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Cesare Giaccone – Liberi per nascita
Cesare, grande chef della cucina delle Langhe, è un insolito esemplare nella flora e fauna dell’arte contemporanea, pervaso da una curiosità adolescenziale che a ognuna delle sue pennellate cristallizza un attimo di vita, immortala paesaggi quasi lunari, fuori da qualsiasi realtà che non sia sognata
Comunicato stampa
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“Liberi per nascita” di Cesare Giaccone
Un grande chef della cucina tradizionale delle Langhe che è riuscito a coltivare anche la passione dei colori e della pittura.
Un’altra forma di creatività, non meno suggestiva.
Cesare è nato e vive ad Albaretto della Torre, paese dell’Alta Langa a 22 Km da Alba.
La famiglia di Cesare gestiva l’osteria “Dei Cacciatori” (che era anche bottega) aperta dal padre Filippo Giaccone prima della guerra e dove la moglie Maria, una brava cuoca che aveva lavorato in casa di un ammiraglio, dal giorno del matrimonio nel 1942 preparava con maestria le tagliatelle e il coniglio alla cacciatora, i funghi e il fritto misto, il minestrone e tanti altri piatti della cucina tradizionale per gli uomini del paese che venivano anche per bere e chiacchierare.
Da Albaretto, Cesare è andato via molte volte: in giro per l’Italia ad imparare il mestiere con grandi cuochi e maestri e a sperimentare i suoi progetti in diversi ristoranti. Alla fine del 1969 è tornato per realizzare proprio nel suo paese il sogno di una cucina che riprendesse e difendesse la tradizione della sua terra e di quei prodotti unici di cui aveva conservato il ricordo dall’infanzia.
Un giorno Cesare sentì dentro di sé il bisogno di esprimere i suoi sentimenti e le sue fantasie con la pittura, di realizzare sulle tele storie fatte di linee e forme ma soprattutto di colori, che sono quello che Cesare più di tutto vuole mostrare.Anche in pittura (come in cucina), racconta Cesare “sono un autodidatta, che ha imparato con l’aiuto di qualche amico”.
I suoi quadri su tela o su tavolette di legno rivelano una ricchezza sorprendente: i colori sono forti e ben equilibrati, i temi i più vari, ma soprattutto rappresentano la natura e i paesaggi, raccontano favole ascoltate e altre immaginate, delineano colline su cui si arrampicano in un equilibrio precario (sempre messo in discussione) file di automobili minuscole o di motociclette che salgono fino alla cima e poi ridiscendono, dipingono fiori dai colori esplosivi, rimandano a ricordi trasfigurati con l’immaginazione e la forza di un animo libero.
Qualche volta questi stessi soggetti vengono dipinti su fogli di carta bianca, o sulla carta azzurra in cui una volta veniva impacchettato lo zucchero (ancora un ricordo della bottega della sua infanzia) o sulla carta paglierina da macellaio, e sono il contorno per i menù personalizzati dove l’elenco dei piatti, ricopiato in bella calligrafia, è collocato a fianco di fiori, pesci, animali, macchie di colore.
Per saperne di più su Cesare Giaccone visita il sito www.cesaregiaccone.it e guarda su You Tube intervista di Cino Tortorella, dur. 10’ https://www.youtube.com/watch?v=BRAdJMoPe5M
Cesare GIACCONE
“E’ del poeta il fin da meraviglia…
…Chi non sa far stupir vada alla striglia”
sono parole di Giambattista Marino, poeta barocco, per me una specie di Bukowski ante litteram, citate qui poiché descrivono perfettamente l’essenza di Cesare: poeta delle tele e del desco che seguita a stupirci.
Personaggio come Till Eulenspiegel, dalla complessa e compiaciuta semplicità e l’aspetto di un raffinato signore di altri tempi racconta se stesso:
“Ho vissuto la mia adolescenza ad Albaretto della Torre in Alta Langa, dove mio padre si arrangiava a fare il barbiere, in seguito aprendo un’osteria con annessa bottega - quella “Dei Cacciatori” - con mia mamma ai fornelli. Mio padre venne a mancare quando io avevo appena otto anni. Io stavo ripetendo la prima elementare ormai da tre anni, mi bocciavano sempre. Mi dettero la licenza elementare solo per togliermi di torno; non avevo testa, dovevo trafficare. Dopo la morte di papà aiutammo la mamma a gestire la bottega, vendevamo in giro stringhe e altre piccole mercanzie. A 16 anni, mentre facevo il boccia del muratore, correndo sulle impalcature come un trapezista e sognando il vasto mondo, mi notò un famoso chef di passaggio che intravide in me il volenteroso garzone che sarei potuto diventare nel suo albergo di Cogne. Con la complicità di mia nonna, che vinse le resistenze di mia madre partii all’avventura. Non avevo mai visto una cucina al di fuori di quella dei miei.
Il mio apprendistato fu perfezionato da maestri cuochi e sommelier in giro per l’Italia come, ad esempio, Piero Sattanino all’Hotel Parigi di Bordighera e il famoso chef Aurelio Scavino. All’epoca andavo ogni estate a Cogne, con la mia Fiat 500 blu, libero come una cicogna, e poi a sperimentare i miei progetti in diversi ristoranti. Ero curioso, volevo imparare, e ancora di più inventare. Mai imbrigliato in schemi e preconcetti, la mia spontaneità temeraria mi fece creare sapori e immagini inusuali come le patate cotte con la grappa o le cipolle al sale, o porcini e pesche; i famosi Mare caldo in Langa e il Fiore dell’Orto in salsa di Castelmagno,o gli asparagi con le fragole.
Lavorai per qualche mese anche alla Frateria di Padre Eligio al Convento medievale di S. Francesco a Cetona, e al ristorante che Alessandro Francescheti aprì con Gino Paoli a Firenze, a due passi dal Duomo. Proprio a Firenze, ebbi l’occasione di frequentare la grotta di Leo e altri spazi di via Fiesolana dove si avvicendavano gli studenti e i professori dell’accademia delle Belle Arti di via Ricasoli, che mi impartirono le dritte per realizzare le tele che la fantasia mi suggeriva”.
Cesare è un insolito esemplare nella flora e fauna dell’arte contemporanea, pervaso da una curiosità adolescenziale che a ognuna delle sue pennellate cristallizza un attimo di vita, immortala paesaggi quasi lunari, fuori da qualsiasi realtà che non sia sognata.
Il suo mare impetuoso alla luce rosso-arancione del tramonto con la nave nera in lontananza è pura poesia, un momento ispirato.
Sceglie il colore con la massima cura e quasi sempre puro, come il giallo che infuoca l’assolato percorso tra le vigne langarole, il blu che tinge i suoi metafisici, surreali animali: la volpe, la lepre, l’asino, e il bianco che non deve essere pasticciato, nudo come la tela nuda. L’assenza. Il vuoto, il buco bianco.
Nelle sue Nature morte pietrifica i fiori in un simulacro di lunga durata, nei paesaggi la meraviglia si organizza in uno spettacolo fascinoso e ammaliante dove volano gigantesche farfalle, corrono piccolissime Ferrari rosse all’orizzonte, si abbarbicano minuscoli villaggi in lontananza quasi volessero spiccare il volo tra nuvolette di panna montata in fila indiana.
Nella meraviglia di queste immagini bislacche e bizzarre si insinua il sospetto che anche la vita sia uno spettacolo ingannevole.
Da Albaretto, Cesare è andato via molte volte ma vi è sempre tornato, in ultimo per realizzare il suo Ristorante, un connubio tra arte e cucina, pieno di libri: di cucina, di arte e di quelli che raccontano anche qualche storia di Cesare, presentano le sue ricette, le sue invenzioni o immortalano i suoi gesti, esattamente come i dipinti presentati in questa mostra.
Judit Török
Un grande chef della cucina tradizionale delle Langhe che è riuscito a coltivare anche la passione dei colori e della pittura.
Un’altra forma di creatività, non meno suggestiva.
Cesare è nato e vive ad Albaretto della Torre, paese dell’Alta Langa a 22 Km da Alba.
La famiglia di Cesare gestiva l’osteria “Dei Cacciatori” (che era anche bottega) aperta dal padre Filippo Giaccone prima della guerra e dove la moglie Maria, una brava cuoca che aveva lavorato in casa di un ammiraglio, dal giorno del matrimonio nel 1942 preparava con maestria le tagliatelle e il coniglio alla cacciatora, i funghi e il fritto misto, il minestrone e tanti altri piatti della cucina tradizionale per gli uomini del paese che venivano anche per bere e chiacchierare.
Da Albaretto, Cesare è andato via molte volte: in giro per l’Italia ad imparare il mestiere con grandi cuochi e maestri e a sperimentare i suoi progetti in diversi ristoranti. Alla fine del 1969 è tornato per realizzare proprio nel suo paese il sogno di una cucina che riprendesse e difendesse la tradizione della sua terra e di quei prodotti unici di cui aveva conservato il ricordo dall’infanzia.
Un giorno Cesare sentì dentro di sé il bisogno di esprimere i suoi sentimenti e le sue fantasie con la pittura, di realizzare sulle tele storie fatte di linee e forme ma soprattutto di colori, che sono quello che Cesare più di tutto vuole mostrare.Anche in pittura (come in cucina), racconta Cesare “sono un autodidatta, che ha imparato con l’aiuto di qualche amico”.
I suoi quadri su tela o su tavolette di legno rivelano una ricchezza sorprendente: i colori sono forti e ben equilibrati, i temi i più vari, ma soprattutto rappresentano la natura e i paesaggi, raccontano favole ascoltate e altre immaginate, delineano colline su cui si arrampicano in un equilibrio precario (sempre messo in discussione) file di automobili minuscole o di motociclette che salgono fino alla cima e poi ridiscendono, dipingono fiori dai colori esplosivi, rimandano a ricordi trasfigurati con l’immaginazione e la forza di un animo libero.
Qualche volta questi stessi soggetti vengono dipinti su fogli di carta bianca, o sulla carta azzurra in cui una volta veniva impacchettato lo zucchero (ancora un ricordo della bottega della sua infanzia) o sulla carta paglierina da macellaio, e sono il contorno per i menù personalizzati dove l’elenco dei piatti, ricopiato in bella calligrafia, è collocato a fianco di fiori, pesci, animali, macchie di colore.
Per saperne di più su Cesare Giaccone visita il sito www.cesaregiaccone.it e guarda su You Tube intervista di Cino Tortorella, dur. 10’ https://www.youtube.com/watch?v=BRAdJMoPe5M
Cesare GIACCONE
“E’ del poeta il fin da meraviglia…
…Chi non sa far stupir vada alla striglia”
sono parole di Giambattista Marino, poeta barocco, per me una specie di Bukowski ante litteram, citate qui poiché descrivono perfettamente l’essenza di Cesare: poeta delle tele e del desco che seguita a stupirci.
Personaggio come Till Eulenspiegel, dalla complessa e compiaciuta semplicità e l’aspetto di un raffinato signore di altri tempi racconta se stesso:
“Ho vissuto la mia adolescenza ad Albaretto della Torre in Alta Langa, dove mio padre si arrangiava a fare il barbiere, in seguito aprendo un’osteria con annessa bottega - quella “Dei Cacciatori” - con mia mamma ai fornelli. Mio padre venne a mancare quando io avevo appena otto anni. Io stavo ripetendo la prima elementare ormai da tre anni, mi bocciavano sempre. Mi dettero la licenza elementare solo per togliermi di torno; non avevo testa, dovevo trafficare. Dopo la morte di papà aiutammo la mamma a gestire la bottega, vendevamo in giro stringhe e altre piccole mercanzie. A 16 anni, mentre facevo il boccia del muratore, correndo sulle impalcature come un trapezista e sognando il vasto mondo, mi notò un famoso chef di passaggio che intravide in me il volenteroso garzone che sarei potuto diventare nel suo albergo di Cogne. Con la complicità di mia nonna, che vinse le resistenze di mia madre partii all’avventura. Non avevo mai visto una cucina al di fuori di quella dei miei.
Il mio apprendistato fu perfezionato da maestri cuochi e sommelier in giro per l’Italia come, ad esempio, Piero Sattanino all’Hotel Parigi di Bordighera e il famoso chef Aurelio Scavino. All’epoca andavo ogni estate a Cogne, con la mia Fiat 500 blu, libero come una cicogna, e poi a sperimentare i miei progetti in diversi ristoranti. Ero curioso, volevo imparare, e ancora di più inventare. Mai imbrigliato in schemi e preconcetti, la mia spontaneità temeraria mi fece creare sapori e immagini inusuali come le patate cotte con la grappa o le cipolle al sale, o porcini e pesche; i famosi Mare caldo in Langa e il Fiore dell’Orto in salsa di Castelmagno,o gli asparagi con le fragole.
Lavorai per qualche mese anche alla Frateria di Padre Eligio al Convento medievale di S. Francesco a Cetona, e al ristorante che Alessandro Francescheti aprì con Gino Paoli a Firenze, a due passi dal Duomo. Proprio a Firenze, ebbi l’occasione di frequentare la grotta di Leo e altri spazi di via Fiesolana dove si avvicendavano gli studenti e i professori dell’accademia delle Belle Arti di via Ricasoli, che mi impartirono le dritte per realizzare le tele che la fantasia mi suggeriva”.
Cesare è un insolito esemplare nella flora e fauna dell’arte contemporanea, pervaso da una curiosità adolescenziale che a ognuna delle sue pennellate cristallizza un attimo di vita, immortala paesaggi quasi lunari, fuori da qualsiasi realtà che non sia sognata.
Il suo mare impetuoso alla luce rosso-arancione del tramonto con la nave nera in lontananza è pura poesia, un momento ispirato.
Sceglie il colore con la massima cura e quasi sempre puro, come il giallo che infuoca l’assolato percorso tra le vigne langarole, il blu che tinge i suoi metafisici, surreali animali: la volpe, la lepre, l’asino, e il bianco che non deve essere pasticciato, nudo come la tela nuda. L’assenza. Il vuoto, il buco bianco.
Nelle sue Nature morte pietrifica i fiori in un simulacro di lunga durata, nei paesaggi la meraviglia si organizza in uno spettacolo fascinoso e ammaliante dove volano gigantesche farfalle, corrono piccolissime Ferrari rosse all’orizzonte, si abbarbicano minuscoli villaggi in lontananza quasi volessero spiccare il volo tra nuvolette di panna montata in fila indiana.
Nella meraviglia di queste immagini bislacche e bizzarre si insinua il sospetto che anche la vita sia uno spettacolo ingannevole.
Da Albaretto, Cesare è andato via molte volte ma vi è sempre tornato, in ultimo per realizzare il suo Ristorante, un connubio tra arte e cucina, pieno di libri: di cucina, di arte e di quelli che raccontano anche qualche storia di Cesare, presentano le sue ricette, le sue invenzioni o immortalano i suoi gesti, esattamente come i dipinti presentati in questa mostra.
Judit Török
05
maggio 2016
Cesare Giaccone – Liberi per nascita
Dal 05 maggio al 12 giugno 2016
arte contemporanea
Location
SPAZIO MOUV’
Torino, Via Silvio Pellico, 3, (Torino)
Torino, Via Silvio Pellico, 3, (Torino)
Orario di apertura
martedì- domenica 12 - 24
Vernissage
5 Maggio 2016, h 18.30
Autore
Curatore