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Circuiti dinamici 4
Con questa doppia esposizione si inaugura il quarto ciclo di mostre collettive per giovani artisti della serie Circuiti Dinamici promosse dall’Associazione Circuiti Dinamici già Circolo Culturale Bertolt Brecht e curate da StatArt.
Comunicato stampa
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Il progetto è ideato col fine di rendere “reale” un’arte che molto spesso nasce e vive solo nel web, si crea così un circuito dinamico che coinvolge mondo virtuale e mondo reale intessendo una rete di scambi e connessioni reciproche, infatti tutte le mostre continueranno a vivere sul web. Per ogni ciclo si è pensato di affiancare ai giovani talenti degli artisti maturi – Rossella Roli e Antonio Nazzaro con Ezio Falcomer – al fine di creare un confronto, un dialogo e una visione dilata nel tempo: le esperienze artistiche sono cicliche o no?
Ana Soc propone un dittico dal forte impatto emotivo, intitolato Arte terapia “Claustrofobia", che inquadra il volto di una ragazza rinchiusa in una teca di plexiglass usurata dal tempo e dalle infiltrazioni, metafora dei soprusi e violenze subite. Il senso claustrofobico di restrizione e oppressione comunicato dall’immagine, viene ulteriormente accentuato dal “velo” – una sottile rete metallica – che avvolge completamente il viso della protagonista. Arte come terapia e mezzo di riscatto dalle ingiustizie subite, la cui potenza è catalizzata dalle mani, reiterate nei riflessi del materiale. Questa forza d’animo femminile viene analizzata anche nelle opere grafiche The Bad Queen, The Calling, The Woman Change e The New Power della serie Oktopussy di Saul Sanchez – Byesix che con grande maestria racconta la determinazione femminile. Donne dalla forte carica erotica guardano al mondo senza timore alcuno, una voce unisona che risuona nei toni accesi di queste figure multicolori definite solo nei caratteri distintivi della donna. L’artista gioca con la sessualità senza scadere nella volgarità. Monia Marchionni denuncia con la sua installazione intitolata In-difesa, un’altra tematica di grande attualità: il precariato giovanile. L’opera, in continua evoluzione e crescita, si compone di migliaia di contratti a progetto accumulati nel corso degli anni, dal 2007 al 2011, dalla stessa autrice e trasformati in cubetti di carta coi quale costruisce una torre, che inevitabilmente è precaria e instabile, come l’equilibrio e le prospettive di futuro dei giovani. Questa incertezza ha inevitabilmente ripercussioni sull’intera società civile. I cubetti sono flessibili e non vogliono un posto fisso a ogni costo, ma la torre per poter sopravvivere e reggersi in piedi ha bisogno di basi solide, di equità e giustizia, senza le quali diviene un rudere, un’architettura in sfacelo. Le opere dei giovani artisti appena presentati si confrontano con tre creazioni di Rossella Roli del 2008-2009 intitolate Beauty Train Case. Centomila baci; In forma; Coup de foudre. L’assalto che trattano tematiche impegnate quali la guerra e le strategie di attacco militare con una vena ironica, giocata sul paradosso come già delineato nei titoli ossimorici e negli oggetti contenuti nelle valige: proiettili, cartucce e dardi in vetro soffiato si affiancano al rossetto, a sensuali guanti rossi e ai fili di perle. Assemblage dalla forte carica simbolica evocanti la Boîte-en-Valise di Duchamp (1938-’41) e Oggetto (rosa dei venti) di Joseph Cornell (1942-‘53). Le valigie divengono contenitori della memoria, scrigni nei quali universi silenziosi privi di un tempo materiale trovano spazio svelandosi e interagendo con lo spettatore. Mondi in miniatura che mantengono vivo il loro valore intrinseco di movimento, rivelando e celando al contempo la soggettività più intima – come sensualità e ferocia in Beauty Train Case. Centomila baci – in esse racchiuse, legandosi anche al concetto freudiano di valigia come simbolo di conflitti non risolti. Alla sperimentazione tecnica e linguistica si lega la produzione di Antonella Zito. Nell’installazione Psico-entità, cubi in plexiglass e led si fondono in una forma pura e concettuale, mentre nel video Onirica Realtà del 2011 si esaminano le paure, le pulsioni represse e la solitudine dei vari protagonisti in un gioco di sottili equilibri tra realtà e sogno e il loro timore di prendere coscienza del proprio io. L’unica via di salvezza è guardasi con sincerità, senza alcuna cesura morale e accettarsi nella propria complessità. Se per la Zito tale riferimento è esplicito, nel video La metamorfosi di Narciso del 2011 – omaggio all’omonima opera di Salvador Dalì – di Tommaso Pedone tale riflessione viene indotta dall’incessante gesto compiuto simultaneamente da un giovane Narciso dell’iconografia classica, che appare sul lato sinistro dello schermo e a destra da un Narciso ormai anziano, interpretato da un senzatetto. L’artista esplora il rapporto tra Mito-Realtà, Passato-Presente, Natura-Industria il cui binomio si ripropone visivamente nella suddivisione della schermo. Il video Gratta e Vinci (Scratch & Win) del 2009 é un'aspra riflessione dell’attuale crisi socio-economico internazionale e al medesimo tempo metafora dell’intrinseco rapporto tra fortuna e destino. Alberto Mariani, eccezionale performer protagonista del video, personifica un gratta e vinci umano: raschia avidamente e pieno di speranze il proprio corpo, otticamente deformato e diviso in tre piani, sino alla mera scoperta di un destino già scritto. L'inquadratura fissa e la desolante ambientazione dello spazio scenico, che si accende di colori evocativi e iconici, simbolo patriottico e di sofferenza, accentua il pathos provato. Si allontana dalla videoarte il vision-book Viaggio a Montevideo del 2010 di Antonio Nazzaro (montaggio video) ed Ezio Falcomer (voce narrante) sul testo poetico di Dino Campana. Come nel video The Clock di Christian Marclay, vincitore della 54° Biennale di Venezia, l’opera è composta da una sequenza di momenti filmici e immagini circolanti sulla rete che assemblati in maniera originale e autonoma, generano nuove immagini – metaimmagini – cariche di riferimenti simbolici ed evocative del testo poetico. Parole e immagini si fondono e confondono in una commistione armonica e allo stesso tempo antitetica che sottopongono i sensi dell’interlocutore a uno stimolo continuo. Si costruisce così un vero e proprio libro di immagini, di memorie che danno vita a un innovativo viaggio creativo generando un circuito di esperienze visive nuove. Passando dal video alla fotografia troviamo: Olivia Milani e Eleonora Zuin. Il Mexìco e Baja California, da sempre identificati come luoghi eco di vite dissolte, fanno da ambientazione alla serie fotografica Traces di Olivia Milani di cui presentiamo un trittico nel quale il silenzio diviene protagonista assoluto, icona di una condizione d'esilio globale. Trasportati al limite, anche geograficamente – sul confine tra Stati Uniti e Messico – solchiamo le orme di storie di vite spezzate, di sogni infranti e di città complesse che rimandano alle fotografie di Pedro Meyer e William Eggleston: luoghi periferici ripresi con dignità, colori tenui, afonia, attenzione per i dettagli, oggetti comuni consumati dal tempo e dall’uso portati in primo piano, come la poltrona bianca, sola nella vastità del deserto al centro del trittico. Decisamente differente è l’approccio al mezzo fotografico di Eleonora Zuin che espone una sequenza di quattro fotografie a colori dal titolo Wonder what’s next con le quali carpisce il momento che intercorre tra la fine di una storia e l’inizio di un altro racconto. Al centro vi è il mistero, l'incertezza dell'accaduto e del divenire dei personaggi ritratti, posti per questo motivo in secondo piano, sfuocati o riconoscibili dall’ombra che si staglia sulla strada lastricata. Un racconto che non ha inizio, né fine, un libro che lo spettatore è chiamato a concludere e a ideare in uno scambio silente di idee ed emozioni con i luoghi e i protagonisti delle immagini, privati entrambi di memoria storica. Delicatezza, armonia e lirismo sono le costanti che caratterizzano il processo creativo di Valentina Persico. Nell’installazione Rete Mirabile del 2010, assembla innumerevoli fogli di tarlatana dipinti – ognuno un’opera unica – sorretti da sottilissime aste in acciaio che provengono da un unico nucleo attorno al quale si sviluppa un armonico e leggiadro universo, avvicinandosi ai mobiles di Alexander Calder. Lo spettatore diviene parte integrante dell’opera: l’interazione tra le due entità genera movimento e dona dinamicità all’opera. Medesima leggerezza segnica caratterizza i due carboncini titolati Ipotesi. Tratti tecnicamente simili si individuano nei turbinii monocromatici che investono le preziose opere Senza Titolo di Giorgia Cavaliere. La grafite, l’olio di lino cotto e l’acrilico si amalgamano perfettamente sulla carta realizzando un’opera dall’intensa carica emotiva trasmessa dai contrasti cromatici, dalla reiterazione sulla materia e dalla vigorosa, corposa gestualità che traspare dai tratti segnici impressi sul supporto. Il pigmento è il protagonista assoluto: si muove armonioso a passi di danza come un corpo fluttuante nello spazio solo aparentemente privo di ferme caratteristiche distintive. L'autrice si allontana dando ampio spazio interpretativo allo spettatore: ultimo e definitivo interlocutore. Marilina Marchica punta a risvegliare nella memoria dell’osservatore luoghi del proprio passato e a far riaffiorare le connesse sensazioni e sentimenti provati, attraverso la rappresentazione di luoghi e particolari di una città – in questo caso muri, Muro#1 e Muro#7 – che sono volutamente anonimi e privi di specificità autoreferenziali. I muri divengono così il tramite di un processo introspettivo di ricordi, diventando scorci di racconti personali, cronache di tempi e vite, favorite dalla resa materica: sovrapposizione di più strati pittorici dominati dai toni grigi-ocra-avorio che si contrappongono agli scarni profili neri delle poche archittetture delineate. Due gli scultori in mostra: Giacomo Rossi – artista legato alla Street Art – e Alex Sala. Giacomo Rossi nell’installazione Totentenz realizza con imballaggi di recupero una serie di statuette di personaggi potenti che si alternano a scheletri viventi, loro custodi. Caricatura e fumetto celano un’aspra critica alla classe dirigente e governativa del Bel Paese. In Fragili, Povero Cristo e Carl Gustav le forme primitive e stilizzate divengono mezzo di crudo dileggio: gli schemi e ruoli sociali si sgretolano tra i vivi colori e la spigolosa materia lignea, che in Fragili (2008) è solo evocata dal disegno. Lo sfondo è composto da un collage con ritagli di giornale che donano profondità al trittico. Alex Sala, invece, scolpisce con maestria eleganti silhouette femminili dalle forme sinuose e delicate che rievocano, in maniera stilizzata e contemporanea, la figura di Gea, madre generatrice simbolo di fertilità e abbondanza. Seppur anonime, queste sculture totemiche filiformi, Ombra con gonna e In Solitudine, possiedono tratti distintivi ben definiti che per la loro purezza e levità accentuano l’impatto emotivo e visivo che hanno sullo spettatore. Ogni statua aleggia in una propria dimensione spazio-temporale, trascendendo ai limiti materiali.
Daniela Pacchiana e Jessica Paolillo, StatArt
Ana Soc propone un dittico dal forte impatto emotivo, intitolato Arte terapia “Claustrofobia", che inquadra il volto di una ragazza rinchiusa in una teca di plexiglass usurata dal tempo e dalle infiltrazioni, metafora dei soprusi e violenze subite. Il senso claustrofobico di restrizione e oppressione comunicato dall’immagine, viene ulteriormente accentuato dal “velo” – una sottile rete metallica – che avvolge completamente il viso della protagonista. Arte come terapia e mezzo di riscatto dalle ingiustizie subite, la cui potenza è catalizzata dalle mani, reiterate nei riflessi del materiale. Questa forza d’animo femminile viene analizzata anche nelle opere grafiche The Bad Queen, The Calling, The Woman Change e The New Power della serie Oktopussy di Saul Sanchez – Byesix che con grande maestria racconta la determinazione femminile. Donne dalla forte carica erotica guardano al mondo senza timore alcuno, una voce unisona che risuona nei toni accesi di queste figure multicolori definite solo nei caratteri distintivi della donna. L’artista gioca con la sessualità senza scadere nella volgarità. Monia Marchionni denuncia con la sua installazione intitolata In-difesa, un’altra tematica di grande attualità: il precariato giovanile. L’opera, in continua evoluzione e crescita, si compone di migliaia di contratti a progetto accumulati nel corso degli anni, dal 2007 al 2011, dalla stessa autrice e trasformati in cubetti di carta coi quale costruisce una torre, che inevitabilmente è precaria e instabile, come l’equilibrio e le prospettive di futuro dei giovani. Questa incertezza ha inevitabilmente ripercussioni sull’intera società civile. I cubetti sono flessibili e non vogliono un posto fisso a ogni costo, ma la torre per poter sopravvivere e reggersi in piedi ha bisogno di basi solide, di equità e giustizia, senza le quali diviene un rudere, un’architettura in sfacelo. Le opere dei giovani artisti appena presentati si confrontano con tre creazioni di Rossella Roli del 2008-2009 intitolate Beauty Train Case. Centomila baci; In forma; Coup de foudre. L’assalto che trattano tematiche impegnate quali la guerra e le strategie di attacco militare con una vena ironica, giocata sul paradosso come già delineato nei titoli ossimorici e negli oggetti contenuti nelle valige: proiettili, cartucce e dardi in vetro soffiato si affiancano al rossetto, a sensuali guanti rossi e ai fili di perle. Assemblage dalla forte carica simbolica evocanti la Boîte-en-Valise di Duchamp (1938-’41) e Oggetto (rosa dei venti) di Joseph Cornell (1942-‘53). Le valigie divengono contenitori della memoria, scrigni nei quali universi silenziosi privi di un tempo materiale trovano spazio svelandosi e interagendo con lo spettatore. Mondi in miniatura che mantengono vivo il loro valore intrinseco di movimento, rivelando e celando al contempo la soggettività più intima – come sensualità e ferocia in Beauty Train Case. Centomila baci – in esse racchiuse, legandosi anche al concetto freudiano di valigia come simbolo di conflitti non risolti. Alla sperimentazione tecnica e linguistica si lega la produzione di Antonella Zito. Nell’installazione Psico-entità, cubi in plexiglass e led si fondono in una forma pura e concettuale, mentre nel video Onirica Realtà del 2011 si esaminano le paure, le pulsioni represse e la solitudine dei vari protagonisti in un gioco di sottili equilibri tra realtà e sogno e il loro timore di prendere coscienza del proprio io. L’unica via di salvezza è guardasi con sincerità, senza alcuna cesura morale e accettarsi nella propria complessità. Se per la Zito tale riferimento è esplicito, nel video La metamorfosi di Narciso del 2011 – omaggio all’omonima opera di Salvador Dalì – di Tommaso Pedone tale riflessione viene indotta dall’incessante gesto compiuto simultaneamente da un giovane Narciso dell’iconografia classica, che appare sul lato sinistro dello schermo e a destra da un Narciso ormai anziano, interpretato da un senzatetto. L’artista esplora il rapporto tra Mito-Realtà, Passato-Presente, Natura-Industria il cui binomio si ripropone visivamente nella suddivisione della schermo. Il video Gratta e Vinci (Scratch & Win) del 2009 é un'aspra riflessione dell’attuale crisi socio-economico internazionale e al medesimo tempo metafora dell’intrinseco rapporto tra fortuna e destino. Alberto Mariani, eccezionale performer protagonista del video, personifica un gratta e vinci umano: raschia avidamente e pieno di speranze il proprio corpo, otticamente deformato e diviso in tre piani, sino alla mera scoperta di un destino già scritto. L'inquadratura fissa e la desolante ambientazione dello spazio scenico, che si accende di colori evocativi e iconici, simbolo patriottico e di sofferenza, accentua il pathos provato. Si allontana dalla videoarte il vision-book Viaggio a Montevideo del 2010 di Antonio Nazzaro (montaggio video) ed Ezio Falcomer (voce narrante) sul testo poetico di Dino Campana. Come nel video The Clock di Christian Marclay, vincitore della 54° Biennale di Venezia, l’opera è composta da una sequenza di momenti filmici e immagini circolanti sulla rete che assemblati in maniera originale e autonoma, generano nuove immagini – metaimmagini – cariche di riferimenti simbolici ed evocative del testo poetico. Parole e immagini si fondono e confondono in una commistione armonica e allo stesso tempo antitetica che sottopongono i sensi dell’interlocutore a uno stimolo continuo. Si costruisce così un vero e proprio libro di immagini, di memorie che danno vita a un innovativo viaggio creativo generando un circuito di esperienze visive nuove. Passando dal video alla fotografia troviamo: Olivia Milani e Eleonora Zuin. Il Mexìco e Baja California, da sempre identificati come luoghi eco di vite dissolte, fanno da ambientazione alla serie fotografica Traces di Olivia Milani di cui presentiamo un trittico nel quale il silenzio diviene protagonista assoluto, icona di una condizione d'esilio globale. Trasportati al limite, anche geograficamente – sul confine tra Stati Uniti e Messico – solchiamo le orme di storie di vite spezzate, di sogni infranti e di città complesse che rimandano alle fotografie di Pedro Meyer e William Eggleston: luoghi periferici ripresi con dignità, colori tenui, afonia, attenzione per i dettagli, oggetti comuni consumati dal tempo e dall’uso portati in primo piano, come la poltrona bianca, sola nella vastità del deserto al centro del trittico. Decisamente differente è l’approccio al mezzo fotografico di Eleonora Zuin che espone una sequenza di quattro fotografie a colori dal titolo Wonder what’s next con le quali carpisce il momento che intercorre tra la fine di una storia e l’inizio di un altro racconto. Al centro vi è il mistero, l'incertezza dell'accaduto e del divenire dei personaggi ritratti, posti per questo motivo in secondo piano, sfuocati o riconoscibili dall’ombra che si staglia sulla strada lastricata. Un racconto che non ha inizio, né fine, un libro che lo spettatore è chiamato a concludere e a ideare in uno scambio silente di idee ed emozioni con i luoghi e i protagonisti delle immagini, privati entrambi di memoria storica. Delicatezza, armonia e lirismo sono le costanti che caratterizzano il processo creativo di Valentina Persico. Nell’installazione Rete Mirabile del 2010, assembla innumerevoli fogli di tarlatana dipinti – ognuno un’opera unica – sorretti da sottilissime aste in acciaio che provengono da un unico nucleo attorno al quale si sviluppa un armonico e leggiadro universo, avvicinandosi ai mobiles di Alexander Calder. Lo spettatore diviene parte integrante dell’opera: l’interazione tra le due entità genera movimento e dona dinamicità all’opera. Medesima leggerezza segnica caratterizza i due carboncini titolati Ipotesi. Tratti tecnicamente simili si individuano nei turbinii monocromatici che investono le preziose opere Senza Titolo di Giorgia Cavaliere. La grafite, l’olio di lino cotto e l’acrilico si amalgamano perfettamente sulla carta realizzando un’opera dall’intensa carica emotiva trasmessa dai contrasti cromatici, dalla reiterazione sulla materia e dalla vigorosa, corposa gestualità che traspare dai tratti segnici impressi sul supporto. Il pigmento è il protagonista assoluto: si muove armonioso a passi di danza come un corpo fluttuante nello spazio solo aparentemente privo di ferme caratteristiche distintive. L'autrice si allontana dando ampio spazio interpretativo allo spettatore: ultimo e definitivo interlocutore. Marilina Marchica punta a risvegliare nella memoria dell’osservatore luoghi del proprio passato e a far riaffiorare le connesse sensazioni e sentimenti provati, attraverso la rappresentazione di luoghi e particolari di una città – in questo caso muri, Muro#1 e Muro#7 – che sono volutamente anonimi e privi di specificità autoreferenziali. I muri divengono così il tramite di un processo introspettivo di ricordi, diventando scorci di racconti personali, cronache di tempi e vite, favorite dalla resa materica: sovrapposizione di più strati pittorici dominati dai toni grigi-ocra-avorio che si contrappongono agli scarni profili neri delle poche archittetture delineate. Due gli scultori in mostra: Giacomo Rossi – artista legato alla Street Art – e Alex Sala. Giacomo Rossi nell’installazione Totentenz realizza con imballaggi di recupero una serie di statuette di personaggi potenti che si alternano a scheletri viventi, loro custodi. Caricatura e fumetto celano un’aspra critica alla classe dirigente e governativa del Bel Paese. In Fragili, Povero Cristo e Carl Gustav le forme primitive e stilizzate divengono mezzo di crudo dileggio: gli schemi e ruoli sociali si sgretolano tra i vivi colori e la spigolosa materia lignea, che in Fragili (2008) è solo evocata dal disegno. Lo sfondo è composto da un collage con ritagli di giornale che donano profondità al trittico. Alex Sala, invece, scolpisce con maestria eleganti silhouette femminili dalle forme sinuose e delicate che rievocano, in maniera stilizzata e contemporanea, la figura di Gea, madre generatrice simbolo di fertilità e abbondanza. Seppur anonime, queste sculture totemiche filiformi, Ombra con gonna e In Solitudine, possiedono tratti distintivi ben definiti che per la loro purezza e levità accentuano l’impatto emotivo e visivo che hanno sullo spettatore. Ogni statua aleggia in una propria dimensione spazio-temporale, trascendendo ai limiti materiali.
Daniela Pacchiana e Jessica Paolillo, StatArt
19
marzo 2012
Circuiti dinamici 4
Dal 19 al 31 marzo 2012
arte contemporanea
Location
CIRCUITI DINAMICI
Milano, Via Antonio Giovanola, 21/c, (Milano)
Milano, Via Antonio Giovanola, 21/c, (Milano)
Orario di apertura
dal Martedì al Sabato dalle ore 15.30 alle ore 17.30
Vernissage
19 Marzo 2012, ore 19.00
Autore
Curatore