimentale di Alba” coordinato da Pinot Gallizio dove, tra il 1955 ed il 1957, confluirono varie ed importanti esperienze, tra cui il “Movimento Internazionale per una Bauhaus Immaginista” di Asger Jorn, l’ “Urbanistica Unitaria” di Costant ed il Situazionismo di Guy Debord. In quel cenacolo si sviluppò una nuova concezione urbanistico – architettonica e si sostenne la priorità di un intervento diffuso e capillare, “unitario”, sull’ambiente urbano, in previsione di una sua riappropriazione comunitaria e rifondazione estetica. L’ambiente non veniva quindi interpretato solo come agglomerato architettonico od edilizio ma, prima di tutto, come patrimonio di esperienze di carattere sociale, psicologico, etnico, antropologico in grado di fondersi con il mondo e l’ambiente esterni, di dare vita ad una materia inanimata ed inerte. Tornando a Calice l’interesse per l’esperimento fu all’epoca notevole, e prova ne è il reportage prodotto in prima serata da quella che era l’unica rete della RAI : il clima degli anni ’70, caratterizzato dalle esperienze dell’Arte Povera e Concettuale che si ponevano in una dinamica di stretta relazione con la società e con i movimenti di contestazione giovanile furono senza dubbio un collante ideale per il cementarsi di quell’impresa. Il decennio successivo non fu, a mio modo di vedere, negativo per il linguaggio dell’arte, che si confrontò spesso con efficacia con lo scenario della post modernità caratterizzato dall’invasività della tecnologia e dei media, ma certamente una caratteristica saliente fu la crisi dell’ideologia ed il ripiegarsi dell’artista in una dimensione individuale e narcisistica che certo non favoriva l’aggregazione comunitaria. I successivi anni ‘90, disastrosi per l’arte italiana come sistema, hanno avuto di buono il riaccendersi dell’interesse per l’arte pubblica, con un fiorire crescente e perdurante in questi ultimi anni di iniziative dirette in tale senso, l’unico in cui l’espressione artistica riscopre una dimensione etica. Non a caso si assiste ad un forte riaccendersi di interesse sull’esperienza di Calice Ligure, sia in chiave di documentazione storica che nella dimensione del presente. Ho dato a questa rassegna il titolo di “Calice Ligure città aperta” per stigmatizzare tutto ciò. Il senso della manifestazione è la ripresa dello storico rapporto tra gli artisti e la città : questo si esplicita con l’installazione di opere all’interno di esercizi pubblici cittadini, ed è, secondo me, la maniera migliore per sancire questa nuova alleanza. Ho invitato una serie di autori significativi dell’attuale clima artistico : Guido Bagini realizza delle affascinanti composizioni a cavallo tra reminiscenze pop e venature lirico – astratte, Angelo Barile enfatizza ingigantendole le fattezze di bambini svelandone la falsa innocenza, Gaetano Buttaro è impegnato in un lavoro di scandaglio della dimensione interiore espletata con fotografie del proprio volto cariche di intensa emotività, Gianluca Chiodi realizza dei mixed media dove opera un corto circuito tra la dimensione dell’intimità presente e le luci ed ombre del Seicento caravaggesco, Daniele Contavalli adopera la tecnologia digitale al servizio di una vena pittorica attenta a rinvenire poesia nel frammenti della contemporaneità, Stefania Di Marco con le sue fotografie che vedono protagonisti dei manichini riflette sull’artificialità della dimensione presente, Paolo di Montegnacco propone delle inedite visioni di paesaggi metropolitani esaltandone la luce ed i colori, Roberta Fanti ci dona delle raffinate immagini dove simboleggia il rapporto tra dolore e piacere e tra sublime e tragico, Silvia Fubini coglie con la fotografia la poesia della sua sfera privata ma anche angoli riposti della dimensione esterna sia nell’ambito del paesaggio che del sociale, Enzo Gagliardino immagina con grande ritmo visivo e senso del colore e della composizione facciate di una ideale città dove l’arte è protagonista, Luciano Gaglio con le sue installazioni fonde la tradizione dell’astratto con la spazialità concettuale e la patinata lucentezza del design, Francesca Maranetto Gay utilizza il video, la musica e la tecnologia digitale per realizzare immagini in movimento o fissate nei frames dove protagonisti sono la dimensione interiore ed il trascendente nell’accezione del dialogo con l’altro da sé o della contemplazione del paesaggio nel suo scorrere e divenire, Tea Giobbio riflette sulla condizione tra il corpo femminile ed il mondo o si sofferma, con la delicatezza della fotografia in bianco e nero, su paesaggi onirici in cui il cielo funge da cornice all’immanenza di soggetti zoomorfi, Gianluca Nibbi realizza composizioni dalla forte carica espressionista ispirata da volti e paesaggi del Terzo Mondo, Davide Oddenino rielabora con la pittura scorci architettonici di Torino vista dall’alto fornendo di questi una inedita versione metafisica, Carlo Pasini traccia delle sagome umane fortemente stilizzate di cui simula un filtraggio computerizzato ottenuto in realtà con una paziente pixellatura manuale, Elisa Pavan realizza video dalla forte intensità emotiva dove l’elemento visivo è dato da una aniconicità in movimento ma anche dal corpo impegnato in ritmiche posture ed ogni singola inquadratura è dotata di autonoma significanza, Domenico Piccolo si cimenta nella rappresentazione di figure umane anemiche e stravolte, contorte da una carica di insoddisfazione ed insicurezza, Gianluca Rosso è un videopittore il cui stile è indirizzato versa la dimensione dei grandi spazi e della mitologia mediatica ma è anche in grado di calarsi con poetica raffinatezza nell’intimo della dimensione quotidiana, Antenore Rovesti estrapola icone dall’universo patinato dei media e della pubblicità restituendocele in una diversa ed inquietante dimensione, Giancarlo Scagnolari getta il suo sguardo su squarci di degrado urbano senza indulgere in facili rappresentazioni sociologiche ma evidenziandone la segreta nascosta poesia, Roberto Zizzo è un raccoglitore di immagini alla maniera di Mac Luhan : estrae prevalentemente dalla rete icone standardizzate e le manipola conducendole verso un territorio al confine tra sublime e provocatorio.
Edoardo Di Mauro, aprile 2006.
29
aprile 2006
Calice Ligure Città Aperta
Dal 29 aprile al 30 giugno 2006
arte contemporanea
Location
MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA CASA DEL CONSOLE
Calice Ligure, Via Roma, 61, (Savona)
Calice Ligure, Via Roma, 61, (Savona)
Vernissage
29 Aprile 2006, ore 17
Autore
Curatore