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Ceci n’est pas une Barbie
Nei lavori in mostra la Barbie compare come elemento iconografico inserito in una raffigurazione più estesa in cui il rapporto tra significato e significante si fa ora più stretto, ora più labile, fino alla sostituzione o alla completa omissione del significante-Barbie.
Comunicato stampa
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Sabato 21 novembre 2009 la galleria DAC inaugura la mostra Ceci n’est pas une Barbie, collettiva realizzata in collaborazione con UnimediaModern Contemporary Art, Genova.
Se, come insegna la tradizione magrittiana, l’immagine o il nome di un oggetto non corrispondono all’oggetto stesso, allora, il titolo Ceci n’est pas une Barbie non fa necessariamente riferimento a una mostra sulla Barbie. Benché la famosa bambola compaia in molti dei lavori esposti, per gli artisti coinvolti nel progetto non si tratta di un discorso puntuale sull’ormai leggendario giocattolo, ma di un punto di partenza per una riflessione più ampia che va dal funzionamento del linguaggio mediatico alla percezione della figura femminile, fino agli stereotipi e alle contraddizioni della società contemporanea, toccando via via istanze più specifiche come l’adolescenza, le relazioni interpersonali, la moda, il consumo di massa. Donna in carriera (a piacere dentista, astronauta, Marines, veterinario, ecc), moglie adorabile e madre affettuosa, sexy e accattivante, la Barbie è diventata rapidamente prototipo della donna ideale. Il suo universo (casa, lavoro, marito, figli, animali vari, auto, moto, camper, ecc.) è simbolo di una femminilità che non lascia spazio a modelli alternativi. Proiettandoci solo apparentemente in una realtà immaginativa e di finzione, il gioco della Barbie è così ben consolidato da lasciare poche possibilità alla fantasia o alla re-invenzione. Nonostante le variazioni subite nel corso degli anni per adattarsi ai trend del momento, si tratta comunque di uno schema fisso che spesso rischia di ingabbiare pensieri e attitudini.
Nei lavori in mostra la Barbie compare come elemento iconografico inserito in una raffigurazione più estesa in cui il rapporto tra significato e significante si fa ora più stretto, ora più labile, fino alla sostituzione o alla completa omissione del significante-Barbie. Il significato di ogni lavoro invece è sempre riconducibile, per assonanza o dissonanza, anche a una riflessione intorno a quel fenomeno che, compiuti cinquant’anni proprio nel 2009, non sembra perdere il suo potere seduttivo.
Il percorso espositivo si sviluppa intorno alla ricerca fotografica di Carla Iacono e Angelo Gualco, si avvicina poi alla sensibilità pittorica di Silvia Chiarini e Francesco Lauretta, soffermandosi sulla poetica ironica e irriverente dei lavori di Sandra Chiesa, Ben Patterson e Limbania Fieschi e sulle sculture in legno di Rochus Lussi, per arrivare ai video di Maciek Salamon, ai lavori installattivi di Mauro Ghiglione, Fabio Moro e Giuliano Galletta e finire con i collage di Stefan Kuebler.
Bambola e Plastica:
una storia autoptica del desiderio
Barbie Millicent Roberts nel suo cinquantesimo compleanno - era nata il 9 marzo
del 1959 - si presenta inossidabile modella, modellata e modellante, più replicata
che replicante, con una biografia globalmente diffusa e con decine di stilisti proni
ai suoi voleri per vestirla e svestirla comme il faut. La sua eternamente rinnovabile
giovinezza ha superato la longevità della sua inventrice Ruth Handler, morta nel
2002 a 85 anni, titolare, con il consorte Elliot, della Mattel Creations. Mito degli
anni Sessanta con la sua coda di cavallo, gli occhiali da sole, i suoi bikini zebrati,
nel 1985 Barbie viene ritratta perfino, come già Marilyn, da Andy Warhol, magistrale
scopritore di icone pop e inarrivabile costruttore di simulacri. Pensata come
oggetto transizionale per il passaggio delle bambine allo stadio adulto, si rivela
ben presto bersaglio di un amore o di un odio sfrenati per la sua perversa perfezione
fisica, Il suo stile inappuntabile nel vestire, la raffinatezza delle sue acconciature,
il suo comportamento ineccepibile, fino a scatenare gli istinti più brutali
ed essere afferrata per le gambe e usata come una mazza contro oggetti contundenti,
talvolta sfregiata, scarmigliata, furiosamente decapitata e, finalmente,
cotta nel microonde. Barbie tuttavia riesce a soppiantare ben presto le bambole
di pezza senza seno, trucco, tacchi a spillo, per assumere tutte le identità della
donna contemporanea, da quella più rigorosa e professionale al sex symbol, con
progressivi slittamenti nel sadomaso, nel dark, finché, per essere, politically correct,
non si fa un filino più zoccola. Che con gli scenari quotidiani dei reality e dello
spettacolo televisivo i giochi delle bambine si stiano subliminalmente sessualizzando?
Divenuta inevitabile feticcio femminile con gli attributi della maggiorata,
innestati però su un corpo troppo esile, bacino stretto, gambe lunghe e magre,
si teme che incoraggi le adolescenti verso un modello anoressico e la chirurgia
plastica, anche sull’onda dello slogan, cantato dalle popstar danesi Aqua, Life
in plastic is fantastic! Il fenomeno Barbie ha innescato un mostruoso meccanismo
sociale che ne mette in circolazione il feticcio destinato a diventare oggetto di
collezione e di valore: la Barbie del 1959 venduta per 3 dollari se ne aggiudica su
eBay la vendita per 3.552,50. Chi ne legittima il valore socio-etno-culturale e di
mercato sono le multinazionali che la producono, stilisti, designer, architetti, sessuologi,
industriali, case automobilistiche, che la corteggiano, la bambola vivente
Michelle Hunziker che le fa da testimonial in Italia per Carat Celebrities. Dotata
di un’ipertrofia iconica translucida, di un’ingenuità pervertibile, di un’identità instabile,
Barbie rischia di diventare eterna come macchina di cattura del desiderio
programmato, dell’orgasmo assicurato, dell’immaginario confezionato per una
rappresentazione collettiva ininterrotta. Ecco però che, invece della gigantesca
torta con candeline, ad augurarle Happy Birthday, tra luci e suoni, arriva una provocatoria
mostra d’arte dal significativo titolo Ceci n’est pas une Barbie!
Viana Conti
Se, come insegna la tradizione magrittiana, l’immagine o il nome di un oggetto non corrispondono all’oggetto stesso, allora, il titolo Ceci n’est pas une Barbie non fa necessariamente riferimento a una mostra sulla Barbie. Benché la famosa bambola compaia in molti dei lavori esposti, per gli artisti coinvolti nel progetto non si tratta di un discorso puntuale sull’ormai leggendario giocattolo, ma di un punto di partenza per una riflessione più ampia che va dal funzionamento del linguaggio mediatico alla percezione della figura femminile, fino agli stereotipi e alle contraddizioni della società contemporanea, toccando via via istanze più specifiche come l’adolescenza, le relazioni interpersonali, la moda, il consumo di massa. Donna in carriera (a piacere dentista, astronauta, Marines, veterinario, ecc), moglie adorabile e madre affettuosa, sexy e accattivante, la Barbie è diventata rapidamente prototipo della donna ideale. Il suo universo (casa, lavoro, marito, figli, animali vari, auto, moto, camper, ecc.) è simbolo di una femminilità che non lascia spazio a modelli alternativi. Proiettandoci solo apparentemente in una realtà immaginativa e di finzione, il gioco della Barbie è così ben consolidato da lasciare poche possibilità alla fantasia o alla re-invenzione. Nonostante le variazioni subite nel corso degli anni per adattarsi ai trend del momento, si tratta comunque di uno schema fisso che spesso rischia di ingabbiare pensieri e attitudini.
Nei lavori in mostra la Barbie compare come elemento iconografico inserito in una raffigurazione più estesa in cui il rapporto tra significato e significante si fa ora più stretto, ora più labile, fino alla sostituzione o alla completa omissione del significante-Barbie. Il significato di ogni lavoro invece è sempre riconducibile, per assonanza o dissonanza, anche a una riflessione intorno a quel fenomeno che, compiuti cinquant’anni proprio nel 2009, non sembra perdere il suo potere seduttivo.
Il percorso espositivo si sviluppa intorno alla ricerca fotografica di Carla Iacono e Angelo Gualco, si avvicina poi alla sensibilità pittorica di Silvia Chiarini e Francesco Lauretta, soffermandosi sulla poetica ironica e irriverente dei lavori di Sandra Chiesa, Ben Patterson e Limbania Fieschi e sulle sculture in legno di Rochus Lussi, per arrivare ai video di Maciek Salamon, ai lavori installattivi di Mauro Ghiglione, Fabio Moro e Giuliano Galletta e finire con i collage di Stefan Kuebler.
Bambola e Plastica:
una storia autoptica del desiderio
Barbie Millicent Roberts nel suo cinquantesimo compleanno - era nata il 9 marzo
del 1959 - si presenta inossidabile modella, modellata e modellante, più replicata
che replicante, con una biografia globalmente diffusa e con decine di stilisti proni
ai suoi voleri per vestirla e svestirla comme il faut. La sua eternamente rinnovabile
giovinezza ha superato la longevità della sua inventrice Ruth Handler, morta nel
2002 a 85 anni, titolare, con il consorte Elliot, della Mattel Creations. Mito degli
anni Sessanta con la sua coda di cavallo, gli occhiali da sole, i suoi bikini zebrati,
nel 1985 Barbie viene ritratta perfino, come già Marilyn, da Andy Warhol, magistrale
scopritore di icone pop e inarrivabile costruttore di simulacri. Pensata come
oggetto transizionale per il passaggio delle bambine allo stadio adulto, si rivela
ben presto bersaglio di un amore o di un odio sfrenati per la sua perversa perfezione
fisica, Il suo stile inappuntabile nel vestire, la raffinatezza delle sue acconciature,
il suo comportamento ineccepibile, fino a scatenare gli istinti più brutali
ed essere afferrata per le gambe e usata come una mazza contro oggetti contundenti,
talvolta sfregiata, scarmigliata, furiosamente decapitata e, finalmente,
cotta nel microonde. Barbie tuttavia riesce a soppiantare ben presto le bambole
di pezza senza seno, trucco, tacchi a spillo, per assumere tutte le identità della
donna contemporanea, da quella più rigorosa e professionale al sex symbol, con
progressivi slittamenti nel sadomaso, nel dark, finché, per essere, politically correct,
non si fa un filino più zoccola. Che con gli scenari quotidiani dei reality e dello
spettacolo televisivo i giochi delle bambine si stiano subliminalmente sessualizzando?
Divenuta inevitabile feticcio femminile con gli attributi della maggiorata,
innestati però su un corpo troppo esile, bacino stretto, gambe lunghe e magre,
si teme che incoraggi le adolescenti verso un modello anoressico e la chirurgia
plastica, anche sull’onda dello slogan, cantato dalle popstar danesi Aqua, Life
in plastic is fantastic! Il fenomeno Barbie ha innescato un mostruoso meccanismo
sociale che ne mette in circolazione il feticcio destinato a diventare oggetto di
collezione e di valore: la Barbie del 1959 venduta per 3 dollari se ne aggiudica su
eBay la vendita per 3.552,50. Chi ne legittima il valore socio-etno-culturale e di
mercato sono le multinazionali che la producono, stilisti, designer, architetti, sessuologi,
industriali, case automobilistiche, che la corteggiano, la bambola vivente
Michelle Hunziker che le fa da testimonial in Italia per Carat Celebrities. Dotata
di un’ipertrofia iconica translucida, di un’ingenuità pervertibile, di un’identità instabile,
Barbie rischia di diventare eterna come macchina di cattura del desiderio
programmato, dell’orgasmo assicurato, dell’immaginario confezionato per una
rappresentazione collettiva ininterrotta. Ecco però che, invece della gigantesca
torta con candeline, ad augurarle Happy Birthday, tra luci e suoni, arriva una provocatoria
mostra d’arte dal significativo titolo Ceci n’est pas une Barbie!
Viana Conti
21
novembre 2009
Ceci n’est pas une Barbie
Dal 21 novembre al 05 dicembre 2009
arte contemporanea
Location
DAC – DE SIMONI ARTE CONTEMPORANEA
Genova, Piazzetta Barisone, 2r , (Genova)
Genova, Piazzetta Barisone, 2r , (Genova)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 15.30-19.30 e su appuntamento
Vernissage
21 Novembre 2009, ore 18-21
Autore