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Cristina Falasca – Selvàtico
L’esposizione è pensata come un percorso lungo le sale del Museolaboratorio Ex Manifattura Tabacchi, rispettando la struttura architettonica e l’andamento delle sale del Museo.
Comunicato stampa
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L'esposizione è pensata come un percorso lungo le sale del Museolaboratorio Ex Manifattura Tabacchi, rispettando la struttura architettonica e l'andamento delle sale del Museo.
Il corpo delle opere affronta il tema del paradosso legato alla percezione, della visione e del nascondimento, legata alla riflessione del filosofo Byung-Chul Han:
La società contemporanea è al servizio della "trasparenza": da una parte le informazioni sulla "realtà" sembrano alla portata di tutti, dall'altra tutti sono trasparenti - cioè svelati, esposti - alla luce degli apparati che, nel mondo postcapitalista, esercitano forme di controllo sugli individui. Cosi il valore "positivo" della trasparenza maschera, sotto l'apparente accessibilità della conoscenza, il suo rovescio: la scomparsa della privacy; l'ansia di accumulare informazioni che non producono necessariamente una maggiore conoscenza, in assenza di un'adeguata interpretazione; l'illusione di poter contenere e monitorare tutto, anche grazie alla tecnologia. Nel saggio, La società della trasparenza (prima pubblicazione 2012), Byung-Chul Han interpreta la trasparenza come un falso ideale, come la più forte delle mitologie contemporanee, che struttura molte delle forme culturali più pervasive e insidiose del nostro tempo.
Partendo dalla riflessione del filosofo si intuisce che ad oggi l'individuo vive un bisogno cronico di esporsi, di mostrare e mostrarsi in modo quasi bulimico, così come di divorare immagini e corrispondenti ipotetici contenuti, omettendo, dalla propria esperienza di visione, l'imprescindibile qualità dell'ignoto, del mistero che ogni immagine, oggetto, forma o cosa del reale porta con sé, come controparte al suo svelamento.
Il segreto insito nella realtà che si guarda rimane in secondo piano, lontano dallo sguardo, che predilige la superficie delle cose ordinarie. Il risultato è che l'individuo contemporaneo ha difficoltà ad abbandonarsi all'esperienza della percezione, se questa non passa per una struttura intellettuale, logica, una spiegazione che possa ricondurre l'esperienza in atto a qualcosa di già noto, conosciuto attraverso il filtro della cultura di appartenenza. E' sempre più difficile accettare il mistero delle cose, il nascondimento, il segreto. L'ambiguità perde il suo valore sottile di oscillazione di senso, di messa in gioco, di dubbio... si è sempre alla ricerca di un dato finale, che consenta di trovare pace nella certezza del conosciuto.
L'inclusione dell'altro, l'amore per l'altro diviene difficile, anche per via di questa ricerca di identità tra ciò che si vede e ciò che si riconosce, perché l'immenso segreto che l'altro porta con sé e che dovrebbe accendere il fuoco del desiderio, non lo si lascia esistere nella sua innata differenza, non lo si accetta a prescindere dalla sua forma, se essa non la si può penetrare completamente con lo sguardo, e questo cortocircuito compromette la nostra capacità di desiderare.
Nella mia ricerca artistica, la forma, il materiale, il suono, perdono l'elemento narrativo e di conseguenza perdono l'esattezza con cui spesso si concede il mondo dell'immagine.
Questo approccio rappresenta per me un tentativo di forzare un'esperienza di vicinanza a qualcosa di potenzialmente ambiguo, di irrisolto.
Cristina Falasca
Il corpo delle opere affronta il tema del paradosso legato alla percezione, della visione e del nascondimento, legata alla riflessione del filosofo Byung-Chul Han:
La società contemporanea è al servizio della "trasparenza": da una parte le informazioni sulla "realtà" sembrano alla portata di tutti, dall'altra tutti sono trasparenti - cioè svelati, esposti - alla luce degli apparati che, nel mondo postcapitalista, esercitano forme di controllo sugli individui. Cosi il valore "positivo" della trasparenza maschera, sotto l'apparente accessibilità della conoscenza, il suo rovescio: la scomparsa della privacy; l'ansia di accumulare informazioni che non producono necessariamente una maggiore conoscenza, in assenza di un'adeguata interpretazione; l'illusione di poter contenere e monitorare tutto, anche grazie alla tecnologia. Nel saggio, La società della trasparenza (prima pubblicazione 2012), Byung-Chul Han interpreta la trasparenza come un falso ideale, come la più forte delle mitologie contemporanee, che struttura molte delle forme culturali più pervasive e insidiose del nostro tempo.
Partendo dalla riflessione del filosofo si intuisce che ad oggi l'individuo vive un bisogno cronico di esporsi, di mostrare e mostrarsi in modo quasi bulimico, così come di divorare immagini e corrispondenti ipotetici contenuti, omettendo, dalla propria esperienza di visione, l'imprescindibile qualità dell'ignoto, del mistero che ogni immagine, oggetto, forma o cosa del reale porta con sé, come controparte al suo svelamento.
Il segreto insito nella realtà che si guarda rimane in secondo piano, lontano dallo sguardo, che predilige la superficie delle cose ordinarie. Il risultato è che l'individuo contemporaneo ha difficoltà ad abbandonarsi all'esperienza della percezione, se questa non passa per una struttura intellettuale, logica, una spiegazione che possa ricondurre l'esperienza in atto a qualcosa di già noto, conosciuto attraverso il filtro della cultura di appartenenza. E' sempre più difficile accettare il mistero delle cose, il nascondimento, il segreto. L'ambiguità perde il suo valore sottile di oscillazione di senso, di messa in gioco, di dubbio... si è sempre alla ricerca di un dato finale, che consenta di trovare pace nella certezza del conosciuto.
L'inclusione dell'altro, l'amore per l'altro diviene difficile, anche per via di questa ricerca di identità tra ciò che si vede e ciò che si riconosce, perché l'immenso segreto che l'altro porta con sé e che dovrebbe accendere il fuoco del desiderio, non lo si lascia esistere nella sua innata differenza, non lo si accetta a prescindere dalla sua forma, se essa non la si può penetrare completamente con lo sguardo, e questo cortocircuito compromette la nostra capacità di desiderare.
Nella mia ricerca artistica, la forma, il materiale, il suono, perdono l'elemento narrativo e di conseguenza perdono l'esattezza con cui spesso si concede il mondo dell'immagine.
Questo approccio rappresenta per me un tentativo di forzare un'esperienza di vicinanza a qualcosa di potenzialmente ambiguo, di irrisolto.
Cristina Falasca
11
maggio 2019
Cristina Falasca – Selvàtico
Dall'undici maggio al 15 giugno 2019
arte contemporanea
Location
MUSEOLABORATORIO
Città Sant'angelo, Vico Lupinato, 1, (Pescara)
Città Sant'angelo, Vico Lupinato, 1, (Pescara)
Orario di apertura
dal giovedì al sabato 18:00 - 20:00
domeniva 11:00 - 13:00
Vernissage
11 Maggio 2019, h 19
Autore
Curatore