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Cristina Ruffoni – Oriente/Occidente, dialogo immaginario con una donna cinese, oltre il confine
In galleria sono esposti dipinti ad acrilico e tecniche miste su tela organizzati in trittici, e una serie di piccole opere che formano un polittico. La mostra è accompagnata da testi di: Roberto Borghi, Carlo Galante, Iskra Sguera, Stefania Trinchero, Signa Schiavo-Campo.
Comunicato stampa
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Divagare per dialogare
Roberto Borghi
Cristina e io ci siamo interrogati a lungo sul titolo da dare a questa mostra. La svolta è arrivata (in un certo senso) da Francois Jullien. Entrambi amiamo il pensiero di questo filosofo immerso nella cultura cinese che però non fa finta di non essere occidentale. Io apprezzo particolarmente il suo doppio rifiuto: Jullien dice no al multiculturalismo come atteggiamento di indifferenza tra le diverse tradizioni, ma allo stesso tempo ripete il suo no all'universalismo eurocentrico che, in linea con la matrice greca e cristiana della filosofia occidentale, pretende che tutte le civiltà in qualche modo convergano verso il medesimo orizzonte.
La cultura dell'estremo Oriente, e quella in cinese in modo paradigmatico, è totalmente altra rispetto alla mentalità occidentale, dal momento che ha sviluppato i suoi tratti essenziali senza nemmeno immaginare che esistesse un Occidente. Quindi da Oriente+Occidente, siamo passati a Oriente/Occidente, per poi decisamente optare per Oriente≠Occidente, ovvero Oriente diverso da Occidente. Date tali premesse, come si può dialogare con una donna cinese, per quanto immaginaria? "Parlando senza parole", verrebbe da rispondere parafrasando un libro di Jullien ("Parlare senza parole. Logos e Tao", Laterza, 2008). Parole nel senso che la filosofia greca dà al termine lògos, ovvero di idea limpida e coerente al suo interno, che cioè esclude la contraddizione (il principio di non contraddizione è il cardine della logica filosofica). E invece, nel nostro dialogo, noi vogliamo dirci disponibili alla "compossibilità di punti di vista contradditori", come Jullien suggerisce rileggendo lo Zhuanghzi.
Cristina compone i suoi tentativi iconici di dialogo in sintonia con questa "compossibilità": le sue immagini lasciano letteralmente coesistere i punti di vista, accostano liberamente frammenti di Oriente e Occidente, senza occultarne la totale diversità (anzi in un certo senso esaltandola, facendola risaltare attraverso i toni cromatici squillanti), ma senza nemmeno assestarsi nell'indifferenza. La parola più frequentemente utilizzata da Jullien nei suoi scritti è disponibilità: ecco, le immagini si rendono disponibili a stare accostate; se l'espressione non somigliasse troppo a un gioco di parole, scriverei che la disponibilità è la loro disposizione, il criterio con il quale le singole parti si dispongono all'interno dell'immagine. E poi c'è il testo di Cristina, o forse meglio è prima invece che poi, nel senso che è all'origine di questo ciclo di lavori: un poema tanto lirico quanto divagante. "Non posso far altro che tentare di dirtelo divagando, e anche tu ascolta divagando", recita lo Zhuanghzi: non è forse questo il metodo peculiare del nostro dialogo immaginario?
Di-vagare, ovvero mantenersi sul vago, ma anche vagare come derivato del latino vacuus, il nostro vuoto: quindi fare il vuoto. La disposizione disponibile, diciamo così, delle singole figure e parole all'interno delle immagini non sembra forse disponibile anche a svuotarsi, a zittirsi, a creare un vuoto di comunicazione? E questo vuoto, questo silenzio non sembra anche a voi come sottinteso alle immagini, anzi letteralmente sotteso, come fosse una tensione implicita. E chissà che l'immaginaria donna cinese con cui le opere dialogano non risponda proprio con il silenzio.
Roberto Borghi
Cristina e io ci siamo interrogati a lungo sul titolo da dare a questa mostra. La svolta è arrivata (in un certo senso) da Francois Jullien. Entrambi amiamo il pensiero di questo filosofo immerso nella cultura cinese che però non fa finta di non essere occidentale. Io apprezzo particolarmente il suo doppio rifiuto: Jullien dice no al multiculturalismo come atteggiamento di indifferenza tra le diverse tradizioni, ma allo stesso tempo ripete il suo no all'universalismo eurocentrico che, in linea con la matrice greca e cristiana della filosofia occidentale, pretende che tutte le civiltà in qualche modo convergano verso il medesimo orizzonte.
La cultura dell'estremo Oriente, e quella in cinese in modo paradigmatico, è totalmente altra rispetto alla mentalità occidentale, dal momento che ha sviluppato i suoi tratti essenziali senza nemmeno immaginare che esistesse un Occidente. Quindi da Oriente+Occidente, siamo passati a Oriente/Occidente, per poi decisamente optare per Oriente≠Occidente, ovvero Oriente diverso da Occidente. Date tali premesse, come si può dialogare con una donna cinese, per quanto immaginaria? "Parlando senza parole", verrebbe da rispondere parafrasando un libro di Jullien ("Parlare senza parole. Logos e Tao", Laterza, 2008). Parole nel senso che la filosofia greca dà al termine lògos, ovvero di idea limpida e coerente al suo interno, che cioè esclude la contraddizione (il principio di non contraddizione è il cardine della logica filosofica). E invece, nel nostro dialogo, noi vogliamo dirci disponibili alla "compossibilità di punti di vista contradditori", come Jullien suggerisce rileggendo lo Zhuanghzi.
Cristina compone i suoi tentativi iconici di dialogo in sintonia con questa "compossibilità": le sue immagini lasciano letteralmente coesistere i punti di vista, accostano liberamente frammenti di Oriente e Occidente, senza occultarne la totale diversità (anzi in un certo senso esaltandola, facendola risaltare attraverso i toni cromatici squillanti), ma senza nemmeno assestarsi nell'indifferenza. La parola più frequentemente utilizzata da Jullien nei suoi scritti è disponibilità: ecco, le immagini si rendono disponibili a stare accostate; se l'espressione non somigliasse troppo a un gioco di parole, scriverei che la disponibilità è la loro disposizione, il criterio con il quale le singole parti si dispongono all'interno dell'immagine. E poi c'è il testo di Cristina, o forse meglio è prima invece che poi, nel senso che è all'origine di questo ciclo di lavori: un poema tanto lirico quanto divagante. "Non posso far altro che tentare di dirtelo divagando, e anche tu ascolta divagando", recita lo Zhuanghzi: non è forse questo il metodo peculiare del nostro dialogo immaginario?
Di-vagare, ovvero mantenersi sul vago, ma anche vagare come derivato del latino vacuus, il nostro vuoto: quindi fare il vuoto. La disposizione disponibile, diciamo così, delle singole figure e parole all'interno delle immagini non sembra forse disponibile anche a svuotarsi, a zittirsi, a creare un vuoto di comunicazione? E questo vuoto, questo silenzio non sembra anche a voi come sottinteso alle immagini, anzi letteralmente sotteso, come fosse una tensione implicita. E chissà che l'immaginaria donna cinese con cui le opere dialogano non risponda proprio con il silenzio.
15
novembre 2016
Cristina Ruffoni – Oriente/Occidente, dialogo immaginario con una donna cinese, oltre il confine
Dal 15 al 29 novembre 2016
arte contemporanea
Location
QUINTOCORTILE
Milano, Viale Bligny, 42, (Milano)
Milano, Viale Bligny, 42, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a venerdì ore 17-19
Vernissage
15 Novembre 2016, ore 18
Autore
Curatore