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Controguerra 2018. Un segno di pace, nel centenario della Grande Guerra
Controguerra 2018. Un segno di pace, nel centenario della Grande Guerra, esposizione d’arte curata da Giuseppe Bacci che apre i battenti nel Complesso basilicale paleocristiano di Cimitile nell’ambito dell’omonimo e prestigioso Premio letterario, sempre attento alle questioni dell’arte. Una mostra quale segno di pace del mondo dell’arte, a cento anni dalla fine della Grande Guerra, che si articola in due straordinarie sedi – le basiliche di Santo Stefano e di San Giovanni site nell’altrettanto straordinario complesso paleocristiano di Cimitile – per celebrare i cent’anni della fine della Grande Guerra. Fu l’armistizio di Compiègne a decretarne la fine, sottoscritto alle ore 11:00 dell’11 novembre 1918 tra l’Impero tedesco e le Potenze alleate in un vagone ferroviario nei boschi vicino a Compiègne, in Piccardia, nella Francia settentrionale.
Qual è il compito dell’arte in questa drammatica situazione odierna?. L’arte deve affrontare la contemporaneità per dare le giuste interpretazioni ai problemi del proprio tempo ed esserne testimone. Questa mostra offre la testimonianza attraverso la considerazione della tragedia della guerra (con prospettiva di superarla e non di renderla inevitabile) per cui, alla luce di ciò, l’arte diventa espressione, vettore di speranza.
L’arte ha una funzione sociale giacché può essere veicolo dei più alti valori umani e spirituali: può levarsi a protesta e rivolta contro il male, l’ingiustizia; può esprimere il gemito di dolore e il grido di rivolta di colui che è oppresso. Comunque sia, l’arte ribadisce la sua partecipazione alla contemporaneità, della quale si fa testimonianza.
I conflitti possono essere etnici, religiosi, politici… ma sono alimentati sempre dal desiderio di prevaricazione, di supremazia e/o spinti da interessi economici. In alcuni casi poi, paradossalmente, si impiega la guerra per ristabilire la pace. Terrore, sofferenza… la bassezza umana e l’odio affiorano in ogni guerra, ciascuna delle quali è simbolo dell’eterno conflitto delle potenze che distruggono contro quelle che costruiscono. La parola giustizia nel tempo ha assunto significati diversi, a seconda dei contesti storici e sociali di riferimento, ma il suo contrario, ingiustizia, ha sovente significato sacrificio di innocenti diventati vittime espiatrici.
Frequentemente si sente il bisogno di collaborazione per costruire la pace con il superamento dei contrasti attraverso l’intesa, la comunicazione, ma la pace richiede un compromesso, un costo che può essere anche il semplice fare un passo indietro, senza naturalmente tralasciare la giusta riflessione sulle terribili conseguenze di qualsiasi conflitto bellico. L’arte descrive e rappresenta i conflitti, ammonisce l’uomo di non cedere alla crudeltà che perennemente lo insidia e lo combatte. Ciò significa che la carta della libertà non si gioca rispondendo alla violenza con altrettanta violenza, mettendosi l’uno contro l’altro, ma aprendosi al dialogo e al confronto.
Nelle scuole si studiano i conflitti che nel corso degli anni hanno macchiato la storia di sangue, ma nonostante ciò sembra che quella della guerra sia una saga senza fine, destinata a ripetersi nonostante nella Carta delle Nazioni Unite, dopo la Seconda guerra mondiale, sia enunciato che lo scopo dell’organizzazione è “preservare le generazioni future dal flagello della guerra”.
Organizzare una mostra significa mettere insieme diversi artisti per scrivere una storia attorno ad un canovaccio, creare un percorso per arrivare ad una rassegna che di per sé può rappresentare l’istantaneità di un momento di espressione. Con la poetica della loro forma d’arte, artisti di eccellente e notevole livello hanno raccolto la sfida e hanno viaggiato sulle ali dell’ispirazione per giungere all’epifania e all’identità della materia. Ai grandi Maestri storici: Renato Barisani, Giorgio Bompadre, Claudio D’Angelo, Antonio Di Fabrizio, Giannetto Fieschi, Lorenzo Guerrini, Alessandro Kokocinski, Umberto Mastroianni, Concetto Pozzati e Wladimiro Tulli si affiancano presenze appartenenti ad un ventaglio generazionale operante nella contemporaneità, quali: Ubaldo Bartolini, Enrico Benaglia, Carlo Bertocci, Moreno Bondi, Ennio Calabria, Paola Campidelli, Tommaso Cascella, Angelo Casciello, Pietro Casentini, Lucilla Catania, Bruno Ceccobelli, Fausto Cheng, Marco Cingolani, Piergiorgio Colombara, Giulio De Mitri, Alberto Di Fabio, Ido Erani, Marcello Ercole, Enzo Esposito, Terenzio Eusebi, Stefania Fabrizi, Gigino Falconi, Andrea Fogli, Silvio Formichetti, Omar Galliani, Michelangelo Galliani, Rosario Genovese, Franco Giletta, Alessandra Giovannoni, Giuliano Giuliani, Corrado Grifa, Franco Ionda, Fabrizio Lavagna, Guido Lodigiani, Antonella Lombardi, Carlo Lorenzetti, Nino Luca, Saverio Magno, Paolo Marazzi, Max Marra, Franco Marrocco, Andrea Martinelli, Marino Melarangelo, Giuseppe Monguzzi, Franco Mulas, Elias Naman, Matteo Nannini, Nicola Nannini, Franco Nocera, Romano Notari, Luigi Ontani, Achille Pace, Luigi Pagano, Mimmo Paladino, Alessandra Pennini, Michele Peri, Franco Politano, Pino Procopio, Salvatore Pulvirenti, Stella Radicati, Oliviero Rainaldi, Ugo Riva, Maurizio Romani, Lucia Rotundo, Cinzia Rubino, Maurizio Ruzzi, Augusto Salati, Sandro Sanna, Ruggero Savinio, Jacopo Scassellati, Vincenzo Scolamiero, Medhat Shafik, Paolo Spoltore, Lucia Stefanetti, Guido Strazza, Matteo Tenardi, Alberto Timossi, Marco Tirelli, Francesco Trovato, Barbara Tutino, Mario Vespasiani, Antonio Violetta, Simone Zaccagnini, Elisa Zadi, Giovanni Zoda ed altri.
Quanto esposto in mostra intende stimolare la riflessione sulla natura distruttiva e ingiustificabile di qualsiasi evento bellico, che inevitabilmente porta con sé morte, distruzione, abbrutimento e che pone l’uomo di fronte a uomo in una comune condizione di vittima. Le ragioni di una rassegna di questo tipo sono semplici. L’artista concepisce la propria comunicazione contestualmente al momento storico che vive e una mostra d’arte a tema, quale questa, è connaturalmente legata alle criticità sociali e politiche che viviamo, ma il messaggio è che, oltre ai conflitti, il progresso morale esiste e va in direzione di una maggiore solidarietà umana, intesa come rispetto delle differenze (etniche, religiose…) e come passaggio dall’“io” al “noi” come persone infinitamente diverse.
L’arte assurge sempre più a rappresentazione e interpretazione di quanto viviamo: è una specie di interfaccia che si interpone alla realtà e non più, quindi, un complesso di immagini da contemplare. A sua volta lo spettatore non è un mero osservatore, ma è interpellato a partecipare dinamicamente per entrare all’interno del contenuto stesso dell’opera, per riadattarlo e modificarlo. Le immagini artistiche non esprimono mai del tutto ciò che il pittore sentiva durante il suo lavoro, ma ce ne danno solo un’indicazione. Sta alla sensibilità dell’osservatore ricostruire il percorso che ha condotto alla creazione dell’opera per poi ri-metabolizzarlo e produrre nuove dinamiche e interpretazioni, per cui tra l’opera e lo spettatore si instaura non una comunicazione unidirezionale ma bidirezionale, che induce cambiamenti e aggiustamenti nel pensiero di chi osserva.
La necessità di lasciare qualcosa che riesca ad innescare uno scambio tra opera e osservatore è prerogativa degli artisti presenti in mostra, che con le loro produzioni tentano di intrattenere un rapporto con il mondo. Ciò significa che l’arte non si pone al di sopra del mondo: l’opera si colloca quale inserto nella situazione reale contingente. Che l’arte si metta sulla strada di un possibile compito sociale e che cerchi di avere quel ruolo di segnale d’allarme che aveva in passato è fuori dubbio, ma è anche vero che oggi l’individuo è schiacciato da tante immagini banalizzanti (essenzialmente televisive) per cui fa fatica a trasmettere i suoi messaggi, quelli che contengono delle denunce di quanto oggi accade.
Certo, l’arte non può mettere fine ad una guerra, né nutrire chi ha fame, ma può ridare forma alle percezioni, modificando il modo in cui la gente vede e comprende il proprio mondo. Gli artisti sono parte attiva nella creazione della più aperta e tollerante visione della realtà, visione indispensabile per ristabilire un nuovo equilibrio fra universalità e diversità culturali.
Controguerra 2018. Un segno di pace, nel centenario della Grande Guerra
Cimitile, (Napoli)