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Carlo Levi / Francesco Tabusso – La poesia della pittura
La Fondazione Giorgio Amendola e l’Associazione Lucana in Piemonte Carlo Levi, dedicano una importante esposizione a due grandi artisti torinesi, Carlo Levi e Francesco Tabusso, accostati con grande originalità.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
La Fondazione Giorgio Amendola e l’Associazione Lucana in Piemonte Carlo Levi, dedicano una importante esposizione a due grandi artisti torinesi, Carlo Levi e Francesco Tabusso, accostati con grande originalità.
Come scrive la Presidente della Regione Piemonte nella prefazione del catalogo “La mostra si caratterizza per il coraggio con cui sono stati accostati due artisti così apparentemente diversi, per biografia, per modo di dipingere, per i rapporti con il mondo della politica e della cultura. Carlo Levi, il grande intellettuale torinese e cosmopolita che trova, in pochi mesi di confino, una ragione di lotta fra i contadini della Lucania. Francesco Tabusso, un grande artista torinese, che cerca per tutta la vita la poesia che scaturisce dalle cose semplici, spesso cercate nelle campagne del nostro Piemonte.”
Trovare un rapporto fra il pittore Carlo Levi (1902-1975) e Francesco Tabusso (1930) che giustifichi la mostra, non è scontato, ma nemmeno così irrealistico.
Sono innanzitutto, ambedue, allievi di Felice Casorati. Il primo ha frequentato il maestro dal 1920 al 1926, il secondo dal 1947 al 1954, a 27 anni di distanza. Tuttavia i due impiegheranno lo stesso tempo (6 anni circa) per trovare la loro strada liberi dall’influenza del maestro.
A parte le famosissime nature morte con le scodelle, che influenzeranno più Levi che Tabusso, Levi concentra la sua attenzione soprattutto sulle composizioni ove centrale è la figura umana (i grandi ritratti di Casorati vanno dal 1918 al 1926), mentre Tabusso è più interessato agli esterni, alla collina vista dall’alto, alle nevicate a Pavarolo.
Li accomuna il bisogno di uscire dai labirinti, apparentemente razionalisti, del maestro per approdare ambedue ad una personalissima forma di espressionismo pittorico: Levi troverà la sua strada definitiva nel 1932, con la dirompente gestualità dell’Eroe Cinese, mentre Tabusso, attraverso lo sperimentalismo informale dei secondi anni cinquanta, approderà al suo particolare espressionismo “nordico” nel 1964 con Interno del Chietto.
Interessante notare come il percorso di “liberazione” dal maestro, abbia, in ambedue i casi, incontrato la pittura nordica e fiamminga in particolare: Levi passerà dall’iperrealismo di Il fratello e la sorella (1926) al Rembrandtiano Ritratto di Moravia (1932); Tabusso riporterà dal suo girovagare per l’Europa del Nord, il gusto per il particolare, per la pittura evocatrice dei materiali e, soprattutto, la luce-colore di Mathis Grünewald. Malgrado le frequentazioni parigine (1927-1934), che hanno prodotto le opere più fragili di Levi e nessuna influenza hanno avuto sulla sua grande pittura del confino, sembra che, dallo studio di Casorati, la direttrice artistica europea che veniva spontaneo seguire fosse quella del Reno. Forse non è azzardato osservare che il rapporto della pittura di Casorati con in Nord Europa ha un precedente illustre, quello di Piero della Francesca con Roger Van der Weyden, e non dimentichiamo che Piero è un riferimento costante di tutta l’opera casoratiana.
E’ in questa comune frequentazione dell’arte “nordica” che si trova un altro sentimento comune ai due artisti: una sorta di sottile malinconico fatalismo. La realtà, sia essa rappresentata dai contadini di Levi o dalle ragazze campagnole di Tabusso, è, in ambedue, rappresentata come immutabile. La realtà sociale di Levi non prevede, in pittura, riscatti; la realtà fisica di Tabusso è anch’essa sempre uguale: le ragazze guardano nude nel nulla, il paesaggio è immutabile (infatti è preferibilmente bianco di neve), le dispense sempre piene di ogni ben di dio.
Qualche volta Tabusso riesce ad imporre una dinamica interna alle sue composizioni giocando sulle sequenze coloristiche (vedi: Pittore in campagna(2007), Dispensa(2007), Cantiniere(2008), Giorno di mercato(2008)), e Levi riuscirà a far ribollire la materia nelle opere organiche dell’ultimo periodo (vedi: Il bosco(1964), Carrubo mostro(1972), Daphne(1970), Il sentiero per il giardino Hambury (1971)), comunque, in generale, la realtà è ferma senza prevedibili evoluzioni.
Queste realtà contadine senza storia, immutabili nella loro miseria per l’uno, nella loro elegiaca vitalità per l’altro, fanno pensare che i due artisti abbiano teso a ricreare una loro personale Arcadia, dove la partita si gioca non tanto fra gli uomini, ma direttamente con la natura. Una natura che Levi assume in forme metamorfiche (Daphne, 1970), come perenne trasmutazione da una forma di vita all’altra, fino ad assumere la forma del parto (La madre albero, 1973), mentre per Tabusso è lo spazio potenzialmente infinito (meglio se coperto di neve bianca) dove gli esseri viventi (uomini o animali) vanno incontro al loro destino, spesso carico di imprevisti (Gatto nella tagliola(1968), Pastore(1987), Il viandante della Valle di Susa(2005), Rita(2007), Lepre nella tagliola(2007), Contadini(2007), Spaventapasseri(2008).
Li accomuna un dialogo continuo con la natura, sia essa rappresentata dai calanchi della Basilicata, dalla flora mediterranea di Alassio, oppure dalla campagna di Rubiana e della valle di Susa. Ed è questo rapporto “nazionale” che va da Aliano a Rubiana che racchiude forse il senso più profondo dell’iniziativa della Fondazione Amendola, la rappresentazione dei legami culturali, storici e popolari che legano le varie parti d’Italia, dal Sud al Nord. Una storia di emancipazione che, come osserva la Presidente Bresso, “è la storia d’Italia, dove i contadini di Levi, chiusi in una millenaria subalternità, dopo anni di lotte e di lavoro, possono specchiarsi nelle figure rurali di Tabusso, con le dispense sempre piene, i campi ubertosi e, persino, sessualmente emancipate”.
Con un’operazione simile a quella fatta a Venezia per la grande tela del Veronese, la mostra permette al pubblico torinese di rivedere la grande opera Lucania 61 dipinta da Levi per il padiglione della Basilicata in occasione del Centenario dell’Unita’ d’Italia, dove vengono riassunti trent’anni di impegno culturale e politico a favore del Mezzogiorno d’Italia.
Accanto al grande quadro di metri 18,50x3,20, vengono esposte le splendide fotografie di Domenico Notarangelo, dedicate al “popolo di Levi”, che mostrano, accanto alle immagini storiche di Levi in Lucania, decine di volti e di mani di contadini, intagliati da una fatica e da un dolore antico.
La riproposizione di questa opera, dipinta da Levi per le celebrazioni d’Italia 61, vuole anticipare il clima delle celebrazioni di Italia 2011, recuperando un pezzo di storia patria che rischia di rimanere in secondo piano, quella dei contadini del Sud che immigrati nelle nostre regioni, ne hanno permesso il miracolo economico.
E’ possibile poi rivedere Tabusso in un contesto diverso, come se, nel confronto con Levi, venisse fatto uscire dallo stereotipo di pittore “infantile” un po’ naif dove una certa critica tende a relegarlo, per recuperare la pienezza di una straordinaria poesia della vita, della golosa voglia di vivere, ma anche della sottile elegia che accompagna ogni felicità.
Le opere di Tabusso sono esposte in due sezioni, una “storica”, con quadri molto significativi dei vari periodi dell’artista dagli anni ’60 in poi, ed una “contemporanea” con opere recentissime, completamente inedite, realizzate dall’autore proprio per questa mostra.
L’evento, inoltre, vuole avere un taglio decisamente didattico.
In particolare il catalogo, curato da Loris Dadam, attraverso l’accostamento e l’intreccio di due esperienze figurative così diverse e, nel contempo, così coinvolgenti per il pubblico, ha la pretesa di trasformare questa mostra in un momento di riflessione sui valori dell’arte moderna.
Com’è possibile che due artisti, radicati in ottant’anni di storia culturale ed artistica della Citta’, usciti dalla fucina di capolavori e di talenti che fu lo studio di Casorati, vissuti in anni diversi, ma accomunati da una straordinaria abilità pittorica, che hanno percorso, ambedue in modo molto individuale, strade che collegavano l’Italia ai grandi flussi storici della pittura europea e, sviluppato un loro personalissimo stile, com’è possibile, ripetiamo, che siano sostanzialmente degli isolati nel panorama artistico italiano ed europeo?
Carlo Levi, internazionalmente conosciuto per la sua opera letteraria, malgrado l’impegno profuso anche in pittura, non ha gli onori delle pagine dei libri di storia dell’arte, in quanto “è una pittura che non si sa bene come definire e collocare, che non rientra nei canoni del gusto, nella logica delle tendenze, nel gioco dei gruppi” (De Micheli).
E Francesco Tabusso. Dove lo mettiamo nella storia dell’arte? Fra i narratori di favole o i naif, come dice qualche sprovveduto senza vista? I quadri che esponiamo li ha dipinti in un mese circa, a 77 anni e su una carrozzina: sono tutti bellissimi, alcuni dei veri pezzi di poesia. Chi c’è in giro per l’Europa, oggi, con una pari abilità compositiva e nell’uso del colore?
In un panorama artistico dominato dai sedicenti “allestimenti”, che occupano con il nulla centinaia di metri quadrati dei musei europei, le opere di Levi e Tabusso possono riconciliare le giovani generazioni con veri valori artistici.
Come scrive la Presidente della Regione Piemonte nella prefazione del catalogo “La mostra si caratterizza per il coraggio con cui sono stati accostati due artisti così apparentemente diversi, per biografia, per modo di dipingere, per i rapporti con il mondo della politica e della cultura. Carlo Levi, il grande intellettuale torinese e cosmopolita che trova, in pochi mesi di confino, una ragione di lotta fra i contadini della Lucania. Francesco Tabusso, un grande artista torinese, che cerca per tutta la vita la poesia che scaturisce dalle cose semplici, spesso cercate nelle campagne del nostro Piemonte.”
Trovare un rapporto fra il pittore Carlo Levi (1902-1975) e Francesco Tabusso (1930) che giustifichi la mostra, non è scontato, ma nemmeno così irrealistico.
Sono innanzitutto, ambedue, allievi di Felice Casorati. Il primo ha frequentato il maestro dal 1920 al 1926, il secondo dal 1947 al 1954, a 27 anni di distanza. Tuttavia i due impiegheranno lo stesso tempo (6 anni circa) per trovare la loro strada liberi dall’influenza del maestro.
A parte le famosissime nature morte con le scodelle, che influenzeranno più Levi che Tabusso, Levi concentra la sua attenzione soprattutto sulle composizioni ove centrale è la figura umana (i grandi ritratti di Casorati vanno dal 1918 al 1926), mentre Tabusso è più interessato agli esterni, alla collina vista dall’alto, alle nevicate a Pavarolo.
Li accomuna il bisogno di uscire dai labirinti, apparentemente razionalisti, del maestro per approdare ambedue ad una personalissima forma di espressionismo pittorico: Levi troverà la sua strada definitiva nel 1932, con la dirompente gestualità dell’Eroe Cinese, mentre Tabusso, attraverso lo sperimentalismo informale dei secondi anni cinquanta, approderà al suo particolare espressionismo “nordico” nel 1964 con Interno del Chietto.
Interessante notare come il percorso di “liberazione” dal maestro, abbia, in ambedue i casi, incontrato la pittura nordica e fiamminga in particolare: Levi passerà dall’iperrealismo di Il fratello e la sorella (1926) al Rembrandtiano Ritratto di Moravia (1932); Tabusso riporterà dal suo girovagare per l’Europa del Nord, il gusto per il particolare, per la pittura evocatrice dei materiali e, soprattutto, la luce-colore di Mathis Grünewald. Malgrado le frequentazioni parigine (1927-1934), che hanno prodotto le opere più fragili di Levi e nessuna influenza hanno avuto sulla sua grande pittura del confino, sembra che, dallo studio di Casorati, la direttrice artistica europea che veniva spontaneo seguire fosse quella del Reno. Forse non è azzardato osservare che il rapporto della pittura di Casorati con in Nord Europa ha un precedente illustre, quello di Piero della Francesca con Roger Van der Weyden, e non dimentichiamo che Piero è un riferimento costante di tutta l’opera casoratiana.
E’ in questa comune frequentazione dell’arte “nordica” che si trova un altro sentimento comune ai due artisti: una sorta di sottile malinconico fatalismo. La realtà, sia essa rappresentata dai contadini di Levi o dalle ragazze campagnole di Tabusso, è, in ambedue, rappresentata come immutabile. La realtà sociale di Levi non prevede, in pittura, riscatti; la realtà fisica di Tabusso è anch’essa sempre uguale: le ragazze guardano nude nel nulla, il paesaggio è immutabile (infatti è preferibilmente bianco di neve), le dispense sempre piene di ogni ben di dio.
Qualche volta Tabusso riesce ad imporre una dinamica interna alle sue composizioni giocando sulle sequenze coloristiche (vedi: Pittore in campagna(2007), Dispensa(2007), Cantiniere(2008), Giorno di mercato(2008)), e Levi riuscirà a far ribollire la materia nelle opere organiche dell’ultimo periodo (vedi: Il bosco(1964), Carrubo mostro(1972), Daphne(1970), Il sentiero per il giardino Hambury (1971)), comunque, in generale, la realtà è ferma senza prevedibili evoluzioni.
Queste realtà contadine senza storia, immutabili nella loro miseria per l’uno, nella loro elegiaca vitalità per l’altro, fanno pensare che i due artisti abbiano teso a ricreare una loro personale Arcadia, dove la partita si gioca non tanto fra gli uomini, ma direttamente con la natura. Una natura che Levi assume in forme metamorfiche (Daphne, 1970), come perenne trasmutazione da una forma di vita all’altra, fino ad assumere la forma del parto (La madre albero, 1973), mentre per Tabusso è lo spazio potenzialmente infinito (meglio se coperto di neve bianca) dove gli esseri viventi (uomini o animali) vanno incontro al loro destino, spesso carico di imprevisti (Gatto nella tagliola(1968), Pastore(1987), Il viandante della Valle di Susa(2005), Rita(2007), Lepre nella tagliola(2007), Contadini(2007), Spaventapasseri(2008).
Li accomuna un dialogo continuo con la natura, sia essa rappresentata dai calanchi della Basilicata, dalla flora mediterranea di Alassio, oppure dalla campagna di Rubiana e della valle di Susa. Ed è questo rapporto “nazionale” che va da Aliano a Rubiana che racchiude forse il senso più profondo dell’iniziativa della Fondazione Amendola, la rappresentazione dei legami culturali, storici e popolari che legano le varie parti d’Italia, dal Sud al Nord. Una storia di emancipazione che, come osserva la Presidente Bresso, “è la storia d’Italia, dove i contadini di Levi, chiusi in una millenaria subalternità, dopo anni di lotte e di lavoro, possono specchiarsi nelle figure rurali di Tabusso, con le dispense sempre piene, i campi ubertosi e, persino, sessualmente emancipate”.
Con un’operazione simile a quella fatta a Venezia per la grande tela del Veronese, la mostra permette al pubblico torinese di rivedere la grande opera Lucania 61 dipinta da Levi per il padiglione della Basilicata in occasione del Centenario dell’Unita’ d’Italia, dove vengono riassunti trent’anni di impegno culturale e politico a favore del Mezzogiorno d’Italia.
Accanto al grande quadro di metri 18,50x3,20, vengono esposte le splendide fotografie di Domenico Notarangelo, dedicate al “popolo di Levi”, che mostrano, accanto alle immagini storiche di Levi in Lucania, decine di volti e di mani di contadini, intagliati da una fatica e da un dolore antico.
La riproposizione di questa opera, dipinta da Levi per le celebrazioni d’Italia 61, vuole anticipare il clima delle celebrazioni di Italia 2011, recuperando un pezzo di storia patria che rischia di rimanere in secondo piano, quella dei contadini del Sud che immigrati nelle nostre regioni, ne hanno permesso il miracolo economico.
E’ possibile poi rivedere Tabusso in un contesto diverso, come se, nel confronto con Levi, venisse fatto uscire dallo stereotipo di pittore “infantile” un po’ naif dove una certa critica tende a relegarlo, per recuperare la pienezza di una straordinaria poesia della vita, della golosa voglia di vivere, ma anche della sottile elegia che accompagna ogni felicità.
Le opere di Tabusso sono esposte in due sezioni, una “storica”, con quadri molto significativi dei vari periodi dell’artista dagli anni ’60 in poi, ed una “contemporanea” con opere recentissime, completamente inedite, realizzate dall’autore proprio per questa mostra.
L’evento, inoltre, vuole avere un taglio decisamente didattico.
In particolare il catalogo, curato da Loris Dadam, attraverso l’accostamento e l’intreccio di due esperienze figurative così diverse e, nel contempo, così coinvolgenti per il pubblico, ha la pretesa di trasformare questa mostra in un momento di riflessione sui valori dell’arte moderna.
Com’è possibile che due artisti, radicati in ottant’anni di storia culturale ed artistica della Citta’, usciti dalla fucina di capolavori e di talenti che fu lo studio di Casorati, vissuti in anni diversi, ma accomunati da una straordinaria abilità pittorica, che hanno percorso, ambedue in modo molto individuale, strade che collegavano l’Italia ai grandi flussi storici della pittura europea e, sviluppato un loro personalissimo stile, com’è possibile, ripetiamo, che siano sostanzialmente degli isolati nel panorama artistico italiano ed europeo?
Carlo Levi, internazionalmente conosciuto per la sua opera letteraria, malgrado l’impegno profuso anche in pittura, non ha gli onori delle pagine dei libri di storia dell’arte, in quanto “è una pittura che non si sa bene come definire e collocare, che non rientra nei canoni del gusto, nella logica delle tendenze, nel gioco dei gruppi” (De Micheli).
E Francesco Tabusso. Dove lo mettiamo nella storia dell’arte? Fra i narratori di favole o i naif, come dice qualche sprovveduto senza vista? I quadri che esponiamo li ha dipinti in un mese circa, a 77 anni e su una carrozzina: sono tutti bellissimi, alcuni dei veri pezzi di poesia. Chi c’è in giro per l’Europa, oggi, con una pari abilità compositiva e nell’uso del colore?
In un panorama artistico dominato dai sedicenti “allestimenti”, che occupano con il nulla centinaia di metri quadrati dei musei europei, le opere di Levi e Tabusso possono riconciliare le giovani generazioni con veri valori artistici.
19
aprile 2008
Carlo Levi / Francesco Tabusso – La poesia della pittura
Dal 19 aprile al 14 giugno 2008
arte contemporanea
Location
FONDAZIONE GIORGIO AMENDOLA – ASSOCIAZIONE LUCANA IN PIEMONTE CARLO LEVI
Torino, Via Tollegno, 52, (Torino)
Torino, Via Tollegno, 52, (Torino)
Orario di apertura
lunedì-sabato ore 10-12, 15.30-19.00
Vernissage
19 Aprile 2008, ore 18.00
Autore