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Confini. Frontiere
La mostra intende fornire motivi di riflessione sui concetti di confine e di frontiera, approfondendoli nell’ambito dei molteplici linguaggi fotografici della contemporaneità, declinati attraverso un panorama di possibili interpretazioni, date da una quindicina di artisti
Comunicato stampa
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La mostra intende fornire motivi di riflessione sui concetti di confine e di frontiera, approfondendoli nell’ambito dei molteplici linguaggi fotografici della contemporaneità, declinati attraverso un panorama di possibili interpretazioni, date da una quindicina di artisti, impegnati a vario titolo nel mondo della fotografia. Si è scelto di presentare lavori di fotografi che in modi e tempi diversi hanno comunque varcato i confini. Alcuni più impegnati nel campo della ricerca di nuove forme di rappresentazione visiva insieme ad altri che adoperano modalità più assimilabili al reportage.
Confini / Frontiere prende le mosse dal confine italo-sloveno, scomparso alla fine dello scorso anno, per rintracciarne i segni lasciati dalla guerra fredda, rende conto della realtà della “Nuova Europa” per arrivare poi a Chernobyl e varcare un confine della memoria, quello tra la vita e la morte. Si affronta quindi il tema delle frontiere invisibili, quelle linee spezzate che passano all’interno delle nostre città e che comprendono i luoghi d’incontro dei nuovi migranti, mettendole a confronto con quelle dei discendenti dei nostri connazionali emigrati in Argentina nel XIX secolo. Riprendendo la grande tradizione del fotogiornalismo, ci si trasferisce in un confine caldo del pianeta, dove un nuovo muro circonda i Territori palestinesi, prendendo il posto, assieme all’altro che viene eretto fra gli Stati Uniti d’America ed il Messico a guardia della Frontera, di quello di Berlino abbattuto nel 1989, Concludono la mostra le immagini di fotografi che hanno viaggiato in svariati luoghi del mondo raccontando la vita della gente che hanno incontrato e confrontandosi con culture diverse.
Non esiste la possibilità di varcare un confine senza un’idea della propria identità e la consapevolezza della necessità della convivenza.
Tramontata l’idea che i confini corrispondano a precise delimitazioni di carattere naturale, oggi prevale la concezione culturale del termine. Non una linea che separa, ma un qualcosa che unisce, un limite che comunque può essere superato, una porta che non deve restare chiusa, una soglia che deve essere varcata per entrare in una zona di contatto con l’altro da sé.
FOTOGRAFIE
LA ‘NUOVA EUROPA’
Carlo Andreasi / Passaggi di stato
Lorenzo Vitturi / Sul confine
Guido Guidi / Gorizia anno zero
Fabrizio Cicconi / Kai-Uwe Schulte-Bunert / 2_luoghi divisi
Pier Paolo Mittica / Chernobyl – l’eredità nascosta
MIGRANTI
Maria Zorzon / Parientes Lejanos / Parenti lontani
Marina Ballo Charmet / Parco
VECCHI E NUOVI MURI
Mario Dondero / Allontanamenti e segregazioni
Pier Paolo Cito / Limit / /
Bernard Plossu / La Frontera, Mexico 1974
ZONE DI CONTATTO
Danilo De Marco / Millepiani
Monika Bulaj / Soglie
Ryszard Kapus´cin´ski / Solo chi indossa tela grezza – immagini dall’Africa
TESTI
Antonio Giusa
Predrag Matvejevic´
POESIE
Leonardo Zanier
Dal testo Confini / Frontiere di Antonio Giusa (nel catalogo della mostra)
Le due parole che danno il titolo alla mostra sono spesso usate come sinonimi, ma in realtà portano in sé significati diversi e in continuo divenire, provenienti da vari ambiti disciplinari1.provenienti da vari ambiti disciplinari.
Per tentare una sintetica distinzione si potrebbe dire che i confini sono linee di delimitazione, di demarcazione di territori, innanzitutto quelli appartenenti alle varie entità statuali. Spesso si rimanda all’idea dei confini di Jean- Jacques Rousseau che riteneva che l’ordine politico europeo dovesse seguire la morfologia della natura. Ma fiumi, mari e montagne possono davvero essere considerati dei confini certi?
Le frontiere, invece, non sono linee, ma spazi in continua evoluzione, non visibili come i confini. Sono connotate da sfumature,
ambiguità, incertezze e, in generale, dall’instabilità. Si deve inoltre fare attenzione ai vari contesti continentali. Secondo la teoria americana della frontiera,mentre in Europa questa originariamente corrispondeva ad una linea fortificata che passa fra popolazioni numerose, nella storia americana era considerata una regione di opportunità e veniva associata all’idea di un futuro migliore.
Dapprima, nel secolo XIX, era la linea dell’americanizzazione più rapida che liberava le terre selvagge e sanciva il definitivo distacco dalla vecchia Europa. In seguito il tema fu ripreso da John Fitzgerald Kennedy con i suoi celebri discorsi della ‘nuova frontiera’ che convinsero l’opinione pubblica americana a credere in un futuro di progresso.
Si tratta comunque di categorie relativamente recenti, acquisite nel panorama europeo da un paio di secoli, continuamente messe in discussione e addirittura stravolte a partire dal 1989, anno dell’abbattimento del muro di Berlino, evento chiave rispetto al quale gli avvenimenti, soprattutto quelli relativi ai confini, si dispongono in un ‘prima’ o in un ‘dopo’.
L’idea che i confini corrispondano a precise delimitazioni di carattere naturale è ormai tramontata; oggi prevale la concezione culturale del termine, un qualcosa che non separa, ma unisce, una porta che non deve restare chiusa, un limite che comunque può essere valicato per raggiungere una zona di contatto.
Se poi si entra nell’ambito della soggettività delle esperienze personali, la percezione dei concetti di confine e frontiera si fa quanto mai incerta. Ad esempio, entrando nella dimensione concreta del mio spazio vissuto in un luogo di frontiera ai tempi della guerra fredda, attraversare il confine italoyugoslavo significava provare una serie di sensazioni che restano indelebili nella memoria.
La prima era quella di una dissimulata paura di non essere in regola.
Infatti il duplice rito del passaggio dall’altra parte veniva sempre vissuto con qualche patema d’animo, anche da chi non poteva essere definito un contrabbandiere. All’andata poliziotti e finanzieri svogliati si limitavano ad un minimo gesto della mano che significava ‘vada pure’ perché tanto, dopo pochi metri, avresti trovato i graniciari, che esigevano precisione assoluta nel rinnovo di documenti, assicurazione e carta verde, e i doganieri yugoslavi che, con fare indagatorio, facevano aprire il portabagagli dove magari avevi dimenticato un piccolo elettrodomestico o qualche oggetto di vita quotidiana, passibile di essere sottoposto a dogana. Al ritorno il rovesciamento dei ruoli, stessi impercettibili gesti ripetuti a est e subitanea trasformazione dei nostri militi. Seconda apertura del portabagagli a caccia di qualche chilo di carne o yogurt in più del lecito. Ma erano anche sensazioni corporee.
Innanzitutto visive; si passava dalla solidità degli edifici della modernità italiana,quella del miracolo economico, a
quella che mi sembrava la precarietà della Yugoslavia dominata da plastica e cartongesso.Ma anche il tatto, l’odorato ed il gusto erano interessati. Potevano anche bendarmi, avrei saputo di non essere in Italia. Avrei riconosciuto subito i dinari con i quali si poteva fare un po’‘gli americani’, l’odore del carbone con cui venivano alimentati gli impianti di riscaldamento e il sapore dolciastro dell’improbabile coca-cola locale che si chiamava yugokokta o quello sapido dell’ajvar, la salsa a base di peperoni più o meno piccanti che accompagnava cevapcici. Poi ho capito che quei pezzettidi carne non erano affatto autoctoni, come del resto le guardie di confine,
e che la popolazione locale avrebbe voluto essere più correttamente chiamata ‘slovena’.
Confini e frontiere sono fra i temi più dibattuti nell’arte contemporanea e di recente in Italia sono stati oggetto di un’importante mostra3.
In questo contesto è apparso utile fornire ulteriori motivi di riflessione e approfondimento nell’ambito dei molteplici linguaggi fotografici della contemporaneità, declinati attraverso un panorama di possibili interpretazioni, date da quattordici artisti, impegnati a vario titolo nel mondo della fotografia.
Si è scelto di presentare lavori di fotografi più impegnati nel campo della ricerca di nuove forme di rappresentazione visiva insieme a quelli di coloro che adoperano modalità più assimilabili al reportage.
Dal testo Confini / Frontiere di Antonio Giusa (nel catalogo della mostra)
Confini / Frontiere prende le mosse dal confine italo-sloveno, scomparso alla fine dello scorso anno, per rintracciarne i segni lasciati dalla guerra fredda, rende conto della realtà della “Nuova Europa” per arrivare poi a Chernobyl e varcare un confine della memoria, quello tra la vita e la morte. Si affronta quindi il tema delle frontiere invisibili, quelle linee spezzate che passano all’interno delle nostre città e che comprendono i luoghi d’incontro dei nuovi migranti, mettendole a confronto con quelle dei discendenti dei nostri connazionali emigrati in Argentina nel XIX secolo. Riprendendo la grande tradizione del fotogiornalismo, ci si trasferisce in un confine caldo del pianeta, dove un nuovo muro circonda i Territori palestinesi, prendendo il posto, assieme all’altro che viene eretto fra gli Stati Uniti d’America ed il Messico a guardia della Frontera, di quello di Berlino abbattuto nel 1989, Concludono la mostra le immagini di fotografi che hanno viaggiato in svariati luoghi del mondo raccontando la vita della gente che hanno incontrato e confrontandosi con culture diverse.
Non esiste la possibilità di varcare un confine senza un’idea della propria identità e la consapevolezza della necessità della convivenza.
Tramontata l’idea che i confini corrispondano a precise delimitazioni di carattere naturale, oggi prevale la concezione culturale del termine. Non una linea che separa, ma un qualcosa che unisce, un limite che comunque può essere superato, una porta che non deve restare chiusa, una soglia che deve essere varcata per entrare in una zona di contatto con l’altro da sé.
FOTOGRAFIE
LA ‘NUOVA EUROPA’
Carlo Andreasi / Passaggi di stato
Lorenzo Vitturi / Sul confine
Guido Guidi / Gorizia anno zero
Fabrizio Cicconi / Kai-Uwe Schulte-Bunert / 2_luoghi divisi
Pier Paolo Mittica / Chernobyl – l’eredità nascosta
MIGRANTI
Maria Zorzon / Parientes Lejanos / Parenti lontani
Marina Ballo Charmet / Parco
VECCHI E NUOVI MURI
Mario Dondero / Allontanamenti e segregazioni
Pier Paolo Cito / Limit / /
Bernard Plossu / La Frontera, Mexico 1974
ZONE DI CONTATTO
Danilo De Marco / Millepiani
Monika Bulaj / Soglie
Ryszard Kapus´cin´ski / Solo chi indossa tela grezza – immagini dall’Africa
TESTI
Antonio Giusa
Predrag Matvejevic´
POESIE
Leonardo Zanier
Dal testo Confini / Frontiere di Antonio Giusa (nel catalogo della mostra)
Le due parole che danno il titolo alla mostra sono spesso usate come sinonimi, ma in realtà portano in sé significati diversi e in continuo divenire, provenienti da vari ambiti disciplinari1.provenienti da vari ambiti disciplinari.
Per tentare una sintetica distinzione si potrebbe dire che i confini sono linee di delimitazione, di demarcazione di territori, innanzitutto quelli appartenenti alle varie entità statuali. Spesso si rimanda all’idea dei confini di Jean- Jacques Rousseau che riteneva che l’ordine politico europeo dovesse seguire la morfologia della natura. Ma fiumi, mari e montagne possono davvero essere considerati dei confini certi?
Le frontiere, invece, non sono linee, ma spazi in continua evoluzione, non visibili come i confini. Sono connotate da sfumature,
ambiguità, incertezze e, in generale, dall’instabilità. Si deve inoltre fare attenzione ai vari contesti continentali. Secondo la teoria americana della frontiera,mentre in Europa questa originariamente corrispondeva ad una linea fortificata che passa fra popolazioni numerose, nella storia americana era considerata una regione di opportunità e veniva associata all’idea di un futuro migliore.
Dapprima, nel secolo XIX, era la linea dell’americanizzazione più rapida che liberava le terre selvagge e sanciva il definitivo distacco dalla vecchia Europa. In seguito il tema fu ripreso da John Fitzgerald Kennedy con i suoi celebri discorsi della ‘nuova frontiera’ che convinsero l’opinione pubblica americana a credere in un futuro di progresso.
Si tratta comunque di categorie relativamente recenti, acquisite nel panorama europeo da un paio di secoli, continuamente messe in discussione e addirittura stravolte a partire dal 1989, anno dell’abbattimento del muro di Berlino, evento chiave rispetto al quale gli avvenimenti, soprattutto quelli relativi ai confini, si dispongono in un ‘prima’ o in un ‘dopo’.
L’idea che i confini corrispondano a precise delimitazioni di carattere naturale è ormai tramontata; oggi prevale la concezione culturale del termine, un qualcosa che non separa, ma unisce, una porta che non deve restare chiusa, un limite che comunque può essere valicato per raggiungere una zona di contatto.
Se poi si entra nell’ambito della soggettività delle esperienze personali, la percezione dei concetti di confine e frontiera si fa quanto mai incerta. Ad esempio, entrando nella dimensione concreta del mio spazio vissuto in un luogo di frontiera ai tempi della guerra fredda, attraversare il confine italoyugoslavo significava provare una serie di sensazioni che restano indelebili nella memoria.
La prima era quella di una dissimulata paura di non essere in regola.
Infatti il duplice rito del passaggio dall’altra parte veniva sempre vissuto con qualche patema d’animo, anche da chi non poteva essere definito un contrabbandiere. All’andata poliziotti e finanzieri svogliati si limitavano ad un minimo gesto della mano che significava ‘vada pure’ perché tanto, dopo pochi metri, avresti trovato i graniciari, che esigevano precisione assoluta nel rinnovo di documenti, assicurazione e carta verde, e i doganieri yugoslavi che, con fare indagatorio, facevano aprire il portabagagli dove magari avevi dimenticato un piccolo elettrodomestico o qualche oggetto di vita quotidiana, passibile di essere sottoposto a dogana. Al ritorno il rovesciamento dei ruoli, stessi impercettibili gesti ripetuti a est e subitanea trasformazione dei nostri militi. Seconda apertura del portabagagli a caccia di qualche chilo di carne o yogurt in più del lecito. Ma erano anche sensazioni corporee.
Innanzitutto visive; si passava dalla solidità degli edifici della modernità italiana,quella del miracolo economico, a
quella che mi sembrava la precarietà della Yugoslavia dominata da plastica e cartongesso.Ma anche il tatto, l’odorato ed il gusto erano interessati. Potevano anche bendarmi, avrei saputo di non essere in Italia. Avrei riconosciuto subito i dinari con i quali si poteva fare un po’‘gli americani’, l’odore del carbone con cui venivano alimentati gli impianti di riscaldamento e il sapore dolciastro dell’improbabile coca-cola locale che si chiamava yugokokta o quello sapido dell’ajvar, la salsa a base di peperoni più o meno piccanti che accompagnava cevapcici. Poi ho capito che quei pezzettidi carne non erano affatto autoctoni, come del resto le guardie di confine,
e che la popolazione locale avrebbe voluto essere più correttamente chiamata ‘slovena’.
Confini e frontiere sono fra i temi più dibattuti nell’arte contemporanea e di recente in Italia sono stati oggetto di un’importante mostra3.
In questo contesto è apparso utile fornire ulteriori motivi di riflessione e approfondimento nell’ambito dei molteplici linguaggi fotografici della contemporaneità, declinati attraverso un panorama di possibili interpretazioni, date da quattordici artisti, impegnati a vario titolo nel mondo della fotografia.
Si è scelto di presentare lavori di fotografi più impegnati nel campo della ricerca di nuove forme di rappresentazione visiva insieme a quelli di coloro che adoperano modalità più assimilabili al reportage.
Dal testo Confini / Frontiere di Antonio Giusa (nel catalogo della mostra)
05
luglio 2008
Confini. Frontiere
Dal 05 luglio al 07 settembre 2008
fotografia
Location
SPAZI ESPOSITIVI DELLA PROVINCIA – PALAZZO DELLA PROVINCIA
Pordenone, Corso Giuseppe Garibaldi, 8, (Pordenone)
Pordenone, Corso Giuseppe Garibaldi, 8, (Pordenone)
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