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Claudio Coltorti – Dialogo
La Galleria Acappella è lieta di annunciare la seconda mostra personale in galleria dell’artista campano Claudio Coltorti, nato nel 1989, DIALOGO. Durante l’inaugurazione sarà presentato il secondo Numero della Rivista Acappella. La Rivista offre un secondo sguardo alle mostre in programma.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Oggi sono andato a rivedere i famosi coniugi
Arnolfini di Jan Van Eyck, 82 X 59,5 cm,
olio su tela, alla London Gallery anche se a
Londra non ci sono mai stato mi sono
avvicinato sempre più al quadro per
ricavarne una descrizione, discreta
l'economia dello sguardo (fare del pensiero
un'esattezza della visione), ma non ho potuto
non considerare anche questo avvicinarsi
come la descrizione di qualcosa: più mi
sforzavo di descrivere l'opera più vedevo la
mia stessa visione che si vedeva, la
descrizione che diveniva il luogo di una
distanza, un'impotenza semica che considera
infinitamente le sue possibilità: la descrizione,
momento per momento, come la
testimonianza di una sparizione originaria.
Anche il quadro per contro, mi sono detto, è
una descrizione o meglio una teoria delle
descrizioni possibili perché ciò che
rappresenta (la moglie vestita di seta verde, o
forse è moffola, l'oscuro barboncino, lo
sguardo osceno e vitreo del marito e la mano
che i due si tendono, i piedi nudi, le calzature
lasciate sul fondo che ricordano il soccus
latino, tutti quegli oggetti che slittavano sulla
mia retina e divenivano nella coscienza un
indistinto timico, il segnale di un segnale) è in
fondo un dato del reale: non sto qui dicendo
che Jan Van Eyck sia un pittore mimetico,
ma che nell'opera descrive la realtà nel suo
darsi all'immaginazione, perché la realtà non
è una presenza ma un'immagine che
descrivendo si cancella, una diagonale di
pulviscolo quando ci si passa attraverso; così
che la descrizione, mancando continuamente
la realtà, arriva per assurdo a raffigurarla. Ho
avuto perciò l'impressione che in quel
frangente la realtà (la mia ma anche quella del
mondo in cui vivevo e che si irradiava dal
salone della London Gallery) fosse in un
certo senso ferma al 1434, probabilmente
l'anno in cui messere Arnolfini si fece ritrarre
con la moglie dal visionario maestro
fiammingo, che cioè l'unica realtà in qualche
modo tangibile fosse quella e che tutto ciò
che mi era intorno fosse solo
un'interminabile astrazione, uno
slontanamento appunto dalla stanza in cui il
pittore e i coniugi si trovavano 581 anni fa
ma in cui si trovano anche ora. Allora il 1434
è la data in cui il tempo si è biforcato (una
delle infinite volte) creando a partire dai due
sposi in posa un tempo fatto unicamente
della loro descrizione: un allontanamento
progressivo e metalettico partendo appunto
da Van Eyck, genio della distorsione,
arrivando fino a me e agli individui che alle
mie spalle riproducono in jpeg l'opera del
fiammingo, la trasfigurazione mitopoietica di
una realtà che sta esistendo ma da cui ci
siamo separati e di cui quella trasfigurazione
è l'atto costitutivo. Come un dispositivo che
produce mondi paralleli l'opera ha costituito
un universo fatto solo della sua fruizione,
mentre i coniugi Arnolfini sono ancora nella
loro stanza, appena mossi dalla fissità della
posa, pronti a vivere una vita
che non è ancora accaduta.
Fabrizio Maria Spinelli
Arnolfini di Jan Van Eyck, 82 X 59,5 cm,
olio su tela, alla London Gallery anche se a
Londra non ci sono mai stato mi sono
avvicinato sempre più al quadro per
ricavarne una descrizione, discreta
l'economia dello sguardo (fare del pensiero
un'esattezza della visione), ma non ho potuto
non considerare anche questo avvicinarsi
come la descrizione di qualcosa: più mi
sforzavo di descrivere l'opera più vedevo la
mia stessa visione che si vedeva, la
descrizione che diveniva il luogo di una
distanza, un'impotenza semica che considera
infinitamente le sue possibilità: la descrizione,
momento per momento, come la
testimonianza di una sparizione originaria.
Anche il quadro per contro, mi sono detto, è
una descrizione o meglio una teoria delle
descrizioni possibili perché ciò che
rappresenta (la moglie vestita di seta verde, o
forse è moffola, l'oscuro barboncino, lo
sguardo osceno e vitreo del marito e la mano
che i due si tendono, i piedi nudi, le calzature
lasciate sul fondo che ricordano il soccus
latino, tutti quegli oggetti che slittavano sulla
mia retina e divenivano nella coscienza un
indistinto timico, il segnale di un segnale) è in
fondo un dato del reale: non sto qui dicendo
che Jan Van Eyck sia un pittore mimetico,
ma che nell'opera descrive la realtà nel suo
darsi all'immaginazione, perché la realtà non
è una presenza ma un'immagine che
descrivendo si cancella, una diagonale di
pulviscolo quando ci si passa attraverso; così
che la descrizione, mancando continuamente
la realtà, arriva per assurdo a raffigurarla. Ho
avuto perciò l'impressione che in quel
frangente la realtà (la mia ma anche quella del
mondo in cui vivevo e che si irradiava dal
salone della London Gallery) fosse in un
certo senso ferma al 1434, probabilmente
l'anno in cui messere Arnolfini si fece ritrarre
con la moglie dal visionario maestro
fiammingo, che cioè l'unica realtà in qualche
modo tangibile fosse quella e che tutto ciò
che mi era intorno fosse solo
un'interminabile astrazione, uno
slontanamento appunto dalla stanza in cui il
pittore e i coniugi si trovavano 581 anni fa
ma in cui si trovano anche ora. Allora il 1434
è la data in cui il tempo si è biforcato (una
delle infinite volte) creando a partire dai due
sposi in posa un tempo fatto unicamente
della loro descrizione: un allontanamento
progressivo e metalettico partendo appunto
da Van Eyck, genio della distorsione,
arrivando fino a me e agli individui che alle
mie spalle riproducono in jpeg l'opera del
fiammingo, la trasfigurazione mitopoietica di
una realtà che sta esistendo ma da cui ci
siamo separati e di cui quella trasfigurazione
è l'atto costitutivo. Come un dispositivo che
produce mondi paralleli l'opera ha costituito
un universo fatto solo della sua fruizione,
mentre i coniugi Arnolfini sono ancora nella
loro stanza, appena mossi dalla fissità della
posa, pronti a vivere una vita
che non è ancora accaduta.
Fabrizio Maria Spinelli
25
febbraio 2022
Claudio Coltorti – Dialogo
Dal 25 febbraio al 10 aprile 2022
arte contemporanea
Location
ACAPPELLA
Napoli, Via Cappella Vecchia, 8, (Napoli)
Napoli, Via Cappella Vecchia, 8, (Napoli)
Orario di apertura
da martedì a venerdi ore 16:30 19:30
Vernissage
25 Febbraio 2022, dalle ore 18:00 alle ore 22:00, su invito
Sito web
Autore
Autore testo critico