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Chimere. Miti, allegorie e simbolismi plastici da Bistolfi a Martinazzi
Una ricognizione (per la prima volta approfondita e filologicamente aggiornata) sul simbolismo nella scultura piemontese del Novecento.
Comunicato stampa
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L’esposizione vuole proseguire in modo tematico un discorso di studio e di approfondimento intorno alla scultura moderna piemontese, già iniziato dalla nostra galleria con le mostre Pigmalione e Galatea (2006) e Il crepuscolo delle dee (2007). Questa volta il filo conduttore è il simbolismo. O, meglio, i simbolismi. Per capirci: il Simbolismo – inteso come fenomeno storico-artistico di derivazione europea, portato avanti dalla scultura “letteraria” di Bistolfi e da quella di alcuni suoi allievi (a posteriori definiti, appunto, “bistolfiani”) – è soltanto lo spunto del nostro ragionamento critico. Ne è il punto di partenza. Così, a cominciare dal primo decennio del Novecento, ossia dall’epoca della piena maturità di Bistolfi e della copiosa fioritura dei suoi discepoli eccellenti (un nome su tutti: Arturo Stagliano), il raggio della nostra ricerca si allarga ai nuovi fermenti del linguaggio plastico simbolista e alle differenti maniere attraverso le quali questo è stato tradotto, nei decenni successivi, dagli artisti da noi presi in esame. Artisti ai quali è toccato in sorte il pesante fardello di raccogliere il testimone della Torino primonovecentesca, vera capitale europea della scultura moderna (insieme a Firenze e Parigi). Il simbolismo, a prescindere dall’epoca e dal medium che lo esprime, ha delle caratteristiche costanti, ricorrenti: è arcaico e moderno insieme. Ha qualcosa di sofisticatamente primordiale ed è senza tempo. Esso, con le sue alte tensioni metaforiche, è di per sé avulso dalle contingenze temporali, libero dalla condizionante schiavitù della cronologia. Svincolato nondimeno dalla stretta del reale (perciò scevro di accenti veristi) o da qualsivoglia legame con impegni ideologici della sfera sociale, il simbolismo è libero e va a scavare – con la sua visionaria iconografia “psicanalitica” – nelle profondità abissali dell’uomo, dove le ombre più nere attendono i lampi della sua intuitiva forza illuminatrice. La potenza archetipa del simbolo fa risuonare le corde della grande lira, altrimenti muta in ognuno di noi. I simbolisti non parlano: cantano. E incantano. Essendo liberi, come si diceva, ci concedono piena libertà: la libertà di sognare.
Chimere, dunque. Sogni e incubi, vertigini e deliri. Visioni. Si passerà, allora, dalla molle vaghezza delle ninfe art nouveau (un po’ fanciulle, un po’ vegetali) alla grazia guizzante delle sirene incantatrici, tipiche dello stesso frangente estetico; ci si muoverà dall’eterea volatilità delle donne-libellula all’ipnotica tensione animale delle sfingi divoratrici; si potrà curiosare nelle ore svagate del pomeriggio di un fauno o sfidare lo sguardo tremendo di Medusa, per poi tornare a scherzare con una naiade dalla scivolosa ambiguità seduttrice. La mitologia pagana, ovviamente, sarà il motivo dominante dei soggetti presentati in mostra. Ma anche in questo caso, spesso, con singolari slittamenti verso varianti allegoriche o accezioni simboliche meno “ortodosse”.
Parleremo, per esempio, del simbolismo “alpestre” del monumento a Segantini di Leonardo Bistolfi (1906), folgorante allegoria della Bellezza liberata dalla Materia, presentata anche nell’interpretazione variata di due straordinari allievi e collaboratori del genio casalese: il già citato Stagliano e l’argentino César Santiano. E toccheremo interessanti incroci artistici e culturali, come l’incontro tutto torinese – proprio a ridosso della prima guerra mondiale – fra cinema e scultura, culminato nella produzione de Il Fauno (film dalle stremate atmosfere simboliste, scritto, diretto e interpretato da Febo Mari nel 1917) e suggellato dall’identificazione della “diva del muto” quale estrema incarnazione del fatale magnetismo delle sfingi fin de siècle. Incontreremo, avvicinandoci alla contemporaneità, le naiadi favolose di Adriano Alloati, una materna Niobe asiatica e un Narciso incantato di Roberto Terracini; sfioreremo i satiri tortuosi di Piero Cerato e approderemo – infine – alla moderna mitopoiesi di Bruno Martinazzi. Non trascurando, altresì, le allegorie degli stati d’animo (si pensi alla rodiniana Vinta di Luigi Aghemo), del mutare del giorno e della notte, del volgere delle stagioni… In un percorso pieno di fascino e mistero, balenante di maliose suggestioni. Chimerico, in una parola. Un percorso poetico e scientifico a un tempo, per illustrare la complessa evoluzione del linguaggio simbolista nella scultura torinese del Novecento, da Bistolfi a Martinazzi.
Quanto detto sarà documentato con un ampio catalogo, corredato da un saggio critico introduttivo, da un profilo biografico di ogni artista, da una scheda tecnica stesa per ogni scultura presentata in mostra e da un apparato bibliografico ragionato.
Chimere, dunque. Sogni e incubi, vertigini e deliri. Visioni. Si passerà, allora, dalla molle vaghezza delle ninfe art nouveau (un po’ fanciulle, un po’ vegetali) alla grazia guizzante delle sirene incantatrici, tipiche dello stesso frangente estetico; ci si muoverà dall’eterea volatilità delle donne-libellula all’ipnotica tensione animale delle sfingi divoratrici; si potrà curiosare nelle ore svagate del pomeriggio di un fauno o sfidare lo sguardo tremendo di Medusa, per poi tornare a scherzare con una naiade dalla scivolosa ambiguità seduttrice. La mitologia pagana, ovviamente, sarà il motivo dominante dei soggetti presentati in mostra. Ma anche in questo caso, spesso, con singolari slittamenti verso varianti allegoriche o accezioni simboliche meno “ortodosse”.
Parleremo, per esempio, del simbolismo “alpestre” del monumento a Segantini di Leonardo Bistolfi (1906), folgorante allegoria della Bellezza liberata dalla Materia, presentata anche nell’interpretazione variata di due straordinari allievi e collaboratori del genio casalese: il già citato Stagliano e l’argentino César Santiano. E toccheremo interessanti incroci artistici e culturali, come l’incontro tutto torinese – proprio a ridosso della prima guerra mondiale – fra cinema e scultura, culminato nella produzione de Il Fauno (film dalle stremate atmosfere simboliste, scritto, diretto e interpretato da Febo Mari nel 1917) e suggellato dall’identificazione della “diva del muto” quale estrema incarnazione del fatale magnetismo delle sfingi fin de siècle. Incontreremo, avvicinandoci alla contemporaneità, le naiadi favolose di Adriano Alloati, una materna Niobe asiatica e un Narciso incantato di Roberto Terracini; sfioreremo i satiri tortuosi di Piero Cerato e approderemo – infine – alla moderna mitopoiesi di Bruno Martinazzi. Non trascurando, altresì, le allegorie degli stati d’animo (si pensi alla rodiniana Vinta di Luigi Aghemo), del mutare del giorno e della notte, del volgere delle stagioni… In un percorso pieno di fascino e mistero, balenante di maliose suggestioni. Chimerico, in una parola. Un percorso poetico e scientifico a un tempo, per illustrare la complessa evoluzione del linguaggio simbolista nella scultura torinese del Novecento, da Bistolfi a Martinazzi.
Quanto detto sarà documentato con un ampio catalogo, corredato da un saggio critico introduttivo, da un profilo biografico di ogni artista, da una scheda tecnica stesa per ogni scultura presentata in mostra e da un apparato bibliografico ragionato.
05
giugno 2008
Chimere. Miti, allegorie e simbolismi plastici da Bistolfi a Martinazzi
Dal 05 giugno al 26 luglio 2008
arte moderna
Location
WEBER & WEBER ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA
Torino, Via San Tommaso, 7, (Torino)
Torino, Via San Tommaso, 7, (Torino)
Orario di apertura
Da martedì a sabato, 16.00-19.30
Vernissage
5 Giugno 2008, ore 18.00-21.00
Autore
Curatore