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Contenitori di Emozioni
Un gruppo di artisti propone i suoi “contenitori”, in ceramica ma non solo, utilizzando diversi materiali, offrendo ai visitatori della mostra il pretesto per un dibattito che si preannuncia coinvolgente
Comunicato stampa
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Oggi più che mai il paesaggio urbano è costellato di contenitori, la raccolta differenziata ne propone sempre di nuovi: sono i contenitori dei nostri rifiuti, spesso destinati a miglior vita, al riciclo, per essere ottimisti. Il contenitore dei rifiuti è anche diventato oggetto d’arte, rivestito di segni pittorici, ma spesso è pietosamente nascosto da muri o pergolati, per non turbare la sensibilità di chi passa. Un artista americano, Justin Gignac, ha pensato di raccogliere lattine, cartaccia, piccoli rifiuti per confezionarli in scatole trasparenti, a futura memoria. Ogni persona produce oggetti, soprattutto oggetti dentro contenitori: sacri o profani, vissuti o contemplati, misteriosi o banalizzati i contenitori sono anche riaffermazione della creatività umana, silenziose alternative alla macchina, all’ordigno, al robot. Un gruppo di artisti propone i suoi “contenitori”, in ceramica ma non solo, utilizzando diversi materiali, offrendo ai visitatori della mostra il pretesto per un dibattito che si preannuncia coinvolgente.
CONTENITORI DI EMOZIONI
UNA MOSTRA CONTEMPORANEA
di Lorenza Rossi
Quello del contenitore è “il mestiere più antico del mondo”: può essere la risposta alla domanda, infantile e insolubile, se spetti all’uovo o alla gallina il primato della nascita. Molto tempo prima che venisse elaborato il linguaggio scritto, l’uomo si serviva ampiamente dei contenitori, ciotole o vasi, per la raccolta del cibo. I decori erano essenziali, talvolta ottenuti a graffito o mediante l’impressione di impronte sull’argilla. Gli antichi Greci in seguito avevano elaborato un linguaggio formale preciso: crateri, anfore, idrie, diverse le forme per contenere e mescere il vino, per trasportare o versare l’acqua. Nel rito cristiano il calice è il segno visibile e tangibile della presenza di Dio. Il significato più antico del contenitore è quello di preservare e diffondere la vita; la sua funzione correlata può essere quella di arginare l’effimero. Un contenitore può essere utile e bello anche se vuoto: così, di conseguenza, si trasforma in oggetto, di cui viene affermata una valenza estetica. L’arte contemporanea ha utilizzato spesso i contenitori per evidenziarne un ruolo strutturale, come frammenti manipolabili del linguaggio: il contenitore è stato aperto, demolito, utilizzato in modo improprio, assemblato. Questa operazione di rinnovamento semantico ha certamente un padre: Marcel Duchamp con il “ready made” Why Not Sneeze, Rose Sèlavy? (le ultime due parole sono anagramma di Eros c’est la vie) ; non è un caso che, contestualmente, oltre a utilizzare, snaturandola, una gabbietta per gli uccelli, Duchamp abbia giocato con i fonemi linguistici. Questo avveniva nel 1921. All’epoca erano già note le teorie sull’ arbitrarietà dei linguaggi di Ferdinand De Saussure, che definiva il “segno” linguistico come l’unità di significante (immagine acustica, forma esteriore) e significato ( concetto, contenuto). De Saussure aveva spiegato che il rapporto tra significato e significante, nel segno, è solo contingente, perché normalmente accade che stessi concetti siano espressi con lingue diverse. Stabilita l’arbitrarietà del significante e applicato lo stesso principio alla forma dell’oggetto-contenitore anche gli artisti, come Duchamp, hanno aperto la strada alla sperimentazione concettuale: la Merda d’artista di Piero Manzoni, del 1961, ne è conseguenza. Soltanto che Manzoni si spinge oltre: è il contenuto a essere arbitrario così come lo è il contenitore. Negli impacchettamenti “nouveau-realiste” Christo non utilizza un contenitore, ma un involucro sottile sul paesaggio, che lo cela e lo sottolinea nello stesso momento; Mimmo Paladino a Modena copre, in seguito, con segni dipinti su tela, una torre, negando così l’identità del suo contenuto. Accogliendo le utopie maturate nell’ambito dell’Arte generativa attraverso il metodo informatico o mediante formule matematiche l’architettura, come un guscio protettivo di crostaceo o uno scheletro snodabile, può diventare un enorme contenitore, incorporare un paesaggio, una costiera, una città, seguendo un principio genetico solo in parte attivato dall’intervento umano . Ma certo, da sempre, ogni persona produce oggetti, soprattutto oggetti dentro contenitori: sacri o profani, vissuti o contemplati, misteriosi o banalizzati gli incartamenti, le scatole, le bottiglie sono anche riaffermazione della creatività umana, silenziose alternative alla macchina, all’ordigno, al robot. Oggi più che mai il paesaggio urbano è costellato di contenitori che forse ne contengono altri: vuoto a perdere, vuoto riciclabile…. Sono i contenitori dei nostri rifiuti, spesso destinati a nuova vita, per essere ottimisti. Il contenitore dei rifiuti è anche diventato oggetto d’arte, rivestito di segni pittorici, oppure è nascosto da muri o pergolati, per non turbare la sensibilità di chi passa. Un artista americano, Justin Gignac, ha pensato di raccogliere lattine, cartaccia, piccoli rifiuti per confezionarli in scatole trasparenti, a futura memoria. E la scatola televisiva? Nell’era dei reality show la spettacolarizzazione delle emozioni all’interno di programmi-contenitori televisivi, che su esse si fondano per accrescere l’audience, le introduce nel circuito del mercato. Le emozioni diventano oggetto, merce di scambio: attenzione, però, un oggetto mercificato può essere falso. Esistono ancora emozioni D.O.C.?
Su questo tema si è formato un gruppo di artisti che oggi propone i suoi “CONTENITORI DI EMOZIONI”, in ceramica ma non solo, utilizzando diversi materiali e offrendo ai visitatori della mostra il pretesto per un dibattito che si preannuncia coinvolgente: le emozioni dentro i contenitori più svariati sono racchiuse, celate, messe a disposizione oppure lasciate alla libera intuizione dell’osservatore.
CONTENITORI DI EMOZIONI
UNA MOSTRA CONTEMPORANEA
di Lorenza Rossi
Quello del contenitore è “il mestiere più antico del mondo”: può essere la risposta alla domanda, infantile e insolubile, se spetti all’uovo o alla gallina il primato della nascita. Molto tempo prima che venisse elaborato il linguaggio scritto, l’uomo si serviva ampiamente dei contenitori, ciotole o vasi, per la raccolta del cibo. I decori erano essenziali, talvolta ottenuti a graffito o mediante l’impressione di impronte sull’argilla. Gli antichi Greci in seguito avevano elaborato un linguaggio formale preciso: crateri, anfore, idrie, diverse le forme per contenere e mescere il vino, per trasportare o versare l’acqua. Nel rito cristiano il calice è il segno visibile e tangibile della presenza di Dio. Il significato più antico del contenitore è quello di preservare e diffondere la vita; la sua funzione correlata può essere quella di arginare l’effimero. Un contenitore può essere utile e bello anche se vuoto: così, di conseguenza, si trasforma in oggetto, di cui viene affermata una valenza estetica. L’arte contemporanea ha utilizzato spesso i contenitori per evidenziarne un ruolo strutturale, come frammenti manipolabili del linguaggio: il contenitore è stato aperto, demolito, utilizzato in modo improprio, assemblato. Questa operazione di rinnovamento semantico ha certamente un padre: Marcel Duchamp con il “ready made” Why Not Sneeze, Rose Sèlavy? (le ultime due parole sono anagramma di Eros c’est la vie) ; non è un caso che, contestualmente, oltre a utilizzare, snaturandola, una gabbietta per gli uccelli, Duchamp abbia giocato con i fonemi linguistici. Questo avveniva nel 1921. All’epoca erano già note le teorie sull’ arbitrarietà dei linguaggi di Ferdinand De Saussure, che definiva il “segno” linguistico come l’unità di significante (immagine acustica, forma esteriore) e significato ( concetto, contenuto). De Saussure aveva spiegato che il rapporto tra significato e significante, nel segno, è solo contingente, perché normalmente accade che stessi concetti siano espressi con lingue diverse. Stabilita l’arbitrarietà del significante e applicato lo stesso principio alla forma dell’oggetto-contenitore anche gli artisti, come Duchamp, hanno aperto la strada alla sperimentazione concettuale: la Merda d’artista di Piero Manzoni, del 1961, ne è conseguenza. Soltanto che Manzoni si spinge oltre: è il contenuto a essere arbitrario così come lo è il contenitore. Negli impacchettamenti “nouveau-realiste” Christo non utilizza un contenitore, ma un involucro sottile sul paesaggio, che lo cela e lo sottolinea nello stesso momento; Mimmo Paladino a Modena copre, in seguito, con segni dipinti su tela, una torre, negando così l’identità del suo contenuto. Accogliendo le utopie maturate nell’ambito dell’Arte generativa attraverso il metodo informatico o mediante formule matematiche l’architettura, come un guscio protettivo di crostaceo o uno scheletro snodabile, può diventare un enorme contenitore, incorporare un paesaggio, una costiera, una città, seguendo un principio genetico solo in parte attivato dall’intervento umano . Ma certo, da sempre, ogni persona produce oggetti, soprattutto oggetti dentro contenitori: sacri o profani, vissuti o contemplati, misteriosi o banalizzati gli incartamenti, le scatole, le bottiglie sono anche riaffermazione della creatività umana, silenziose alternative alla macchina, all’ordigno, al robot. Oggi più che mai il paesaggio urbano è costellato di contenitori che forse ne contengono altri: vuoto a perdere, vuoto riciclabile…. Sono i contenitori dei nostri rifiuti, spesso destinati a nuova vita, per essere ottimisti. Il contenitore dei rifiuti è anche diventato oggetto d’arte, rivestito di segni pittorici, oppure è nascosto da muri o pergolati, per non turbare la sensibilità di chi passa. Un artista americano, Justin Gignac, ha pensato di raccogliere lattine, cartaccia, piccoli rifiuti per confezionarli in scatole trasparenti, a futura memoria. E la scatola televisiva? Nell’era dei reality show la spettacolarizzazione delle emozioni all’interno di programmi-contenitori televisivi, che su esse si fondano per accrescere l’audience, le introduce nel circuito del mercato. Le emozioni diventano oggetto, merce di scambio: attenzione, però, un oggetto mercificato può essere falso. Esistono ancora emozioni D.O.C.?
Su questo tema si è formato un gruppo di artisti che oggi propone i suoi “CONTENITORI DI EMOZIONI”, in ceramica ma non solo, utilizzando diversi materiali e offrendo ai visitatori della mostra il pretesto per un dibattito che si preannuncia coinvolgente: le emozioni dentro i contenitori più svariati sono racchiuse, celate, messe a disposizione oppure lasciate alla libera intuizione dell’osservatore.
03
dicembre 2011
Contenitori di Emozioni
Dal 03 al 16 dicembre 2011
arte contemporanea
arti decorative e industriali
arti decorative e industriali
Location
POZZO GARITTA 11
Albissola Marina, Piazza Pozzo Garitta, 11, (Savona)
Albissola Marina, Piazza Pozzo Garitta, 11, (Savona)
Vernissage
3 Dicembre 2011, ore 17
Autore