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Corpo Sacro
“..Si esamina un corpo naturale e risorge un corpo spirituale.. vi dico infatti, che la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l’incorruttibilità..”
(Paolo di Tarso- prima lettera ai Corinti)
Comunicato stampa
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Corpo Sacro
“..Si esamina un corpo naturale e risorge un corpo spirituale.. vi dico infatti, che la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l’incorruttibilità..”
(Paolo di Tarso- prima lettera ai Corinti)
Quando parliamo di Corpo Sacro mi viene in mente l’espressione del famoso poeta statunitense Walt Withman “ If anything is sacred, the human body is sacred” - “Se qualcosa è sacro, il corpo umano è sacro”. Nel Corso del ventesimo secolo alcuni cambiamenti profondi nel rapporto tra arte e figura umana hanno azzerato secoli di convenzioni, modificando radicalmente la posizione del corpo, del soggetto, dell’artista e del fruitore e reimpostando nuovi ruoli. Il nocciolo principale di questo cambiamento è stato il passaggio da un ruolo passivo a un ruolo attivo del corpo stesso, che da fenomeno statico e visivo diventa incarnazione di relazioni umane addirittura strumento di intervento e cambiamento sociale. Osservato nella prospettiva simbolica dell’unitarietà, il corpo partecipa alla dimensione spirituale insieme a quella materiale, ed è all’interno di questa dimensione comunitaria che si manifesta nel suo aspetto sacro, di appartenenza all’ambito divino. Possiamo ricollegare il corpo alla truttura e nomenclatura della Chiesa per spiegare il concetto di sacro. La disposizione materiale della chiesa rappresenta il corpo umano, perché il cancello o il luogo in cui si trova l’altare rappresenta la testa e le navate centrali e laterali, rappresentando la croce, simbolicamente richiamano braccia e mani; infine, l’altra parte che si sviluppa a Occidente rappresenta il resto del corpo.
La parola sacro deriva da Sak recinto: conduce ai significati di “separazione” e “definizione”, perché un recinto chiude, conclude, protegge, separa. Da sak deriva sacer, quindi sacrum: cosa è separato, l’ambito distinto e separato dal nostro mondo, l’ambito che appartiene alla divinità.. Tutto il resto, tutto ciò che non è sacro, è profano, ovvero, posto di fronte (pro) al tempio (fanum), è cosa che non appartiene alla divinità e che la divinità sia lontana da essa. Reso intenso nella forma sank, la radice ha dato vita a sàncere, da dove viene “sancire” (definire, fissare, concludere, compiere), e al suo participio passato sanctus, “santo” (il compiuto, il perfetto).
In ambito cristiano la riflessione sul corpo è assolutamente essenziale a motivo di incarnazione di Cristo; egli rivela così che non c‘è incompatibilità assoluta tra la trascendenza divina e la mortalità corporea umana. Sia nella tradizione cristiana, sia nelle altre tradizioni , il dibattito sul valore del corpo umano è sempre stato vivace e determinante per la vita morale e per il comportamento in genere, a tal proposito ritengo significativa un tale progetto di mostra, sulla concezione del corpo inteso sacro nella sua accezione di universalità, ossia il riguardaci tutti da vicino ed il riportarci attraverso l’arte alla sua liberazione e disvelamento interiore. Contrariamente a quanto si potrebbe ritenere le religioni, che dovrebbero occuparsi dello spirito, in realtà si occupano di gestioni che riguardano il corpo, con prescrizioni e divieti: il sesso, l’igiene, il matrimonio, la famiglia, il cibo l’alcol. Il paradosso del corpo che si ferma e si nega nelle religioni, del corpo individuale e sociale insieme luogo dell’apertura al sacro, ha mostrato il superamento della concezione di Nietzsche ed Heidegger secondo cui la civiltà della tecnica avrebbe distrutto il religioso, mostrando piuttosto le varie modalità della persistenza della domanda di senso religioso e del bisogno del sacro nella cultura e nella vita dell’uomo contemporaneo. Il “dibattito sul corpo e l’anima” nel nostro tempo
avviene fra quelli che disprezzano il corpo puntando sulla sua resurrezione e quelli che, ammalati di stravaganza corporale , nondimeno aspirano alla longevità sopra ogni cosa. Sono incatenati ad un conflitto che in realtà non è altro che la loro collaborazione nel processo di distruzione di tutti e due, corpo e anima. A tal proposito proviamo a pensare alle opere dell’arte classica come l’Apollo del Belvedere o alla Venere di Medici, che suscitarono l’entusiasmo incondizionato di Winckelmann. E' difficile non restare soggiogati da una vera e propria epifania del divino. Si possono non condividere fino in fondo gli entusiasmi dello storico tedesco, ma rimane il fascino di un sorprendente exploit di forme armoniose,rimane il sogno di un’umanità ideale,dove tra l’altro l’esaltazione della forma fa tutt’uno con l’esaltazione della ragione. Pensiamo ora alle ultime opere-testimonianze lasciateci da Hannah Wilke, che negli anni sessanta e settanta aveva spregiudicatamente ed ironicamente esposto il suo corpo , la sua sessualità, senza curarsi del fuoco incrociato dei critici tradizionali e delle femministe. Colpita da un tumore, l’artista americana negli
anni novanta ha documentato fotograficamente la sua fine prematura e si è mostrata sotto trattamento chemioterapico in un momento in cui il suo corpo, una volta bellissimo, appariva ingiuriato e devastato dalla malattia. Ebbene: abbiamo da un lato la decantazione della realtà, sublimazione della medesima; dall’altro una decisa e chiara volontà di far coincidere l’opera con la realtà stessa nei suoi aspetti più angoscianti.. Tale confronto ci pone di fronte a due diverse concezioni del corpo. da un lato abbiamo una certa idea del corpo che dà forma, dà corpo alla nostra materialità trascendendola, dall’altro abbiamo una opacizzazione del corpo, un mostrare quest’ultimo ad una fenomenologia esistenziale primaria. Lo stesso confronto funziona come metafora che conferma la centralità del corpo quale test esemplare ieri per un 'arte che si voleva ed ufficiosamente richiedeva, organica, coerente, assoluta, risolta sul piano della razionalità formale, e oggi, al contrario, come banco di prova per un’arte dalla difficile identità, ibrida frammentata e frammentaria. Un arte, quindi, collusa con la realtà stessa, fino al punto da far tutt’uno con essa, ed il sacro risiede simbolicamente qua nel rappresentare il corpo per quello che è senza orpelli, idealizzazioni, falsificazioni ,interruzioni di tipo referenziale. Dentro il profilo della modernità, parlare di sacralità del corpo (più in generale, della persona) pare solo un richiamo romantico, una gradevole evocazione di sentimenti, di desideri, una formula per dare un abito gentile alla confusione. Dove non si fa spazio allo spirito, al divino, non si dà spazio alla sacralità, i templi sono solo edifici, le persone sono solo carne, i simboli sono solo segni. Un recupero realistico delle cose così come si danno, aperto all’essere in ogni sua dimensione che ci è dato sentire, conoscere e condividere, un ritorno alla dimensione simbolica dove essenza ed energia, spirito e manifestazione, idea e attualizzazione, spirito e corpo si incontrano compresenti, impossibili a sussistere l’uno senza l’altro, possono riportare la sacralità in armonia con l’ordine magistrale delle cose senza dimenticare delle cose la materialità, e della materialità la dignità ontologica oltre che esistenziale.
si può sperimentare il recupero del corpo dentro la dimensione del sacro. Ma finché si alimenta la divisione, finché i cieli sono mantenuti chiusi alla percezione, finché la trascendenza resta un’ipotesi intellettuale, un sottoprodotto della mente, della ragione, un’astrazione, parlare di sacralità è solo retorica romantica e abito per l’immaginazione.
La tradizione biblica ignora il dualismo greco di anima e corpo ma non l’equivalente generale che mantenendo separati il bene dal male, la vita dalla morte, la carne dallo spirito, interrompe lo scambio simbolico a favore di quell’ opposizione disgiuntiva che non esita a chiedere il sacrificio del corpo per l’accumulo della vita come valore. Ma quando cessa la reversibilità simbolica della vita e della morte , questo ultima diventa l’oggetto di un desiderio impossibile, e la resurrezione di un corpo “all’ultimo giorno”.Se dunque la tradizione biblica ha una visione unitaria dell’uomo , e, come abbiamo visto, a forte accentuazione corporea, perché non fa mai riferimento all’anima nei
termini in cui noi ne parliamo sotto l’influsso della cultura greca, tuttavia questa tradizione inserisce la sua visione unitaria in un dualismo cosmico, che contrappone la vita alla morte, lo spirito alla carne, il peccato all’alleanza , prima, e alla redenzione e resurrezione poi. Questo dualismo cosmico finirà per riflettersi sull’unità antropologica fino a lacerarla, fino a rendere possibile quella contaminazione fra tradizione biblica e tradizione greca che consegnerà
all'occidente un uomo diviso tra anima e corpo. Gli esponenti dell' Azionismo viennese, negli anni Sessanta , iniziarono ad esibirsi in performance che violavano regole e costumi sociali per riportare simbolicamente al connubio tra anima e corpo. Queste rappresentazione sociali-rituali” avevano e contenevano una sacralità, erano rappresentazioni esperimenti di trasformazione personale in cui veniva coinvolto il pubblico, nel tentativo di suscitare un senso di liberazione collettivo. Tutti i limiti di decenza e buon gusto stabiliti dalla società, vennero violati con performance rituali che avevano lo scopo di portare sia gli artisti sia il pubblico all’espiazione e alla catarsi. L’arte funge quasi da rituale terapeutico per guarire e purificarsi. Questi riti ricalcano spesso quelli delle religioni dei culti tradizionali e a volte presentano una visione decisamente teatrale dell’artista “sciamano” che ha il potere di redimere la società. In alcuni casi alla sacralità del Corpo viene contrapposta una concezione che si avvicina alla commedia che diventerà anche mezzo per accedere alla simbologia più profonda e sacra attraverso la blasfemia e la disperazione. La provocazione blasfema è devozione, bisogna interpretare il sacrifico come estasi e fonte di ispirazione per gli esseri viventi.
L’artista interpreta il ruolo di un martire moderno del consumismo contemporaneo per portare alla salvezza il corpo inciso di codici, simboli culturali, coscienza di sé e di essere comunitario, universale. E’significativo che recentemente Terry Eagleton abbia agganciato l’estetica al corpo proprio perché l’estetica sarebbe nata come discorso del corpo, come tipo di conoscenza che muove dai sensi e che, pur non potendo attingere le vette della ragione, ha bisogno di una legittimazione e di un identità. Quando un corpo, come in occidente il corpo bianco, giovane, maschile, si arroga la funzione di modello o di ideale, quando diventa il corpo umano e funziona come riferimento per
tutti gli altri tipi, è chiaro che ci troviamo di fronte ad una posizione ideologica. Di dominio. Perché l’immagine del corpo non rispecchia la realtà anatomica. Non è fissata una volta per tutte dalla natura o definita da quel contenitore anatomico che è la pelle. Si tratta invero di una mappa, di una rappresentazione, di un investimento culturale ch’è sempre fortemente selettivo: esclude alcuni aspetti, ne privilegia altri ma pur sempre universale. La mostra si propone di creare un percorso sensibile attraverso la riscoperta del sacro e della dialettica di anima e corpo grazie alle opere degli artisti presenti.
“..Si esamina un corpo naturale e risorge un corpo spirituale.. vi dico infatti, che la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l’incorruttibilità..”
(Paolo di Tarso- prima lettera ai Corinti)
Quando parliamo di Corpo Sacro mi viene in mente l’espressione del famoso poeta statunitense Walt Withman “ If anything is sacred, the human body is sacred” - “Se qualcosa è sacro, il corpo umano è sacro”. Nel Corso del ventesimo secolo alcuni cambiamenti profondi nel rapporto tra arte e figura umana hanno azzerato secoli di convenzioni, modificando radicalmente la posizione del corpo, del soggetto, dell’artista e del fruitore e reimpostando nuovi ruoli. Il nocciolo principale di questo cambiamento è stato il passaggio da un ruolo passivo a un ruolo attivo del corpo stesso, che da fenomeno statico e visivo diventa incarnazione di relazioni umane addirittura strumento di intervento e cambiamento sociale. Osservato nella prospettiva simbolica dell’unitarietà, il corpo partecipa alla dimensione spirituale insieme a quella materiale, ed è all’interno di questa dimensione comunitaria che si manifesta nel suo aspetto sacro, di appartenenza all’ambito divino. Possiamo ricollegare il corpo alla truttura e nomenclatura della Chiesa per spiegare il concetto di sacro. La disposizione materiale della chiesa rappresenta il corpo umano, perché il cancello o il luogo in cui si trova l’altare rappresenta la testa e le navate centrali e laterali, rappresentando la croce, simbolicamente richiamano braccia e mani; infine, l’altra parte che si sviluppa a Occidente rappresenta il resto del corpo.
La parola sacro deriva da Sak recinto: conduce ai significati di “separazione” e “definizione”, perché un recinto chiude, conclude, protegge, separa. Da sak deriva sacer, quindi sacrum: cosa è separato, l’ambito distinto e separato dal nostro mondo, l’ambito che appartiene alla divinità.. Tutto il resto, tutto ciò che non è sacro, è profano, ovvero, posto di fronte (pro) al tempio (fanum), è cosa che non appartiene alla divinità e che la divinità sia lontana da essa. Reso intenso nella forma sank, la radice ha dato vita a sàncere, da dove viene “sancire” (definire, fissare, concludere, compiere), e al suo participio passato sanctus, “santo” (il compiuto, il perfetto).
In ambito cristiano la riflessione sul corpo è assolutamente essenziale a motivo di incarnazione di Cristo; egli rivela così che non c‘è incompatibilità assoluta tra la trascendenza divina e la mortalità corporea umana. Sia nella tradizione cristiana, sia nelle altre tradizioni , il dibattito sul valore del corpo umano è sempre stato vivace e determinante per la vita morale e per il comportamento in genere, a tal proposito ritengo significativa un tale progetto di mostra, sulla concezione del corpo inteso sacro nella sua accezione di universalità, ossia il riguardaci tutti da vicino ed il riportarci attraverso l’arte alla sua liberazione e disvelamento interiore. Contrariamente a quanto si potrebbe ritenere le religioni, che dovrebbero occuparsi dello spirito, in realtà si occupano di gestioni che riguardano il corpo, con prescrizioni e divieti: il sesso, l’igiene, il matrimonio, la famiglia, il cibo l’alcol. Il paradosso del corpo che si ferma e si nega nelle religioni, del corpo individuale e sociale insieme luogo dell’apertura al sacro, ha mostrato il superamento della concezione di Nietzsche ed Heidegger secondo cui la civiltà della tecnica avrebbe distrutto il religioso, mostrando piuttosto le varie modalità della persistenza della domanda di senso religioso e del bisogno del sacro nella cultura e nella vita dell’uomo contemporaneo. Il “dibattito sul corpo e l’anima” nel nostro tempo
avviene fra quelli che disprezzano il corpo puntando sulla sua resurrezione e quelli che, ammalati di stravaganza corporale , nondimeno aspirano alla longevità sopra ogni cosa. Sono incatenati ad un conflitto che in realtà non è altro che la loro collaborazione nel processo di distruzione di tutti e due, corpo e anima. A tal proposito proviamo a pensare alle opere dell’arte classica come l’Apollo del Belvedere o alla Venere di Medici, che suscitarono l’entusiasmo incondizionato di Winckelmann. E' difficile non restare soggiogati da una vera e propria epifania del divino. Si possono non condividere fino in fondo gli entusiasmi dello storico tedesco, ma rimane il fascino di un sorprendente exploit di forme armoniose,rimane il sogno di un’umanità ideale,dove tra l’altro l’esaltazione della forma fa tutt’uno con l’esaltazione della ragione. Pensiamo ora alle ultime opere-testimonianze lasciateci da Hannah Wilke, che negli anni sessanta e settanta aveva spregiudicatamente ed ironicamente esposto il suo corpo , la sua sessualità, senza curarsi del fuoco incrociato dei critici tradizionali e delle femministe. Colpita da un tumore, l’artista americana negli
anni novanta ha documentato fotograficamente la sua fine prematura e si è mostrata sotto trattamento chemioterapico in un momento in cui il suo corpo, una volta bellissimo, appariva ingiuriato e devastato dalla malattia. Ebbene: abbiamo da un lato la decantazione della realtà, sublimazione della medesima; dall’altro una decisa e chiara volontà di far coincidere l’opera con la realtà stessa nei suoi aspetti più angoscianti.. Tale confronto ci pone di fronte a due diverse concezioni del corpo. da un lato abbiamo una certa idea del corpo che dà forma, dà corpo alla nostra materialità trascendendola, dall’altro abbiamo una opacizzazione del corpo, un mostrare quest’ultimo ad una fenomenologia esistenziale primaria. Lo stesso confronto funziona come metafora che conferma la centralità del corpo quale test esemplare ieri per un 'arte che si voleva ed ufficiosamente richiedeva, organica, coerente, assoluta, risolta sul piano della razionalità formale, e oggi, al contrario, come banco di prova per un’arte dalla difficile identità, ibrida frammentata e frammentaria. Un arte, quindi, collusa con la realtà stessa, fino al punto da far tutt’uno con essa, ed il sacro risiede simbolicamente qua nel rappresentare il corpo per quello che è senza orpelli, idealizzazioni, falsificazioni ,interruzioni di tipo referenziale. Dentro il profilo della modernità, parlare di sacralità del corpo (più in generale, della persona) pare solo un richiamo romantico, una gradevole evocazione di sentimenti, di desideri, una formula per dare un abito gentile alla confusione. Dove non si fa spazio allo spirito, al divino, non si dà spazio alla sacralità, i templi sono solo edifici, le persone sono solo carne, i simboli sono solo segni. Un recupero realistico delle cose così come si danno, aperto all’essere in ogni sua dimensione che ci è dato sentire, conoscere e condividere, un ritorno alla dimensione simbolica dove essenza ed energia, spirito e manifestazione, idea e attualizzazione, spirito e corpo si incontrano compresenti, impossibili a sussistere l’uno senza l’altro, possono riportare la sacralità in armonia con l’ordine magistrale delle cose senza dimenticare delle cose la materialità, e della materialità la dignità ontologica oltre che esistenziale.
si può sperimentare il recupero del corpo dentro la dimensione del sacro. Ma finché si alimenta la divisione, finché i cieli sono mantenuti chiusi alla percezione, finché la trascendenza resta un’ipotesi intellettuale, un sottoprodotto della mente, della ragione, un’astrazione, parlare di sacralità è solo retorica romantica e abito per l’immaginazione.
La tradizione biblica ignora il dualismo greco di anima e corpo ma non l’equivalente generale che mantenendo separati il bene dal male, la vita dalla morte, la carne dallo spirito, interrompe lo scambio simbolico a favore di quell’ opposizione disgiuntiva che non esita a chiedere il sacrificio del corpo per l’accumulo della vita come valore. Ma quando cessa la reversibilità simbolica della vita e della morte , questo ultima diventa l’oggetto di un desiderio impossibile, e la resurrezione di un corpo “all’ultimo giorno”.Se dunque la tradizione biblica ha una visione unitaria dell’uomo , e, come abbiamo visto, a forte accentuazione corporea, perché non fa mai riferimento all’anima nei
termini in cui noi ne parliamo sotto l’influsso della cultura greca, tuttavia questa tradizione inserisce la sua visione unitaria in un dualismo cosmico, che contrappone la vita alla morte, lo spirito alla carne, il peccato all’alleanza , prima, e alla redenzione e resurrezione poi. Questo dualismo cosmico finirà per riflettersi sull’unità antropologica fino a lacerarla, fino a rendere possibile quella contaminazione fra tradizione biblica e tradizione greca che consegnerà
all'occidente un uomo diviso tra anima e corpo. Gli esponenti dell' Azionismo viennese, negli anni Sessanta , iniziarono ad esibirsi in performance che violavano regole e costumi sociali per riportare simbolicamente al connubio tra anima e corpo. Queste rappresentazione sociali-rituali” avevano e contenevano una sacralità, erano rappresentazioni esperimenti di trasformazione personale in cui veniva coinvolto il pubblico, nel tentativo di suscitare un senso di liberazione collettivo. Tutti i limiti di decenza e buon gusto stabiliti dalla società, vennero violati con performance rituali che avevano lo scopo di portare sia gli artisti sia il pubblico all’espiazione e alla catarsi. L’arte funge quasi da rituale terapeutico per guarire e purificarsi. Questi riti ricalcano spesso quelli delle religioni dei culti tradizionali e a volte presentano una visione decisamente teatrale dell’artista “sciamano” che ha il potere di redimere la società. In alcuni casi alla sacralità del Corpo viene contrapposta una concezione che si avvicina alla commedia che diventerà anche mezzo per accedere alla simbologia più profonda e sacra attraverso la blasfemia e la disperazione. La provocazione blasfema è devozione, bisogna interpretare il sacrifico come estasi e fonte di ispirazione per gli esseri viventi.
L’artista interpreta il ruolo di un martire moderno del consumismo contemporaneo per portare alla salvezza il corpo inciso di codici, simboli culturali, coscienza di sé e di essere comunitario, universale. E’significativo che recentemente Terry Eagleton abbia agganciato l’estetica al corpo proprio perché l’estetica sarebbe nata come discorso del corpo, come tipo di conoscenza che muove dai sensi e che, pur non potendo attingere le vette della ragione, ha bisogno di una legittimazione e di un identità. Quando un corpo, come in occidente il corpo bianco, giovane, maschile, si arroga la funzione di modello o di ideale, quando diventa il corpo umano e funziona come riferimento per
tutti gli altri tipi, è chiaro che ci troviamo di fronte ad una posizione ideologica. Di dominio. Perché l’immagine del corpo non rispecchia la realtà anatomica. Non è fissata una volta per tutte dalla natura o definita da quel contenitore anatomico che è la pelle. Si tratta invero di una mappa, di una rappresentazione, di un investimento culturale ch’è sempre fortemente selettivo: esclude alcuni aspetti, ne privilegia altri ma pur sempre universale. La mostra si propone di creare un percorso sensibile attraverso la riscoperta del sacro e della dialettica di anima e corpo grazie alle opere degli artisti presenti.
05
marzo 2016
Corpo Sacro
Dal 05 marzo al 05 aprile 2016
fotografia
arte contemporanea
disegno e grafica
arte contemporanea
disegno e grafica
Location
ONART GALLERY
Firenze, Via Della Pergola, 61/R, (Firenze)
Firenze, Via Della Pergola, 61/R, (Firenze)
Orario di apertura
da Martedì a Sabato ore 11.00 - 18.00, Domenica su appuntamento.
Vernissage
5 Marzo 2016, ore 18.00
Autore
Curatore