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Cross Lake Atlantic
La mostra si compone di un unico intervento installativo realizzato dall’artista davanti all’ingresso esterno della galleria
Comunicato stampa
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Fino a qualche decennio fa si impiegavano mesi per entrare in contatto con l’altra sponda dell’Atlantico.
Poi i mesi diventarono ore.
Di questi tempi, bastano soltanto pochi secondi.
Più si oltrepassano confini, più essi si fondono e si confondono l’uno con l’altro.
C’è una lingua di partenza e c’è una lingua di arrivo, e, nel passaggio tra le due, un tessuto multilinguistico accompagnato da una miriade di suoni occasionali che riempiono l’ambiente circostante.
Nessuno dei protagonisti – oratori, ascoltatori e chiunque altro nel loro raggio d’azione – è in grado di prevedere il ‘senso’ che ne deriva, e tantomeno di controllarlo.
Il suono ignora i confini.
La metà degli artisti di questo gruppo, per anni, ha fatto di questo principio il fulcro della propria arte.
E anche in tal caso, questo è ciò che avviene.
I lavori qui presentati sono stati intenzionalmente predisposti per fondersi visivamente e uniformemente l’uno con l’altro.
La fiera del disordine.
Tutti coloro che hanno preso parte a questo progetto sono soliti viaggiare e portare i loro lavori in tutto il mondo.
La maggior parte di noi vive in un continente diverso da quello in cui è nato.
Parliamo diverse lingue.
Attraversiamo il Lago Atlantico almeno una volta al giorno.
Il primo di noi a compiere questo viaggio è stato Gary Jo Gardenhire. Colpito da paralisi cerebrale alla nascita, fu in cura presso vari medici del suo paese d'origine in Kansas, i quali, molti anni dopo, definirono il suo quoziente intellettivo pari a circa 60 della scala MMPI (il valore minimo stabilito di ‘normalità’ è 100) e gli prospettarono, ottimisticamente parlando, una vita piatta e mediocre di paziente ambulatoriale. Vent’anni più tardi, dopo aver conseguito una laurea all’Antioch College (con ben due specializzazioni) e successivamente al Pratt Institute, visse e lavorò a San Francisco e a New York, poi a Londra e a Parigi, prima di interrompere bruscamente tutti i rapporti con le gallerie con cui lavorava per trasferire vita e lavoro in una villa sulle colline fuori Spoleto. È qui che da oltre dieci anni sviluppa e perfeziona la sua arte, sostanzialmente in segreto. In occasione della mostra Cross Lake Atlantic egli porta due lavori paralleli, che sono stati installati uno di fronte all’altro proprio all’entrata della galleria. Una fila orizzontale di tele coperte da strisce verticali, dipinte a mano libera e con tratto spontaneo, sublimi nella loro assenza di rigore data dalle sue condizioni fisiche: Portrait of a Cripple (Ritratto di uno zoppo).
E’ in netto contrasto con: Muscle Boys (Culturisti) sulla parete opposta.
Una serie di collage di autoritratti, nudi maschili grottescamente distorti in posizioni umanamente irriproducibili, immagini tratte da ritagli di riviste gay e per la cura del corpo, il volto fotografato di Gardenhire a riprodurre le teste dei corpi.
Il contributo più etereo è dato dall’installazione di Teresa Margolles dal titolo "A travez".
È forse il suono la prima cosa che ci colpisce? Registrazioni audio dell’artista stessa al lavoro mentre esegue autopsie su corpi assassinati, nel laboratorio di analisi medica a Città del Messico. O è invece l’icona sospesa in plexiglas piatto del grasso umano unito al sudore delle donne di Juarez? Disarmante nella sua sottile eleganza, nella manipolazione delle emozioni esistenziali più profonde con precisione chirurgica accompagnata da una volontaria assenza di controllo.
Sulla parete di fondo, scostato dal rumore e dal caos delle immagini che la circondano, troviamo la video-installazione in quattro parti di Scott Arford: Static Room, Airports 2, Song of the Station, Films from my front window (Stanza statica, Aeroporti 2, Inno alla stazione, Film alla finestra).
Una proiezione a parete intera, muta, un paio di cuffie a lato che invitano all’ascolto. L’esperienza pluridecennale nel campo dell’architettura di Arford's si manifesta apertamente in queste immagini dal movimento lento e metodico: l’effetto è magnifico. Immagini d’impatto; superflui i riferimenti. Strutture in movimento su sfondo muto. Senza l’ausilio delle cuffie, tutto ciò che sentiamo è il suono sovrastante della colonna sonora, mentre la nostra visuale è interamente dominata dalle proiezioni.
Kim Gordon e Jutta Koether sembrano prosperare nel disordine.
La linea di confine tra le due si sfuma, non importa chi ha fatto cosa.
Che senso ha rifare il letto visto che ci dormirai di nuovo?
Sulla sinistra, poco distante dal centro della galleria principale, spicca la loro tenda canadese: Reverse Karaoke (Karaoke inverso).
Una 'stanza segreta’ aperta sorge su un pavimento cosparso di pigmenti di polvere colorata, residuo dell’esibizione di 'action-painting' che sarà realizzata il galleria il giorno 14 settembre dagli stessi artisiti. La polvere viene calpestata e sparsa ovunque dagli spettatori. Un luogo sacro all’interno, pieno di strumenti e aggeggi atti al suono, invita gli spettatori a diventare essi stessi protagonisti e creatori del suono, in una dimensione intima e temporaneamente illusoria, finché rotta all’improvviso dal rumore dei passanti all’esterno.
Dietro alla tenda, sulla sinistra, le deformazioni fotografiche di Fredrik Nilsen: immagini iconografiche mandala distorte dalla loro dimensione naturale altrimenti troppo banale, stampe a quattro tonalità di inchiostro nero, che sembrano fluttuare sulla parete opposta: Mundane Landscapes (Paesaggi mondani).
Solo apparentemente semplici, i suoi ritratti di immagini allo specchio dei membri dell’ Extended Organ, in riferimento agli esperimenti musicali con Tom Recchion, Joe Potts e Paul McCarthy, a cui si accompagna a volte anche la presenza di Mike Kelley: My Band (La mia band).
L’elemento forse più singolare nel dipinto di Nilsen è la totale assenza di suono. La scelta del silenzio da parte di questo artista, che per decenni ha fatto della musica l’elemento preponderante della sua arte, si rende in questo caso elemento d’impatto quasi tangibile.
La prima e ultima opera che vi accompagna in questo giro di giostra è l’installazione posta nel cortile della galleria: "Prototypes for the mobilization and broadcast of fugitive sound." (prototipi per la mobilizzazione e la trasmissione del suono fugace)
Brandon LaBelle li chiama anche Dirty Ear Wagons (Carrozze dalle orecchie sporche): essi descrivono il core audio udito sotto forma di "microcomposizioni … basate sui ritmi del corpo, i bisbigli del cuore, voci rubate e storie indesiderate ", creati "con materiali d’archivio rubati, discorsi origliati, invasioni di spazio e intercettazioni... allo scopo di metterli dove non dovrebbero stare." Sarà lo spettatore a captare o meno una eventuale vena erotica nel materiale ascoltato.
Poi i mesi diventarono ore.
Di questi tempi, bastano soltanto pochi secondi.
Più si oltrepassano confini, più essi si fondono e si confondono l’uno con l’altro.
C’è una lingua di partenza e c’è una lingua di arrivo, e, nel passaggio tra le due, un tessuto multilinguistico accompagnato da una miriade di suoni occasionali che riempiono l’ambiente circostante.
Nessuno dei protagonisti – oratori, ascoltatori e chiunque altro nel loro raggio d’azione – è in grado di prevedere il ‘senso’ che ne deriva, e tantomeno di controllarlo.
Il suono ignora i confini.
La metà degli artisti di questo gruppo, per anni, ha fatto di questo principio il fulcro della propria arte.
E anche in tal caso, questo è ciò che avviene.
I lavori qui presentati sono stati intenzionalmente predisposti per fondersi visivamente e uniformemente l’uno con l’altro.
La fiera del disordine.
Tutti coloro che hanno preso parte a questo progetto sono soliti viaggiare e portare i loro lavori in tutto il mondo.
La maggior parte di noi vive in un continente diverso da quello in cui è nato.
Parliamo diverse lingue.
Attraversiamo il Lago Atlantico almeno una volta al giorno.
Il primo di noi a compiere questo viaggio è stato Gary Jo Gardenhire. Colpito da paralisi cerebrale alla nascita, fu in cura presso vari medici del suo paese d'origine in Kansas, i quali, molti anni dopo, definirono il suo quoziente intellettivo pari a circa 60 della scala MMPI (il valore minimo stabilito di ‘normalità’ è 100) e gli prospettarono, ottimisticamente parlando, una vita piatta e mediocre di paziente ambulatoriale. Vent’anni più tardi, dopo aver conseguito una laurea all’Antioch College (con ben due specializzazioni) e successivamente al Pratt Institute, visse e lavorò a San Francisco e a New York, poi a Londra e a Parigi, prima di interrompere bruscamente tutti i rapporti con le gallerie con cui lavorava per trasferire vita e lavoro in una villa sulle colline fuori Spoleto. È qui che da oltre dieci anni sviluppa e perfeziona la sua arte, sostanzialmente in segreto. In occasione della mostra Cross Lake Atlantic egli porta due lavori paralleli, che sono stati installati uno di fronte all’altro proprio all’entrata della galleria. Una fila orizzontale di tele coperte da strisce verticali, dipinte a mano libera e con tratto spontaneo, sublimi nella loro assenza di rigore data dalle sue condizioni fisiche: Portrait of a Cripple (Ritratto di uno zoppo).
E’ in netto contrasto con: Muscle Boys (Culturisti) sulla parete opposta.
Una serie di collage di autoritratti, nudi maschili grottescamente distorti in posizioni umanamente irriproducibili, immagini tratte da ritagli di riviste gay e per la cura del corpo, il volto fotografato di Gardenhire a riprodurre le teste dei corpi.
Il contributo più etereo è dato dall’installazione di Teresa Margolles dal titolo "A travez".
È forse il suono la prima cosa che ci colpisce? Registrazioni audio dell’artista stessa al lavoro mentre esegue autopsie su corpi assassinati, nel laboratorio di analisi medica a Città del Messico. O è invece l’icona sospesa in plexiglas piatto del grasso umano unito al sudore delle donne di Juarez? Disarmante nella sua sottile eleganza, nella manipolazione delle emozioni esistenziali più profonde con precisione chirurgica accompagnata da una volontaria assenza di controllo.
Sulla parete di fondo, scostato dal rumore e dal caos delle immagini che la circondano, troviamo la video-installazione in quattro parti di Scott Arford: Static Room, Airports 2, Song of the Station, Films from my front window (Stanza statica, Aeroporti 2, Inno alla stazione, Film alla finestra).
Una proiezione a parete intera, muta, un paio di cuffie a lato che invitano all’ascolto. L’esperienza pluridecennale nel campo dell’architettura di Arford's si manifesta apertamente in queste immagini dal movimento lento e metodico: l’effetto è magnifico. Immagini d’impatto; superflui i riferimenti. Strutture in movimento su sfondo muto. Senza l’ausilio delle cuffie, tutto ciò che sentiamo è il suono sovrastante della colonna sonora, mentre la nostra visuale è interamente dominata dalle proiezioni.
Kim Gordon e Jutta Koether sembrano prosperare nel disordine.
La linea di confine tra le due si sfuma, non importa chi ha fatto cosa.
Che senso ha rifare il letto visto che ci dormirai di nuovo?
Sulla sinistra, poco distante dal centro della galleria principale, spicca la loro tenda canadese: Reverse Karaoke (Karaoke inverso).
Una 'stanza segreta’ aperta sorge su un pavimento cosparso di pigmenti di polvere colorata, residuo dell’esibizione di 'action-painting' che sarà realizzata il galleria il giorno 14 settembre dagli stessi artisiti. La polvere viene calpestata e sparsa ovunque dagli spettatori. Un luogo sacro all’interno, pieno di strumenti e aggeggi atti al suono, invita gli spettatori a diventare essi stessi protagonisti e creatori del suono, in una dimensione intima e temporaneamente illusoria, finché rotta all’improvviso dal rumore dei passanti all’esterno.
Dietro alla tenda, sulla sinistra, le deformazioni fotografiche di Fredrik Nilsen: immagini iconografiche mandala distorte dalla loro dimensione naturale altrimenti troppo banale, stampe a quattro tonalità di inchiostro nero, che sembrano fluttuare sulla parete opposta: Mundane Landscapes (Paesaggi mondani).
Solo apparentemente semplici, i suoi ritratti di immagini allo specchio dei membri dell’ Extended Organ, in riferimento agli esperimenti musicali con Tom Recchion, Joe Potts e Paul McCarthy, a cui si accompagna a volte anche la presenza di Mike Kelley: My Band (La mia band).
L’elemento forse più singolare nel dipinto di Nilsen è la totale assenza di suono. La scelta del silenzio da parte di questo artista, che per decenni ha fatto della musica l’elemento preponderante della sua arte, si rende in questo caso elemento d’impatto quasi tangibile.
La prima e ultima opera che vi accompagna in questo giro di giostra è l’installazione posta nel cortile della galleria: "Prototypes for the mobilization and broadcast of fugitive sound." (prototipi per la mobilizzazione e la trasmissione del suono fugace)
Brandon LaBelle li chiama anche Dirty Ear Wagons (Carrozze dalle orecchie sporche): essi descrivono il core audio udito sotto forma di "microcomposizioni … basate sui ritmi del corpo, i bisbigli del cuore, voci rubate e storie indesiderate ", creati "con materiali d’archivio rubati, discorsi origliati, invasioni di spazio e intercettazioni... allo scopo di metterli dove non dovrebbero stare." Sarà lo spettatore a captare o meno una eventuale vena erotica nel materiale ascoltato.
08
settembre 2007
Cross Lake Atlantic
Dall'otto settembre al 24 ottobre 2007
arte contemporanea
Location
GALLERIA ENRICOFORNELLO
Prato, Via Giuseppe Paolini, 21, (Prato)
Prato, Via Giuseppe Paolini, 21, (Prato)
Orario di apertura
dal martedì al sabato 11-13 e 15-20
Vernissage
8 Settembre 2007, ore 18
Autore
Curatore