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Claudio Coltorti – Tele
L’opera di Claudio Coltorti (Napoli, 1989, vive e lavora ad Atene) si pone lo stesso obbiettivo cercando di superare la dicotomia tra figurativo e astratto attraverso una sorta di «realismo espanso» in cui il vero obiectum della rappresentazione non sono delle figure o degli oggetti, ma delle relazioni.
Comunicato stampa
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‘Il vero compito dell’artista non è quello di riprodurre o inventare delle forme bensì quello di captare delle forze’ così scriveva Gilles Deleuze in un vecchio libro sulla pittura di Francis Bacon.
L’opera di Claudio Coltorti (Napoli, 1989, vive e lavora ad Atene) si pone lo stesso obbiettivo cercando di superare la dicotomia tra figurativo e astratto attraverso una sorta di «realismo espanso» in cui il vero obiectum della rappresentazione non sono delle figure o degli oggetti, ma delle relazioni.
Sagome femminili (doppioni di un originale introvabile) si installano al centro di interni privi di profondità, attratte da uno schermo in cui lo sguardo umano (sembra dirci la pittura) è ciò che non si può guardare.
La reticenza nei confronti dell’organo che consente ai viventi di riconoscere l’altro da sé, permette tuttavia, di ravvisare in negativo quella che è l’importanza - quasi sacrale - dell’incontro e dei legami interumani raffigurati in questa pittura in cui gli schermi fanno solo da testimoni di un desiderio di connessione che è, inevitabilmente, sempre e solo mediato.
Le tele di Coltorti sono costellate da superfici rettangolari che rappresentano i soli luoghi in cui qualcosa accade veramente, in cui un evento prende forma, e verso cui le figure dirigono lo sguardo. Se ne possono distinguere almeno due tipi: gli smartphone, i portatili o gli specchi, il cui contenuto rimane sempre invisibile allo spettatore; oppure le pareti e le finestre, i fondali dei quadri: questi sfondi piatti, solitamente a colori vivaci, hanno il compito di comprimere lo spazio pittorico, finendo per invadere le figure, dando così l’impressione di una sorta di bidimensionalità capace di rendere, come diceva Rothko, «le stanze ancora più stanze». Questi sfondi hanno anche un altro carattere peculiare, essi sono dipinti, cioè letteralmente fatti di pittura: i paesaggi riprendono vecchie opere di Coltorti o motivi tipici dell’arte rinascimentale, sono quadri nei quadri.
Per quanto abbiano come contenuto un desiderio di intimità e comunicazione profondamente umano, le opere di Coltorti non rinunciano alla dimensione metalinguistica, alla riflessione sul mezzo, a dipingere la pittura. Il problema dell’autonomia o dell’eteronomia dell’arte è qui risolto intendendo la pittura come mediazione, come forma di conoscenza attraverso la quale si esperisce lo schema primario del vissuto. Il banale o il quotidiano che viene rappresentato (una donna che si spazzola, uno scrolling interminabile di un social network, una fotografia a un capezzolo) non è, come solitamente accade, sublimato, cioè elevato a insondabili profondità, o, al contrario, degradato a feticcio. Esso non è nemmeno simbolizzato, bensì è installato in una visione del mondo, in una precisa Weltanschauung. Queste scene comuni sono privilegiate in quanto favoriscono l’emergere delle strutture profonde della nostra esperienza, dei rapporti che costituiscono l’indice della nostra epoca. Sono uno specchio più fedele del nostro tempo.
Il realismo coltortiano non è perciò un realismo mimetico (nel suo senso deteriore), come ben evidenziato dalla sproporzionalità delle figure rappresentate (le mani sono spesso molto più grandi di tutte le altre parti del corpo) o dall’approssimazione con cui sono definiti i loro volti. I corpi dipinti da Coltorti sembrano giocattoli. Da ciò deriva in parte la sospensione e la magia caratteristiche della sua pittura, che intercetta il punto di indecidibilità tra serio e faceto, tra ovvio e profondo. Questo realismo perciò non va ricercato sul piano figurativo ma su quello appercettivo: Coltorti non trascrive un’immagine da uno schermo a un altro, dalla realtà al dipinto, ma piuttosto la traduce, la ricostituisce, in modo che sulla tela arrivi non l’apparenza, ma il sentimento dell’apparenza. La realtà, così com’è, ma al contempo diversa, nuova e potentissima.
Fabrizio Maria Spinelli
L’opera di Claudio Coltorti (Napoli, 1989, vive e lavora ad Atene) si pone lo stesso obbiettivo cercando di superare la dicotomia tra figurativo e astratto attraverso una sorta di «realismo espanso» in cui il vero obiectum della rappresentazione non sono delle figure o degli oggetti, ma delle relazioni.
Sagome femminili (doppioni di un originale introvabile) si installano al centro di interni privi di profondità, attratte da uno schermo in cui lo sguardo umano (sembra dirci la pittura) è ciò che non si può guardare.
La reticenza nei confronti dell’organo che consente ai viventi di riconoscere l’altro da sé, permette tuttavia, di ravvisare in negativo quella che è l’importanza - quasi sacrale - dell’incontro e dei legami interumani raffigurati in questa pittura in cui gli schermi fanno solo da testimoni di un desiderio di connessione che è, inevitabilmente, sempre e solo mediato.
Le tele di Coltorti sono costellate da superfici rettangolari che rappresentano i soli luoghi in cui qualcosa accade veramente, in cui un evento prende forma, e verso cui le figure dirigono lo sguardo. Se ne possono distinguere almeno due tipi: gli smartphone, i portatili o gli specchi, il cui contenuto rimane sempre invisibile allo spettatore; oppure le pareti e le finestre, i fondali dei quadri: questi sfondi piatti, solitamente a colori vivaci, hanno il compito di comprimere lo spazio pittorico, finendo per invadere le figure, dando così l’impressione di una sorta di bidimensionalità capace di rendere, come diceva Rothko, «le stanze ancora più stanze». Questi sfondi hanno anche un altro carattere peculiare, essi sono dipinti, cioè letteralmente fatti di pittura: i paesaggi riprendono vecchie opere di Coltorti o motivi tipici dell’arte rinascimentale, sono quadri nei quadri.
Per quanto abbiano come contenuto un desiderio di intimità e comunicazione profondamente umano, le opere di Coltorti non rinunciano alla dimensione metalinguistica, alla riflessione sul mezzo, a dipingere la pittura. Il problema dell’autonomia o dell’eteronomia dell’arte è qui risolto intendendo la pittura come mediazione, come forma di conoscenza attraverso la quale si esperisce lo schema primario del vissuto. Il banale o il quotidiano che viene rappresentato (una donna che si spazzola, uno scrolling interminabile di un social network, una fotografia a un capezzolo) non è, come solitamente accade, sublimato, cioè elevato a insondabili profondità, o, al contrario, degradato a feticcio. Esso non è nemmeno simbolizzato, bensì è installato in una visione del mondo, in una precisa Weltanschauung. Queste scene comuni sono privilegiate in quanto favoriscono l’emergere delle strutture profonde della nostra esperienza, dei rapporti che costituiscono l’indice della nostra epoca. Sono uno specchio più fedele del nostro tempo.
Il realismo coltortiano non è perciò un realismo mimetico (nel suo senso deteriore), come ben evidenziato dalla sproporzionalità delle figure rappresentate (le mani sono spesso molto più grandi di tutte le altre parti del corpo) o dall’approssimazione con cui sono definiti i loro volti. I corpi dipinti da Coltorti sembrano giocattoli. Da ciò deriva in parte la sospensione e la magia caratteristiche della sua pittura, che intercetta il punto di indecidibilità tra serio e faceto, tra ovvio e profondo. Questo realismo perciò non va ricercato sul piano figurativo ma su quello appercettivo: Coltorti non trascrive un’immagine da uno schermo a un altro, dalla realtà al dipinto, ma piuttosto la traduce, la ricostituisce, in modo che sulla tela arrivi non l’apparenza, ma il sentimento dell’apparenza. La realtà, così com’è, ma al contempo diversa, nuova e potentissima.
Fabrizio Maria Spinelli
26
giugno 2020
Claudio Coltorti – Tele
Dal 26 giugno al 12 settembre 2020
arte contemporanea
Location
ACAPPELLA
Napoli, Via Cappella Vecchia, 8, (Napoli)
Napoli, Via Cappella Vecchia, 8, (Napoli)
Orario di apertura
da martedì a venerdì ore 16-19,
sabato ore 11-14
Vernissage
26 Giugno 2020, dalle ore 18 alle ore 23
Editore
Acappella
Autore
Autore testo critico
Produzione organizzazione