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Cristiana Palandri – Near Earth
Warehouse Contemporary Art inaugura la prima project room del programma curato da Francesca Referza con Near earth, una performance dell’artista Cristiana Palandri (Firenze, 1977) a cura di Francesco Scasciamacchia.
Comunicato stampa
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Se immaginassimo i concetti di scultura (intesa in senso “classico”) e performance come i due estremi di un segmento, allora potremmo collocare il lavoro di Cristiana Palandri in uno degli indefinibili punti intermedi ad esso appartenenti.
Poiché l’artista ha una visione molto ampia del significato di “fare scultura”, è difficile individuare una preferenza per un mezzo espressivo nei suoi lavori che si presentano piuttosto come un’evoluzione intercambiabile fra disegno, scultura, performance e installazione.
Questo modo di operare è già visibile in Oversight (2008). In questa performance Cristiana Palandri e Odette Furiani si muovono all’interno di uno spazio senza la possibilità di vedere a causa dell’abnorme massa di capelli che ricopre i loro volti. L’artista, grazie alla forza di uno “stato allucinatorio” che caratterizza gran parte delle sue azioni, agendo sul corpo che ha di fronte a sé, arriva a creare una “scultura vivente”, un organismo ibrido. Una metamorfosi che avviene attraverso l’intervento della Palandri sia in modo diretto sul corpo dell’altra performer sia attraverso l’utilizzo di altre sculture e materiali che modificano il corpo stesso. L’organismo, integrato da capelli, ossa di animali, piume, bende e sostanze organiche non è più solo umano.
Una successiva evoluzione in campo performativo possiamo riscontrarla in U.O. (Unidentified object) (2009). Un anno dopo, l’artista invitata a Bangkok, al Bangkok Art and Culture Centre decide di usare il proprio corpo come oggetto da modellare. Come dice lei stessa, “ho costruito sul mio corpo un’ipotetica seconda pelle, una sorta di protesi spontanea avvalendomi di alcuni materiali ricorrenti nella mia ricerca, come capelli e piume […] introducendo, stavolta, il recupero di oggetti spezzati e abbandonati, che in questo caso caratterizzano l’ambiente della città in cui ho realizzato la performance.” Anche qui torna il concetto di limite e di “non controllo” nell’atto performativo. A impedire l’azione preordinata, è il crescente impedimento dell’artista a muoversi a causa delle protesi che via via bloccano il suo corpo fino a renderlo immobile e irriconoscibile: un altro organismo che vive di vita propria. L’evoluzione della sua pratica ora prende una direzione più complessa che può essere letta solo in chiave multidisciplinare e multimediale (utilizzando il “mediale” in senso di media).
È con questo stesso approccio che si può leggere l’ultima performance dell’artista, dal titolo Near Earth (2010). Cristiana Palandri in questa occasione ingloba più aspetti presenti nelle sue precedenti azioni presentando un “nuovo luogo” e una nuova esperienza.
All’interno della project room di Warehouse, l’artista ha costruito un parallelepipedo in metallo che attraversa lo spazio con una lunghezza di 6 metri. L’altezza di appena 60 centimetri costringe l’artista e l’altro performer, introdottisi all’interno nella struttura, a dei movimenti molto limitati.
Allo spettatore non è dato sapere cosa accadrà all’interno del parallelepipedo poiché l’unica possibilità per poter conoscere “il rituale” dei due performer verrà concessa dagli stessi due che attraverso dei trapani e delle lastre foreranno parte dei lati del gigante “metal box”, creando così una sorta di “peep show”. Nessuna voce descrive ciò che sta avvenendo; lo “spettatore”, grazie ai fori, è libero di decidere se partecipare attivamente o percepire solo quello che è visibile dall’esterno.
La performance è frutto di un’allucinazione che si svolge attraverso un rito privato.
Improvvisamente, tramite una serie di macchine appositamente disposte all’interno del “metal box”, comincerà a fuoriuscire del fumo dai fori fino a pervadere tutto lo spazio: una sorta di annullamento dell’atto performativo ma anche una presa di distanza dal concetto tradizionale di scultura-installazione. Quest’ultima, tradizionalmente definita nella modalità tridimensionale, assume ora aspetto di environment che include non solo l’azione ma lo spazio in cui è avvenuta la performance e con esso la “struttura scultorea”. Una dualità interno-esterno (già presente in U.O. del 2009) a partire dal “metal box”: scultura per i performer che vi si trovano all’interno e scultura per gli spettatori che si trovano nella stanza; e ancora spazio interno alla galleria pervaso dal fumo e, spazio esterno alla galleria dove potenzialmente il fumo ha la possibilità di espandersi.
Le dimensioni di tali sculture-installazioni sono più di due: lo spazio in cui avviene il performare; lo spazio (scultura) creato dall’artista (il parallelepipedo in metallo nel caso di Near Earth) e lo spazio percettivo. La partecipazione dello spettatore è un elemento fondamentale in tutto il lavoro della Palandri ma diventa centrale in N.E.. “Ogni installazione è figlia anche, seppure in modo non esclusivo della scultura. Della scultura resta e viene ampliato il rapporto con il movimento e quindi con il tempo: da sempre la figura tridimensionale richiede che le si giri intorno, con una partecipazione anche fisica da parte dello spettatore un po’ più forte di quella richiesta dalla pittura. Ogni performance che faccia muovere il pubblico è ancora figlia, sebbene in modo non esclusivo della scultura” . Di sicuro il lavoro di Cristiana Palandri non può essere inserito in nessuna categoria; resta incompiuto come del resto incompiute sono le sue opere. Altrettanto sicuro è però che la matrice scultorea ha una sua collocazione nel percorso dell’artista, non solo negli intenti ma anche in quello che ci è dato vedere.
Poiché l’artista ha una visione molto ampia del significato di “fare scultura”, è difficile individuare una preferenza per un mezzo espressivo nei suoi lavori che si presentano piuttosto come un’evoluzione intercambiabile fra disegno, scultura, performance e installazione.
Questo modo di operare è già visibile in Oversight (2008). In questa performance Cristiana Palandri e Odette Furiani si muovono all’interno di uno spazio senza la possibilità di vedere a causa dell’abnorme massa di capelli che ricopre i loro volti. L’artista, grazie alla forza di uno “stato allucinatorio” che caratterizza gran parte delle sue azioni, agendo sul corpo che ha di fronte a sé, arriva a creare una “scultura vivente”, un organismo ibrido. Una metamorfosi che avviene attraverso l’intervento della Palandri sia in modo diretto sul corpo dell’altra performer sia attraverso l’utilizzo di altre sculture e materiali che modificano il corpo stesso. L’organismo, integrato da capelli, ossa di animali, piume, bende e sostanze organiche non è più solo umano.
Una successiva evoluzione in campo performativo possiamo riscontrarla in U.O. (Unidentified object) (2009). Un anno dopo, l’artista invitata a Bangkok, al Bangkok Art and Culture Centre decide di usare il proprio corpo come oggetto da modellare. Come dice lei stessa, “ho costruito sul mio corpo un’ipotetica seconda pelle, una sorta di protesi spontanea avvalendomi di alcuni materiali ricorrenti nella mia ricerca, come capelli e piume […] introducendo, stavolta, il recupero di oggetti spezzati e abbandonati, che in questo caso caratterizzano l’ambiente della città in cui ho realizzato la performance.” Anche qui torna il concetto di limite e di “non controllo” nell’atto performativo. A impedire l’azione preordinata, è il crescente impedimento dell’artista a muoversi a causa delle protesi che via via bloccano il suo corpo fino a renderlo immobile e irriconoscibile: un altro organismo che vive di vita propria. L’evoluzione della sua pratica ora prende una direzione più complessa che può essere letta solo in chiave multidisciplinare e multimediale (utilizzando il “mediale” in senso di media).
È con questo stesso approccio che si può leggere l’ultima performance dell’artista, dal titolo Near Earth (2010). Cristiana Palandri in questa occasione ingloba più aspetti presenti nelle sue precedenti azioni presentando un “nuovo luogo” e una nuova esperienza.
All’interno della project room di Warehouse, l’artista ha costruito un parallelepipedo in metallo che attraversa lo spazio con una lunghezza di 6 metri. L’altezza di appena 60 centimetri costringe l’artista e l’altro performer, introdottisi all’interno nella struttura, a dei movimenti molto limitati.
Allo spettatore non è dato sapere cosa accadrà all’interno del parallelepipedo poiché l’unica possibilità per poter conoscere “il rituale” dei due performer verrà concessa dagli stessi due che attraverso dei trapani e delle lastre foreranno parte dei lati del gigante “metal box”, creando così una sorta di “peep show”. Nessuna voce descrive ciò che sta avvenendo; lo “spettatore”, grazie ai fori, è libero di decidere se partecipare attivamente o percepire solo quello che è visibile dall’esterno.
La performance è frutto di un’allucinazione che si svolge attraverso un rito privato.
Improvvisamente, tramite una serie di macchine appositamente disposte all’interno del “metal box”, comincerà a fuoriuscire del fumo dai fori fino a pervadere tutto lo spazio: una sorta di annullamento dell’atto performativo ma anche una presa di distanza dal concetto tradizionale di scultura-installazione. Quest’ultima, tradizionalmente definita nella modalità tridimensionale, assume ora aspetto di environment che include non solo l’azione ma lo spazio in cui è avvenuta la performance e con esso la “struttura scultorea”. Una dualità interno-esterno (già presente in U.O. del 2009) a partire dal “metal box”: scultura per i performer che vi si trovano all’interno e scultura per gli spettatori che si trovano nella stanza; e ancora spazio interno alla galleria pervaso dal fumo e, spazio esterno alla galleria dove potenzialmente il fumo ha la possibilità di espandersi.
Le dimensioni di tali sculture-installazioni sono più di due: lo spazio in cui avviene il performare; lo spazio (scultura) creato dall’artista (il parallelepipedo in metallo nel caso di Near Earth) e lo spazio percettivo. La partecipazione dello spettatore è un elemento fondamentale in tutto il lavoro della Palandri ma diventa centrale in N.E.. “Ogni installazione è figlia anche, seppure in modo non esclusivo della scultura. Della scultura resta e viene ampliato il rapporto con il movimento e quindi con il tempo: da sempre la figura tridimensionale richiede che le si giri intorno, con una partecipazione anche fisica da parte dello spettatore un po’ più forte di quella richiesta dalla pittura. Ogni performance che faccia muovere il pubblico è ancora figlia, sebbene in modo non esclusivo della scultura” . Di sicuro il lavoro di Cristiana Palandri non può essere inserito in nessuna categoria; resta incompiuto come del resto incompiute sono le sue opere. Altrettanto sicuro è però che la matrice scultorea ha una sua collocazione nel percorso dell’artista, non solo negli intenti ma anche in quello che ci è dato vedere.
25
settembre 2010
Cristiana Palandri – Near Earth
Dal 25 settembre al 02 ottobre 2010
performance - happening
Location
WAREHOUSE CONTEMPORARY ART
Teramo, Via Giulio C. Canzanese, 51, (Teramo)
Teramo, Via Giulio C. Canzanese, 51, (Teramo)
Orario di apertura
martedì e mercoledì ore 15.30-19.30
giovedì, venerdì e sabato ore 10.30-13.30 e 15,30-19,30
Vernissage
25 Settembre 2010, ore 18.30
Autore
Curatore