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Carlo Busiri Vici
Dipinti e disegni dal 1942 al 1948
Comunicato stampa
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La mostra più commovente dell’autunno romano è quella che Riccardo Rosati dedica, a partire da martedì 8 novembre, a Carlo Busiri Vici, tra gli esponenti della Scuola Romana, uno dei pochi ancora viventi e certamente il più riservato: un pittore innamorato del proprio lavoro, ma sopraffatto dall’avversione ad esporlo e, perciò, pressoché sconosciuto al grande pubblico.
L’idea della mostra è stata suggerita a Cinzia Virno, la curatrice, dalla lettura di un album redatto dall’artista con artigianale pazienza, uno struggente zibaldone artistico composto da annotazioni battute con una vecchia macchina da scrivere, ritagli di giornali, riproduzioni di dipinti e disegni, un materiale eterogeneo del quale Busiri Vici si serve per raccontare, in un suo originalissimo modo, la stagione più febbrile di una lunga carriera: gli anni dal 1942 al 1948. Qui, con la signorile semplicità che è uno dei tratti distintivi del suo carattere, dichiara le ragioni che hanno determinato la sua adesione al progetto espositivo di Rosati e Virno: “Avendo con gli anni imparato che non è detto che ogni opera ‘deve’ essere per forza un capolavoro… vincendo il mio carattere profondamente schivo, ritengo oggi che la mia produzione pittorica di quei lontani anni (ero sedicenne nel ’42) può meritare di essere catalogata e documentata: se non altro per la genuinità, la freschezza, senza schemi rigidi e la convinzione di quei miei lavori che erano come… scaturiti in un periodo come fu quello del dopoguerra, in generale così fecondo di fantasia e di idee nel campo dell’arte, forse per reazione ad anni di opprimenti, immani tragedie”. Queste parole sono la chiave di lettura della mostra: attraverso il rigore scientifico di un’articolata operazione finalizzata, in ultima battuta, alla creazione di un catalogo generale del pittore, evocare la poesia, il ritmo incalzante di un’epoca irripetibile, una delle più vive della storia della cultura del ’900. Cinzia Virno utilizza il ricco materiale di cui dispone per comporre l’affresco di un’epoca, un affresco sonoro, in cui i colori e i segni di oltre duecento pezzi, realizzati da Busiri Vici tra i sedici ed i ventidue anni (una ventina di olii e tante opere su carta), sono commentati, nell’accurato catalogo edito da Palombi, dalle voci di protagonisti di quella meravigliosa temperie artistica: lo stesso Busiri Vici, l’amico e coetaneo Piero Dorazio, Maurizio Fagiolo dell’Arco e Marcello Venturoli. Il racconto è toccante.
Piccole cose che ricordano il padre combattente è la natura morta, un olio su tavola, con cui nel 1943 Busiri Vici vince il premio di pittura ai Ludi Juvenilis, le gare artistico-culturali della Gioventù Italiana del Littorio. Siamo ancora in piena egemonia fascista, l’autore del dipinto ha solo diciassette anni, ma elabora un’opera matura che, nell’uso tonale del colore, dichiara una precisa scelta stilistica verso gli orientamenti della Scuola Romana.
Busiri Vici a Roma è un cognome impegnativo per un aspirante artista, significa appartenere a una famiglia che dal Seicento offre alla città i suoi migliori architetti. Un avo di Carlo, Giovanni Battista Busiri (1698-1757), è un celebre vedutista del Grand Tour e tutti sanno della predilezione di Pio IX e Leone XIII per l’Architetto Andrea Busiri Vici (1818-1911), quanto a Clemente, il padre di Carlo, è lui a seguire alcuni dei più prestigiosi cantieri del Regime.
Con l’amico-cugino Carlo Ajmonino, un nome illustre dell’architettura dei giorni nostri, Busiri conosce altri giovani invasati dal fuoco dell’arte, si chiamano, solo per citarne alcuni, Piero Dorazio, Achille Perilli, Mino Guerrini, Alfio Barbagallo e Renzo Vespignani. Quando la morsa della guerra si stringe sulla capitale, la pittura diviene per tutti i membri del gruppo un modo per evadere dalla paura, dalla fame, dal freddo. I disagi della vita quotidiana impongono scelte tecniche e soggetti comuni, gli stessi oggi esposti a Via Giulia: vedute di luoghi facilmente raggiungibili, ritratti di familiari e amici, perché a causa del coprifuoco e dei bombardamenti si vive prevalentemente in casa, tanti autoritratti, magari con cappello, il tipico indumento antifreddo delle giornate casalinghe senza la comodità del riscaldamento e, a volte, della luce elettrica, tant’è che nelle numerose nature morte compare di frequente l’elemento della candela. I colori utilizzati sono il trionfo dell’autarchia, giacché i tubetti mancano dai negozi si impara ad impastare le terre con l’acqua ragia e gli olii. Analoghi capolavori di bricolage le tele, oppure si dipinge sul retro o addirittura sopra pitture precedentemente realizzate.
Poi la liberazione, ancora povertà, ma una speranza e un entusiasmo incontenibili. Il motto di quegli anni lo stampano gli americani sulle AM lire: “Senza paura”. Il mondo dell’arte vive momenti febbricitanti, le nuove gallerie spuntano come funghi, si dipinge tanto e si vende di più, tutti vogliono acquistare i quadri esposti nelle mostre che ogni giorno si aprono. Vetrine straordinarie alle quali i giovani artisti sono chiamati ad esporre accanto ai mostri sacri, favorevoli al confronto e prodighi di insegnamenti e consigli. E’ un clima che favorisce il talento e infatti i ragazzi prodigio si sprecano. Busiri e compagni approfittano a man bassa della possibilità di mostrare il proprio lavoro nelle solenni aule dell’arte, ma cercano anche qualcosa di nuovo. Nel 1946 con Dorazio, Vespignani, Ajmonino e gli altri, fonda il GAS, Gruppo Sociale dell’Arte, che teorizza un coinvolgimento più diretto del pubblico e organizza provocatorie mostre sui marciapiedi della città. Memorabile quella allestita in Via Veneto di fronte alla Galleria del Secolo, sede-simbolo dell’arte ufficiale da contrastare. Racconta Dorazio che in quell’occasione appeso ad un albero figurava “il Manifesto contro le bottiglie e l’arte intimista” firmato GAS, ragion per cui il tutto fu scambiato dai passanti per una protesta della Romana Gas!
Da martedì 8 novembre alla Pegaso di Via Giulia un ragazzo-pittore degli anni Quaranta racconta la voglia di vivere e comunicare, la debordante passione per l’arte di una generazione. E’ una storia bellissima.
L’idea della mostra è stata suggerita a Cinzia Virno, la curatrice, dalla lettura di un album redatto dall’artista con artigianale pazienza, uno struggente zibaldone artistico composto da annotazioni battute con una vecchia macchina da scrivere, ritagli di giornali, riproduzioni di dipinti e disegni, un materiale eterogeneo del quale Busiri Vici si serve per raccontare, in un suo originalissimo modo, la stagione più febbrile di una lunga carriera: gli anni dal 1942 al 1948. Qui, con la signorile semplicità che è uno dei tratti distintivi del suo carattere, dichiara le ragioni che hanno determinato la sua adesione al progetto espositivo di Rosati e Virno: “Avendo con gli anni imparato che non è detto che ogni opera ‘deve’ essere per forza un capolavoro… vincendo il mio carattere profondamente schivo, ritengo oggi che la mia produzione pittorica di quei lontani anni (ero sedicenne nel ’42) può meritare di essere catalogata e documentata: se non altro per la genuinità, la freschezza, senza schemi rigidi e la convinzione di quei miei lavori che erano come… scaturiti in un periodo come fu quello del dopoguerra, in generale così fecondo di fantasia e di idee nel campo dell’arte, forse per reazione ad anni di opprimenti, immani tragedie”. Queste parole sono la chiave di lettura della mostra: attraverso il rigore scientifico di un’articolata operazione finalizzata, in ultima battuta, alla creazione di un catalogo generale del pittore, evocare la poesia, il ritmo incalzante di un’epoca irripetibile, una delle più vive della storia della cultura del ’900. Cinzia Virno utilizza il ricco materiale di cui dispone per comporre l’affresco di un’epoca, un affresco sonoro, in cui i colori e i segni di oltre duecento pezzi, realizzati da Busiri Vici tra i sedici ed i ventidue anni (una ventina di olii e tante opere su carta), sono commentati, nell’accurato catalogo edito da Palombi, dalle voci di protagonisti di quella meravigliosa temperie artistica: lo stesso Busiri Vici, l’amico e coetaneo Piero Dorazio, Maurizio Fagiolo dell’Arco e Marcello Venturoli. Il racconto è toccante.
Piccole cose che ricordano il padre combattente è la natura morta, un olio su tavola, con cui nel 1943 Busiri Vici vince il premio di pittura ai Ludi Juvenilis, le gare artistico-culturali della Gioventù Italiana del Littorio. Siamo ancora in piena egemonia fascista, l’autore del dipinto ha solo diciassette anni, ma elabora un’opera matura che, nell’uso tonale del colore, dichiara una precisa scelta stilistica verso gli orientamenti della Scuola Romana.
Busiri Vici a Roma è un cognome impegnativo per un aspirante artista, significa appartenere a una famiglia che dal Seicento offre alla città i suoi migliori architetti. Un avo di Carlo, Giovanni Battista Busiri (1698-1757), è un celebre vedutista del Grand Tour e tutti sanno della predilezione di Pio IX e Leone XIII per l’Architetto Andrea Busiri Vici (1818-1911), quanto a Clemente, il padre di Carlo, è lui a seguire alcuni dei più prestigiosi cantieri del Regime.
Con l’amico-cugino Carlo Ajmonino, un nome illustre dell’architettura dei giorni nostri, Busiri conosce altri giovani invasati dal fuoco dell’arte, si chiamano, solo per citarne alcuni, Piero Dorazio, Achille Perilli, Mino Guerrini, Alfio Barbagallo e Renzo Vespignani. Quando la morsa della guerra si stringe sulla capitale, la pittura diviene per tutti i membri del gruppo un modo per evadere dalla paura, dalla fame, dal freddo. I disagi della vita quotidiana impongono scelte tecniche e soggetti comuni, gli stessi oggi esposti a Via Giulia: vedute di luoghi facilmente raggiungibili, ritratti di familiari e amici, perché a causa del coprifuoco e dei bombardamenti si vive prevalentemente in casa, tanti autoritratti, magari con cappello, il tipico indumento antifreddo delle giornate casalinghe senza la comodità del riscaldamento e, a volte, della luce elettrica, tant’è che nelle numerose nature morte compare di frequente l’elemento della candela. I colori utilizzati sono il trionfo dell’autarchia, giacché i tubetti mancano dai negozi si impara ad impastare le terre con l’acqua ragia e gli olii. Analoghi capolavori di bricolage le tele, oppure si dipinge sul retro o addirittura sopra pitture precedentemente realizzate.
Poi la liberazione, ancora povertà, ma una speranza e un entusiasmo incontenibili. Il motto di quegli anni lo stampano gli americani sulle AM lire: “Senza paura”. Il mondo dell’arte vive momenti febbricitanti, le nuove gallerie spuntano come funghi, si dipinge tanto e si vende di più, tutti vogliono acquistare i quadri esposti nelle mostre che ogni giorno si aprono. Vetrine straordinarie alle quali i giovani artisti sono chiamati ad esporre accanto ai mostri sacri, favorevoli al confronto e prodighi di insegnamenti e consigli. E’ un clima che favorisce il talento e infatti i ragazzi prodigio si sprecano. Busiri e compagni approfittano a man bassa della possibilità di mostrare il proprio lavoro nelle solenni aule dell’arte, ma cercano anche qualcosa di nuovo. Nel 1946 con Dorazio, Vespignani, Ajmonino e gli altri, fonda il GAS, Gruppo Sociale dell’Arte, che teorizza un coinvolgimento più diretto del pubblico e organizza provocatorie mostre sui marciapiedi della città. Memorabile quella allestita in Via Veneto di fronte alla Galleria del Secolo, sede-simbolo dell’arte ufficiale da contrastare. Racconta Dorazio che in quell’occasione appeso ad un albero figurava “il Manifesto contro le bottiglie e l’arte intimista” firmato GAS, ragion per cui il tutto fu scambiato dai passanti per una protesta della Romana Gas!
Da martedì 8 novembre alla Pegaso di Via Giulia un ragazzo-pittore degli anni Quaranta racconta la voglia di vivere e comunicare, la debordante passione per l’arte di una generazione. E’ una storia bellissima.
08
novembre 2005
Carlo Busiri Vici
Dall'otto novembre al 31 dicembre 2005
arte contemporanea
disegno e grafica
disegno e grafica
Location
GALLERIA PEGASO
Roma, Via Giulia, 114, (Roma)
Roma, Via Giulia, 114, (Roma)
Orario di apertura
dal martedì al sabato 16-19.30
Vernissage
8 Novembre 2005, ore 18
Editore
PALOMBI
Ufficio stampa
SCARLETT MATASSI
Autore
Curatore