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Chiara Cappelletti – Women
Questo recente repertorio di “ritratti” (per antonomasia il genere pittorico più fedele al soggetto rappresentato),
tutti femminili e, dunque, Women, offre lo spunto per le distorsioni più tenaci, accanto ad una dichiarata
passione per alcuni autori della realtà ormai classici
Comunicato stampa
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Sia o no il retaggio della sua attività di grafica, iniziata nel 1987, dunque come disegnatrice sopraffina e
abituata a giocare con le molteplici possibilità semantiche dell’immagine, Chiara Cappelletti realizza oggi,
come pittrice a tempo pieno, dipinti di una straordinaria ricchezza di dettagli nei quali profonde il suo
talento di raccoglitrice di realtà irreali (post-reali, super-reali). Un ossimoro che in pittura ha però un suo
preciso e privilegiato spazio. In quest’ambito, infatti, l’artista-poeta (“poiéin” in greco descriveva il gesto
divino del Demiurgo capace di creare dal nulla tutte le cose. E nel modo in cui le vuole Lui, ovviamente)
opera con acrilici su tela nel campo vastissimo delle pressoché infinite possibilità dell’essere. Val forse la
pena di soffermarsi brevemente sul valore puramente semantico della parola “poesia” per capire meglio il
linguaggio di quest’artista che per mezzo di una delle prime e più antiche forme espressive, cioè il copiare
dalla natura il più fedelmente possibile, riesce a produrre il risultato inverso: rappresentare cioè “naturalisticamente”
ciò che nella realtà solitamente non si pone. Dunque, il termine “poesia” (poiésis) che come
si è detto deriva dal verbo greco poiéin, col significato di “inventare, comporre, produrre, fare, generare”,
descrive un atto generativo e significa sostanzialmente far diventare in “essere” qualcosa che “non è”.
Ma all’atto poetico dell’artista è implicito l’uso fisico delle mani – così come il dio biblico Jahvè che forgia
Adamo impastando, “com-ponendo” insieme terra e acqua e soffiandoci poi dentro la vita. L’azione poetica
è dunque anche questo: mettere insieme fisicamente (com-porre) elementi fisici con altri astratti
e simbolici, facendo uso contemporaneamente delle mani e del pensiero.
Nello stesso modo Chiara Cappelletti connette in una stessa forma o figura l’universo reale e concreto,fatto di persone (prevalentemente di genere femminile), animali (molto spesso cani), elementi naturali e
ambienti umani, interni ed esterni, con aspetti fantastici, filosofici e non, comunque non-reali o verosimili.
La varietà degli oggetti e delle situazioni dei suoi dipinti è molteplice e tende all’infinito, così come
il mondo naturale propone un numero imprecisabile di fenomeni. Ma nella “naturalità” espressiva della
pittrice s’inserisce sempre l’elemento destabilizzante: il suo pensiero, la sua fantasia, le sue esperienze,
le distopie che lei registra all’interno dell’universo reale ma sotterranee ad esso, quasi sempre invisibili.
La loro rappresentazione costringe anche chi guarda a vedere e dunque a prendere in considerazione la
possibilità che la “natura” abbia in sé una componente endogena che ne devia il corso. L’effetto è straniante,
assurdo, ironico, stravagante; in modo però diverso dai dettami del Surrealismo novecentesco e
dalla Metafisica di De Chirico o di Savinio.
“Realismo irreale” “Visionarietà cartesiana” erano le definizioni che il pittore Fabrizio Clerici (1913-1993),
definito a suo tempo dalla critica - che ha sempre bisogno di sistemare e circoscrivere – come un visionario
e un surrealista, adottò per la propria pittura; regolata dalla prospettiva e dalla ricerca di un vero che,
per certi versi, potrebbe avere qualche attinenza con quella di Cappelletti. Anche lei, come Clerici, non è
facilmente incasellabile in una corrente, una tendenza o un gruppo, sebbene il suo operare abbia qualche
riferimento con la visionarietà neo surrealista cui l’iperrealismo fornisce un’ulteriore sponda. Finisce, dunque
che tutto, nella sua pittura, appaia plausibile: cani ritratti nelle vesti di severe matrone cinquecentesche,
fanciulle cinquecentesche con vistose orecchie canine che fuoriescono dall’elaborata acconciatura
(Alterazione); delicate ragazze che indossano una maschera antigas (Autoritratto) o stanno imperturbabili,
in posa, sott’acqua con una maschera da sub, circondate da pesci esotici (Apnea); iconografie classiche
e mitiche come quella di Leda sedotta da Zeus sotto forma di un cigno nero (Leda e il Cigno) assumono
l’inflessione understatement di un evento “normale”; e quelle sacre, come La Madonna del colibrì, volutamente
travisa il significato simbolico del cardellino o di altri uccellini metaforici di cui l’agiografia dell’arte
cristiana è ricca; mentre folte capigliature di ragazze possono diventare opportune dimore per nidi d’uccelli
(Pensiero egemonico) e soffici posatoi per piccioni (Messaggero d’amore). Allusive ed inquietanti,
poi, alcune immagini quali L’infanzia è una favola, dove la presenza di un lupo in atteggiamento di agguato
getta una luce sinistra sul famoso racconto per bambini, Autoritratto e Non leccarti le ferite.
Questo recente repertorio di “ritratti” (per antonomasia il genere pittorico più fedele al soggetto rappresentato),
tutti femminili e, dunque, Women, offre lo spunto per le distorsioni più tenaci, accanto ad una dichiarata
passione per alcuni autori della realtà ormai classici, quali Edward Hopper (invero maestro soprattutto
nel rappresentare la solitudine dei ritratti) come In casa di Hopper e, non a caso, L’attesa.
“Questi ritratti – afferma l’artista - nascono da un’intima osservazione introspettiva; in ogni soggetto, infatti,
ritraggo simbolicamente me stessa o ricreo idealmente situazioni che ho vissuto, fedele alla mia personalità
nella continua scoperta delle mie più intime verità”.
abituata a giocare con le molteplici possibilità semantiche dell’immagine, Chiara Cappelletti realizza oggi,
come pittrice a tempo pieno, dipinti di una straordinaria ricchezza di dettagli nei quali profonde il suo
talento di raccoglitrice di realtà irreali (post-reali, super-reali). Un ossimoro che in pittura ha però un suo
preciso e privilegiato spazio. In quest’ambito, infatti, l’artista-poeta (“poiéin” in greco descriveva il gesto
divino del Demiurgo capace di creare dal nulla tutte le cose. E nel modo in cui le vuole Lui, ovviamente)
opera con acrilici su tela nel campo vastissimo delle pressoché infinite possibilità dell’essere. Val forse la
pena di soffermarsi brevemente sul valore puramente semantico della parola “poesia” per capire meglio il
linguaggio di quest’artista che per mezzo di una delle prime e più antiche forme espressive, cioè il copiare
dalla natura il più fedelmente possibile, riesce a produrre il risultato inverso: rappresentare cioè “naturalisticamente”
ciò che nella realtà solitamente non si pone. Dunque, il termine “poesia” (poiésis) che come
si è detto deriva dal verbo greco poiéin, col significato di “inventare, comporre, produrre, fare, generare”,
descrive un atto generativo e significa sostanzialmente far diventare in “essere” qualcosa che “non è”.
Ma all’atto poetico dell’artista è implicito l’uso fisico delle mani – così come il dio biblico Jahvè che forgia
Adamo impastando, “com-ponendo” insieme terra e acqua e soffiandoci poi dentro la vita. L’azione poetica
è dunque anche questo: mettere insieme fisicamente (com-porre) elementi fisici con altri astratti
e simbolici, facendo uso contemporaneamente delle mani e del pensiero.
Nello stesso modo Chiara Cappelletti connette in una stessa forma o figura l’universo reale e concreto,fatto di persone (prevalentemente di genere femminile), animali (molto spesso cani), elementi naturali e
ambienti umani, interni ed esterni, con aspetti fantastici, filosofici e non, comunque non-reali o verosimili.
La varietà degli oggetti e delle situazioni dei suoi dipinti è molteplice e tende all’infinito, così come
il mondo naturale propone un numero imprecisabile di fenomeni. Ma nella “naturalità” espressiva della
pittrice s’inserisce sempre l’elemento destabilizzante: il suo pensiero, la sua fantasia, le sue esperienze,
le distopie che lei registra all’interno dell’universo reale ma sotterranee ad esso, quasi sempre invisibili.
La loro rappresentazione costringe anche chi guarda a vedere e dunque a prendere in considerazione la
possibilità che la “natura” abbia in sé una componente endogena che ne devia il corso. L’effetto è straniante,
assurdo, ironico, stravagante; in modo però diverso dai dettami del Surrealismo novecentesco e
dalla Metafisica di De Chirico o di Savinio.
“Realismo irreale” “Visionarietà cartesiana” erano le definizioni che il pittore Fabrizio Clerici (1913-1993),
definito a suo tempo dalla critica - che ha sempre bisogno di sistemare e circoscrivere – come un visionario
e un surrealista, adottò per la propria pittura; regolata dalla prospettiva e dalla ricerca di un vero che,
per certi versi, potrebbe avere qualche attinenza con quella di Cappelletti. Anche lei, come Clerici, non è
facilmente incasellabile in una corrente, una tendenza o un gruppo, sebbene il suo operare abbia qualche
riferimento con la visionarietà neo surrealista cui l’iperrealismo fornisce un’ulteriore sponda. Finisce, dunque
che tutto, nella sua pittura, appaia plausibile: cani ritratti nelle vesti di severe matrone cinquecentesche,
fanciulle cinquecentesche con vistose orecchie canine che fuoriescono dall’elaborata acconciatura
(Alterazione); delicate ragazze che indossano una maschera antigas (Autoritratto) o stanno imperturbabili,
in posa, sott’acqua con una maschera da sub, circondate da pesci esotici (Apnea); iconografie classiche
e mitiche come quella di Leda sedotta da Zeus sotto forma di un cigno nero (Leda e il Cigno) assumono
l’inflessione understatement di un evento “normale”; e quelle sacre, come La Madonna del colibrì, volutamente
travisa il significato simbolico del cardellino o di altri uccellini metaforici di cui l’agiografia dell’arte
cristiana è ricca; mentre folte capigliature di ragazze possono diventare opportune dimore per nidi d’uccelli
(Pensiero egemonico) e soffici posatoi per piccioni (Messaggero d’amore). Allusive ed inquietanti,
poi, alcune immagini quali L’infanzia è una favola, dove la presenza di un lupo in atteggiamento di agguato
getta una luce sinistra sul famoso racconto per bambini, Autoritratto e Non leccarti le ferite.
Questo recente repertorio di “ritratti” (per antonomasia il genere pittorico più fedele al soggetto rappresentato),
tutti femminili e, dunque, Women, offre lo spunto per le distorsioni più tenaci, accanto ad una dichiarata
passione per alcuni autori della realtà ormai classici, quali Edward Hopper (invero maestro soprattutto
nel rappresentare la solitudine dei ritratti) come In casa di Hopper e, non a caso, L’attesa.
“Questi ritratti – afferma l’artista - nascono da un’intima osservazione introspettiva; in ogni soggetto, infatti,
ritraggo simbolicamente me stessa o ricreo idealmente situazioni che ho vissuto, fedele alla mia personalità
nella continua scoperta delle mie più intime verità”.
27
maggio 2016
Chiara Cappelletti – Women
Dal 27 maggio al 10 giugno 2016
arte contemporanea
Location
GALLERIA GHELFI
Vicenza, Contrà Pescherie Vecchie, 29, (Vicenza)
Vicenza, Contrà Pescherie Vecchie, 29, (Vicenza)
Orario di apertura
da martedì a sabato 10-12.30 e 17 -19
Vernissage
27 Maggio 2016, h 18
Autore
Curatore