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Camelia Mirescu – Sfogliando l’anima
Mirescu, romena di nascita ed italiana d’adozione (vive ed opera a Roma da molti anni) espone in questa sede un’ampia selezione dei suoi quadri, dagli esordi più figurativi, ancora strutturalmente legati ai maestri dell’arte europea novecentesca (da Matisse a Brancusi) fino ai suggestivi Rebis dell’ultimo periodo, una novità assoluta
Comunicato stampa
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Mirescu, romena di nascita ed italiana d'adozione (vive ed opera a Roma da molti anni) espone in questa sede un'ampia selezione dei suoi quadri, dagli esordi più figurativi, ancora strutturalmente legati ai maestri dell'arte europea novecentesca (da Matisse a Brancusi) fino ai suggestivi Rebis dell'ultimo periodo, una novità assoluta.
Un itinerario, il suo, di estrema coerenza, che riesce sempre a coniugare - pur nella diversificazione delle tematiche - sottile trasparenza e totale adesione alla materia, quasi i due poli della stessa visione del reale. Una duplicità consonante percorre, negli anni, l'opera di Camelia Mirescu: contraddizione solo apparente che - nella sintesi di un procedimento alchemico come quello del Rebis, trova una propria codificazione.
***
Le opere di Camelia sono figlie della luna, di una di quelle notti dall'orizzonte ampio e silente che lei coglie nella sua solitudine abitata. Non del sole furente, del cromo acceso che infuoca le spighe. Non della terra fertile, sale di donna. La radice è la stessa, ma il processo è squisitamente speculativo.
Come un ritorno all'unità: la vitrea trasparenza, solo apparentemente limpida; il fiore carnoso e profumato; gli spazi di ghiaccio rovente, al punto bianco della fusione.
Non ho mai pensato ai lavori di Camelia Mirescu come ad opere piacevoli, esteticamente leggere. Solo ora, tuttavia, nella tematica rivelata del Rebis, scopro che il loro stato privilegiato è tutto in quell'equilibrio conflittuale tra gli elementi, quasi una polarizzazione dell'essenza. Lo si poteva intuire in un'opera di qualche anno fa, l'Omaggio al Bacio di Costantin Brancusi, olio su tela, dove la concezione del continuum spazio-temporale è originariamente chiarissima: la composizione delle parti nell'unità - sia pure ancora parzialmente legata allo stilema figurativo - è dichiarata da Camelia sia nella texture pittorica che nella struttura. La radice amorosa è proprio in quella forma che ha la potenza di un seme.
Lo stato del miracolo alchemico - che attraversa, a ben pensare, tutta la produzione dell'artista - spiega perché, nei suoi lavori, gli elementi decisivi non si neutralizzino mai a vicenda ma, al contrario, si completino e si esaltino: la profondità appena torbida, lattescente delle velature sovrapposte con la forza magmatica del pigmento materico; lo spunto surreale di un paesaggio appena sfiorato, come l'inflorescenza di una pianta e gli inferni terrosi del vivere, con un tuffo dentro che talora spaventa.
Tutto, in Camelia, è ricondotto a quella res bina, alla “cosa doppia”, alla nostalgia di un'unità che per lo più abbiamo perduto. Fa attenzione - recita lo Zohar, grande libro mistico della tradizione ebraica - tutti gli spiriti sono composti all'inizio da maschio e femmina e dopo, solo dopo, vengono separati… La meraviglia, nelle opere dell'artista, è che la sintesi non dà mai risultati statici, come se la coincidenza degli opposti - il salto concettuale, lo stile che segue l'impulso del cuore e muta, e talvolta si contraddice, per cui le tracce sono plurime, come le ragioni di ciascuno - entrasse a far parte del vissuto di tutti, attraverso le sue visioni.
In termini analitici, si dovrebbe parlare di individuazione, da “in-divisus”, non diviso. Camelia individua nel dipingere i frutti dell'esistere, cosicché le tele divengono specchi della condizione umana, anzi, del suo trascorso storico-emotivo. In più, lo fa con le proprie, suadenti armi, ed appare lieve. Invece, riflette molto, anche quando i pigmenti sembrano disporsi da sé alla superficie delle sue nozze chimiche. Zolfo e mercurio si congiungono nell'opera: lo zolfo caldo, compatto, simbolo del fuoco interiore che le brilla di passione negli occhi, ed il mercurio volatile, fredda arietta siderale che agita le trasparenze, per cui la combustione si contiene e si conferma negli spazi della visione. Nelle gamme tonali di Camelia vi è tutto questo. Zolfo è Io, volontà che trabocca, indomabile; mercurio è un Lontano inconoscibile. Il corpo materico che ne deriva, creatura di tela e colore, spazio da attraversare, è sapido, quasi l'umore di una lacrima.
Così l'artista raggiunge la consapevolezza e - allo stesso tempo - tocca nel proprio agire il mistero primordiale della natura. Fuoco di più lame, sole e luna, maschile e femminile è il Creato. La fiamma, però (e Camelia lo sa come dono e coscienza, come un abbraccio), la fiamma è unica.
Francesca Brandes
Un itinerario, il suo, di estrema coerenza, che riesce sempre a coniugare - pur nella diversificazione delle tematiche - sottile trasparenza e totale adesione alla materia, quasi i due poli della stessa visione del reale. Una duplicità consonante percorre, negli anni, l'opera di Camelia Mirescu: contraddizione solo apparente che - nella sintesi di un procedimento alchemico come quello del Rebis, trova una propria codificazione.
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Le opere di Camelia sono figlie della luna, di una di quelle notti dall'orizzonte ampio e silente che lei coglie nella sua solitudine abitata. Non del sole furente, del cromo acceso che infuoca le spighe. Non della terra fertile, sale di donna. La radice è la stessa, ma il processo è squisitamente speculativo.
Come un ritorno all'unità: la vitrea trasparenza, solo apparentemente limpida; il fiore carnoso e profumato; gli spazi di ghiaccio rovente, al punto bianco della fusione.
Non ho mai pensato ai lavori di Camelia Mirescu come ad opere piacevoli, esteticamente leggere. Solo ora, tuttavia, nella tematica rivelata del Rebis, scopro che il loro stato privilegiato è tutto in quell'equilibrio conflittuale tra gli elementi, quasi una polarizzazione dell'essenza. Lo si poteva intuire in un'opera di qualche anno fa, l'Omaggio al Bacio di Costantin Brancusi, olio su tela, dove la concezione del continuum spazio-temporale è originariamente chiarissima: la composizione delle parti nell'unità - sia pure ancora parzialmente legata allo stilema figurativo - è dichiarata da Camelia sia nella texture pittorica che nella struttura. La radice amorosa è proprio in quella forma che ha la potenza di un seme.
Lo stato del miracolo alchemico - che attraversa, a ben pensare, tutta la produzione dell'artista - spiega perché, nei suoi lavori, gli elementi decisivi non si neutralizzino mai a vicenda ma, al contrario, si completino e si esaltino: la profondità appena torbida, lattescente delle velature sovrapposte con la forza magmatica del pigmento materico; lo spunto surreale di un paesaggio appena sfiorato, come l'inflorescenza di una pianta e gli inferni terrosi del vivere, con un tuffo dentro che talora spaventa.
Tutto, in Camelia, è ricondotto a quella res bina, alla “cosa doppia”, alla nostalgia di un'unità che per lo più abbiamo perduto. Fa attenzione - recita lo Zohar, grande libro mistico della tradizione ebraica - tutti gli spiriti sono composti all'inizio da maschio e femmina e dopo, solo dopo, vengono separati… La meraviglia, nelle opere dell'artista, è che la sintesi non dà mai risultati statici, come se la coincidenza degli opposti - il salto concettuale, lo stile che segue l'impulso del cuore e muta, e talvolta si contraddice, per cui le tracce sono plurime, come le ragioni di ciascuno - entrasse a far parte del vissuto di tutti, attraverso le sue visioni.
In termini analitici, si dovrebbe parlare di individuazione, da “in-divisus”, non diviso. Camelia individua nel dipingere i frutti dell'esistere, cosicché le tele divengono specchi della condizione umana, anzi, del suo trascorso storico-emotivo. In più, lo fa con le proprie, suadenti armi, ed appare lieve. Invece, riflette molto, anche quando i pigmenti sembrano disporsi da sé alla superficie delle sue nozze chimiche. Zolfo e mercurio si congiungono nell'opera: lo zolfo caldo, compatto, simbolo del fuoco interiore che le brilla di passione negli occhi, ed il mercurio volatile, fredda arietta siderale che agita le trasparenze, per cui la combustione si contiene e si conferma negli spazi della visione. Nelle gamme tonali di Camelia vi è tutto questo. Zolfo è Io, volontà che trabocca, indomabile; mercurio è un Lontano inconoscibile. Il corpo materico che ne deriva, creatura di tela e colore, spazio da attraversare, è sapido, quasi l'umore di una lacrima.
Così l'artista raggiunge la consapevolezza e - allo stesso tempo - tocca nel proprio agire il mistero primordiale della natura. Fuoco di più lame, sole e luna, maschile e femminile è il Creato. La fiamma, però (e Camelia lo sa come dono e coscienza, come un abbraccio), la fiamma è unica.
Francesca Brandes
19
marzo 2009
Camelia Mirescu – Sfogliando l’anima
Dal 19 marzo al 03 aprile 2009
arte contemporanea
Location
ACCADEMIA DI ROMANIA
Roma, Viale delle Belle Arti, 110, (Roma)
Roma, Viale delle Belle Arti, 110, (Roma)
Orario di apertura
da Lunedì a Venerdì 16.00-18.00; Sabato 10.00-12.00 (su prenotazione)
Vernissage
19 Marzo 2009, ore 19.30, Sala delle Esposizioni (ingresso da Viale delle Belle Arti,110)
Curatore