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Candy Skkinn
CANDY SKKINNHANDS, LECCA LECCA SKKINNFEETS, e via enumerando le opere, precedute da “Prodotto Italiano” e seguite da “SANTASEVESO 2014”, queste etichette dai colori dolciastri riecheggianti iscrizioni anni Venti e Trenta made in U.S.A., nei caratteri e nelle giustezze loro, si completano con la ricetta
Comunicato stampa
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CANDY SKKINNHANDS, LECCA LECCA SKKINNFEETS, e via enumerando le opere, precedute da “Prodotto Italiano” e seguite da “SANTASEVESO 2014”, queste etichette dai colori dolciastri riecheggianti iscrizioni anni Venti e Trenta made in U.S.A., nei caratteri e nelle giustezze loro, si completano con la ricetta, cioè si accompagnano, come ogni buon prodotto alimentare o quello che ne fa le veci, all’elenco degli ingredienti, e del peso che, a loro modo, imitano ingannevolmente alla vista. Benché siano stati realizzati in materiali estranei, anzi meglio: alieni. Dal momento che sono stati confezionati in una scala più grande del vero con materie avveniristiche che sono, principalmente, derivati chimico-industriali del petrolio. Quanto alla ricetta, essa è corredata dal suo inevitabile codice a barre, necessario per il mercato (per la messa in vendita del prodotto). Il tutto redatto in colori antichi: verde scuro, verde acqua, arancione, giallino. Cromie che sfuggono alla tirannia newtoniana dei colori primari e concorrono a riecheggiare vecchie confezioni paragonabili, in qualche modo, alla “madlene” proustiana, il biscotto dei ricordi. confezioni – anni Cinquanta-Sessanta – di “Biscotti Mellin” e“Biscotti al Plasmon”. L’infanzia, in altre parole. I suoi sapori e i suoi odori, le visioni indimenticabili e sognanti.
Ecco allora che emergono puntuali ricorsi storico artistici a Dada e al Surrealismo. Diciamo meglio: la figura e l’opera che più sembra essere richiamata, di primo acchito, è quella di Marcel Duchamp. Ma poi ecco affiorare pure l’inevitabile rimando alla Pop art nordamericana, quale viene declinata, in particolare, da Rauschenberg e Oldemburg.
Chiedo ragione di questo all’autrice, l’artista Santaseveso, al secolo Simona Seveso. Sorridendo estasiata l’interessata mi parla a sua volta della Pop art e, concordando con il sottoscritto, dell’ancora irrisolta eredità surrealista, per finire inevitabilmente (freudianamente?) a parlare dei sapori, dei colori, degli odori splendidamente struggenti e insostenibili della propria infanzia; mi confessa che il suo colore preferito è il bianco: “Un buon bianco latte”, dice. Ancora una volta un richiamo infantile. Il tutto confezionato – novella Alice – in modo da costituire una singolare e certo spiazzante rivisitazione popartistica, retrò ,ma anche un po’ surnaturale per via del rovesciamento dimensionale adottato che ti fa sentire nei panni dell’inafferrabile monsieur Plume o sul palcoscenico che si finge piazza dell’addizione estense di Ferrara a firma di Biagio Rossetti, delle mitiche Muse inquietanti di de Chirico. Ecco il punto: il fatto è che di fronte a questi dolci giganteschi senza dubbio vi è una trasfigurazione della realtà, queste false ma affascinanti leccornie di un paradiso “plastico” (“Polimaterico, prego”, mi correggerebbe l’amico Giorgio Bonafé) materiali che consentono loro trasparenza e cromie squillanti e una trama porosa dura-morbida, fingendo il vero nella realizzazione del falso (un incubo agrodolce da iscrivere sotto l’egida orwelliana?). Sincronicamente, e quasi specularmente: il falso nella realizzazione del vero. Irrompe così, ancora una volta, il ricorso alla Pop art americana – questa volta Johns e Warhol, in primis – ma, come dire, spaesata poiché costretta, in qualche modo, ad allestire e abitare uno spazio immaginario che poco ha a che fare con la proiezione provocatoria – politica – dello spazio sociale, della realtà vissuta quale viene rappresentata su grande scala urbana dai popartisti a stelle e strisce, quella Pop art americana che cerca di dare una nuova o inedita denominazione alle cose, quella volontà di trasfigurazione fantasmatica ma denunciataria, qual è agita dal nerbo del movimento popartistico…
Invece qui, nel caso tutto italiano di Santaseveso, si assiste a un rovesciamento concettuale: tutto viene risucchiato entro un ludo fantasmatico mondo colorato che attira come riecheggio all’infanzia ma che tutto ad un tratto ci suscita un’inquietudine, un disagio improvvisi. L’allontanamento dalla realtà ,lavori allegri e tragici, belli e dolorosi, saporiti e inavvicinabili, questi lavori di un’attualità sconcertante e tuttavia ammantati di postmodernità mendiniana per ciò che vi si nasconde sotto, la pelle, le parti del corpo scomposti e riconoscibili solo quando l’occhio ha raggiunto la mente persa nella ludità ingannevole. .Fanno effettivamente scattare una trappola ermeneutica, suscitando un allarme filosofico.
Evidentemente quest’arte surreale e pop al contempo, quest’allestimento – che ho voluto nel M.A.P. (mentre un’altra artista, Carla Crosio assai più viscerale e materica, capace di metaforizzare la discarica globale che più rappresenta l’universo mondo contemporaneo, è in mostra a Palazzo Branda, la sede monumentale del Cardinale vicino al Castello del Moteruzzo,altra sede esposotiva che fu il più elevato laboratorio del Polimero arte.
A tutta evidenza quest’arte di Santa Seveso e questo brand di inedito cònio, Santaseveso prodotto italiano, un nome, una etichetta, una garanzia quanto meno in questo ciclo di opere del 2014 (che si rifanno pure, in qualche modo, alla precedente attività di “decoratrice” della artista), provocano più di una fantasia.
Questi lavori sembra essere il bersaglio segreto ma costante del dolcissimo fuoco artistico di Simona ,– è allora un sommesso richiamo a quell’ “umanità inutile” di cui parla Hannah Arendt.? Quella stessa umanità educata o formata in siffatti paradisi artificiali, in questi assurdi luna park, che rischia di rinnovare, alla prima occasione, la tragica colpa hitleriana, quella stessa colpa che ha macchiato indelebilmente l’Occidente. Cosicché in questa ricerca artistica vige la regola: ciò che appare, non è!
Rolando Bellini
Ecco allora che emergono puntuali ricorsi storico artistici a Dada e al Surrealismo. Diciamo meglio: la figura e l’opera che più sembra essere richiamata, di primo acchito, è quella di Marcel Duchamp. Ma poi ecco affiorare pure l’inevitabile rimando alla Pop art nordamericana, quale viene declinata, in particolare, da Rauschenberg e Oldemburg.
Chiedo ragione di questo all’autrice, l’artista Santaseveso, al secolo Simona Seveso. Sorridendo estasiata l’interessata mi parla a sua volta della Pop art e, concordando con il sottoscritto, dell’ancora irrisolta eredità surrealista, per finire inevitabilmente (freudianamente?) a parlare dei sapori, dei colori, degli odori splendidamente struggenti e insostenibili della propria infanzia; mi confessa che il suo colore preferito è il bianco: “Un buon bianco latte”, dice. Ancora una volta un richiamo infantile. Il tutto confezionato – novella Alice – in modo da costituire una singolare e certo spiazzante rivisitazione popartistica, retrò ,ma anche un po’ surnaturale per via del rovesciamento dimensionale adottato che ti fa sentire nei panni dell’inafferrabile monsieur Plume o sul palcoscenico che si finge piazza dell’addizione estense di Ferrara a firma di Biagio Rossetti, delle mitiche Muse inquietanti di de Chirico. Ecco il punto: il fatto è che di fronte a questi dolci giganteschi senza dubbio vi è una trasfigurazione della realtà, queste false ma affascinanti leccornie di un paradiso “plastico” (“Polimaterico, prego”, mi correggerebbe l’amico Giorgio Bonafé) materiali che consentono loro trasparenza e cromie squillanti e una trama porosa dura-morbida, fingendo il vero nella realizzazione del falso (un incubo agrodolce da iscrivere sotto l’egida orwelliana?). Sincronicamente, e quasi specularmente: il falso nella realizzazione del vero. Irrompe così, ancora una volta, il ricorso alla Pop art americana – questa volta Johns e Warhol, in primis – ma, come dire, spaesata poiché costretta, in qualche modo, ad allestire e abitare uno spazio immaginario che poco ha a che fare con la proiezione provocatoria – politica – dello spazio sociale, della realtà vissuta quale viene rappresentata su grande scala urbana dai popartisti a stelle e strisce, quella Pop art americana che cerca di dare una nuova o inedita denominazione alle cose, quella volontà di trasfigurazione fantasmatica ma denunciataria, qual è agita dal nerbo del movimento popartistico…
Invece qui, nel caso tutto italiano di Santaseveso, si assiste a un rovesciamento concettuale: tutto viene risucchiato entro un ludo fantasmatico mondo colorato che attira come riecheggio all’infanzia ma che tutto ad un tratto ci suscita un’inquietudine, un disagio improvvisi. L’allontanamento dalla realtà ,lavori allegri e tragici, belli e dolorosi, saporiti e inavvicinabili, questi lavori di un’attualità sconcertante e tuttavia ammantati di postmodernità mendiniana per ciò che vi si nasconde sotto, la pelle, le parti del corpo scomposti e riconoscibili solo quando l’occhio ha raggiunto la mente persa nella ludità ingannevole. .Fanno effettivamente scattare una trappola ermeneutica, suscitando un allarme filosofico.
Evidentemente quest’arte surreale e pop al contempo, quest’allestimento – che ho voluto nel M.A.P. (mentre un’altra artista, Carla Crosio assai più viscerale e materica, capace di metaforizzare la discarica globale che più rappresenta l’universo mondo contemporaneo, è in mostra a Palazzo Branda, la sede monumentale del Cardinale vicino al Castello del Moteruzzo,altra sede esposotiva che fu il più elevato laboratorio del Polimero arte.
A tutta evidenza quest’arte di Santa Seveso e questo brand di inedito cònio, Santaseveso prodotto italiano, un nome, una etichetta, una garanzia quanto meno in questo ciclo di opere del 2014 (che si rifanno pure, in qualche modo, alla precedente attività di “decoratrice” della artista), provocano più di una fantasia.
Questi lavori sembra essere il bersaglio segreto ma costante del dolcissimo fuoco artistico di Simona ,– è allora un sommesso richiamo a quell’ “umanità inutile” di cui parla Hannah Arendt.? Quella stessa umanità educata o formata in siffatti paradisi artificiali, in questi assurdi luna park, che rischia di rinnovare, alla prima occasione, la tragica colpa hitleriana, quella stessa colpa che ha macchiato indelebilmente l’Occidente. Cosicché in questa ricerca artistica vige la regola: ciò che appare, non è!
Rolando Bellini
21
marzo 2015
Candy Skkinn
Dal 21 marzo al 12 aprile 2015
arti decorative e industriali
Location
PALAZZO DEI CASTIGLIONI DI MONTERUZZO – MAP MUSEO DI ARTE PLASTICA
Castiglione Olona, Via Roma, 29, (Varese)
Castiglione Olona, Via Roma, 29, (Varese)
Vernissage
21 Marzo 2015, ore 17.00