Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Carloni & Franceschetti – L’accompagnamento con abbandono
C.Carloni e S.Franceschetti hanno studiato cinema d’animazione e pittura
a Urbino e lavorano insieme dal 1995. Le loro tecniche indagano i procedimenti ottici della visione nella trasmutazione della materia e negli slittamenti temporali della memoria.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Il museo delle anime
È minuscolo il Museo delle Anime Purganti, tutto contenuto in un armadio. Una miniatura è anche la Chiesa che lo contiene, quella del Suffragio a Roma, che pareva a Cristina Campo un “modellino per bimbi del Duomo di Milano”.
Il Museo ospita la collezione che vi raccolse il sacerdote Victor Jouet, tollerata non senza riserve dalla Chiesa che, nel tempo, l’ha via via spogliata dei suoi pezzi più controversi.
Il 15 settembre 1897 Jouet ispezionò i resti della Cappella del Rosario dove era divampato un incendio. Sulla parete dietro all’altare maggiore il fumo aveva disegnato i contorni di quello che Jouet riconobbe come il volto malinconico di un’anima purgante che cercava di farsi ricordare dai vivi. Da quel momento si mise a collezionare qualsiasi indizio che in forma di impronta, sinopia auratica o bruciatura, fosse legato alla storia di un’anima che resisteva all’oblio.
Il Purgatorio del resto, come l’Ade, è luogo che ammette talvolta il transito dei vivi o l’assentarsi temporaneo dei morti, il luogo di passaggio per lo scivolare via delle immagini e per lo smorzarsi del ricordo, la dimensione terminale nella quale la scomparsa ha ancora una forma.
Se articolare il passato non significa conoscerlo “proprio come è stato davvero”, ma impossessarsi di un ricordo così come balena nell’attimo che per Walter Benjamin è quello del pericolo, allora Jouet proseguì con infinita pazienza la fatica di Orfeo, di Dante e di Amleto, chiedendo all’assenza di parlare e di formarsi in immagine.
I sigilli del ricordo del Museo delle Anime di Jouet sono impressi su vesti da notte, su lenzuola, su breviari sfogliati in attesa del sonno, come se l’attimo del pericolo in cui è possibile articolare il passato sia quello che prende il soggetto prima di cadere addormentato.
Così, questa mostra che raccoglie gli ultimi lavori di Cristiano Carloni e Stefano Franceschetti ha nel sonno, nel ricordo e nel ritorno la sua trama discreta, e in una Euridice bambina la sua figura.
C’è infatti spesso, nei lavori dei due artisti, l’alito di una trama e l’insistenza su una figura estratta dalla storia o dal mito che, senza alcuna pretesa diegetica, funziona tuttavia come segno, o meglio come un fare segno allo spettatore dal centro o dalla periferia dell’immagine o del frame.
Alcune storie del passato vengono per così dire riattivate innanzitutto come deposito di figure: così i volti dei morti durante la Resistenza sono messi in movimento nel video che appare nel Voyage au bout de la nuit (1999), il lavoro della Socìetas Raffaello Sanzio basato sull’opera di Ferdinand Céline.
La lunga galleria di ritratti che qui sfila fomenta la nostalgia del tempo, reclama, come le anime di Jouet, che per un poco lo spettatore guardi questi volti forati da sguardi neri, fisionomie appena percettibili che si sfaldano alla prima ispezione, metamorfizzandosi in un altro volto, da vecchio a bambino a donna a uomo. In comune, tra loro, solo l’appartenenza a un passato, la traccia di un ricordo, la constatazione che hanno vissuto e sono tutti morti.
Ma se in lavori come il Voyage i ritratti mancavano di dettagli che potessero fungere da induttori per scatenare associazioni di idee e rimandare a una storia, altrove, come in Infero (2007) e in quelli presentati in questa mostra il passato prende una forma particolare e un volto preciso che è quello di una bambina.
Claudia Castellucci, scrivendo qualche tempo fa del lavoro di Carloni e Franceschetti, notava come i due artisti intervengono sul Tempo lavorando il singolo frame che “essi interpretano anche nell’anagramma imperativo ‘ferma’”1.
È questo fermare il tempo, questo mettere il tempo in attesa che fa apparire la bambina. Non una bambina qualsiasi, non un tornare all’infanzia di figure che la storia il mito o la favola ci hanno consegnato già adulte. È portare l’immagine a sostare su una soglia, è guardare alla bambina come il momento in cui qualcosa non è ancora, e riconsegnare così l’immagine a una potenzialità e a una virtualità. Un collasso cairologico: un passato che non è ancora.
Annalisa Sacchi
È minuscolo il Museo delle Anime Purganti, tutto contenuto in un armadio. Una miniatura è anche la Chiesa che lo contiene, quella del Suffragio a Roma, che pareva a Cristina Campo un “modellino per bimbi del Duomo di Milano”.
Il Museo ospita la collezione che vi raccolse il sacerdote Victor Jouet, tollerata non senza riserve dalla Chiesa che, nel tempo, l’ha via via spogliata dei suoi pezzi più controversi.
Il 15 settembre 1897 Jouet ispezionò i resti della Cappella del Rosario dove era divampato un incendio. Sulla parete dietro all’altare maggiore il fumo aveva disegnato i contorni di quello che Jouet riconobbe come il volto malinconico di un’anima purgante che cercava di farsi ricordare dai vivi. Da quel momento si mise a collezionare qualsiasi indizio che in forma di impronta, sinopia auratica o bruciatura, fosse legato alla storia di un’anima che resisteva all’oblio.
Il Purgatorio del resto, come l’Ade, è luogo che ammette talvolta il transito dei vivi o l’assentarsi temporaneo dei morti, il luogo di passaggio per lo scivolare via delle immagini e per lo smorzarsi del ricordo, la dimensione terminale nella quale la scomparsa ha ancora una forma.
Se articolare il passato non significa conoscerlo “proprio come è stato davvero”, ma impossessarsi di un ricordo così come balena nell’attimo che per Walter Benjamin è quello del pericolo, allora Jouet proseguì con infinita pazienza la fatica di Orfeo, di Dante e di Amleto, chiedendo all’assenza di parlare e di formarsi in immagine.
I sigilli del ricordo del Museo delle Anime di Jouet sono impressi su vesti da notte, su lenzuola, su breviari sfogliati in attesa del sonno, come se l’attimo del pericolo in cui è possibile articolare il passato sia quello che prende il soggetto prima di cadere addormentato.
Così, questa mostra che raccoglie gli ultimi lavori di Cristiano Carloni e Stefano Franceschetti ha nel sonno, nel ricordo e nel ritorno la sua trama discreta, e in una Euridice bambina la sua figura.
C’è infatti spesso, nei lavori dei due artisti, l’alito di una trama e l’insistenza su una figura estratta dalla storia o dal mito che, senza alcuna pretesa diegetica, funziona tuttavia come segno, o meglio come un fare segno allo spettatore dal centro o dalla periferia dell’immagine o del frame.
Alcune storie del passato vengono per così dire riattivate innanzitutto come deposito di figure: così i volti dei morti durante la Resistenza sono messi in movimento nel video che appare nel Voyage au bout de la nuit (1999), il lavoro della Socìetas Raffaello Sanzio basato sull’opera di Ferdinand Céline.
La lunga galleria di ritratti che qui sfila fomenta la nostalgia del tempo, reclama, come le anime di Jouet, che per un poco lo spettatore guardi questi volti forati da sguardi neri, fisionomie appena percettibili che si sfaldano alla prima ispezione, metamorfizzandosi in un altro volto, da vecchio a bambino a donna a uomo. In comune, tra loro, solo l’appartenenza a un passato, la traccia di un ricordo, la constatazione che hanno vissuto e sono tutti morti.
Ma se in lavori come il Voyage i ritratti mancavano di dettagli che potessero fungere da induttori per scatenare associazioni di idee e rimandare a una storia, altrove, come in Infero (2007) e in quelli presentati in questa mostra il passato prende una forma particolare e un volto preciso che è quello di una bambina.
Claudia Castellucci, scrivendo qualche tempo fa del lavoro di Carloni e Franceschetti, notava come i due artisti intervengono sul Tempo lavorando il singolo frame che “essi interpretano anche nell’anagramma imperativo ‘ferma’”1.
È questo fermare il tempo, questo mettere il tempo in attesa che fa apparire la bambina. Non una bambina qualsiasi, non un tornare all’infanzia di figure che la storia il mito o la favola ci hanno consegnato già adulte. È portare l’immagine a sostare su una soglia, è guardare alla bambina come il momento in cui qualcosa non è ancora, e riconsegnare così l’immagine a una potenzialità e a una virtualità. Un collasso cairologico: un passato che non è ancora.
Annalisa Sacchi
29
maggio 2010
Carloni & Franceschetti – L’accompagnamento con abbandono
Dal 29 maggio al 03 luglio 2010
arte contemporanea
Location
D406 ARTE CONTEMPORANEA
Modena, Via Cardinale Giovanni Morone, 31/3, (Modena)
Modena, Via Cardinale Giovanni Morone, 31/3, (Modena)
Orario di apertura
martedì 10.30-13.00
mercoledì 16.30-20.00
venerdì 16.30-20.00 21.00-23.00
sabato 10.30-13.00 16.30-20.00
domenica 16.30-20.00
Vernissage
29 Maggio 2010, ore 18.30
Autore