Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Camillo Capolongo – Magnifico
Disegni fatti di guizzi incantati ed umoreschi, tratti divaganti con cui provoca flash, evoca aneddoti, insinua punte sornioni. Il segno è netto, privo di ogni esitazione, evocativo nelle apparizioni fulminee, ricco talvolta di humour, sia esso una vignetta o un disegno concettuale
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Venerdì 1 giugno alle ore 19.00, negli spazi espositivi della Galleria SPAZIOSEI, a Monopoli, verrà inaugurata la mostra personale del maestro Camillo CAPOLONGO intitolata MAGNIFICO,
voluta e curata da Mina TARANTINO.
Camillo Capolongo, “pittore-filosofo” nato nel nolano, ha attraversato con la sua poetica le esperienze più significative dell’estetica del secondo Novecento. Nel 1976 viene ospitato alla Biennale di Venezia e tiene le sue performance in strutture di rilievo come il Centre Georges Pompidou di Parigi. Pittore e scultore, utilizza materiali poveri, ottenendo la plasticità attraverso concettualizzazioni minimali. In pittura si serve delle superfici più svariate: tele, cartoni, carte, fogli acetati, lenzuola di lino e altri materiali. Utilizza la tecnica del collage e del disegno a china, commistione di disegno concettuale e assemblaggio polimaterico.
La quarantennale ricerca di Camillo Capolongo comincia, prima di mettersi alla guida dei movimenti più spericolati dell’avanguardia, con disegni umoristici e vignette pubblicati su riviste come Tribuna Illustrata, Candido, La Notte, Famiglia Cristiana, Corriere dei Piccoli; gli stessi disegni che arricchiranno i vari numeri di Match e il catalogo 1 e 2.
Disegni fatti di guizzi incantati ed umoreschi, tratti divaganti con cui provoca flash, evoca aneddoti, insinua punte sornioni. Il segno è netto, privo di ogni esitazione, evocativo nelle apparizioni fulminee, ricco talvolta di humour, sia esso una vignetta o un disegno concettuale.
«Quando viene campito uno spazio più o meno esteso – scrive Pasquale LETTIERI – lo fa con l’acrilico molto diluito ovvero tende ad occuparlo con una invasione cromatica più leggera e ragionata, rompendo secondo gli schemi del post-moderno i confini della composizione. Quello che poteva essere un lacerto di scrittura o un pezzo di carta colorato delle sue opere degli anni Settanta viene sostituito dal medium pittorico. (Per questo, in occasione di una mostra newyorchese, il critico Elmar Zorn definì detti lavori “delicati pastiches appena abbozzati dal vago senso dell’allusivo”)»
La mostra è presentata in catalogo da Mario FRANCO, attento studioso dell’artista, che scrive: «Guardo le opere di Camillo Capolongo e mi chiedo: perché mai dobbiamo considerare la filosofia alla stregua d’un genere letterario? Per essere più precisi: chi ci obbliga a pensare che la filosofia sia solo logos, solo parola e non piuttosto immagine? C’è forse qualche vincolo intrinseco che ci obbliga a stabilire un nesso tra la parola o la scrittura e la problematizzazione filosofica del mondo? Perché le immagini non potrebbero comunicare con altrettanta o superiore efficacia un pensiero filosofico? Le opere di Capolongo, fanno proprio questo e lasciano intendere che la sua poetica ha attraversato le esperienze del Novecento, partendo dalle cosiddette “avanguardie storiche” e dai loro temi corrosivi…
Ci sono poi volute due guerre mondiali per riaffermare la voce dell’umanità contro l’etica e l’estetica astratte dell’età delle macchine. Per convincerci che le forme ideate dalle avanguardie non consentono di rappresentare la storia e che occorre rivendicare l’appartenenza a una tradizione. Parafrasando un celebre motto di Stephen Dedalus (il giovane co-protagonista dell'Ulysses), si potrebbe dire che la Storia è un Inferno nel quale occorre tuttavia svegliarsi. Lo è la storia, ma anche l’arte, nella fattispecie in Italia. Quella di Camillo Capolongo è una posizione che si colloca agli antipodi dell’esser “di moda” e consiste soprattutto di un tenace affollarsi di simbologie, di immagini archetipiche, di corrose rovine culturali. Se la limpidezza di alcune tele richiama la sospensione onirica, per le altre si tratta di mettersi contro il proprio tempo per dare alla ricerca la possibilità di connettersi al mito e all’utopia della rispondenza tra nuova forma e nuova società.
L’opus di Capolongo consiste anche nella messa in discussione dell’esperienza della pittura. Si tratta di una messa in discussione vissuta patologicamente (nel senso del dolore continuo) e autoriflessiva: è l’opera stessa che si ripiega su di sè. Le citazioni innumerevoli non significano altro che la perdita irreversibile della fonte, depistaggi deliberati, falsificazioni, dunque false citazioni e false fonti: il nulla dell’arte...
Pittore e scultore, Camillo Capolongo è soprattutto un filosofo che usa materiali impropri. Carte, tele, assi di legno, cartoni, servono a nascondere pudicamente un’abilità nel disegno che altri ostenterebbero. Emilio Villa e Luca Castellano lo hanno guardato con interesse e forse con sospetto. I suoi segni, infatti, approdati sul palcoscenico della napoletanità, perderebbero inesorabilmente la loro natura, la loro regale terribilità. Incarnandosi nella maschera dell’avanguardismo, l’arte cessa di far paura per divenire un “buffo” di corte. È la sorte degli arlecchini, dei pulcinella nel passaggio metamorfico dal mito al teatro: come l’albatro di Baudelaire che finisce sul ponte della nave. Non più protetta dall’orizzonte mitico-rituale l’arte appare pronta a subire la comprensione del critico, la sua ufficializzazione nel museo, la sua evirazione nel riconoscimento dell’autorità politica. Al contrario, nel "laboratorio" della pittura di Capolongo niente è mai finito (nel senso dell’irraggiungibile e non del “work-in-progress”) e ci sono disseminati impedimenti, oggetti che resistono a qualsiasi funzione, corpi cinematici, contraffazione della dissomiglianza dell’uguale. Non si tratta di “ready-made” o di prelievi dalla realtà utilizzati nel collage (o, perlomeno, non solo di questo) ma della dissipazione del sé e del proprio mondo, che Camillo si porta addosso come un Diogene ambulante, come un filosofo esistenzialista. Pittura come dépense.»
Le sue opere sono presenti in diversi musei europei e in aste pubbliche.
voluta e curata da Mina TARANTINO.
Camillo Capolongo, “pittore-filosofo” nato nel nolano, ha attraversato con la sua poetica le esperienze più significative dell’estetica del secondo Novecento. Nel 1976 viene ospitato alla Biennale di Venezia e tiene le sue performance in strutture di rilievo come il Centre Georges Pompidou di Parigi. Pittore e scultore, utilizza materiali poveri, ottenendo la plasticità attraverso concettualizzazioni minimali. In pittura si serve delle superfici più svariate: tele, cartoni, carte, fogli acetati, lenzuola di lino e altri materiali. Utilizza la tecnica del collage e del disegno a china, commistione di disegno concettuale e assemblaggio polimaterico.
La quarantennale ricerca di Camillo Capolongo comincia, prima di mettersi alla guida dei movimenti più spericolati dell’avanguardia, con disegni umoristici e vignette pubblicati su riviste come Tribuna Illustrata, Candido, La Notte, Famiglia Cristiana, Corriere dei Piccoli; gli stessi disegni che arricchiranno i vari numeri di Match e il catalogo 1 e 2.
Disegni fatti di guizzi incantati ed umoreschi, tratti divaganti con cui provoca flash, evoca aneddoti, insinua punte sornioni. Il segno è netto, privo di ogni esitazione, evocativo nelle apparizioni fulminee, ricco talvolta di humour, sia esso una vignetta o un disegno concettuale.
«Quando viene campito uno spazio più o meno esteso – scrive Pasquale LETTIERI – lo fa con l’acrilico molto diluito ovvero tende ad occuparlo con una invasione cromatica più leggera e ragionata, rompendo secondo gli schemi del post-moderno i confini della composizione. Quello che poteva essere un lacerto di scrittura o un pezzo di carta colorato delle sue opere degli anni Settanta viene sostituito dal medium pittorico. (Per questo, in occasione di una mostra newyorchese, il critico Elmar Zorn definì detti lavori “delicati pastiches appena abbozzati dal vago senso dell’allusivo”)»
La mostra è presentata in catalogo da Mario FRANCO, attento studioso dell’artista, che scrive: «Guardo le opere di Camillo Capolongo e mi chiedo: perché mai dobbiamo considerare la filosofia alla stregua d’un genere letterario? Per essere più precisi: chi ci obbliga a pensare che la filosofia sia solo logos, solo parola e non piuttosto immagine? C’è forse qualche vincolo intrinseco che ci obbliga a stabilire un nesso tra la parola o la scrittura e la problematizzazione filosofica del mondo? Perché le immagini non potrebbero comunicare con altrettanta o superiore efficacia un pensiero filosofico? Le opere di Capolongo, fanno proprio questo e lasciano intendere che la sua poetica ha attraversato le esperienze del Novecento, partendo dalle cosiddette “avanguardie storiche” e dai loro temi corrosivi…
Ci sono poi volute due guerre mondiali per riaffermare la voce dell’umanità contro l’etica e l’estetica astratte dell’età delle macchine. Per convincerci che le forme ideate dalle avanguardie non consentono di rappresentare la storia e che occorre rivendicare l’appartenenza a una tradizione. Parafrasando un celebre motto di Stephen Dedalus (il giovane co-protagonista dell'Ulysses), si potrebbe dire che la Storia è un Inferno nel quale occorre tuttavia svegliarsi. Lo è la storia, ma anche l’arte, nella fattispecie in Italia. Quella di Camillo Capolongo è una posizione che si colloca agli antipodi dell’esser “di moda” e consiste soprattutto di un tenace affollarsi di simbologie, di immagini archetipiche, di corrose rovine culturali. Se la limpidezza di alcune tele richiama la sospensione onirica, per le altre si tratta di mettersi contro il proprio tempo per dare alla ricerca la possibilità di connettersi al mito e all’utopia della rispondenza tra nuova forma e nuova società.
L’opus di Capolongo consiste anche nella messa in discussione dell’esperienza della pittura. Si tratta di una messa in discussione vissuta patologicamente (nel senso del dolore continuo) e autoriflessiva: è l’opera stessa che si ripiega su di sè. Le citazioni innumerevoli non significano altro che la perdita irreversibile della fonte, depistaggi deliberati, falsificazioni, dunque false citazioni e false fonti: il nulla dell’arte...
Pittore e scultore, Camillo Capolongo è soprattutto un filosofo che usa materiali impropri. Carte, tele, assi di legno, cartoni, servono a nascondere pudicamente un’abilità nel disegno che altri ostenterebbero. Emilio Villa e Luca Castellano lo hanno guardato con interesse e forse con sospetto. I suoi segni, infatti, approdati sul palcoscenico della napoletanità, perderebbero inesorabilmente la loro natura, la loro regale terribilità. Incarnandosi nella maschera dell’avanguardismo, l’arte cessa di far paura per divenire un “buffo” di corte. È la sorte degli arlecchini, dei pulcinella nel passaggio metamorfico dal mito al teatro: come l’albatro di Baudelaire che finisce sul ponte della nave. Non più protetta dall’orizzonte mitico-rituale l’arte appare pronta a subire la comprensione del critico, la sua ufficializzazione nel museo, la sua evirazione nel riconoscimento dell’autorità politica. Al contrario, nel "laboratorio" della pittura di Capolongo niente è mai finito (nel senso dell’irraggiungibile e non del “work-in-progress”) e ci sono disseminati impedimenti, oggetti che resistono a qualsiasi funzione, corpi cinematici, contraffazione della dissomiglianza dell’uguale. Non si tratta di “ready-made” o di prelievi dalla realtà utilizzati nel collage (o, perlomeno, non solo di questo) ma della dissipazione del sé e del proprio mondo, che Camillo si porta addosso come un Diogene ambulante, come un filosofo esistenzialista. Pittura come dépense.»
Le sue opere sono presenti in diversi musei europei e in aste pubbliche.
01
giugno 2007
Camillo Capolongo – Magnifico
Dal primo al 30 giugno 2007
arte contemporanea
Location
GALLERIA SPAZIOSEI
Monopoli, Via Sant'anna, 6, (Bari)
Monopoli, Via Sant'anna, 6, (Bari)
Orario di apertura
dalle 18.00 alle 21.00 o in altre ore previo appuntamento, domenica e lunedì chiuso
Vernissage
1 Giugno 2007, ore 19
Autore
Curatore