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Capital Culture
Capital Culture è una mostra collettiva, parte di un progetto a lungo termine e in più tappe, che inizia il proprio percorso negli spazi di Prometeogallery a Milano. Capital Culture è il tentativo di costruire un atlante di immagini e situazioni sulla nozione di “capitale” in un tempo di transizione e globalizzazione come è quello attuale
Comunicato stampa
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Capital Culture è una mostra collettiva, parte di un progetto a lungo termine e in più tappe, che inizia il proprio percorso negli spazi di Prometeogallery a Milano. Capital Culture è il tentativo di costruire un atlante di immagini e situazioni sulla nozione di “capitale” in un tempo di transizione e globalizzazione come è quello attuale.
Se Sergej Ejzenstejn nel 1927 dopo Ottobre progetta una edizione cinematografica de Il Capitale di Karl Marx, Guy Debord nel ’67 sostituisce più volte la parola “capitale” di Marx con quella di “spettacolo” attraverso la pratica del détournement. Una frase chiave de La società dello spettacolo recita: “Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini” dove nella frase de Il Capitale si leggeva: “Il capitale non è una cosa ma un rapporto sociale fra individui, mediato da cose”. Non è un caso che lo stesso Debord finirà nel realizzare nel 1973 un adattamento cinematografico del suo libro più radicale.
Che significa porre un rapporto diretto tra produzione sociale e produzione di immagini? Tra produzione materiale e comunicazione linguistica? E’ possibile verificare fianco a fianco crisi del paradigma della rappresentanza e crisi di quello della rappresentazione? Quali rapporti di scambio sono ora possibili tra ambito estetico e sfera del politico? Quale è l’apporto degli artisti attuali al generale incremento della domanda di democrazia? Ai dodici artisti presenti in Capital Culture, che provengono da varie latitudini e da esperienze diverse del fenomeno della globalizzazione - dall’America Latina all’Est europeo -, è stato chiesto di presentare un lavoro in risposta a questi interrogativi.
Schizofrenia, economia, lavoro, informazione, cultura, storia e democrazia, sono alcuni dei temi che articoleranno il percorso espositivo della mostra, ma soprattutto il rapporto tra immaginazione politica e memoria collettiva sarà la piattaforma comune in questa occasione ai vari interventi che intendono confrontarsi sugli stessi problemi a partire dalle proprie diversità culturali. Se il modello capitalista su scala globale è il terreno che accomuna le differenti esperienze, la partecipazione in forma diversa al fenomeno e le diverse derivazioni locali aprono ancora uno spazio di confronto critico e di produzione di possibili pratiche alternative.
Se Ernesto Salmerón, attraverso una serie di cortometraggi, propone la storia nicaraguese recente alla luce dell’intervento americano nel processo di formazione e sparizione del movimento rivoluzionario nicaraguese, le foto di Maxim Karakulov sono un interrogativo senza risposta sulla fine dell’idea comunitaria e collettiva in Russia. Così il rapporto tra memoria e desiderio nei pazienti di psichiatria in Javier Téllez, la cancellazione della memoria storica per eccesso di informazione delle masse urbane del Salvador in Ronald Morán o l’archivio sulle tattiche militari americane di Ian Tweedy sono alcuni esempi della serie di riflessioni aperte dagli artisti sulla trasformazione del capitalismo precedente nell’attuale mercato transnazionale e globale.
Se Sergej Ejzenstejn nel 1927 dopo Ottobre progetta una edizione cinematografica de Il Capitale di Karl Marx, Guy Debord nel ’67 sostituisce più volte la parola “capitale” di Marx con quella di “spettacolo” attraverso la pratica del détournement. Una frase chiave de La società dello spettacolo recita: “Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini” dove nella frase de Il Capitale si leggeva: “Il capitale non è una cosa ma un rapporto sociale fra individui, mediato da cose”. Non è un caso che lo stesso Debord finirà nel realizzare nel 1973 un adattamento cinematografico del suo libro più radicale.
Che significa porre un rapporto diretto tra produzione sociale e produzione di immagini? Tra produzione materiale e comunicazione linguistica? E’ possibile verificare fianco a fianco crisi del paradigma della rappresentanza e crisi di quello della rappresentazione? Quali rapporti di scambio sono ora possibili tra ambito estetico e sfera del politico? Quale è l’apporto degli artisti attuali al generale incremento della domanda di democrazia? Ai dodici artisti presenti in Capital Culture, che provengono da varie latitudini e da esperienze diverse del fenomeno della globalizzazione - dall’America Latina all’Est europeo -, è stato chiesto di presentare un lavoro in risposta a questi interrogativi.
Schizofrenia, economia, lavoro, informazione, cultura, storia e democrazia, sono alcuni dei temi che articoleranno il percorso espositivo della mostra, ma soprattutto il rapporto tra immaginazione politica e memoria collettiva sarà la piattaforma comune in questa occasione ai vari interventi che intendono confrontarsi sugli stessi problemi a partire dalle proprie diversità culturali. Se il modello capitalista su scala globale è il terreno che accomuna le differenti esperienze, la partecipazione in forma diversa al fenomeno e le diverse derivazioni locali aprono ancora uno spazio di confronto critico e di produzione di possibili pratiche alternative.
Se Ernesto Salmerón, attraverso una serie di cortometraggi, propone la storia nicaraguese recente alla luce dell’intervento americano nel processo di formazione e sparizione del movimento rivoluzionario nicaraguese, le foto di Maxim Karakulov sono un interrogativo senza risposta sulla fine dell’idea comunitaria e collettiva in Russia. Così il rapporto tra memoria e desiderio nei pazienti di psichiatria in Javier Téllez, la cancellazione della memoria storica per eccesso di informazione delle masse urbane del Salvador in Ronald Morán o l’archivio sulle tattiche militari americane di Ian Tweedy sono alcuni esempi della serie di riflessioni aperte dagli artisti sulla trasformazione del capitalismo precedente nell’attuale mercato transnazionale e globale.
21
giugno 2006
Capital Culture
Dal 21 giugno al 21 luglio 2006
arte contemporanea
Location
PROMETEOGALLERY
Milano, Via Giovanni Ventura, 6, (Milano)
Milano, Via Giovanni Ventura, 6, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a venerdì 11.30-19.30, sabato e lunedì su appuntamento
Vernissage
21 Giugno 2006, ore 19
Autore
Curatore