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Caterina Pecchioli / Cesare Pietroiusti – La pagina bianca, performance in 3 capitoli
In occasione del finissage della mostra “Sedeo Ergo Sum 3.0” Label201 presenta “LA PAGINA BIANCA, performance in tre capitoli” di Caterina Pecchioli e Cesare Pietroiusti. La performance si basa sull’associazione metaforica tra la sedia vuota e la pagina bianca.
Comunicato stampa
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In occasione del finissage della mostra “Sedeo Ergo Sum 3.0” di Caterina Pecchioli con Subodh Kerkar e Naoya Takahara a cura di Abbiatici_Levy, Label201 presenta “LA PAGINA BIANCA, performance in tre capitoli” di Caterina Pecchioli e Cesare Pietroiusti
La performance si basa sull’associazione metaforica tra la sedia vuota (protagonista della serie fotografica in mostra) e la pagina bianca. Entrambi gli oggetti, concepiti per accogliere qualcosa o qualcuno, divengono significanti anche attraverso la mancanza di questo, per un'assenza che si fa, paradossalmente, presenza.
Come sottolinea Terrence W. Deacon in “Natura Incompleta. Come la mente è emersa dalla materia”, ci sono alcune assenze che sono essenziali per accedere alla comprensione della natura umana. Deacon definisce questi fattori assenziali. "Nostalgia, desiderio, passione, appetito, lutto, aspirazione - sono tutti basati su un'analoga intrinseca incompletezza, un 'essere privi' che di essi è parte integrante". La sedia vuota e la pagina bianca offrono la possibilità di riflessioni che non si rivelano in una dimensione di “pieno”; allo stesso modo la scoperta dello zero, sempre con Deacon: “è stata uno dei massimi progressi della storia della matematica. Disporre di un simbolo che designasse la mancanza di una quantità (…) ha trasformato il concetto stesso di numero, e rivoluzionato i processi di calcolo”.
Così come la distribuzione di sedie vuote, in uno spazio dato, è la “scenografia” di una particolare forma di socialità, avvenuta o a venire, che immaginiamo anche senza assistervi, la pagina bianca è il luogo dove il segno, linguistico o pittorico, sta per (o, a volte, non riesce ad) apparire, così come il luogo da cui il segno è stato cancellato. La pagina bianca è quindi lo spazio simbolico dell'attesa, della perdita e della memoria, dell'impossibilità e della potenzialità illimitata.
Il titolo della mostra "Sedeo Ergo Sum 3.0" si rifà al progetto portato avanti da Caterina Pecchioli (Firenze, 1978) dal 2010 Sedeo ergo sum.
Al cogito cartesiano, si sostituisce l’indicativo presente di un verbo di stato. Più del pensiero, può l’atteggiamento. Come a dire che sono la posizione che scegliamo e il modo che assumiamo che ci determina, al di là di ciò che pensiamo e congetturiamo.
L’esposizione vuole aprire una riflessione sull’oggetto “sedia” nell’arte, ponendo attenzione ai suoi aspetti storici, relazionali e sociali. Introdotta a metà del Quattrocento in seno agli ambienti ecclesiastici e aristocratici, per distinguere il valore del singolo rispetto alla collettività, la sedia si fa viepiù espressione di un sé sociale individualista. Forma, materiali, dimensioni raccontano i diversi io, come appartenenza sociale, preferenze stilistiche e contesti vissuti. La posizione assunta inoltre manifesta una percezione del sé e dell’altro in termini di rapporto e potere. Mai come ora la sedia è oggetto che occupa e contraddistingue la nostra quotidianità. Di fronte ai nostri schermi, non c’è altra via. Nell’epoca del Web 2.0., il 3.0. del titolo traccia la proiezione verso un modo di sedere 3.0., per un recupero del dialogo, dello scambio, per la costruzione di nuovi obiettivi seduti insieme.
Il progetto di Caterina Pecchioli – che è allo stesso tempo interattivo, relazionale e performativo – diviene una piattaforma partecipativa di scambio anche attraverso il web, con la creazione della pagina Facebook Sedeo Ergo Sum 3.0; un’occasione di confronto multimediale aperto non solo all’arte visiva, ma anche a diversi altri campi del sapere. In mostra Caterina Pecchioli presenta alcune fotografie della serie Sedeo Ergo Sum, una documentazione impersonale di sedute in differenti contesti pubblici, religiosi, giuridici, che evidenzia i ruoli statici e prestabiliti assunti dagli individui in diversi ambiti e Coreografia Sociale, un’installazione di sedie che funziona come un dispositivo di interazione tra oggetto e spettatore, lo spazio del pubblico diverrà quello del palco, portando lo spettatore a "entrare e uscire" da diversi ruoli, attraverso la sperimentazione di posizioni diverse.
La mostra presenta il lavoro di altri due artisti Naoya Takahara (Ehime, Giappone, 1954) e Subodh Kerkar (Goa, India, 1965) espandendo la riflessione sull’oggetto “sedia” a livello geografico, offrendo spunti di analisi originali, frutto di due preziose eredità culturali di provenienza asiatica.
Con Doppia Naoya Takahara ragiona sul concetto di dualità e lo fa partendo da una sedia per crearne una seconda, grande il doppio, la cui seduta diventa il tavolo della prima. Sulla sedia-tavolo l’artista pone una macchina da scrivere e su di essa un foglio che riporta poche criptiche frasi: “Ho fatto una sedia. L’ho ingrandita fino a diventare il mio tavolo ideale. Era alta quasi doppia.” Takahara ci pone di fronte lo spiazzamento di un oggetto sovradimensionato che sembra rispondere a una lucidissima logica dell’assurdo, allo stesso modo di Lewis Carroll in Alice nel paese delle meraviglie, autore che secondo le parole di Gilles Deleuze in La logique du sense, «compie la prima grande messinscena dei paradossi del senso». L’artista produce uno sdoppiamento della visione creando un oggetto che è effetto e conseguenza dell’altro.
You're a better man than I am Gunga Din, titolo del lavoro di Subodh Kerkar, artista indiano che si interessa da sempre a tematiche legate alla storia di Goa, è il noto verso conclusivo di un poema dello scrittore britannico di origini indiane Rudyard Kipling, il cui protagonista, un umile portatore d’acqua, diventa un eroe dopo aver sacrificato la vita per salvare dei soldati britannici. Nel lavoro di Kerkar, l’oggetto “sedia” – introdotto in India dai coloni europei – si trasforma in un meccanismo di capovolgimento di ruoli. La seduta, composta da cinghie rotanti, impedisce una fruizione dell’oggetto e quest’impossibilità di sedersi si traduce in una mancata assunzione di un ruolo o addirittura in un ribaltamento di posizione e in qualche modo in una forma di uguaglianza.
La performance si basa sull’associazione metaforica tra la sedia vuota (protagonista della serie fotografica in mostra) e la pagina bianca. Entrambi gli oggetti, concepiti per accogliere qualcosa o qualcuno, divengono significanti anche attraverso la mancanza di questo, per un'assenza che si fa, paradossalmente, presenza.
Come sottolinea Terrence W. Deacon in “Natura Incompleta. Come la mente è emersa dalla materia”, ci sono alcune assenze che sono essenziali per accedere alla comprensione della natura umana. Deacon definisce questi fattori assenziali. "Nostalgia, desiderio, passione, appetito, lutto, aspirazione - sono tutti basati su un'analoga intrinseca incompletezza, un 'essere privi' che di essi è parte integrante". La sedia vuota e la pagina bianca offrono la possibilità di riflessioni che non si rivelano in una dimensione di “pieno”; allo stesso modo la scoperta dello zero, sempre con Deacon: “è stata uno dei massimi progressi della storia della matematica. Disporre di un simbolo che designasse la mancanza di una quantità (…) ha trasformato il concetto stesso di numero, e rivoluzionato i processi di calcolo”.
Così come la distribuzione di sedie vuote, in uno spazio dato, è la “scenografia” di una particolare forma di socialità, avvenuta o a venire, che immaginiamo anche senza assistervi, la pagina bianca è il luogo dove il segno, linguistico o pittorico, sta per (o, a volte, non riesce ad) apparire, così come il luogo da cui il segno è stato cancellato. La pagina bianca è quindi lo spazio simbolico dell'attesa, della perdita e della memoria, dell'impossibilità e della potenzialità illimitata.
Il titolo della mostra "Sedeo Ergo Sum 3.0" si rifà al progetto portato avanti da Caterina Pecchioli (Firenze, 1978) dal 2010 Sedeo ergo sum.
Al cogito cartesiano, si sostituisce l’indicativo presente di un verbo di stato. Più del pensiero, può l’atteggiamento. Come a dire che sono la posizione che scegliamo e il modo che assumiamo che ci determina, al di là di ciò che pensiamo e congetturiamo.
L’esposizione vuole aprire una riflessione sull’oggetto “sedia” nell’arte, ponendo attenzione ai suoi aspetti storici, relazionali e sociali. Introdotta a metà del Quattrocento in seno agli ambienti ecclesiastici e aristocratici, per distinguere il valore del singolo rispetto alla collettività, la sedia si fa viepiù espressione di un sé sociale individualista. Forma, materiali, dimensioni raccontano i diversi io, come appartenenza sociale, preferenze stilistiche e contesti vissuti. La posizione assunta inoltre manifesta una percezione del sé e dell’altro in termini di rapporto e potere. Mai come ora la sedia è oggetto che occupa e contraddistingue la nostra quotidianità. Di fronte ai nostri schermi, non c’è altra via. Nell’epoca del Web 2.0., il 3.0. del titolo traccia la proiezione verso un modo di sedere 3.0., per un recupero del dialogo, dello scambio, per la costruzione di nuovi obiettivi seduti insieme.
Il progetto di Caterina Pecchioli – che è allo stesso tempo interattivo, relazionale e performativo – diviene una piattaforma partecipativa di scambio anche attraverso il web, con la creazione della pagina Facebook Sedeo Ergo Sum 3.0; un’occasione di confronto multimediale aperto non solo all’arte visiva, ma anche a diversi altri campi del sapere. In mostra Caterina Pecchioli presenta alcune fotografie della serie Sedeo Ergo Sum, una documentazione impersonale di sedute in differenti contesti pubblici, religiosi, giuridici, che evidenzia i ruoli statici e prestabiliti assunti dagli individui in diversi ambiti e Coreografia Sociale, un’installazione di sedie che funziona come un dispositivo di interazione tra oggetto e spettatore, lo spazio del pubblico diverrà quello del palco, portando lo spettatore a "entrare e uscire" da diversi ruoli, attraverso la sperimentazione di posizioni diverse.
La mostra presenta il lavoro di altri due artisti Naoya Takahara (Ehime, Giappone, 1954) e Subodh Kerkar (Goa, India, 1965) espandendo la riflessione sull’oggetto “sedia” a livello geografico, offrendo spunti di analisi originali, frutto di due preziose eredità culturali di provenienza asiatica.
Con Doppia Naoya Takahara ragiona sul concetto di dualità e lo fa partendo da una sedia per crearne una seconda, grande il doppio, la cui seduta diventa il tavolo della prima. Sulla sedia-tavolo l’artista pone una macchina da scrivere e su di essa un foglio che riporta poche criptiche frasi: “Ho fatto una sedia. L’ho ingrandita fino a diventare il mio tavolo ideale. Era alta quasi doppia.” Takahara ci pone di fronte lo spiazzamento di un oggetto sovradimensionato che sembra rispondere a una lucidissima logica dell’assurdo, allo stesso modo di Lewis Carroll in Alice nel paese delle meraviglie, autore che secondo le parole di Gilles Deleuze in La logique du sense, «compie la prima grande messinscena dei paradossi del senso». L’artista produce uno sdoppiamento della visione creando un oggetto che è effetto e conseguenza dell’altro.
You're a better man than I am Gunga Din, titolo del lavoro di Subodh Kerkar, artista indiano che si interessa da sempre a tematiche legate alla storia di Goa, è il noto verso conclusivo di un poema dello scrittore britannico di origini indiane Rudyard Kipling, il cui protagonista, un umile portatore d’acqua, diventa un eroe dopo aver sacrificato la vita per salvare dei soldati britannici. Nel lavoro di Kerkar, l’oggetto “sedia” – introdotto in India dai coloni europei – si trasforma in un meccanismo di capovolgimento di ruoli. La seduta, composta da cinghie rotanti, impedisce una fruizione dell’oggetto e quest’impossibilità di sedersi si traduce in una mancata assunzione di un ruolo o addirittura in un ribaltamento di posizione e in qualche modo in una forma di uguaglianza.
06
dicembre 2014
Caterina Pecchioli / Cesare Pietroiusti – La pagina bianca, performance in 3 capitoli
06 dicembre 2014
fotografia
arte contemporanea
performance - happening
arte contemporanea
performance - happening
Location
LABEL201
Roma, Via Portuense, 201, (Roma)
Roma, Via Portuense, 201, (Roma)
Orario di apertura
20 - 00
Vernissage
6 Dicembre 2014, h 20
Autore
Curatore