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Carlo Ambrosoli – Muti come pesci in un acquario (Virginia Woolf)
Da sempre la ricerca artistica di Carlo Ambrosoli si concentra sulle potenzialità espressive del simbolo attraverso un uso antico del fare pittura: in questa mostra,che presenta lavori realizzati a partire dal 2008, il pesce,animale totemico,assurge a emblema della impossibilità della comunicazione.
Comunicato stampa
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Muti come pesci in un acquario (Virginia Woolf)
Si rende colpevole chi tace tra i colpevoli
(M.Babits, Il Libro di Giona, 1940)
Quando ho visitato lo studio di Carlo Ambrosoli per vedere e capire i suoi “pesci” mi sono accorta che ondeggiavo tra due sensazioni opposte. Da una parte la presenza di quei pesci cosi poco reali e cosi inquietanti mi rimandavano alle parole di Virginia Woolf quando rivendicava il primato della pittura su altre forme espressive nel definire gli artisti come coloro che tessono i loro incantesimi, come sgombri, dietro il vetro di un acquario, muti e misteriosi (V. Woolf, Visitando una galleria-quadri, Per le strade di Londra, 1925). La scrittrice inglese riconosceva all’artista il privilegio del silenzio: la mancanza della parola era vista come condizione necessaria per entrare in contatto con il mistero imperscrutabile della pittura, che avrebbe dovuto mantenere intatta e difendere la propria integrità non verbale. La parola cosi ricca e fluida per un narratore poteva diventare un pericolo distruttivo per la comprensione dell’arte.
E Carlo Ambrosoli è sicuramente un artista che da sempre riconosce alla pittura una sorta di incantesimo percettivo e da sempre la sua ricerca si è rivolta ad esplorare i meandri delle potenzialità espressive di un linguaggio simbolico irriducibile ad altro: la pietra filosofale, il labirinto, il tema della porta come porta di accesso a mondi trascendenti sono stati per lungo tempo i temi preferiti dall’artista. E’ un pittore antico che si riappropria del fare pittura come veicolo privilegiato nella restituzione di un senso intrinseco e specifico della pittura e si pone all’interno di un percorso artistico che si innesta profondamente e consapevolmente nella tradizione italiana. L’attenzione spasmodica alla costruzione plastica della forma attraverso sottrazioni continue di colore conferisce alla ricerca di Ambrosoli una coerenza linguistica notevole.
Ma nello stesso tempo camminando tra i quadri di formati e tecniche diverse, ero colpita dall’ambiguità misteriosa e anche inquietante delle immagini e ho pensato immediatamente alla forza espressiva di quel simbolo verso il quale confluiscono tradizioni religiose precristiane, ebraiche e orientali: non è casuale la scelta del pesce quale protagonista assoluto di una mostra e ai significati già consolidati l’artista ne aggiunge di ulteriori. E allora mi sono ricordata del racconto biblico di Giona e il pesce e la potenza evocativa di quell’evento. La figura del profeta Giona che disobbedendo all’ordine ricevuto da Dio, riconosce poi la propria colpa e di fronte al pericolo causato ad altri è pronto a dare la vita, che viene salvato in modo miracoloso nel ventre del pesce e che alla fine si indigna di fronte alla grazia ricevuta da Dio, ha da sempre offerto una molteplicità di spunti di rielaborazioni letterarie di grande interesse. Il poeta ungherese M.Babits, tra i tanti intellettuali che nel corso del ‘900 hanno affrontato questo soggetto, si attiene al poema biblico che si trasforma per lui nella parabola del difficile compito degli intellettuali in un periodo di grande tragicità, l’Ungheria dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Anche Carlo Ambrosoli nell’ideazione di questa mostra che presenta come tema centrale la raffigurazione del pesce ha voluto fare riferimento ad una problematica culturale di grande attualità, evidenziando un impegno etico inusuale nella ricerca artistica contemporanea: il pesce diventa metafora del silenzio e dell’impossibilità di parlare cui sono costretti gli uomini oggi in una società sempre più proiettata verso una semplificazione concettuale fondata su un edonismo pericoloso. Ma nello stesso tempo ribadisce l’impossibilità di comunicare con altri linguaggi se non quello della pittura: è come se volesse ribadire la peculiarità del linguaggio pittorico.
La stessa ideazione della mostra, organizzata su tre diversi registri pittorici, esprime un progetto artistico di ampio respiro che accorda la ricerca artistica individuale ad una necessità di visualizzare nel collettivo temi etici di grande portata.
Nel primo registro sono presentati quattro grandi quadri, Caos agitato, Acquario, Ourobouros, In Viaggio, realizzati con tecniche miste (tela e carta intelata) dove compare una moltitudine di pesci pietrificati, tutti uguali, schiacciati l’uno contro l’altro, figure mostruose quasi arcaiche. Le teste si dilatano in un ghigno feroce, e sembrano dibattersi al di là di una parete di vetro. Rivolgono gli occhi allo spettatore come se chiedessero aiuto: una trappola da cui tentano di evadere. si annulla l’individualità in nome di una collettività. Appare un’umanità inerme e terrorizzata che si muove in un liquido che annulla le diversità, rende tutti eguali ma non nel senso della libertà ma in quello della paura del diverso: un’umanità liquida che stenta a trovare un codice comunicativo efficace capace di esaltare le potenzialità del singolo . Ma in Ourobouros, evocazione della figura mitica del serpente che si mangia la coda, un pesce mangia l’altro e si allude alla possibilità di una rinascita che si scioglie nel quadro In viaggio dove si aprono vie di uscita prima insperate.
Nel secondo registro troviamo sei piccole tavole di legno. Lo spazio si dilata, si svuota, diventa più statico e al senso di sgomento e di impotenza della primo registro succede una suggestione poetica di forte intensità: predomina un tono ironico, trasgressivo, l’elemento quasi fiabesco prende il sopravvento. Bocche mostruose di pesci fantastici si accompagnano a delicate sirene e le allusioni ad una tradizione favolistica occidentale si fanno più evidenti.. Anche i titoli si trasformano in giochi di parole e assumono una funzione moraleggiante: Starlett, Pericolo, La Bella e La Bestia, Amore di mamma, Inversioni di tendenza, lasciano il campo alla fantasia, ad un tono leggero quasi scanzonato che rende omaggio ancora una volta alla capacità della pittura di trasfigurare la realtà.
Nel terzo registro dal titolo Personaggi visitati da pesci troviamo piccoli quadri dove teste maschili e femminili sono visitati, accuditi(?), aiutati(?) , consigliati(?) da piccoli pesci ritagliati su pelle di baccalà essiccata e dipinti ad acquarello. La dimensione del pesce da un registro all’altro diventa sempre più piccolo: è come se l’artista avesse voluto ampliare la potenzialità espressiva del segno attribuendogli ulteriori significati.
Se nella prima serie il pesce è metafora di una condizione esistenziale dove l’essere muti non garantisce solo una possibilità espressiva ma esprime anche e soprattutto una incomunicabilità dell’essere. Nella seconda si trasforma in favola moraleggiante, e in quest’ultima il piccolo pesce collocato sulla testa diventa quasi espressione visualizzata di un tipo psicologico di impronta junghiana e si trasforma in una sorta di alter ego dell’individuo. Si struttura come affioramento di un senso cristologico: una sorte di custode dell’integrità dell’individuo e salvaguardia della sua specificità.
Non è casuale la scelta del pesce come protagonista delle opere di Ambrosoli: il pesce fin dall’epoca precristiana è stato considerato metafora di rinascita e di rigenerazione soprattutto in relazione all’acqua e diventa quindi immagine privilegiata per la riflessione teorica dell’artista. Il pesce, quindi, non solo metafora del silenzio cui siamo costretti ma anche rappresentazione della possibilità di rinascita proprio attraverso l’introversione.
Nella tradizione cristiana la parola pesce (ictys) diventa acrostico di Gesù ( Iesous Christos Theou Yios Soter, che tradotto è: Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore). Ma d'altra parte il pesce appare generalmente in un contesto battesimale. Infatti Tertulliano dice: "Ma noi, piccoli pesci, nasciamo nell'acqua" (Bapt., I, 3) e Ambrogio: "Ti è stato riservato che le acque ti rigenerino con la grazia, come esse hanno generato gli altri (esseri viventi) alla vita terrestre. Imita questo pesce" (Sacram, III). Anche il simbolo 'Vesica Pisces' (vescica del pesce) o Mandorla Mistica era adorato dai primi cristiani perché in quell'epoca l'equinozio di primavera avveniva nel segno dei Pesci. Era il simbolo della fertilità e della femminilità. Lo stesso simbolo si ritrova in alcune divinità greche come la dea Cibele che aveva per simbolo il pesce. Dea creatrice che ha dato origine all’intero universo senza bisogno di intervento maschile, era la vergine inviolata e tuttavia madre degli dei. Oppure ancora per citare la complessità del segno nella Bibbia con Ezechiele si parla della pescosità delle acque come simbolo della ricchezza e di resurrezione.
La complessità dei significati della pittura di Carlo Ambrosoli, le interferenze culturali con il mondo contemporaneo sono importanti quindi per comprendere lo spessore della sua ricerca estranea dal cadere verso facili seduzioni di sperimentazioni linguistiche spesso autoreferenziali: l’interpretazione figurale delle sue opere si accompagna sempre ad una forte emotività pittorica che consente allo spettatore di assistere stupefatto all’incantesimo della pittura.
Tiziana Musi
Si rende colpevole chi tace tra i colpevoli
(M.Babits, Il Libro di Giona, 1940)
Quando ho visitato lo studio di Carlo Ambrosoli per vedere e capire i suoi “pesci” mi sono accorta che ondeggiavo tra due sensazioni opposte. Da una parte la presenza di quei pesci cosi poco reali e cosi inquietanti mi rimandavano alle parole di Virginia Woolf quando rivendicava il primato della pittura su altre forme espressive nel definire gli artisti come coloro che tessono i loro incantesimi, come sgombri, dietro il vetro di un acquario, muti e misteriosi (V. Woolf, Visitando una galleria-quadri, Per le strade di Londra, 1925). La scrittrice inglese riconosceva all’artista il privilegio del silenzio: la mancanza della parola era vista come condizione necessaria per entrare in contatto con il mistero imperscrutabile della pittura, che avrebbe dovuto mantenere intatta e difendere la propria integrità non verbale. La parola cosi ricca e fluida per un narratore poteva diventare un pericolo distruttivo per la comprensione dell’arte.
E Carlo Ambrosoli è sicuramente un artista che da sempre riconosce alla pittura una sorta di incantesimo percettivo e da sempre la sua ricerca si è rivolta ad esplorare i meandri delle potenzialità espressive di un linguaggio simbolico irriducibile ad altro: la pietra filosofale, il labirinto, il tema della porta come porta di accesso a mondi trascendenti sono stati per lungo tempo i temi preferiti dall’artista. E’ un pittore antico che si riappropria del fare pittura come veicolo privilegiato nella restituzione di un senso intrinseco e specifico della pittura e si pone all’interno di un percorso artistico che si innesta profondamente e consapevolmente nella tradizione italiana. L’attenzione spasmodica alla costruzione plastica della forma attraverso sottrazioni continue di colore conferisce alla ricerca di Ambrosoli una coerenza linguistica notevole.
Ma nello stesso tempo camminando tra i quadri di formati e tecniche diverse, ero colpita dall’ambiguità misteriosa e anche inquietante delle immagini e ho pensato immediatamente alla forza espressiva di quel simbolo verso il quale confluiscono tradizioni religiose precristiane, ebraiche e orientali: non è casuale la scelta del pesce quale protagonista assoluto di una mostra e ai significati già consolidati l’artista ne aggiunge di ulteriori. E allora mi sono ricordata del racconto biblico di Giona e il pesce e la potenza evocativa di quell’evento. La figura del profeta Giona che disobbedendo all’ordine ricevuto da Dio, riconosce poi la propria colpa e di fronte al pericolo causato ad altri è pronto a dare la vita, che viene salvato in modo miracoloso nel ventre del pesce e che alla fine si indigna di fronte alla grazia ricevuta da Dio, ha da sempre offerto una molteplicità di spunti di rielaborazioni letterarie di grande interesse. Il poeta ungherese M.Babits, tra i tanti intellettuali che nel corso del ‘900 hanno affrontato questo soggetto, si attiene al poema biblico che si trasforma per lui nella parabola del difficile compito degli intellettuali in un periodo di grande tragicità, l’Ungheria dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Anche Carlo Ambrosoli nell’ideazione di questa mostra che presenta come tema centrale la raffigurazione del pesce ha voluto fare riferimento ad una problematica culturale di grande attualità, evidenziando un impegno etico inusuale nella ricerca artistica contemporanea: il pesce diventa metafora del silenzio e dell’impossibilità di parlare cui sono costretti gli uomini oggi in una società sempre più proiettata verso una semplificazione concettuale fondata su un edonismo pericoloso. Ma nello stesso tempo ribadisce l’impossibilità di comunicare con altri linguaggi se non quello della pittura: è come se volesse ribadire la peculiarità del linguaggio pittorico.
La stessa ideazione della mostra, organizzata su tre diversi registri pittorici, esprime un progetto artistico di ampio respiro che accorda la ricerca artistica individuale ad una necessità di visualizzare nel collettivo temi etici di grande portata.
Nel primo registro sono presentati quattro grandi quadri, Caos agitato, Acquario, Ourobouros, In Viaggio, realizzati con tecniche miste (tela e carta intelata) dove compare una moltitudine di pesci pietrificati, tutti uguali, schiacciati l’uno contro l’altro, figure mostruose quasi arcaiche. Le teste si dilatano in un ghigno feroce, e sembrano dibattersi al di là di una parete di vetro. Rivolgono gli occhi allo spettatore come se chiedessero aiuto: una trappola da cui tentano di evadere. si annulla l’individualità in nome di una collettività. Appare un’umanità inerme e terrorizzata che si muove in un liquido che annulla le diversità, rende tutti eguali ma non nel senso della libertà ma in quello della paura del diverso: un’umanità liquida che stenta a trovare un codice comunicativo efficace capace di esaltare le potenzialità del singolo . Ma in Ourobouros, evocazione della figura mitica del serpente che si mangia la coda, un pesce mangia l’altro e si allude alla possibilità di una rinascita che si scioglie nel quadro In viaggio dove si aprono vie di uscita prima insperate.
Nel secondo registro troviamo sei piccole tavole di legno. Lo spazio si dilata, si svuota, diventa più statico e al senso di sgomento e di impotenza della primo registro succede una suggestione poetica di forte intensità: predomina un tono ironico, trasgressivo, l’elemento quasi fiabesco prende il sopravvento. Bocche mostruose di pesci fantastici si accompagnano a delicate sirene e le allusioni ad una tradizione favolistica occidentale si fanno più evidenti.. Anche i titoli si trasformano in giochi di parole e assumono una funzione moraleggiante: Starlett, Pericolo, La Bella e La Bestia, Amore di mamma, Inversioni di tendenza, lasciano il campo alla fantasia, ad un tono leggero quasi scanzonato che rende omaggio ancora una volta alla capacità della pittura di trasfigurare la realtà.
Nel terzo registro dal titolo Personaggi visitati da pesci troviamo piccoli quadri dove teste maschili e femminili sono visitati, accuditi(?), aiutati(?) , consigliati(?) da piccoli pesci ritagliati su pelle di baccalà essiccata e dipinti ad acquarello. La dimensione del pesce da un registro all’altro diventa sempre più piccolo: è come se l’artista avesse voluto ampliare la potenzialità espressiva del segno attribuendogli ulteriori significati.
Se nella prima serie il pesce è metafora di una condizione esistenziale dove l’essere muti non garantisce solo una possibilità espressiva ma esprime anche e soprattutto una incomunicabilità dell’essere. Nella seconda si trasforma in favola moraleggiante, e in quest’ultima il piccolo pesce collocato sulla testa diventa quasi espressione visualizzata di un tipo psicologico di impronta junghiana e si trasforma in una sorta di alter ego dell’individuo. Si struttura come affioramento di un senso cristologico: una sorte di custode dell’integrità dell’individuo e salvaguardia della sua specificità.
Non è casuale la scelta del pesce come protagonista delle opere di Ambrosoli: il pesce fin dall’epoca precristiana è stato considerato metafora di rinascita e di rigenerazione soprattutto in relazione all’acqua e diventa quindi immagine privilegiata per la riflessione teorica dell’artista. Il pesce, quindi, non solo metafora del silenzio cui siamo costretti ma anche rappresentazione della possibilità di rinascita proprio attraverso l’introversione.
Nella tradizione cristiana la parola pesce (ictys) diventa acrostico di Gesù ( Iesous Christos Theou Yios Soter, che tradotto è: Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore). Ma d'altra parte il pesce appare generalmente in un contesto battesimale. Infatti Tertulliano dice: "Ma noi, piccoli pesci, nasciamo nell'acqua" (Bapt., I, 3) e Ambrogio: "Ti è stato riservato che le acque ti rigenerino con la grazia, come esse hanno generato gli altri (esseri viventi) alla vita terrestre. Imita questo pesce" (Sacram, III). Anche il simbolo 'Vesica Pisces' (vescica del pesce) o Mandorla Mistica era adorato dai primi cristiani perché in quell'epoca l'equinozio di primavera avveniva nel segno dei Pesci. Era il simbolo della fertilità e della femminilità. Lo stesso simbolo si ritrova in alcune divinità greche come la dea Cibele che aveva per simbolo il pesce. Dea creatrice che ha dato origine all’intero universo senza bisogno di intervento maschile, era la vergine inviolata e tuttavia madre degli dei. Oppure ancora per citare la complessità del segno nella Bibbia con Ezechiele si parla della pescosità delle acque come simbolo della ricchezza e di resurrezione.
La complessità dei significati della pittura di Carlo Ambrosoli, le interferenze culturali con il mondo contemporaneo sono importanti quindi per comprendere lo spessore della sua ricerca estranea dal cadere verso facili seduzioni di sperimentazioni linguistiche spesso autoreferenziali: l’interpretazione figurale delle sue opere si accompagna sempre ad una forte emotività pittorica che consente allo spettatore di assistere stupefatto all’incantesimo della pittura.
Tiziana Musi
04
marzo 2010
Carlo Ambrosoli – Muti come pesci in un acquario (Virginia Woolf)
Dal 04 marzo al 10 aprile 2010
arte contemporanea
Location
STUDIO TIEPOLO 38
Roma, Via Giambattista Tiepolo, 38, (Roma)
Roma, Via Giambattista Tiepolo, 38, (Roma)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 16 - 20
Vernissage
4 Marzo 2010, ore 18.30
Autore
Curatore