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Da Corot a Monet. La sinfonia della natura
Una mostra per mettere in relazione le innovazioni stilistiche degli Impressionisti con una comprensione più ampia della natura, della cultura e della modernizzazione del loro tempo. Oltre 170 opere tra dipinti, opere su carta e fotografie d’epoca, mai esposte prima in Italia, ripercorrono l’intero percorso evolutivo degli Impressionisti nel rappresentare la natura ed il paesaggio, partendo dalle prime innovazioni dei pittori della Scuola di Barbizon per arrivare al trionfo cromatico delle Ninfee di Monet.
Comunicato stampa
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“Da Corot a Monet. La sinfonia della natura”: dal 6 marzo al 29 giugno 2010 il Complesso del Vittoriano di Roma presenta una prestigiosa esposizione che per la prima volta mette in relazione le straordinarie innovazioni, attraverso cui gli Impressionisti rivoluzionarono la pittura tradizionale, con una comprensione più ampia della natura, della cultura e della modernizzazione del loro tempo. Oltre 170 opere tra dipinti, opere su carta e fotografie d’epoca, queste ultime mai esposte prima in Italia, ripercorrono l’evoluzione della rappresentazione della natura nella pittura francese dell’Ottocento, partendo dalle prime innovazioni ai canoni classici apportate dai pittori della Scuola di Barbizon, esplorando a fondo la rivoluzione degli Impressionisti, per arrivare al trionfo cromatico delle Ninfee di Monet.
La Mostra, che nasce sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, è promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con la partecipazione del Comune di Roma - Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione –, della Regione Lazio – Presidenza e Assessorato alla Cultura, allo Spettacolo e allo Sport -, della Provincia di Roma – Presidenza e Assessorato alle Politiche culturali -, con il patrocinio del Senato della Repubblica, della Camera dei Deputati e del Ministero degli Affari Esteri. La rassegna è organizzata e realizzata da Comunicare Organizzando di Alessandro Nicosia.
Tanti prestigiosi musei di tutto il mondo, insieme ad importanti gallerie e collezioni private, hanno sostenuto questo ambizioso progetto e tra essi spiccano: The Art Institute di Chicago, The Metropolitan Museum of Art e The New York Public Library di New York, The National Gallery of Art e The Corcoran Gallery of Art di Washington, Toledo Museum of Art e Kimbell Art Museum, Musée Marmottan e Bibliothèque nationale de France di Parigi, Musée Fabre di Montepellier, e ancora Hamburger Kunsthalle e The State Hermitage Museum.
L’esposizione “Da Corot a Monet. La sinfonia della natura”, a cura di Stephen F. Eisenman, Ordinario di Storia dell’Arte, Northwestern University, Chicago, in collaborazione con Richard R. Brettell, Commissario Internazionale della Mostra, Ordinario di Storia dell’Arte, University of Texas, Dallas, si avvale di un prestigioso comitato scientifico composto da John House, Walter H. Annenberg Professor, Courtauld Institute of Art, Londra; Maria Grazia Messina, Ordinaria di Storia dell’Arte Contemporanea, Università di Firenze; Greg M. Thomas, Associate Professor in Art History, The University of Hong Kong, Hong Kong; MaryAnne Stevens, Director of Academic Affairs e Senior Curator, The Royal Academy of Arts, Londra; Michael Zimmermann, Deputy Director of the Zentralinstitut für Kunstgeschichte, Monaco di Baviera.
La mostra
L’Impressionismo è certamente un periodo storico artistico al quale sono state dedicate innumerevoli esposizioni, studi e pubblicazioni, ma questa mostra al Complesso del Vittoriano, propone per la prima volta un’analisi davvero approfondita e complessiva del rapporto tra Impressionismo e Natura e di come gli Impressionisti, con il loro linguaggio artistico innovativo, non solo abbiano reso testimonianza visiva dell’impatto della modernità sul paesaggio francese, in una coesistenza di passato e presente, ma abbiano abbracciato una nuova prospettiva olistica, che rivela il dinamismo e la contingenza di ogni sistema sociale e naturale.
La mostra si apre con una selezione di opere a contrasto: da un lato i paesaggi classicheggianti, alla maniera dei Salon, come l’imponente Vista dell’isola di Capri di Harpignies, dall’altro il nuovo approccio degli artisti della Scuola di Barbizon, che sceglievano, invece, di raffigurare luoghi meno spettacolari e di creare composizioni meno fedeli ai dettami della tradizione.
La Scuola di Barbizon comprende quegli artisti, tra cui Corot, Rousseau, Díaz de la Peña, Dupré e Daubigny, che, a partire dagli anni trenta dell’Ottocento, si stabilirono proprio a Barbizon, una località della foresta di Fontainebleau, dove cominciarono a disegnare e, talvolta anche a dipingere, en plein air, con un’attenzione particolare agli effetti transitori della luce e dell’atmosfera, pur mantenendo un notevole rispetto per la tradizione artistica, raffigurando scene rurali solitarie, oltre che per gli elementi legati alla visione e alla vita materiale.
La foresta di Fontainbleau, poco lontana da Parigi, rappresentava per i francesi dell’epoca un vero e proprio monumento naturale, da proteggere e preservare. Come scrive Stephen Eisenman nel suo saggio: “Nel 1860 C.F. Denecourt, il celebre scrittore di guide di viaggio, rivolse un appello all’imperatore Napoleone III affinché la foresta venisse protetta: ‘Con i suoi splendidi orizzonti, le superbe masse di rocce antidiluviane, le valli ombreggiate, gli spazi vuoti e gli alberi secolari... [questa foresta] è stata regalata da Dio alla Francia come un modello di paesaggio terreno’ Théodore Rousseau, dal canto suo, descrisse le foreste come ‘l’unico ricordo ancora vivo dell’epoca eroica della madrepatria, da Carlo Magno a Napoleone’ e nel 1852 sollecitò Napoleone III a istituire una riserva naturale nella foresta, cosa che quest’ultimo fece nel 1861. Questa réserve artistique di 1.097 ettari fu uno dei primi parchi nazionali del mondo. (...) I dipinti di Barbizon, comprese le fotografie di Cuvelier, Le Gray, Le Secq e altri, - qui esposte - erano dunque intensamente nostalgici, giacché rievocano il sogno di un’era in cui – almeno così si credeva – nobili e contadini vivevano in armonia, la terra era fertile e pacifica e le uniche tracce significative dello scorrere del tempo erano il mutare delle stagioni e la diversa intensità della luce nelle ore del giorno.”
“Gli impressionisti, che ammiravano Daubigny e negli anni settanta dell’Ottocento lo seguirono a Auvers“ – spiega Eisenman - amplificarono al massimo le innovazioni e minimizzarono il conservatorismo degli artisti di Barbizon. Nel 1872 Claude Monet si costruì uno studio galleggiante sull’esempio di Daubigny (autore della serie di incisioni En bateau, 1872, New York Public Library, presenti in mostra), ma anziché guardare in basso verso le sponde dei fiumi per rappresentarne la particolare morfologia, di solito abbracciava con lo sguardo acqua, cielo, ponti, gitanti, passeggiatori, battellieri, braccianti e tutte le forme della natura e della cultura rivierasca. E invece di raffigurare quel mondo complesso gradualmente, con pennellate brevi, misurate e relativamente uniformi, utilizzava segni ampi ed espressivi, macchie, tocchi, riccioli e virgole di colore. Attraverso l’unione di una superficie pittorica animata e una nuova gamma di soggetti, in effetti, Monet e gli impressionisti aprirono una serie di interrogativi critici sulla modernità che avrebbero stimolato l’ambiziosa pittura europea per i decenni a venire. Essi sostituirono al nominalismo degli artisti di Barbizon un olismo nuovo e convincente: erano diventati artisti ecologici. “
Una rappresentazione della Natura come forza vitale, nella sua perpetua attività generatrice, priva di figure umane, è quella presentata da artisti come Courbet, Boudin e Cazin.
Nelle opere degli Impressionisti appare, quindi, evidente questa nuova volontà di rappresentare una realtà che è frutto dell’equilibrio e della commistione indissolubile tra tutte le parti del mondo naturale. Prendendo spunto dagli sviluppi della scienza a loro contemporanea, come testimoniano in mostra alcune copie della rivista scientifica La Nature di Gustave Tissandier e pubblicazioni del geologo radicale Elisée Reclus, i pittori impressionisti rappresentarono “l’economia della natura”, ovvero la terra come un insieme di sistemi umani e naturali collegati tra loro, con tutte le parti ugualmente vitali e reciprocamente vincolate.
Quella impressionista è una sfida al pittoresco convenzionale, sia nel virtuosismo della tecnica essenziale, sia in quello della composizione. Come spiega John House nel suo saggio in catalogo: “Le opere eseguite da Pissarro e Monet tra gli anni settanta e ottanta dell’Ottocento chiariscono ulteriormente questi temi. Negli anni settanta Pissarro realizzò una sequenza di vedute delle rive dell’Oise in cui le fabbriche giocano un ruolo prominente (vedi per es. in mostra La sente du Chou, Douai, Musée de la Chartreuse). Questa intrusione della contemporaneità equivaleva a un rifiuto delle immagini convenzionali del fiume rese popolari dai dipinti di Charles-François Daubigny, in cui le sponde verdi e nebbiose sono presentate come un rifugio incontaminato (per es. esposto Mattino sull’Oise, Oshkosh, Paine Art Center and Gardens). A un primo sguardo le fabbriche di Pissarro sembrano accomunabili alla parodistica mietitura di Renoir, ma tra le due c’è una differenza sostanziale: mentre in Renoir contava soprattutto la decisione di declinare il tema della mietitura in chiave antipittoresca, in Pissarro la rottura è provocata da un’intrusione fisica nel paesaggio stesso, quella della fabbrica sulla riva del fiume. (...) Considerato nel suo insieme, questo progetto suggerisce che la presenza della modernità può assumere molte forme e che una pittura realmente moderna dovrebbe riunire quegli elementi contrastanti che le rappresentazioni di paesaggi tradizionali avevano escluso.”
Anche Monet, nelle vedute di Argenteuil realizzate in questo stesso periodo, esplora un’ampia gamma di tonalità e atmosfere. A volte il luogo è raffigurato come un villaggio rurale, ma più spesso sono i segni della modernità a imporsi, pur nella loro estrema diversità: fabbriche e ponti ferroviari, ma anche ville suburbane, chalet sulle rive del fiume e imbarcazioni in movimento, con una continua variazione tonale delle opere, che esplorano tutte le più disparate variazioni atmosferiche in una gamma di effetti visivi davvero straordinaria.
L’uomo entra nel paesaggio, come nel capolavoro di Frédéric Bazille dal Musée Fabre di Montpellier, nel quale la donna in primo piano si immerge completamente nella natura, invitando il nostro sguardo a sprofondare nel panorama della valle verdeggiante vicino al villaggio di Castelnau.
Come spiega Eisenman, Alfred Sisley, invece, dedicò tutta la sua carriera a rappresentare i cicli della natura e il potere dell’idrologia: “I suoi maggiori dipinti hanno per soggetto fiumi, laghi, oceani e alluvioni. Ne sono un esempio – tra le opere esposte - L’inondazione a Port-Marly (1872, Washington, National Gallery of Art), L’inondazione a Moret (1879, Brooklyn Museum) e La Senna a St.-Mammès (ca. 1882, Muskegon Museum of Art): essi raffigurano in maniera vivida ciò che Tissandier e Reclus descrivevano a parole, ovvero che le piene sempre più frequenti dei fiumi francesi, tra cui la Senna, il Rodano, la Loira e la Garonna, erano una conseguenza dell’azione e degli abusi dell’uomo, che tagliava alberi e siepi distruggendo le foreste per lasciar spazio all’agricoltura. In effetti le grandi inondazioni del 1846, 1856 e 1875 furono ampiamente attribuite alla deforestazione. Ma i quadri di Sisley evidenziano anche un altro aspetto della visione di Reclus, ovvero che le comunità sono in grado di adattarsi ai cicli della natura e persino alle calamità esacerbate dall’agire dell’uomo.”
L’avvento della Terza Repubblica nel 1879 cambiò nettamente la politica artistica dello stato francese, che, se in passato aveva favorito le forme più tradizionali del paesaggio rurale, incoraggiava ora attivamente la raffigurazione delle scene contemporanee. Fu forse anche questo che contribuì al trasferimento di Monet a Vétheuil e ad un atteggiamento nuovo: abbandono dei soggetti esplicitamente moderni, riduzione al minima della presenza umana.
La fusione tra pratica artistica e vita privata che Monet attuò, poi, nella casa e nei giardini di Giverny è un esempio perfetto della tendenza antiurbana e introspettiva dell’arte moderna fin de siècle. Spiega Eisenman “Ormai prossimo alla fine della vita e della carriera, Monet ripensò alle opere dei grandi pittori di Barbizon Rousseau, Díaz, Dupré, Harpignies e Daubigny, nonché dei fotografi Eugène Cuvelier, Gustave Le Gray e Henri Le Secq, i quali avevano tutti posto l’acqua – in particolare i fiumi e le paludi – al centro della loro visione. Al pari di questi artisti, anche lui considerava l’acqua – come aveva scritto il naturalista Justus Liebig nel 1845, durante il periodo d’oro di Barbizon – “l’agente intermedio di tutta la vita organica”. Le sue ninfee erano forse “il piccolo e tiepido stagno” descritto da Darwin, il brodo primordiale da cui si svilupparono tutte le forme di vita.”
La mostra si chiude con una testimonianza dello splendido ciclo delle Ninfee, oggi chiamato Grandes Décorations, installato all’Orangerie di Parigi e aperto al pubblico nel 1927, un anno dopo la morte dell’artista. “Queste immense tele panoramiche, che raggiungono un’estensione totale di oltre novanta metri, segnano un netto passaggio concettuale dall’originario obiettivo artistico di Monet, ovvero quello di recarsi in campagna e dipingere tutto ciò su cui si posava lo sguardo – terra, cielo, acqua, barche, gente, edifici – purché il risultato fosse una composizione pregevole e coerente.”
L’artista non raffigura più la natura come momento insieme immediato ed eterno, non è più interessato a fissare sulla tela il fondersi di passato e presente, antico e modernità, ma crea, piuttosto, un luogo dell’anima, un ideale rifugio dalla contingenza della vita quotidiana.
Conclude Eisenman: “Questo sforzo di monumentalizzazione è decisamente distante dalla deliberata contemporaneità e contingenza della precedente visione ecologica di Pissarro, Sisley e dello stesso Monet. L’artista aveva quindi abbandonato l’ecologia di Reclus, con la sua enfasi sul cambiamento e sull’interdipendenza dinamica di natura e cultura, per tornare a una versione del paysage nature o natura naturans (la natura che genera se stessa) della scuola di Barbizon, ma stavolta senza la struttura di sostegno del classicismo. Il risultato è una straordinaria emancipazione dalle forze scoraggianti della modernizzazione, ma anche un terribile ritiro in un’isola privata di sogni e ansietà.
ELENCO DEI MUSEI PRESTATORI
BELGIO
Gand, Museum voor Schone Kunsten
FRANCIA
Douai, Musée de La Chartreuse
Lille, Palais des Beaux-Arts
Montpellier, Musée Fabre
Orléans, Musée des Beaux-arts
Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs
Parigi, Bibliothèque nationale de France
Parigi, Musée d'Orsay
Parigi, Musée Marmottan Monet
Tour, Musée des Beaux-Arts
Vernon, Musée de Vernon
GERMANIA
Amburgo, Hamburger Kunsthalle
RUSSIA
San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage
UNGHERIA
Budapest, Szépmüvészeti Múzeum
USA
Chicago, Collezione Union League Club of Chicago
Chicago, The Art Institute of Chicago
Columbus, Columbus Museum of Art
Dallas, Dallas Museum of Art
Duluth, Tweed Museum of Art
Fort Worth, Kimbell Art Museum
Los Angeles, The J. Paul Getty Museum
Madison, Chazen Museum of Art
Montana, Montana Museum of Art and Culture
Montreal, The Montreal Museum of Fine Arts
Muskegon, Muskegon Museum of Art
New York, Brooklyn Museum
New York, The Metropolitan Museum of Art
New York, The New York Public Library
Omaha, Joslyn Art Museum
Seattle, Seattle Art Museum
South Hadley, Mount Holyoke College Art Museum
St. Louis, Saint Louis Art Museum
Toledo, Toledo Museum of Art
Tulsa, Philbrook Museum of Art
Washington, Corcoran Gallery of Art
Washington, National Gallery of Art
Impressionismo ed ecologia
Stephen F. Eisenman
La nuova pittura
L’impressionismo segnò una trasformazione nella pittura di paesaggio di fine Ottocento. I suoi esponenti – Monet, Renoir, Sisley, Pissarro, Morisot e gli altri – ordinavano la luce e il colore in maniere inedite e utilizzavano un tocco vigoroso che talvolta produceva opere più simili a schizzi che non a dipinti compiuti. Neve a Port-Marly, brina di Alfred Sisley (1872, Lille, Musée des Beaux-Arts) rappresenta un’ansa della Senna in una limpida mattina d’inverno, ma la tela è tempestata di pennellate a ricciolo di un bianco screziato di lavanda contrapposte a rombi di color arancio – lo stesso che, applicato in blocchi irregolari e privi di modulazioni, fa fiammeggiare gli alberi sulla sponda distante; sotto, circondata da una coltre grigio azzurro, un’imbarcazione a vapore fende le acque del fiume. Un decennio prima, nessuno avrebbe considerato Port-Marly un’opera d’arte finita degna di essere mostrata al pubblico. Ancora nel 1870 ca., Canale in Piccardia di Camille Corot (Toledo Museum of Art) – idealizzante, classicheggiante e accattivante – rappresentava i canoni del gusto nel paesaggio. Ma Sisley e gli altri esponenti di quella che il critico Edmond Duranty definì “la nuova pittura” stavano cambiando la definizione stessa di peinture. Non più il risultato di una meticolosa attenzione alle sottigliezze della prospettiva, alle gradazioni tonali, all’equilibrio della composizione o all’anatomia insegnati all’accademia, l’arte degli impressionisti era invece il prodotto di uno sguardo rapido, una mano abile e un temperamento sensibile. Questi artisti, come scrisse Duranty, “spalancarono le finestre e uscirono all’aria aperta, alla luce del sole... [Essi fornirono] un nuovo metodo di colore e di disegno, oltre che una gamma di punti di vista originali”.1 Quei “punti di vista”, tuttavia, riguardavano tanto i soggetti veri e propri quanto le tecniche artistiche.
A partire da Meyer Schapiro nel 1936, gli storici dell’arte e i critici d’arte moderna hanno osservato che gli impressionisti includevano nelle loro rappresentazioni di paesaggi e città molti elementi di architettura e ingegneria, nonché figure, attività e luoghi urbani e suburbani che l’arte precedente aveva del tutto ignorato.2 La “nuova pittura” trattava del conflitto e dell’interazione dinamica fra natura e industria, svago e lavoro, libertà e costrizione, cambiamento e tradizione. Gli impressionisti rappresentavano in modi al tempo stesso ovvi e sottili l’impatto della modernizzazione sulle città e le campagne francesi. Paesaggio a Auvers-sur-Oise di Camille Pissarro (1878, Columbus Museum of Art), per esempio, si sofferma appunto sugli spazi tra città e campagna, campi arati e terreni incolti, agricoltura e industria, raffigurando un giardino in primo piano a destra e le ciminiere di una fabbrica che si profilano in lontananza in alto a sinistra. Una dicotomia analoga è presente in un’opera dello stesso anno, La sente du Chou (Douai, Musée de La Chartreuse), in cui Pissarro rappresenta due contadini fermi a chiacchierare su un viottolo che costeggia un filare di cavoli, poco distante dalla Senna. Sullo sfondo a sinistra si intravedono i nuovi stabilimenti Arnoul e Châlon, che producevano rispettivamente vernici e fertilizzanti. Il lungo bastone che l’uomo tiene contro la spalla sinistra lo identifica come il proprietario della capra d’angora (all’inizio dell’Ottocento le angora erano importate dalla Turchia; per conservare il manto delicato avevano bisogno di pascoli abbondanti e la lana che producevano – il mohair – era destinata ai ricchi).
Se il contrasto fra tradizione e modernità nel dipinto di Pissarro appare ovvio, le sue implicazioni non lo sono altrettanto. Esse riguardano complesse questioni legate al tempo e a ciò che il rivoluzionario russo Trotsky – scrivendo una generazione dopo Pissarro – definì “sviluppo diseguale”.3 In questo particolare giorno e in questa località nei pressi della Senna vediamo affiancati unità di tempo e modi di produzioni contrastanti: la longue durée della geografia e della geologia (erosione, corso dei fiumi, creazione ed esaurimento del terreno) contro il tempo breve e incerto dei rapporti umani (la durata di una conversazione o del tragitto a piedi dalla fattoria al mercato); il tempo rapido dell’industria (il ritmo imposto dalle fabbriche e la velocità di trasporto delle materie grezze o dei prodotti finiti) contro il tempo languido del pastoralismo (le ore del giorno e le stagioni dell’anno). In questo angolo di terra – suggerisce il dipinto – il passato della Francia rurale con la sua classe contadina folta e stabile coesiste pacificamente con il presente della Francia moderna e la sua industria emergente, il suo proletariato in crescita e il suo mercato di lusso (i cappotti in mohair!). Il quadro sintetizza dunque la visione “assimilazionista” di Pissarro discussa in questo volume da Greg Thomas, ovvero l’ambizione di “accostare alla tradizionale vita nei campi moderne intrusioni industriali come fabbriche e ferrovie”. Almeno per ora, sembra dire Pissarro, tradizione e modernità si danno la mano; in altri momenti e luoghi, l’unione potrà diventare forzata o addirittura rompersi.
Ma il contributo di Pissarro e degli impressionisti al linguaggio visivo della modernità non si limita all’assimilazione pittorica di forze economiche e sociali apparentemente contrastanti. Attraverso l’autorità della loro tecnica innovativa, abbinata alla scelta di soggetti moderni, gli impressionisti elaborarono un olismo nuovo e radicale – una visione ecologica – e lo offrirono all’arte e all’immaginazione del futuro (una prospettiva olistica è potenzialmente radicale in quanto rivela il dinamismo e la contingenza di un sistema sociale, e di conseguenza il suo potenziale di cambiamento). Per gli impressionisti come per la scuola degli storici, geografi, sociologi e biologi evoluzionisti che crearono e definirono il campo dell’ecologia, non esistono unità isolate di natura e società, come non esiste una natura senza cultura o una cultura che non sia stata forgiata dalla natura. In un’ottica ecologica, anche l’arte visiva e la cultura materiale sono forgiate dalla natura e contraddistinte da un alto grado di contingenza. Il ruolo del caso o dell’accidentalità è un tratto significativo di tutta l’arte moderna da Cézanne all’espressionismo astratto.
Sisley, Pissarro, Monet e gli altri impressionisti non furono i primi che capirono e tentarono di rappresentare la contingenza e il cambiamento, come pure la coesistenza di passato e presente nel paesaggio. Essi si rifacevano alla lezione dei pittori di Barbizon – tra cui Corot, Rousseau, Díaz de la Peña, Dupré (Il fiume, ca. 1850, St. Louis, Kemper Art Museum) e Daubigny – che a partire dagli anni trenta dell’Ottocento si stabilirono in quella località della foresta di Fountainebleau e cominciarono a disegnare – talvolta anche a dipingere – en plein air. Questi artisti più anziani erano attenti agli effetti transitori della luce e dell’atmosfera e raffiguravano luoghi poco spettacolari che ad alcuni loro predecessori sarebbero apparsi estremamente inadatti alla realizzazione di opere compiute (l’imponente Veduta dell’isola di Capri di Harpignies [Londra, Matthiesen Gallery], presentata al Salon del 1853, esemplifica questa precedente maniera classicheggiante, ispirata in parte al paysage historique di Pierre-Henri de Valenciennes, mentre il successivo Ponte ferroviario a Briare [Tulsa, Philbrook Art Museum] è più tipico dello stile di Barbizon). In Bordo dell’acqua, Optevoz (1856, Mt. Holyoke Museum of Art), Daubigny dipinse fiori selvatici, erbe, arbusti e alberi quasi con la stessa precisione di un naturalista; le nuvole azzurre, porpora e bianche riflesse nell’acqua sono cariche di umidità e le rocce granitiche sono state spaccate dall’azione congiunta di acqua, caldo e freddo. I pittori di Barbizon come Daubigny, tuttavia, mostravano notevole rispetto per la tradizione artistica oltre che per gli elementi legati alla visione e alla vita materiale. Bordo dell’acqua fu composto alla maniera classica sulla base di piccoli disegni a matita e schizzi a olio eseguiti dal vero (forse da una barca a remi sull’acqua), seguiti da un lavoro preparatorio di dimensioni più grandi realizzato in studio per giungere infine al dipinto finale. Mattino sull’Oise di Daubigny (1866, Oskosh Wisconsin, Paine Art Center), completato cinque anni dopo che l’artista si fu trasferito a Auvers-sur-Oise, condensa tutta la sua opera nonché più di un secolo di tradizione del paesaggismo francese. Le lavandaie in primo piano, inginocchiate sulle placide rive di un fiume, ricordano le figure accessorie – il cosiddetto staffage – nei dipinti di Hubert Robert, J.-H. Fragonard e altri vedutisti del Settecento. Quanto alla composizione estremamente equilibrata, composta da cunei interconnessi di acqua, prato e collina, essa derivava da formule stabilite nel Seicento dai classicisti Claude Lorrain e Nicholas Poussin. Nonostante ciò, la libertà della resa presente in tutta l’opera e l’evidente piacere di Daubigny nel dipingere il riflesso appiattito del cielo nell’acqua avvicinano il dipinto alla pratica degli impressionisti.
Gli impressionisti, che ammiravano Daubigny e negli anni settanta dell’Ottocento lo seguirono a Auvers, amplificarono al massimo le innovazioni e minimizzarono il conservatorismo degli artisti di Barbizon. Nel 1872 Claude Monet si costruì uno studio galleggiante sull’esempio di Daubigny (autore della serie di incisioni En bateau [In barca], 1872, New York Public Library), ma anziché guardare in basso verso le sponde dei fiumi per rappresentarne la particolare morfologia, di solito abbracciava con lo sguardo acqua, cielo, ponti, gitanti, passeggiatori, battellieri, braccianti e tutte le forme della natura e della cultura rivierasca. E invece di raffigurare quel mondo complesso gradualmente, con pennellate brevi, misurate e relativamente uniformi, utilizzava segni ampi ed espressivi, macchie, tocchi, riccioli e virgole di colore. Attraverso l’unione di una superficie pittorica animata e una nuova gamma di soggetti, in effetti, Monet e gli impressionisti aprirono una serie di interrogativi critici sulla modernità che avrebbero stimolato l’ambiziosa pittura europea per i decenni a venire. Essi sostituirono al nominalismo degli artisti di Barbizon un olismo nuovo e convincente: erano diventati artisti ecologici.
L’“economia della natura”
Il concetto fondamentale di ecologia – anche se non ancora il termine stesso – fa la sua comparsa negli scritti di Linneo, botanico e tassonomista svedese vissuto nel Settecento. Nella sua visione, tutti gli organismi occupavano un determinato posto nella natura assegnato loro da Dio e insieme al mondo inanimato formavano un ordine grandioso ed equilibrato. In secondo luogo, ogni elemento di natura inorganica – minerali, acqua, aria, terra – costituiva il sostrato essenziale per l’esistenza di piante e animali e non poteva essere rimosso o sconvolto se non sacrificando l’intero sistema ordinato da Dio. Il principio ricalcava quello dell’estetica idealista, secondo cui a un’opera d’arte non si può aggiungere o togliere nulla se non a danno dell’insieme. Più o meno nello stesso periodo di Linneo, il naturalista francese G.-L. Buffon prospettò la sua visione di una natura più dinamica, scandita nel tempo dall’estinzione di piante e animali. Due generazioni dopo, l’inglese Charles Lyell – in Principles of Geology (1833) e nel più tardo The Geological Evidences of the Antiquity of Man (1863) – accettò il principio linneano dell’esistenza di un equilibrio tra tutte le parti del mondo naturale, ma lasciò fuori Dio proponendo invece la competizione come principio fondamentale alla base del cambiamento e comprendendo in quest’ultimo anche l’estinzione e l’evoluzione (o “trasmutazione”) delle specie e degli organismi. In Germania, Alexander von Humboldt tentò di descrivere per la prima volta, nell’opera in più volumi Kosmos (1858), la “grande catena di connessioni mediante le quali tutte le forze naturali sono collegate e rese interdipendenti”, analizzando anche i “collegamenti e gli stati di transizione” tra un organismo e l’altro.4 Fu solo con la pubblicazione de L’origine delle specie di Charles Darwin (1859), tuttavia, che il concetto linneano di “economia della natura” fu accolto pienamente come cardine dell’ordine naturale e dello sviluppo evolutivo. Nel quarto capitolo de L’origine, Darwin descrisse il processo che dà luogo alla variazione e alla speciazione, spiegando come individui di una specie esistente, in virtù di un piccolo, accidentale vantaggio nella loro struttura, possono essere in grado di prosperare e riprodursi in un determinato ambiente mentre altri, meno favoriti dalla natura, non lo sono. Moltiplicato per molte generazioni, il processo – chiamato appunto “selezione naturale” – porta alla creazione di numerose specie nuove e all’estinzione di altre. La selezione naturale, sosteneva Darwin, agisce sempre con estrema lentezza e dipende dall’ambiente fisico e sociale in cui avviene:
La sua azione dipende dal fatto che, nella compagine della natura, vi sono dei posti che possono essere occupati meglio da alcuni abitatori del paese che subiscano una modificazione di qualche sorta. Spesso l’esistenza di questi posti dipenderà da mutamenti fisici, che in genere sono lentissimi, e dal fatto che è stata impedita l’immigrazione di forme meglio adattate. A mano a mano che alcuni abitanti del vecchio tipo andranno incontro a modificazioni, spesse volte i rapporti reciproci con gli altri subiranno un perturbamento, e questo creerà nuovi posti, pronti ad essere colmati da forme meglio adattate [...] non riesco a scorgere alcuna limitazione alla quantità di mutamento, alla bellezza ed all’infinita complessità degli adattamenti reciproci di tutti i viventi fra loro e con le condizioni fisiche di vita…5
La comprensione da parte di Darwin degli “adattamenti reciproci di tutti i viventi fra loro e con le condizioni fisiche di vita” e la sua concezione di una “compagine della natura” o, come la definisce altrove, di un’“economia della natura”, gettarono le basi della futura scienza dell’ecologia e di tutte le sue diramazioni in sociologia, antropologia, geografia, storia, politica, letteratura e arte.6 Benché lo studio scientifico dell’ecologia, come pure la diffusione della coscienza ecologica, siano sviluppi largamente novecenteschi, le linee fondamentali di quella nuova disciplina furono fissate in Germania e Francia tra gli anni sessanta e settanta dell’Ottocento, in concidenza con la nascita dell’impressionismo. Nonostante esistesse qualche legame concreto tra gli scienziati o i geografi d’avanguardia e gli artisti impressionisti, qui non si intende sostenere che gli uni influenzarono direttamente gli altri. Ciò che vogliamo sottolineare è piuttosto che ecologia e impressionismo hanno in comune un olismo profondo e radicale che li distingue dai precedenti sviluppi nei rispettivi campi. Entrambi, inoltre erano un sottoprodotto del pensiero evoluzionista e delle concezioni biologiche dell’“economia della natura”. Capire l’ecologia significa dunque acquisire una conoscenza nuova dell’impressionismo.
Il termine ecologia fu utilizzato per la prima volta dal prussiano Ernst Haeckel in Generelle Morphologie (1866), ma acquistò una diffusione ben più ampia con la pubblicazione, due anni più tardi, del suo popolarissimo volume Natürliche Schöpfungsgeschichte, tradotto in francese nel 1874 come Histoire de la création des êtres organisés d’après les lois naturelles.7 Haeckel fu il principale sostenitore europeo del darwinismo e la sua Storia della creazione naturale ricapitolava in un linguaggio accessibile molti dei temi presenti ne L’origine delle specie, compresi quelli riguardanti l’“economia della natura”. Tra le leggi che governano lo sviluppo biologico, scriveva Haeckel, c’è
l’ecologia degli organismi, la conoscenza della somma dei rapporti degli organismi con il mondo esterno, con le condizioni organiche e inorganiche dell’esistenza; la cosiddetta “economia della natura”, le correlazioni tra tutti gli organismi che vivono insieme in uno stesso luogo, i loro adattamenti all’ambiente circostante, le loro modificazioni nella lotta per l’esistenza, in particolare le circostanze del parassitismo, ecc. Sono proprio questi fenomeni dell’“economia della natura” che i non scienziati, in base a un’analisi superficiale, sono abituati a considerare come le sagge disposizioni di un Creatore che agisce per uno scopo definito, ma che a un esame più attento si dimostrano essere i risultati necessari di cause meccaniche.8
Tra la fine degli anni sessanta e i settanta, i concetti chiave del pensiero ecologico moderno erano ormai penetrati nei circoli intellettuali francesi e oltre, in parte grazie alla rivista scientifica La Nature, fondata nel 1873 e diretta da Gaston Tissandier. Il lavoro di Haeckel sulla Monera, da lui ritenuta (erroneamente) un phylum del regno dei protisti che avrebbe occupato una posizione intermedia tra pianta e animale, fu pubblicato in uno dei primi numeri.9 Nel 1984, la sua Histoire de la création fu recensita come “… un libro fuori dell’ordinario; spesso eccessivo [nel suo darwinismo]… è in ogni caso erudito, originale e in molte pagine autorevole”.10
Haeckel esercitò un’influenza diretta sul geografo radicale Elisée Reclus, una delle figure più importanti nella diffusione del pensiero ecologico in Francia, il quale abbracciò il principio dello scienziato tedesco (oggi ampiamente screditato) secondo cui l’ontogenesi ricapitola la filogenesi – ovvero l’idea che lo sviluppo embrionale dell’individuo riproduce gli stadi di sviluppo della sua specie.11 Reclus estese il concetto al rapporto tra individuo e società, conciliando così i campi della biologia e della storia. Nella summa L’uomo e la terra del 1905, di cui furono tuttavia pubblicati alcuni abbozzi già alla fine degli anni sessanta dell’Ottocento, scrisse: “L’uomo ricorda nella sua struttura tutto ciò che i suoi antenati hanno vissuto nel corso delle ere. Egli incarna in sé tutto ciò che lo ha preceduto nell’esistenza, allo stesso modo in cui, nella sua vita embrionale, presenta in successione varie forme di organizzazione più semplici della propria”.12
Reclus contribuì a diffondere in Francia e altrove le idee dell’ecologia sociale e dell’olismo geografico (le sue opere erano infatti tradotte in varie lingue). Ne La terre (1869), descrisse il pianeta come un insieme di sistemi umani e naturali: un “sistema di fiumi”, un “sistema di ghiacci” (entrambi parte di un più ampio “sistema di acque”), un “sistema di montagne” e un “sistema geologico”, nonché un “sistema agricolo”.13 Ogni singolo sistema dipende a sua volta dagli altri: il sistema idrologico, per esempio, varia in proporzione all’“altezza e orientamento delle catene montuose, alla lunghezza e inclinazione delle loro pendici, alla natura geologica delle regioni che alimenta, alla quantità annuale di pioggia e alla sua distribuzione”. Gli esseri umani – riteneva Reclus – sono in grado di integrarsi con questi diversi sistemi e vivere in quasi ogni angolo del pianeta, ma sanno anche trarre ispirazione dai suoni e dagli ambienti naturali. “È indubbio” sosteneva, “che la prospettiva costante di un orizzonte aperto incide fortemente sul carattere dei montanari, e non è un luogo comune affermare che le Alpi sono i viali della libertà”.14 La bellezza artistica e naturale, in altre parole, svolgerebbe un ruolo significativo nella creazione e riproduzione di sistemi ecologici e politici complessi.
Spesso definito un fondatore dell’“ecologia sociale”, Reclus era un evoluzionista ma non un darwiniano – e ancor meno un seguace di Herbert Spencer – poiché respingeva l’idea che la natura e la società fossero impegnate in continue lotte per la sopravvivenza o la dominanza, ma considerava anzi i due ambiti reciprocamente essenziali. In una prima versione de L’uomo e la terra, di cui apparve un estratto su La Nature nel 1875, parlò della necessità di “seguire nel tempo ciascun periodo della vita di un popolo in relazione ai cambiamenti ambientali, in modo da osservare l’azione congiunta della natura e dell’Uomo stesso, il quale agisce sulla terra che lo ha formato”.15 In Storia di un ruscello (1871), descrisse i cicli dell’acqua definendoli un segno dell’interazione tra natura e società e annunciò il sogno anarchico di cooperazione e aiuto reciproco: “I popoli si mischieranno con altri popoli come i ruscelli con i ruscelli e i fiumi con i fiumi; prima o poi formeranno una sola e unica nazione, così come tutte le acque di un unico bacino finiscono per confluire inseparabilmente in un unico fiume”.16 L’idea che l’umanità costituisse un unico organismo che a tempo debito sarebbe progredito verso l’emancipazione era alla base dell’anarchismo di Reclus e influenzò profondamente il pensiero degli anarchici Pëtr Kropotkin e Jean Grave, come pure l’impressionista Camille Pissarro.
Anche lo scrittore Gaston Tissandier, al pari di Reclus, era affascinato dall’acqua come entità concreta e metaforica. Ne L’Eau (1867) ne decantò i simultanei effetti distruttivi e “riproduttivi”, affermando che le onde “infliggono ferite” alla delicata epidermide della terra, ma al tempo stesso depositano sedimenti che creano nuova carne: “Se, come dicono alcuni, il ferro è lo scheletro della terra, allora l’acqua è il sangue: il flusso e riflusso incessante, l’evaporazione e il ritorno infinito corrispondono al battito del cuore umano e alla sua linfa vitale”.17 La Meuse à Freyr (La Mosa a Freyr) e La vague (L’onda) di Gustave Courbet (1856, Lille, Palais des Beaux-Arts; 1870, Orléans, Musée des Beaux-Arts), il primo con il fiume simile a un’arteria che scava la roccia e il secondo con la successione di onde pronte a infrangersi sulla riva, sarebbero apparsi come vere e proprie illustrazioni delle potenti forze di erosione e sedimentazione descritte da Tissandier. Nel dipinto di Courbet l’onda suggerisce forza e vigore più della bruma e degli spruzzi, facendo apparire fragile il robusto peschereccio sulla spiaggia. Ma ancor più di Reclus, Tissandier e il realista Courbet, furono i pittori impressionisti a rappresentare “l’economia della natura”, ovvero la terra come un insieme di sistemi umani e naturali collegati tra loro, con tutte le parti ugualmente vitali e reciprocamente vincolate.
Sisley e Pissarro: la dialettica del tempo e dello spazio
Alfred Sisley dedicò tutta la sua carriera a rappresentare i cicli della natura e il potere dell’idrologia. I suoi maggiori dipinti hanno per soggetto fiumi, laghi, oceani e alluvioni. Ne sono un esempio L’inondazione a Port-Marly (1872, Washington, National Gallery of Art), L’inondazione a Moret (1880, Brooklyn Museum) e La Senna a St.-Mammès (ca. 1881-82, Muskegon Museum of Art): essi raffigurano in maniera vivida ciò Tissandier e Reclus descrivevano a parole, ovvero che le piene sempre più frequenti dei fiumi francesi, tra cui la Senna, il Rodano, la Loira e la Garonna, erano una conseguenza dell’azione e degli abusi dell’uomo, che tagliava alberi e siepi distruggendo le foreste per lasciar spazio all’agricoltura. In effetti le grandi inondazioni del 1846, 1856 e 1875 (quest’ultima avvenne nei pressi di Tolosa e provocò 3.000 morti) furono ampiamente attribuite alla deforestazione.18 Ma i quadri di Sisley evidenziano anche un altro aspetto della visione di Reclus, ovvero che le comunità sono in grado di adattarsi ai cicli della natura e persino alle calamità esacerbate dall’agire dell’uomo. L’inondazione a Port-Marly fa parte di un ciclo di opere in cui il pittore rappresentò l’alluvione della primavera del 1872.19 Qui le nuvole sembrano promettere ancora pioggia, ma in questo momento di tregua alcuni uomini e due donne – i primi su una barca, le seconde su una piattaforma – si sono fermati vicino all’angolo del caffè del villaggio – un St. Nicolas che vendeva anche vino – a parlare tranquillamente del tempo o a fare pettegolezzi. Probabilmente sono abituati alle piene stagionali e pronti a superarle. A destra è visibile un piccolo riparo in legno, e ancora oltre alcuni pali a cui ormeggiare le barche. I grigi, azzurri e marroni che predominano nel dipinto brillano nell’umidità.
Dipinto en plein air e con evidente rapidità, Inondazione a Moret di Sisley torna a presentare la complessità idrologica e l’adattabilità dell’uomo discussa da Reclus e Tissandier. La cittadina di Moret-sur-Loing si trova alla confluenza del Loing e la Senna con il Canal du Loing; vecchie fotografie del luogo (vedi foto di Moret-sur-Loing) mostrano quanto fosse ben adattata a questo ambiente fluviale, con le case edificate su elevate piattaforme di pietra e i canali e passaggi per far defluire le acque. Il dipinto di Sisley raffigura al centro e a destra un gruppo di case appollaiate su alte fondamenta atte a proteggerle dalle piene periodiche, e sulla sinistra alcuni alberi inondati fino a metà tronco. La straordinaria mobilità del cielo – in certi punti sembra addirittura che il colore azzurro si sia staccato dalla tela per effetto di un forte vento – indica che l’alta pressione atmosferica ha spazzato via le nuvole di pioggia e presto ogni cosa comincerà ad asciugarsi. Di due o tre anni più tardo, La Senna a St.-Mammès ritrae un sito a pochi chilometri da Moret, rendendo con grande vivacità cromatica rami di alberi sospesi sul fiume, la cui sponda divide la composizione in due parti. Se il fiume non è in piena, l’acqua è certamente alta, un fenomeno abituale in una località che vanta la sua tradizione marinara e in particolare la cultura della chiatta, di cui vediamo in effetti un esemplare nella parte centrale destra del dipinto di Sisley. Ma l’elemento più notevole di Senna a St.-Mammès è la resa dell’acqua stessa: posta molto vicino all’osservatore – quasi fosse vista attraverso un occhio di pesce – è dipinta con pennellate lunghe simili ad anguille, particolarmente visibili nella zona in ombra sotto l’albero a sinistra. Nell’angolo inferiore sinistro predomina una tonalità nero-azzurra con lumeggiature arancio, mentre la zona d’acqua adiacente è, all’inverso, arancione con lumeggiature azzurre. Qui Sisley rivela una vena pointillista tre o quattro anni prima che Seurat e Signac inventassero la tecnica e il critico Félix Fénéon ne desse una definizione. Il suo dipinto comprende una serie di opposizioni compositive e coloristiche e la loro sintesi.
Camille Pissarro pervenne alla sua personale visione dialettica del paesaggio dopo oltre un decennio di riflessione e tentativi pratici. Nel 1862 o 1863 eseguì un piccolo schizzo a olio di un Carro con tronchi (Haifa, Hecht Museum), indicando così la sua preoccupazione – diffusa anche tra gli artisti di Barbizon e i turisti – che le querce di Fontainebleau fossero sul punto di scomparire, rimpiazzate dai pini piantati di recente per ottenere materiale da costruzione. Che si tratti in effetti di pini tagliati dalla foresta circostante, visibilmente depauperata, è suggerito dalla forma dritta dei tronchi nel carro. Nel 1860 C.F. Denecourt, il celebre scrittore di guide di viaggio, rivolse un appello all’imperatore Napoleone III affinché la foresta venisse protetta: “Con i suoi splendidi orizzonti, le superbe masse di rocce antidiluviane, le valli ombreggiate, gli spazi vuoti e gli alberi secolari... [questa foresta] è stata regalata da Dio alla Francia come un modello di paesaggio terreno” (vedi le foto di Gustave Le Gray, Sentiero oltre un masso e Crocevia nella foresta [ca. 1865, New York, H. P. Kraus]).20 Théodore Rousseau, dal canto suo, descrisse le foreste come “l’unico ricordo ancora vivo dell’epoca eroica della madrepatria, da Carlo Magno a Napoleone” e nel 1852 sollecitò Napoleone III a istituire una riserva naturale nella foresta, cosa che quest’ultimo fece nel 1861.
Questa réserve artistique di 1.097 ettari fu uno dei primi parchi nazionali del mondo. Le tante fotografie della foresta di Fontainebleau scattate da Eugène Cuvellier tra gli anni cinquanta e sessanta dell’Ottocento, tra cui Chênes et hêtres (Querce e faggi) (Parigi, Levy Collection), Le Chêne Bodmer (La quercia Bodmer) e Près de la caverne, terrain brûlé (Vicino alla caverna, terreno bruciato), testimoniano la venerazione diffusa per le querce, ritenute una testimonianza vivente della storia francese, e lo scarso riguardo per i pini, da molti considerati dannosi per l’ecologia locale. Le Chêne Bodmer ritrae un albero particolarmente noto, dipinto prima da Karl Bodmer (ed esposto al Salon del 1850) e poi da Monet nel 1865. Près de la caverne (New York, Metropolitan Museum of Art) è una visione allucinata di una terra senza querce. Altre immagini di Cuvelier, quali Stagno a Piat (Washington D.C., National Gallery of Art), sembrano pervase da un’atmosfera magica: la loro straordinaria nitidezza, combinata a effetti di luce innaturali, le rende fantasmagoriche come la litografia di Rodolphe Bresdin Il buon samaritano (New York Public Library). Era proprio l’utilizzo di un medium ostentatamente scientifico che obbligava Cuvelier a idealizzare i suoi paesaggi in maniera tanto intensa: il sogno di Barbizon come terra antica e incontaminata dove l’uomo e la natura coesistevano in perfetto equilibrio non poteva sostenere facilmente un reportage fotografico. I contadini che spesso popolano le scene di Rousseau, Dupré, Díaz e Corot – e che nelle opere di quest’ultimo non di rado appaiono come spiriti dei boschi – erano in effetti ritenuti dallo stato francese la più grave minaccia alla sopravvivenza delle foreste, poiché tagliavano regolarmente rami e rametti per farne legna da ardere. I dipinti di Barbizon, comprese le fotografie di Cuvelier, Le Gray, Le Secq e altri, sono dunque intensamente nostalgici, giacché rievocano il sogno di un’era in cui – almeno così si credeva – nobili e contadini vivevano in armonia, la terra era fertile e pacifica e le uniche tracce significative dello scorrere del tempo erano il mutare delle stagioni e la diversa intensità della luce nelle ore del giorno.21
La foresta di Pissarro (1870, Johannesburg Art Museum), benché eseguita a Louveciennes, è una delle opere dell’artista più vicine allo stile di Barbizon, con il suo boschetto di alberi, la donna china a raccogliere noci, altre due figure sulla destra e il casolare sullo sfondo a sinistra. E tuttavia la tela è più moderna di quanto non appaia. Le figure non indossano abiti da contadini bensì da borghesi di campagna, castagni hanno sostituito le mitiche querce di Fontainebleau e il colore ha una vivacità sconosciuta ai dipinti di Barbizon. La Senna a Bougival di Pissarro, del 1871(collezione privata), così come la rappresentazione della vicina Port-Marly di un anno più tarda (Stoccarda, Staatsgallerie), raffigura un tratto di fiume piacevole e animato nei pressi della pittoresca cittadina di Bougival, distante circa venticinque chilometri da Parigi, diciassette da Argenteuil e undici da Versailles. Era questa la zona di elezione impressionista, sospesa tra il passato mitico e la modernità. La cittadina di Marly, per esempio, era segnalata nelle guide turistiche dell’epoca per la sua vicinanza alle residenze reali di Malmaison, Versailles e naturalmente Marly-le-Roi, anche se quest’ultima era andata distrutta durante la rivoluzione francese. Alla fine del Seicento, Port-Marly, Marly-le-Roi e Marly-la-Machine furono sede di ingenti campagne di lavori pubblici grazie alle quali fu possibile far salire l’acqua della Senna di circa 140 metri, fino a un acquedotto usato per alimentare le cascatelle e le fontane di Marly-le-Roi. Negli anni settanta dell’Ottocento, tuttavia, a godere di Marly non erano più i nobili, ma gli artisti e i turisti borghesi che visitavano le rovine di quei giardini e giochi d’acqua e vagavano nella foresta locale, dove a quanto pare nel Settecento si aggiravano lupi ormai addomesticati e ridotti di numero. Non lontano da Marly, poi, si trovava Louveciennes, sede di una villa un tempo appartenuta a Madame du Barry, amante di Luigi XV (e molti altri), finita sotto la ghigliottina nel dicembre del 1793. Tra il 1869 e il 1870, come abbiamo visto, la cittadina ospitò anche Pissarro, che raffigurò le rovine dell’acquedotto di Marly sullo sfondo di Veduta da Louveciennes (1869-70) e ciò che restava dei giochi d’acqua in Port-Marly. Nei paesaggi dell’Isle-de-France di Pissarro passato e presente, aristocratici, contadini e borghesi, sono presenze ossessive, immagini di uno sviluppo diseguale e di un’agognata riconciliazione di tradizione e modernità.
Alla fine degli anni ottanta, Pissarro avrebbe comunicato questi sogni in lettere e disegni – profondamente influenzati da Reclus e Kropotkin – che sfiorano l’anarchismo rivoluzionario. L’artista avrebbe trovato una formula inusuale per esprimerli in maestosi dipinti di figure quali Raccolta delle mele a Epte (1888, Dallas Museum of Art) e Le spigolatrici (1889, Basilea, Kunstmuseum), ma anche in paesaggi puri quali Dune a Knokke (1894, Winnetka Illinois, collezione privata). In tutti questi lavori, Pissarro configura la linea dell’orizzonte come un arco, per significare la vastità della terra stessa e ricordare la sintesi del principio ecologico di Reclus: “L’uomo è la natura che acquista coscienza di sé”. Nell’infinitezza geografica suggerita da quell’orizzonte curvo e da quelle dune sinuose, i casolari della cittadina belga di Knokke appaiono particolarmente intimi e invitanti. Si metta a confronto questa tela con il panorama ampio, piatto e desolato de La Durance a Cadenet di Paul Guigou (collezione privata), presentato al Salon del 1867 e dipinto con una durezza e una meticolosità davvero lontane dalla visione feconda e avvolgente di Pissarro.
Ecologia: dal soggetto allo stile
Gli impressionisti non si limitarono a raffigurare l’economia complessa di natura e società, ma costruirono dipinti di paesaggio che erano sistemi ecologici in sé. La sente du Chou di Pissarro, come abbiamo visto, si distingueva per l’alto grado di integrazione tematica e complessità formale. I sentieri a destra e al centro seguono l’ansa del fiume a sinistra, mentre le verticali degli alberi richiamano quelle delle ciminiere visibili in lontananza al centro e a sinistra della composizione e gli sbuffi di fumo provenienti da fabbriche distanti si fondono senza soluzione di continuità con le nuvole fluttuanti. Il peso visivo dei nembi azzurri e bianchi, inoltre, è calibrato in modo da bilanciare le configurazioni del terreno, le piante, i cespugli e la vegetazione sottostante. Il risultato è un’opera di straordinario equilibrio in cui ciascuna parte dialoga con tutte le altre. Naturalmente si potrebbe obiettare che una volta scelto il soggetto – un sentiero vicino al fiume con le fabbriche sullo sfondo – il parallelismo e l’equilibrio erano inevitabili. Ma un’osservazione attenta delle opere di artisti estranei all’orbita impressionista, incluso Guigou, rivela che le cose stanno diversamente. Canale in Piccardia di Corot (ca.1870, Toledo Museum of Art), in cui sono ritratte figure su un viottolo accanto a un canale, e La Mosa a Freyr di Courbet, che presenta una strada di alaggio o un sentiero vicino al fiume, sono privi di questa consonanza e offrono invece una spiccata riduzione prospettica nel primo caso, e un forte senso di materialità nel secondo. Anche Equihen sulla scogliera: bassa marea di Jean Charles Cazin (ca. 1880, Washington D.C., Corcoran Gallery), una rappresentazione della spiaggia attigua al pittoresco villaggio di pescatori vicino al porto di Boulogne, presenta un viottolo che corre parallelo a una massa d’acqua, ma qui i due sembrano divergere, uno per puntare verso l’alto a destra e poi piegarsi a gomito nella direzione opposta, l’altro visibile come una stretta fascia orizzontale di azzurro in basso a sinistra. E mentre il paesaggio di Corot dispiega un alto grado di uniformità tonale e coloristica attraverso la tela, non esprime però la natura sinfonica dell’opera di Pissarro, in cui molteplici note colorate danzano sulla superficie dipinta. Osserviamo per esempio i tocchi di rosa-marrone sul pendio della collina a destra, riecheggiati nella parte centrale dello sfondo e nei tetti delle fabbriche a sinistra del fiume. Ci sono molti modi di dipingere sentieri con un corso d’acqua vicino, ma quello di Pissarro era il risultato di un particolare olismo di tipo dialettico. Qualche anno dopo, l’artista avrebbe scritto al figlio Georges: “L’armonia nasce solo dai contrasti, altrimenti quello che ottieni è l’UNISONO, una melodia composta su una sola nota”.22
La struttura compositiva e cromatica de La sente du Chou, come quella di molte opere impressioniste di Pissarro e altri, funziona – a mio avviso – in maniera analoga ai sistemi ecologici descritti da Darwin, Haeckel, Reclus e Tissandier. Si tratta, in effetti, di un meccanismo semiotico comprendente messaggi, codici e trasmissioni che trasferiscono energia e informazioni a tutte le parti dell’opera e le combinano in modo da formare matrici comunicative complesse. Questo approccio alla rappresentazione era rilevante in quanto indicava che la vita naturale e sociale nel tardo Ottocento non era fatta di una serie di organismi e ambienti distinti che influivano l’uno sull’altro secondo un semplice meccanismo di causa effetto; al contrario, gli spazi e le culture del presente erano piuttosto una sorta di immanenza, una rete di materiali organici e inorganici collegati e privi di confini ben definiti. In altre parole, Pissarro e Sisley idearono un metodo di rappresentazione che simulava l’ecologia complessa, e da poco scoperta, della natura e della società. La grande domanda rimasta senza risposta per l’anarchico Pissarro – specialmente nell’ultimo quindicennio della sua vita – come per l’ammirato Reclus, era se quell’armonia complessa esistesse realmente nel mondo o fosse un ideale che poteva essere raggiunto dopo la tanto sperata rivoluzione sociale.
Monet e l’ecologia dell’isola
Claude Monet fu molto sensibile all’interazione dinamica tra luce, idrologia, meteorologia e geologia, e osservò attentamente l’impatto dell’attività e degli svaghi dell’uomo sugli ambienti che rappresentava. Come Pissarro e Sisley, può essere considerato un pioniere della pittura ecologica. Meli in fiore (Union League Club of Chicago) fu probabilmente eseguito tra la fine di aprile e maggio del 1872, anche se non è possibile stabilirlo con certezza poiché l’ambientazione non somiglia a nessuna delle località ritratte dall’artista. Il dipinto, raffigurante un viottolo irregolare e pieno di solchi che attraversa un frutteto nella stagione primaverile, è audace nella sua indeterminatezza; gli alberi in fiore evocano un luogo idilliaco e fecondo, ma la parte centrale del sentiero, erosa dalla pioggia e dal peso delle ruote di carri e carrozze, appartiene a un paesaggio più abusato e moderno. Sullo sfondo si profilano alberi e il fianco di una collina color senape. Domina su tutto un cielo composto di macchie successive di bianco, rosa, grigio e azzurro. Il cielo a chiazze, i ciuffi di erba verde e il viottolo marrone che serpeggia dal primo piano allo sfondo, ma soprattutto la miriade di piccoli tocchi di bianco con cui sono rappresentati i fiori, esprimono lo stato d’animo allusivo di Monet. Un po’ di pigmento bianco, applicato rapidamente con un pennello piatto, evoca l’immagine e la consistenza di un fiore di melo; spesse sbavature di colore, trascinate attraverso la superficie della tela, richiamano la tridimensionalità di un sentiero consumato; la linea continua formata dalle chiome degli alberi distanti, dalla cresta di una collina e dal profilo scuro dei rami più vicini, crea un grande contorno ad arco che unifica la composizione. Oltre a ciò, un dipinto che a prima vista sembra fondarsi sulla prospettiva e la riduzione rivela anche elementi di piattezza e planarità: il viottolo si allontana a un ritmo vertiginoso, ma viene bloccato da una macchia marrone che sembra inclinata verso l’alto e parallela al piano del dipinto. Appena sopra di essa è visibile un rombo verde, a sua volta sovrastato da piatti alberi color giallo senape e da una collina che per via della sua intensità cromatica sembra avanzare più che arretrare. Siamo insomma di fronte a un’ecologia basata non tanto sulla tematica quanto sulla forma. Ogni parte del dipinto utilizza tutte le altre e interagisce con esse in maniera dinamica; le forme parlano alle forme, i colori ai colori; sinistra e destra, alto e basso sembrano tutti cambiare posizione e roteare come una girandola. Persino la firma di Monet ha un suo ruolo preciso in questa totalità complessa e dinamica: le spesse lettere corsive di colore marrone richiamano il colore e la forma dei rami degli alberi soprastanti. Il risultato è una notevole autonomia e somiglianza tra le forme, come quella riscontrabile tra individui di una specie trovata su un’isola, dove l’isolamento conduce a una relativa stabilità morfologica. Nel capitolo 4 de L’origine delle specie (uscito in traduzione francese nel 1862), Darwin osservava:
In un territorio remoto o isolato, quando non sia troppo esteso, le condizioni organiche e inorganiche di vita saranno generalmente quasi uniformi, e la selezione naturale tenderà a modificare nello stesso modo tutti gli individui varianti della stessa specie. Così saranno anche impediti gli incroci con gli abitanti dei territori circostanti… Se ci rivolgiamo alla natura per provare la giustezza di queste affermazioni e consideriamo una piccola regione isolata, per esempio un’isola oceanica, sebbene il numero delle specie che la abitano sia piccolo… troviamo tuttavia che una parte assai considerevole di queste sono endemiche, cioè si sono originate in quel luogo e in nessun’altra parte del mondo.23
Nel 1872, decenni prima di ideare e dipingere la sua utopia acquatica a Giverny, Monet costruì qui e in altre opere un’isola sociale e completa, autonoma e rivolta a se stessa, in cui tutti gli elementi condividono un substrato comune.
Effetto di neve al tramonto di Monet (1875, Musée Marmottan), con il suo campo imbiancato in primo piano che porta alla massiccia fabbrica sullo sfondo, è un’ulteriore testimonianza di quella visione ecologica. Qui il villaggio medievale di Argenteuil, dove visse la badessa Eloisa che amò Abelardo ed è custodita una tunica miracolosa che sarebbe stata indossata da Cristo e intessuta dalla Madonna stessa, ha smesso di essere un luogo incantato per diventare una semplice cittadina come tante altre nei dintorni della grande metropoli parigina. I famosi vigneti ei campi di asparagi di Argenteuil sono assenti e l’antichità del villaggio è come assorbita nella cappa prodotta dalla grande ferriera Joly al centro della composizione (la manifattura forniva il ferro per Les Halles, il grande mercato di Parigi, vero e proprio simbolo di modernità). E tuttavia la natura – nella forma di una coltre di neve leggermente annerita e sporcata dall’inquinamento – ha parzialmente risanato Argenteuil, ammorbidendone gli spigoli aguzzi. Le verticali, orizzontali e diagonali smussate delle case moderne, i rami rinsecchiti dipinti con calligrafica espressività e i pennacchi di fumo provenienti dalle ciminiere delle fabbriche sono resi consonanti dalle armonie di colori e ombreggiature come pure dalla ripetizione di forme semplici: i tratti sintetici verticali per le finestre e le fuligginose linee nerastre per i tronchi degli alberi e i rami, i cespugli, le erbe e finanche le persone. Tutte le parti del dipinto si compenetrano e colludono in questa allegoria dell’interazione fra tradizione e modernità, natura fisica e cultura dell’uomo.
Se l’attenzione alla complessità e contingenza della visione e all’ecologia della rappresentazione accompagnò Monet per una vita intera, il suo interesse per l’elemento sociale non durò per sempre. Già negli anni ottanta dell’Ottocento, in opere quali Campo di papaveri a Vétheuil (1880, collezione privata) e Campo di papaveri a Giverny (1885, Richmond Museum of Art), il pittore ridusse la presenza umana a elemento secondario, rappresentando i villaggi come semplici sfondi e concentrandosi invece su terreni incolti, prati e fiori. Campo di papaveri a Vétheuil è un esempio iniziale di quella semi-astrazione che avrebbe fatto la sua comparsa subito dopo il 1900 con i dipinti di ninfee. Il formato verticale della tela, insolito per qualsiasi paesaggio, sottolinea il carattere frammentario della veduta, mentre la triplice sovrapposizione di campo, villaggio e cielo anticipa le composizioni di artisti della New York School come Mark Rothko. Gli alberi a sinistra e a destra insieme alla torre della chiesa tardo medievale di Notre-Dame al centro fungono da efficaci elementi di unione fra le tre parti. La vita del villaggio, tuttavia, è totalmente assente; all’osservatore non vengono mostrate industrie, treni, barche a vapore, né isolati gitanti che fanno un picnic nel campo fiorito in primo piano. Nessuno studioso o critico ha spiegato in maniera adeguata la profonda perdita di radicamento sociale attestata nelle opere eseguite da Monet a partire dagli anni ottanta, ma quali che ne fossero le cause personali, professionali o politiche, essa si accentuò di anno in anno. Alla fine del secolo, dopo che l’artista si fu trasferito in via definitiva a Giverny, l’elemento umano, quotidiano e aneddotico fu bandito dai suoi lavori, ma una prospettiva ecologica rimase, seppur limitata alla sola natura, senza riferimenti evidenti alla storia e alla cultura dell’uomo. Nel 1883 il critico Gustave Geffroy rilevò la nuova prospettiva naturalista, e pensando forse a Mattino sul mare (1881, collezione privata), presentato alla mostra impressionista del 1882, osservò: “[Monet] studia la terra e i fianchi delle scogliere come un geologo. Con la punta del pennello illumina le pietre, i minerali e le venature delle rocce”.24
La fusione tra pratica artistica e vita privata che Monet attuò nella casa e nei giardini di Giverny è un esempio perfetto della tendenza antiurbana e introspettiva dell’arte moderna fin de siècle. Ma mentre Van Gogh ad Arles, Cézanne in Provenza o Gauguin a Tahiti e alle Marchesi cercarono comunità indigene e storie locali in grado di fornire un conforto emotivo rispetto alle forze alienanti della vita metropolitana e della modernizzazione, Monet era scarsamente interessato alla storia di Giverny e non desiderava legami stretti con la sua comunità. A dire il vero, entrò gravemente in conflitto con i vicini nel 1901, quando chiese il permesso di deviare le acque del fiume Ru, un piccolo tributario dell’Epte, per creare lo stagno delle ninfee su un pezzo di terra acquistato di recente dall’altra parte dei binari ferroviari. Ciò che Monet cercava a Giverny non era una comunità solidale bensì un’isola utopica, un modello di pienezza o totalità in natura che potesse diventare la base per raggiungere la totalità nelle opere d’arte. Ormai prossimo alla fine della vita e della carriera, Monet ripensò alle opere dei grandi pittori di Barbizon Rousseau, Díaz, Dupré, Harpignies e Daubigny, nonché dei fotografi Eugène Cuvelier, Gustave Le Gray e Henri Le Secq, i quali avevano tutti posto l’acqua – in particolare i fiumi e le paludi – al centro della loro visione. Al pari di questi artisti, anche lui considerava l’acqua – come aveva scritto il naturalista Justus Liebig nel 1845, durante il periodo d’oro di Barbizon – “l’agente intermedio di tutta la vita organica”.25 Le sue ninfee erano forse “il piccolo e tiepido stagno” descritto da Darwin, il brodo primordiale da cui si svilupparono tutte le forme di vita.26
I giardini di Monet a Giverny, oggi splendidamente restaurati, sono formati dalla sezione del Clos Normand, comprendente oltre un ettaro di fiori piantati in discrete aiuole rettangolari (che creano comunque un effetto di esuberanza e copiosità), diviso quasi a metà dalla Grande Allée, un pergolato coperto di rose rampicanti e tappezzato di nasturzi (vedi Allée des rosiers [Viale delle rose] di Monet [1920, Musée Marmottan]). Al di là della strada (ai tempi di Monet era un binario ferroviario) si estende un giardino d’acqua di quasi un ettaro con al centro uno stagno di ninfee, circondato da salici piangenti e delimitato a un’estremità da un ponticello in stile giapponese. Qui l’acqua stessa è un’isola su cui galleggiano isolette formate da foglie di ninfea, come si vede in Nymphéas [Ninfee] (1903, Parigi, Musée Marmottan). Georges Truffault, capo vivaista di Monet e uno dei più illustri giardinieri francesi, descrisse il giardino d’acqua nel 1924, due anni prima della morte dell’artista: “Il laghetto è alimentato dal fiume Epte ed è circondato da salici piangenti con rami giallo oro. Il terreno intorno trabocca di piante adatte ai suoli acidi: felci, kalmie [della famiglia delle azalee], agrifogli e rododendri. Robuste rose a cespuglio ombreggiano il bordo del laghetto e al suo interno sono piantate tutte le varietà conosciute di ninfee... [Sulle sponde crescevano] le enormi foglie della petasite [nota come farfaraccio], l’Iris sibirica, l’iris del Giappone e della Virginia e l’Iris ensata (sin. I. kaempferi), contro un fondale di peonie giapponesi, peonie erbacee, gruppi di laburni e alberi di giuda… e un fitto boschetto di bambù… e accanto ai prati, talittro a foglie di aquilegia, glicine e felci con lanuginose infiorescenze rosa o bianche. Qui cresce anche la tamerice [un alberello sempreverde originario del Nordafrica] e tutto è costellato di rose ad arbusto e a cespuglio”.27
Monet realizzò i giardini in modo che l’ingresso principale della casa fosse in linea con l’Allée, il cancello di legno che portava nel giardino d’acqua e il ponticello. L’artista non doveva far altro che uscire dalla porta per trovarsi nel motivo da raffigurare; poteva dipingere in qualsiasi ora del giorno e in qualsiasi stagione, certo che il soggetto sarebbe stato sempre lo stesso eppure costantemente diverso. Era questa la vera formula del viaggio esotico fin de siècle: essa ci ricorda, tra l’altro, che Monet apparteneva alla borghesia benestante (e in effetti accumuò un patrimonio considerevole; poteva permettersi di pagare i salari di sei giardinieri più i domestici e mantenere una piccola flotta di automobili).
Il giardino, concepito in modo tale che ciascun assortimento di fiori locali e piante rare facesse da complemento agli altri, forniva a Monet una gamma sempre mutevole di colori e forme. Masse di iris viola e tulipani rosso acceso affiancano non ti scordar di me azzurri che a distanza, come osservava l’esperta di giardini Elizabeth Murray, si fondono insieme per creare una macchia viola, come la mescolanza ottica in un dipinto pointillista.28 Spiccano anche altri complementi, in particolare il giallo dei tulipani, il blu delle campanelle, il rosso dei gerani e il verde delle foglie. Come qualsiasi bravo giardiniere, Monet si rendeva conto che fiori, piante, arbusti e alberi occupavano tutti nicchie ecologiche distinte; fiorendo in diversi periodi dell’anno e anche in diversi momenti del giorno, attiravano insetti e uccelli diversi in modo da garantire l’impollinazione e ottimizzare la riuscita del processo riproduttivo. Aiutato da Truffault, apprese la scienza e l’arte della chimica del terreno, cimentandosi con profondità dell’interramento, livelli di umidità e fertilizzanti. Acquistò anche una conoscenza della storia dei giardini, di certo notando quanto il suo somigliasse a quelli realizzati da Truffault a Versailles (entrambi illustrati in un articolo del 1921 pubblicato sulla rivista The Garden – vedi illustrazione), ma anche alle creazioni della celebre Gertrude Jekyll, sostenitrice del movimento inglese Arts and Crafts, che illustrò il suo approccio pittorico al giardinaggio nei volumi Colour in the Flower Garden (1908) e Wall and Water Gardens (1903), quest’ultimo con un capitolo dedicato alle ninfee. Le ninfee di Jekyll e Monet, in effetti, provenivano dallo stesso vivaista, Joseph Bory Latour-Marliac da Lot-et-Garonne, che raccoglieva esemplari da tutto il mondo e li ibridava in modo da creare molte varietà nuove. Benché in genere preferisse le piante native perché facili da interrare e naturali nell’aspetto, Monet passava anche ore a studiare attentamente i cataloghi di semi, coltivando in serra piante sconosciute che poi piantava in giardino e lanciandosi persino in esperimenti di ibridazione. Come tutti i giardinieri e vivaisti, doveva aver acquisito una raffinata conoscenza del potere della selezione – artificiale o naturale – per creare varietà inedite e dar vita a una nuova “economia della natura”. Darwin trattò diffusamente il tema in Variazione degli animali e delle piante allo stato domestico, apparso nel 1868: “Con le piante migliorate… è quasi indispensabile esaminare i semenzali e distruggere quelli che si discostano dal tipo corretto. Questa operazione è chiamata ‘rouguing’ e si tratta in effetti di una forma di selezione, come lo scarto degli animali inferiori. Gli orticoltori e gli agricoltori esperti si raccomandano sempre di conservare le piante migliori per la produzione dei semi”.29
La suprema realizzazione del sogno ecologico di Monet fu il ciclo delle ninfee, oggi chiamato Grandes Décorations, installato all’Orangerie di Parigi e aperto al pubblico nel 1927, un anno dopo la morte dell’artista. Queste immense tele panoramiche, che raggiungono un’estensione totale di oltre novanta metri, segnano un netto passaggio concettuale dall’originario obiettivo artistico di Monet, ovvero quello di recarsi in campagna e dipingere tutto ciò su cui si posava lo sguardo – terra, cielo, acqua, barche, gente, edifici – purché il risultato fosse una composizione pregevole e coerente. Ora i soggetti di Monet erano legati a una disposizione affidabilmente stabile eppure prevedibilmente variata di colori e forme non umane che l’artista poteva osservare dalla finestra o passeggiando in giardino. Stando a una certa distanza da queste tele che formano un arco nelle sale ovali dell’Orangerie, come su un’isola circondata dall’acqua (l’esatto opposto di ciò che accadeva a Giverny), l’osservatore coglie i riflessi delle ninfee, le correnti, le piante sotto la superficie e le ninfee stesse. Se però si guarda da vicino uno qualsiasi dei pannelli, l’equivalenza visiva tra dipinto, materia osservata ed esperienza sembra svanire e si è liberi di entrare in uno spazio rarefatto di narcisismo o solipsismo estetico. Questa esito finale avvicinò Monet al poeta Mallarmé, suo buon amico, che si rapportava al verso disfacendosi del contenuto obiettivo per rendere il poema una composizione autosufficiente di parola e suono. Per il poeta il significato risiedeva negli spazi tra le parole come pure nella vista e nel suono del tutto; per l’artista, ciò che contava era l’acqua tra le ninfee e l’effetto ecologico complessivo.
Installate in uno spazio realizzato su misura, le Grandes Décorations facevano parte di una celebrazione accuratamente orchestrata per la vittoria francese nella prima guerra mondiale. La donazione dei pannelli fu personalmente avviata e negoziata da Georges Clemenceau, l’ex deputato socialista di Paris-Montmartre che a distanza di cinquant’anni assurse alla carica di primo ministro francese. Monet fu dunque un partecipante alla propria istituzionalizzazione. Nel contratto di donazione delle opere allo stato francese, richiese che le tele fossero incollate alle pareti dell’Orangerie in maniera permanente, in modo da non poter essere rimosse anche se i gusti fossero cambiati. Questo sforzo di monumentalizzazione è decisamente distante dalla deliberata contemporaneità e contingenza della precedente visione ecologica di Pissarro, Sisley e dello stesso Monet. L’artista aveva quindi abbandonato l’ecologia di Reclus, con la sua enfasi sul cambiamento e sull’interdipendenza dinamica di natura e cultura, per tornare a una versione del paysage nature o natura naturans (la natura che genera se stessa) della scuola di Barbizon, ma stavolta senza la struttura di sostegno del classicismo. Il risultato è una straordinaria emancipazione dalle forze avvilenti della modernizzazione e il ritiro in un’isola privata di sogni e ansietà.
ELENCO OPERE
Paul Guigou
La Durance a Cadenet, 1866-67
Olio su tela, 140 x 300 cm
Collezione privata
Jean-Baptiste Armand Guillaumin
La Pointe d’Ivry, ca. 1875-80
Olio su tela, 54,8 x 65,5 cm
Atene, Collezione privata
Henri-Joseph Harpignies
Veduta dell'isola di Capri, 1853
Olio su tela, 94 x 161.3 cm
Londra, The Matthiesen Gallery
Claude Monet
Meli in fiore; primavera, 1872
Olio su tela, 59,5 x 73,5
Collezione Union League Club of Chicago
Berthe Morisot
Paesaggio a Gennevilliers, 1875
Olio su tela, 32 x 41 cm.
Collezione privata
Camille Pissarro
La Senna a Bougival, 1871
Olio su tela, 43,5 x 59,5 cm
Collezione privata
Alfred Sisley
Sentiero da By al Bois des Roches-Courtaut – Estate di san Martino, 1881
Olio su tela, 59,2 x 81 cm
The Montreal Museum of Fine Arts
Acquisto John W. Tempest Fund
Auguste-François Bonheur
Vicino Taleyran/Cantal, ca. 1850
Olio su carta, 16,8 x 31,3 cm
Brooklyn Museum
Healy Purchase Fund B
Auguste-François Bonheur
Alvernia, ca. 1850-55
Olio su carta, 16,5 x 31 cm
Brooklyn Museum
Healy Purchase Fund B
Auguste-François Bonheur
Vulcano, ca. 1850-55
Olio su carta montato su tela, 26,7 x 42,1 cm
Brooklyn Museum
Healy Purchase Fund B
Auguste-François Bonheur
Pirenei/Aspe, ca. 1850
Olio su carta montato su tela, 19,1 x 42,9 cm
Brooklyn Museum
Healy Purchase Fund B
Jean-Baptiste Camille Corot
La strada in salita (Gouvieux vicino Chantilly), ca. 1855-60
Olio su tela, 37,3 x 46,2
Duluth, Tweed Museum of Art, University of Minnesota
Dono di Mrs. E.L. (Alice Tweed) Tuohy
Jean-Baptiste Camille Corot
Canale in Piccardia, ca. 1865-70
Olio su tela, 46,7x 61,6
Toledo Museum of Art
Dono di Arthur J. Secor
Jean-Baptiste-Camille Corot
Ville-d'Avray: la betulla, ca. 1865-70
Olio su tela, 53,34 x 80,01 cm
Washington, DC, Corcoran Gallery of Art
William A. Clark Collection
Jean-Baptiste Camille Corot
Ricordo di Coubron, 1872
Olio su tela, 46 x 55,3 cm.
Budapest, Szépművészeti Múzeum
Jean-Baptiste Camille Corot
Nel Morvan, ca. 1841-42
Olio su cartone, 25,5 x 22 cm
Collezione privata
Gustave Courbet
La Mosa a Freyr, ca. 1856
Olio su tela, 58,5 x 82 cm
Lille, Palais des Beaux-Arts
Gustave Courbet
Gola nella foresta (Le Puits-Noir), ca. 1865
Olio su tela, 66,04 x 81,28 cm
Courtesy The Oklahoma City Museum of Art
Dono di Mr. e Mrs. Sylvan Goldman
Gustave Courbet
L’onda, ca. 1870
Olio su tela, 54 x 73 cm
Orléans, Musée des Beaux-arts
Dono di Paul Fourché nel 1907
Charles-Francois Daubigny
Bordo dell’acqua a Optevoz, ca. 1856
Olio su tela, 66, 6 x 122,5 cm
South Hadley, Mount Holyoke College Art Museum
Dono anonimo in memoria di Mildred e Robert Warren
Charles-Francois Daubigny
Mattino sull’Oise, 1866
Olio su tela, 82,87 x 144,46 cm
Oshkosh, collezione del Paine Art Center and Gardens
Narcisse-Virgile Dìaz de la Peña
Paesaggio con figura, s.d.
Olio su tavola, 24,8 x 34,9 cm
Collezione permanente del Montana
Museum of Art and Culture, University of Montana
Narcisse-Virgile Díaz de la Peña
Foresta di Fontainebleau, 1868
Olio su tela, 84,46 x 111,12 cm
Dallas Museum of Art, Fondo Munger
Jules Dupré
Il fiume, ca. 1850
Olio su tela, 53,8 x 45,5 cm
Mildred Lane Kemper Art Museum
Washington University in St Louis
Lascito di Charles Parsons, 1905
Johan Barthold Jongkind
Tre pattinatori vicino a un mulino, 1864,
Olio su tela, 33 x 43 cm
Ginevra, Collezione privata, Courtesy Galerie Interart
Pierre Étienne Théodore Rousseau
Palude nelle lande, primavera, ca. 1844-48
Olio su tela, 32,5 x 53,5 cm
Londra, The Matthiesen Gallery
Rodolophe Bresdin
Il buon samaritano, 1867
(titolo originale Abd-El-Kader che soccorre un cristiano, 1860-61)
Litografia, 56,1 x 44,5 cm immagine, 63,2 x 48,3 cm foglio
The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations
S. P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Rodolphe Bresdin
Rami, ca. 1856
Acquaforte, 32 x 25,1 cm foglio 7,5 x 12,5 immagine
The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations
S. P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Rodolphe Bresdin
Ruscello nel bosco, 1880
Acquaforte 32,3 x 49,3 cm foglio 25 x 17,5 immagine
The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations
S. P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Théodore Rousseau
La quercia nella roccia, 1861
Acquaforte, immagine 17,5 x 12,5, 10 x 20 foglio
The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations
S. P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
4 biglietti da visita dei pittori
Etienne CARJAT, Narcisse Diaz
Pierre PETIT, Camille Corot
Etienne CARJAT, Gustave Courbet
ANONYME, Gustave Courbet
10,5 x 6,4 cm ciascuno
Frederic Bazille
Veduta di un villaggio, 1868
Olio su tela, 137,5 x 85,5 cm
Montpellier Agglomération, Musée Fabre
Eugène Louis Boudin
La Touques vicino Deauville, 1883
Olio su tela, 55 x 74,5 cm
The Art Institute of Chicago
Dono di Frank H. e Louise B. Woods
Jean Charles Cazin
Equihen sulla scogliera : bassa marea, ca.1885
Oil su tela, 55,88 x 71,12 cm
Washington, DC, Corcoran Gallery of Art
William A. Clark Collection
Jean Charles Cazin
Antica fortezza, 1885
Olio su tela, 64,77 x 80,64 cm
Washington, DC, Corcoran Gallery of Art
William A. Clark Collection
Jean Charles Cazin
Paesaggio con case, sera di settembre, ca. 1880-85
Olio su tela, 66 x 82 cm
Musée de Vernon
Jean-Baptiste Armand Guillaumin
L’acquedotto ad Arcueil, linea di Sceaux, 1874
Olio su tela, 51,5 x 65 cm
The Art Institute of Chicago
Dono vincolato di Mrs. Clive Runnells
Jean-Baptiste Armand Guillaumin
La Senna a Rouen, 1899
Olio su tela, 63 x 70 cm
Douai, Musée de La Chartreuse
Jean-Baptiste Armand Guillaumin
L’essenza della primavera, Valle della Chevreuse, ca. 1885
Olio su tela, 66 x 121,9 cm
Seattle Art Museum
Dono di Mr. e Mrs. Philip E. Renshaw
Jean-Baptiste Armand Guillaumin
Avamporto, Dieppe, 1881
Olio su tela, 59,5 x 73,4 cm
Ginevra, Association des Amis du Petit Palais
Jean-Baptiste Armand Guillaumin
Paesaggio dell’Ile de France, ca. 1875-85
Olio su tela, 55 x 46 cm
Douai, Musée de la Chartreuse
Jean-Baptiste Armand Guillaumin
Le grotte di Prunal vicino a Pontgibaud (Auvergne), ca. 1890-1900
Olio su tela, 73,5 x 92 cm
Gand, Museum voor Schone Kunsten
Jean-Baptiste Armand Guillaumin
Le ravin de la folie, Crozant, 1894
Olio su tela, 65 x 82 cm
Ginevra, Association des Amis du Petit Palais
Jean-Baptiste Armand Guillaumin
Ponte ferroviario sul Canal de Briare, 1888
Olio su tela, 33,75 x 46,25 cm
Tulsa, Philbrook Museum of Art
Acquistato dal Museo con i fondi del patrimonio di Judith Pape Adams
Henri-Joseph Harpignies
Il vecchio Pont du Carrousel, Parigi, 1886
Acquerello, 28 x 40 cm
Collezione privata
Claude Monet
Effetto di neve al tramonto, 1875
Olio su tela, 53 x 64 cm
Parigi, Musée Marmottan Monet
Claude Monet
I giardini delle Tuileries, 1876
Olio su tela, 54 x 73 cm
Parigi, Musée Marmottan Monet
Claude Monet
Un ramo della Senna vicino Vétheuil, 1878
Olio su tela, 57,5 x 72 cm
Tours, Musée des Beaux-Arts
Claude Monet
Il prato, ca. 1879
Olio su tela 81,28 x 99,69 cm
Omaha, Joslyn Art Museum. Dono William Averell Harriman
Claude Monet
Campo di papaveri a Vétheuil, 1880
Olio su tela, 73 x 60 cm
Collezione privata
Camille Pissarro
Carro con tronchi, 1863
Olio su tela, 16,5 x 25 cm (P-227)
Courtesy Hecht Museum, Università di Haifa
Camille Pissarro
La Varenne-Saint-Hilaire, ca. 1863
Olio su tela, 49,6 x 74 cm
Budapest, Szépművészeti Múzeum
Camille Pissarro
Veduta di Marly-le-Roi, 1870
Olio su tela, 47 x 71 cm
Collezione privata
Camille Pissarro
La sente du Chou, 1878
Olio su tela, 57 x 92 cm
Douai, Musée de la Chartreuse
Camille Pissarro
Riposo nel bosco, 1878
Olio su tela, 65 x 54 cm,
Hamburger Kunsthalle
Camille Pissarro
Paesaggio a Pontoise, 1878
Olio su tela, 53,9 x 65 cm
Ohio, Columbus Museum of Art
Dono di Howard D. e Babette L. Sirak, the Donors to the Campaign for Enduring Excellence and the Derby Fund
Camille Pissarro
Il campanile di Bazincourt, 1885
Olio su tela, 65,1 x 53,7 cm
Saint Louis Art Museum
Fondi elargiti da Mr. e Mrs. John E. Simon
Alfred Sisley
Neve a Port-Marly, brina 1872
Olio su tela, 46,5 x 65,5 cm
Lille, Palais des Beaux-Arts
Alfred Sisley
Inondazione a Port-Marly, 1872
Olio su tela, 46,4 x 61 cm
Washington, National Gallery of Art
Collection of Mr. and Mrs. Paul Mellon
Alfred Sisley
La Senna a Marly, 1873
Olio su tela, 33 x 46,5 cm
Courtesy Hecht Museum, Università di Haifa
Alfred Sisley
Pescatori che stendono le reti, 1872
Olio su tela, 42 x 65 cm
Fort Worth, Kimbell Art Museum
Alfred Sisley
Inondazione a Moret ca.1880
Olio su tela, 54 x 71,8 cm
New York, Brooklyn Museum, lascito di A. Augustus Healy
Alfred Sisley
La Senna a Saint-Mammès, ca. 1881
Olio su tela, 50,2 x 65,4 cm
Collezione del Muskegon Museum of Art
Dono di Martin A. Ryerson nel 20° anniversario della Hackley Art Gallery
Félix Bracquemond
La nuvola del temporale, ca. 1880
Acquaforte e puntasecca con gouache bianca e grigia, 30,2 x 43,2 cm (foglio), 25,4 x 34,5 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Félix Bracquemond
La nuvola del temporale, ca. 1880
Acquaforte e puntasecca con gouache bianca e grigia, 25,7 x 34.5 cm (sheet), 24,1 x 34 cm (image), The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Félix Bracquemond
I salici di Mottiaux, 1868
Acquaforte, 22,6 x 34,5 cm (foglio), 20,1 x 29,5 cm (immagine)
The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Felix Bracquemond
I salici di Mottiaux, 1868
Controprova del primo stato, con gessetto e acquerello, 22,1 x 34,5 cm (foglio), 20,3 x 29,5 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Titolo-Frontespizio dell'album Viaggio in barca, 1861
Acquaforte 27,7 x 20,3 cm foglio); 12,3 x 17,2 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in Barca, "Colazione prima di andare ad Asnières", 1861
Acquaforte 20,1 x 27,7 cm (foglio), 15,4 x 10,2 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "Il trasferimento sulla Bottin" (« Il rifornimento della barca »), 1861
Acquaforte, 20,1 x 27,7 cm (foglio), 15,9 x 10,5 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "L'eredità del carro" (“Bambini con carretto”), 1861
Acquaforte 20,1 x 27,4 cm (foglio), 16,2 x 10,7 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "Il mozzo tira la fune di rimorchio", 1861
Acquaforte 20,1 x 27,7 cm (foglio), 15,9 x 10,3 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, « Si fa bisboccia », ("Pranzo sulla barca"), 1861
Acquaforte 20,1 x 27,7 cm (foglio), 15,9 x 10,5 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "La parola di Cambronne", (“Scambio di volgarità”), 1861
Acquaforte 20,1 x 27,7 cm (foglio), 16,4 x 11 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "La ricerca di una locanda", 1861
Acquaforte 20,1 x 27,7 cm (foglio), 15,9 x 10,5 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "Interno di una locanda" (“Il corridoio di una locanda”), 1861
Acquaforte, 20,3 x 27,7 cm (foglio), 13 x 9,2 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "Viaggio di notte" (“Pesca con la rete”), 1861
Acquaforte 20,1 x 27,7 (foglio), 15,9 x 10,2 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "Il mozzo che pesca" (“Pesca con la lenza”), 1861
Acquaforte, 20,3 x 27,7 cm (foglio), 15,9 x 10,2 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "L'atelier sulla barca", 1861
Acquaforte 20,1 x 27,7 cm (foglio), 13,5 x 10,2 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "Il battello a vapore" (“Attenti ai battelli a vapore”), 1861
Acquaforte, 20,1 x 27,7 cm (foglio), 15,6 x 11,1 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "E’ tempo di dormire a bordo della Bottin" (“Notte sulla barca”), 1861
Acquaforte 20,1 x 27,7 cm (foglio), 12 x 10,2 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "Pesci felici per la partenza del mozzo" (Pesci) 1861
Acquaforte 20,1 x 27,7 cm foglio, 15,9 x 10 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny, Viaggio in barca, "La partenza" (“Il ritorno”), 1861
Acquaforte, 20,1 x 27,7 cm (foglio), 15,7 x 10,2 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Jean Baptiste Armand Guillaumin
Vicolo Barrault, 1873
Acquaforte, 20 x 28,5 cm (foglio), 9,5 x 17,5 cm (immagine)
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
Le paludi di Vitry, 1873
Acquaforte, 28,5 x 20 cm (foglio), 7 x 11 cm (immagine)
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
Les Hautes Bruyères, 1873
Acquaforte, 28,5 x 20 cm (foglio), 7,5 x 10,5 cm (immagine)
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
La cava di gesso o L'île de Casseuil, Gironda, 1873
Acquaforte 28,5 x 20 cm, 7 x 10 cm
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
L'entrata del villaggio, 1873
Acquaforte 28,5 x 20 cm (foglio), 7 x 9 cm
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
Nell'erba alta, Bas Meudon, 1873
Acquaforte, 28,5 x 20 cm (foglio), 7 x 9 cm
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
Marina a Chareton, 1873
Acquaforte, 28,5 x 20 cm (foglio), 4,5 x 7,5 cm (immagine)
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
La periferia di Charonne, 1873
Acquaforte, 28,5 x 20 cm (foglio), 8,5 x 6 cm (immagine)
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
La Senna a Bercy, 1873
Acquaforte, 28,5 x 20 cm (foglio), 6 x 8,5 cm (immagine)
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
Route d’Allemagne, più tardi, Avenue Jean Jaures, Paris, 1873
Acquaforte 8,5 x 20 cm (foglio), 5,5 x 11 cm (immagine)
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
La Senna vista da Charenton, 1873
Acquaforte, 28,5 x 20 cm (foglio), 5 x 8 cm (immagine)
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
Bicetre e Chemin des barons, 1873
Acquaforte, 28,5 x 20 cm (foglio) 5 x 8 cm
Courtesy Idbury Prints Ltd
Camille Pissarro
Paesaggio con sottobosco all'Hermitage, 1879
Ceramolle e acquatinta, 26,7 x 35,6 cm (foglio), 21,8 x 26,9 cm (immagine The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Camille Pissarro
Effetto di pioggia, 1879
Acquatinta e puntasecca, 21,8 x 30,7 cm (foglio), 15,9 x 21,8 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Camille Pissarro
Il sentiero di Pouilleux (versione piccola), 1882
Puntasecca e acquatinta, 31,5 x 19,6 cm (foglio), 15,9 x 12,1 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Camille Pissarro
Casa Rondest all'Hermitage, 1882
Acquaforte e acquatinta, 34 x 27,4 cm (foglio), 16 x 11,2 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Camille Pissarro
Veduta di Pontoise, 1885
Acquaforte e acquatinta, 26,9 x 34,3 cm (foglio), 15,7 x 23,9 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Camille Pissarro
LÎle Lacroix a Rouen, 1907
Acquaforte, 22,6 x 28,2 cm (foglio), 11,4 x 15,5 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Eugène Louis Boudin
Etretat, 1891
Olio su tela, 77,1 x 109,6 cm
Madison, Chazen Museum of Art, University of Wisconsin
Dono di Mrs. Frank P. Hixon
Claude Monet
Mattino a Fécamp, 1881
Olio su tela, 61 x 81 cm
The Collection of LeFrak Family
Claude Monet
Campo di papaveri, Giverny, 1885
Olio su tela, 60 x 73 cm
Richmond, Virginia Museum of Fine Arts
Collezione di Mr. e Mrs. Paul Mellon
Claude Monet
Ponte di Waterloo, effetto di nebbia, 1903
Olio su tela, 65 x 100 cm
San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage
Claude Monet
Ninfee, 1903
Olio su tela, 73 x 92 cm
Parigi, Musée Marmottan Monet
Claude Monet
Ninfee, ca. 1914
Olio su tela, 150 x 200 cm
Parigi, Musée Marmottan Monet
Claude Monet
Ninfee, armonia in blu, ca. 1914
Olio su tela, 200 x 200 cm
Parigi, Musée Marmottan Monet
Claude Monet
Il viale delle rose, Giverny, ca. 1920
Olio su tela, 90 x 92 cm
Parigi, Musée Marmottan Monet,
Camille Pissarro, 1892
Angolo del giardino, neve, Éragny, 1892
Olio su tela, 46,5 x 38,5 cm
Courtesy Hecht Museum, Università di Haifa
Camille Pissarro
Dune a Knokke, 1894
Olio su tela, 54 x 65 cm
Collezione privata
Pierre Auguste Renoir
Les Collettes, ca. 1908
Olio su tela, 39 x 54 cm
La Chaux-de-Fonds, Musée des Beaux-Arts
Collection René et Madeleine Junod
Pierre-Auguste Renoir
Ragazza sotto un albero, ca. 1910
Olio su tela, 46 x 38 cm
Collezione privata
FOTOGRAFIE
Eugène Cuvelier
Belle-Croix, 1860-70,
Stampa all'albumina da negativo su carta,
25,4 x 34,3 cm
Washington, National Gallery of Art
Gail and Benjamin Jacobs for the Millennium Fund
Eugène Cuvelier
Scena silvestre nei pressi del Carrefour de l'Epine, 1860
Stampa al sale da negativo su carta, 19,3 x 25,7 cm
National Gallery of Art, Washington Patrons' Permanent Fund
Eugène Cuvelier
Strada carraia attraverso la foresta, 1863
Stampa all'albumina, 25,8 x 19,9 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Eugène Cuvelier
Il querceto, ca. 1865
Stampa all'albumina, 25,5 x 34 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Eugène Cuvelier
Querce e faggi, ca. 1863
Stampa all'albumina, 25,7 x 19.9 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Eugène Cuvelier
La quercia Bodmer, ca. 1863
Stampa all'albumina, 25,9 x 20 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Eugene Cuvellier
Palude a Fampoux, ca. 1860
Stampa all'albumina da negativo su carta, 25 x 35,5 cm
Washington, National Gallery of Art
The Richard and Judith Smooke Fund e Fondi provenienti da un donatore anonimo
Eugène Cuvelier
Stagno a Piat,
Stampa al sale da negativo su carta, 25,7 x 34 cm
Washington, National Gallery of Art
Gift of Dan e Mary Solomon e Patrons' Permanent Fund
Eugène Cuvelier
Ninfee a Fampoux, 1862
Stampa all'albumina, 26 x 20,2 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Eugène Cuvelier
Vicino alla grotta, terreno bruciato, 1860-65
Stampa su carta salata da negativo su carta, 26 x 19,8 cm
New York, Metropolitan Museum of Art
Acquisto, Dono The Herbert and Nannette Rothschild Memorial Fund, in memoria di Judith Rothschild, 1996
Eugene Cuvelier
Strada per Briquet, 1860-65,
Stampa al sale da negativo su carta, 25,3 x 33,6 cm; montata su carta 54,3 x 71 cm
New York, Hans P. Kraus, Jr. and Charles Isaacs
Alphonse Jeanrenaud
Fontainebleau, 1860-70
Stampa all'albumina, 32 x 26 cm
Washington, National Gallery of Art
The Amy Rose Silverman Fund e Fondi da anonimo
Gustave Le Gray
Crocevia nella foresta, Fontainebleau, ca. 1852
Stampa al sale da negativo su carta, 27,4 x 37,3 cm immagine; montata su foglio di album 38 x 48
New York, Hans P. Kraus, Jr.
Gustave Le Gray
Quercia e rocce, Foresta di Fontainebleau, ca. 1849-52
Stampa al sale da negativo su carta, 25,2 x 35,7 cm,
New York, Metropolitan Museum of Art
Acquisto, dono Jennifer and Joseph Duke e Lila Acheson Wallace Gifts, 2000
Gustave Le Gray
Masso lungo la strada, Foresta di Fontainebleau, ca. 1852
Stampa al sale da negativo su carta, 27,9 x 37,3 cm
New York, Hans P. Kraus, Jr.
Gustave Le Gray
Strada per Chailly, Fontainebleau, 1856
Stampa all’albumina, 25,6 x 35,4 cm
Los Angeles, The J. Paul Getty Museum
Henri Le Secq
Sentiero in un bosco di betulle, ca. 1851-52
Stampa al sale da negativo su carta cerata, 37,9 x 50,8
Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs
Henri Le Secq
Albero morto in una foresta, ca. 1851-52
Stampa al sale da negativo su carta cerata, 50,6 x 37,9 cm
Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs
Henri Le Secq
Cava, ca. 1851-52
Stampa al sale da negativo su carta cerata, 51 x 38 cm
Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs
Henri Le Secq
Sentiero nella foresta, ca.1851-52
Stampa al sale da negativo su carta cerata, 37,4 x 50,1 cm
Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs
Henri Le Secq
Querce spoglie in inverno, ca. 1851-52,
Stampa al sale da negativo su carta cerata, 38,9 x 51,5 cm
Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs
Henri Le Secq
Studio di una quercia, ca. 1851-52
Stampa al sale da negativo su carta cerata, 51,3 x 39,3 cm
Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs
Henri Le Secq
Ruscello nella foresta, c. 1851-52
Stampa al sale da negativo su carta cerata, 50,7 x 37,7 cm
Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs
Henri Le Secq
Sottobosco, ca. 1851-52
Stampa al sale da negativo su carta cerata, 50,5 x 37,8
Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs
Charles Marville
Corot e Diaz a Barbizon, ca. 1854
Stampa al sale, 17 x 23,5 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Joseph Vigier
Bagneres-de-Luchon, Ponte di ardesia al ritorno dalle Cascade des Parisiens, ca. 1853
Stampa al sale da negativo su carta, 24,6 x 35,6 cm
New York, Hans P. Kraus
Joseph Vigier
Saint-Sauveur, erosione delle rocce sulla strada per Gavarni, ca. 1853
Stampa al sale da negativo su carta, 27,6 x 37 cm
New York, Hans P. Kraus
E. Ziegler & Cie
Radici, ca. 1870
Stampa all'albumina, 26 x 20,9 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Anonimo francese
Foresta di Fontainebleau, nid de l’Aigle, ca. 1880
Stampa all'albumina, 27,9 x 22,8 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Anonimo francese
Foresta di Fontainebleau, Apremont, la Gorge aux néfliers, ca. 1880
Stampa all'albumina, 27,4 x 21 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Anonimo francese
Lettura nella foresta, ca. 1870
Stampa all'albumina, 13,5 x 9,9 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Anonimo
Colazione sull’erba, ca. 1880
Stampa all'albumina, 16 x 21,9 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Anonimo francese
Montigny, Veduta sul Loing, ca. 1880
Stampa all'albumina, 21 x 27,4
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Anonimo francese
Pittore al cavalletto, ca. 1890-95
Aristotipo, 22,7 x 16,3 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Anonimo francese
Pittore con tavolozza, ca. 1880
Stampa all'albumina, 16,2 x 11,6 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Alfred Briquet
Barca sulla sponda del fiume, ca. 1870
Stampa all'albumina, 19,2 x 24,3 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Constant Alexandre Famin
La Mare aux Fées a Barbizon con il pittore Théophile Chauvel, ca. 1865 / 1870,
Stampa all'albumina, 18,5 x 24,2 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Contstant Alexandre Famin
Uomo nella foresta, ca. 1870
Stampa all'albumina da negativo su vetro, 33,7 x 25,3 cm
New York, Metropolitan Museum of Art, The Rubel Collection, Acquisto
Dono di Lila Acheson Wallace
Charles Alexandre Famin o Achille Quinet
Rocce nella Foresta di Fontainebleau, ca. 1870
Stampa all’albumina, 19,6 x 25,4 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Constant Alexandre Famin
Sottobosco, ca. 1870
Stampa all’albumina, 25,6 x 19 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Constant Alexandre Famin
Tronco d’albero nella foresta di Barbizon, ca. 1870
Stampa all'albumina, 25,4 x 19 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
William Drooke Harrison
Foresta di Fontainebleau, ca. 1870
Stampa all'albumina, 19,5 x 19,1 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
William Drooke Harrison
Foresta di Fontainebleau, 1870-80
Stampa al carbone da negativo su vetro, 18,8 x 13,9 cm
New York, Metropolitan Museum of Art
Dono di Alain Paviot, in memoria di Samuel J. Wagstaff Jr.
Gaudenzio Marconi
Studio di foresta, ca. 1870
Stampa all'albumina, 17,4 x 24,4 cm,
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Achille Quinet
Barca sulla sponda di un fiume, ca. 1870
Stampa all'albumina, 17,5 x 25,5 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Achille Quinet
Studio dal vero, ca. 1874
Stampa all'albumina 18,1 x 24,8 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Achille Quinet
Studio dal vero [paesaggio fluviale], Eo 31 (2)-Fol, lastra 24, 5362, 1868
Stampa all’albumina da negativo su collodio umido, 19,1 x 24,8 cm
Parigi, Bibliothèque nationale de France
Achille Quinet
Studio dal vero [scena fluviale], Eo 31 (2)-Fol, lastra 67, 1319, 1874
Stampa all’albumina da negativo su collodio umido, 19,4 x 24,8 cm
Parigi, Bibliothèque nationale de France
Achille Quinet
Studio dal vero [nuvole], Eo 31 (1)-Fol, lastra 218, 2689, 1875
Stampa all’albumina da negativo su collodio umido, 16,6 x 24,5 cm
Parigi, Bibliothèque nationale de France
Achille Quinet
Studio dal vero [ninfee], Eo 31 (2)-Fol, lastra 239, 2710, 1875
Stampa all’albumina da negativo su collodio umido, 19,8 x 24,7 cm
Parigi, Bibliothèque nationale de France
Achille Quinet
Studio dal vero [sponda del fiume], Eo 31 (3)-Fol, lastra 129, 2522, 1875
Stampa all’albumina da negativo su collodio umido, 19,3 x 24,7 cm
Parigi, Bibliothèque nationale de France
Achille Quinet
Studio dal vero [scena fluviale], Eo 31 (3)-Fol, lastra 127, 2394, 1875
Stampa all’albumina da negativo su collodio umido, 18,6 x 24,8 cm
Parigi, Bibliothèque nationale de France
Achille Quinet
Massi a Fontainebleau, ca. 1870
Stampa all'albumina, 19 x 24,9 cm
Parigi, Collection Gérard-Lévy
Gustave Le Gray, Grande onda, Sète - n.17
1857 ca.
Stampa moderna di Patrice Schmidt ottenuta da una stampa all’albumina da negativo su vetro al collodio
34,2 x 42 cm
Parigi, Musée d'Orsay
Gustave Le Gray, Marina, studio di nuvole
1856-1857
Stampa moderna di Patrice Schmidt ottenuta da una stampa all’albumina da due negativi su vetro al collodio
32 x 39 cm
Parigi, Musée d'Orsay
Gustave Le Gray, Effetto di sole nelle nuvole - Oceano
1856-1857
Stampa moderna di Patrice Schmidt ottenuta da una stampa all’albumina da negativo su vetro
32,2 x 42 cm
Parigi, Musée d'Orsay
Attribuito a Charles Nègre, Studio dal vero, Fontainebleau, 1850 ca.
Stampa moderna di Patrice Schmidt ottenuta da una stampa al sale da negativo su carta cerata asciutta
17,5 x 25,1 cm
Parigi, Musée d'Orsay
DOCUMENTI
Charles NODIER, Voyages pittoresques et romantiques dans l'ancienne France. Ancienne Normandie, t. 1, 1820- , volume, 53,9 x 34,9 x 5,6 cm, Gr. Fol.-L15-28, M-16009. Bibliothèque nationale de France, Parigi
Charles NODIER, Voyages pittoresques et romantiques dans l'ancienne France. Ancienne Normandie, t. 2, 1820 - , volume, 53,6 x 34,6 x 5,8 cm, Gr. Fol.-L15-28, M-16010, Bibliothèque nationale de France, Parigi
C.-F. DENECOURT, Guide du voyageur dans le palais et la forêt de Fontainebleau, 1840, volume, 21,4 x 12,9 x 1,2 cm, 8-LK7-2822, Bibliothèque nationale de France, Parigi
Gaston TISSANDIER, La Nature, 1874, volume, 29 x 19 x 2,5 cm, 4-R-45 (1874/06-11), Bibliothèque nationale de France, Parigi
Gaston TISSANDIER, La Nature, 1881, voulme, 29 x 19 x 3 cm, 4-R-45 (1880/12 - 1881/05), Bibliothèque nationale de France, Parigi
Gaston TISSANDIER, La Nature, 1888, volume, 29 x 19 x 3 cm, 4-R-45 (1887/12 - 1888/05), Bibliothèque nationale de France, Parigi
Gaston TISSANDIER, La Nature, 1893, volume, 29 x 19 x 3,7 cm, 4-R-45 (1892/12 - 1893/05), Bibliothèque nationale de France, Parigi
Gaston TISSANDIER, La Nature, 1900, volume, 28,8 x 18,5 x 3,7 cm, 4-R-45 (1900/06-11), Bibliothèque nationale de France, Parigi
Gaston TISSANDIER, L'eau, 1867, volume, 18,5 x 12 x 2,5 cm, S-34954, Bibliothèque nationale de France, Parigi
Elisée RECLUS, La terre : description des phénomènes de la vie du globe, 1877, volume, 27,5 x 19 x 5,5 cm, 4-S-95 (1), Bibliothèque nationale de France, Parigi
Elisée RECLUS, La terre : description des phénomènes de la vie du globe, 1877, volume, 27,5 x 19 x 5,5 cm , 4-S-95 (2), Bibliothèque nationale de France, Parigi
Ernst HAECKEL, Histoire de la création des êtres organisés d'après les lois naturelles, 1877, volume, 23 x 15 x 5 cm, 8-S-267, Bibliothèque nationale de France, Parigi
LETTERE
Camille Pissarro
Lettera autografa, firmata e datata: Paris, Hôtel du Louvre 23 Jan. [18]98
Lettera a sua moglie Julie
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
Camille Pissarro
Lettera autografa, firmata e datata: [Paris], 2 février 1887
Lettera a sua moglie Julie sulle difficoltà di vendere i propri dipinti
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
Claude Monet
Lettera autografa, firmata: Londres, 11 mars 1900
Monet scrive a sua nuora Blanche Hoschedé da Londra dove dipinge un centinaio di vedute del Tamigi
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
Claude Monet
Lettera autografa, firmata: Rouen, 26 février 1892
Monet informa un amico che sta lavorando a dei dipinti della Cattedrale di Rouen
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
Claude Monet
Lettera autografa, firmata: Étretat, [automne-hiver 1868]
Lettera a Frédéric Bazille, amico fedele e benestante, che aiutò spesso Monet nei momenti difficili
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
Auguste Renoir
Lettera autografa con disegno, firmata e datata: Chatou, 17 septembre 1880
Lettera alla sua modella Lucie
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
Pierre Auguste Renoir
Lettera autografa, datata : Paris, 7 décembre 1893
Nella lettera, indirizzata ad un “suo caro amico”, Renoir parla del proprio stato di salute e delle cattive condizioni climatiche che ritardano il suo lavoro
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
Eugène Boudin
Lettera autografa, firmata e datata: Beaulieu-sur-Mer, 5 mai 1898
Lettera a sua fratello Louis
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
Gustave Courbet
Lettera autografa, firmata e datata: La Tour de Peilz, 7 décembre 1874
Lettera indirizzata al mercante d’arte francese Paul Pia
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
Berthe Morisot
Lettera autografa, firmata e datata: Nice, 7 mars 1889
Lettera a Monet
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
La Mostra, che nasce sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, è promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con la partecipazione del Comune di Roma - Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione –, della Regione Lazio – Presidenza e Assessorato alla Cultura, allo Spettacolo e allo Sport -, della Provincia di Roma – Presidenza e Assessorato alle Politiche culturali -, con il patrocinio del Senato della Repubblica, della Camera dei Deputati e del Ministero degli Affari Esteri. La rassegna è organizzata e realizzata da Comunicare Organizzando di Alessandro Nicosia.
Tanti prestigiosi musei di tutto il mondo, insieme ad importanti gallerie e collezioni private, hanno sostenuto questo ambizioso progetto e tra essi spiccano: The Art Institute di Chicago, The Metropolitan Museum of Art e The New York Public Library di New York, The National Gallery of Art e The Corcoran Gallery of Art di Washington, Toledo Museum of Art e Kimbell Art Museum, Musée Marmottan e Bibliothèque nationale de France di Parigi, Musée Fabre di Montepellier, e ancora Hamburger Kunsthalle e The State Hermitage Museum.
L’esposizione “Da Corot a Monet. La sinfonia della natura”, a cura di Stephen F. Eisenman, Ordinario di Storia dell’Arte, Northwestern University, Chicago, in collaborazione con Richard R. Brettell, Commissario Internazionale della Mostra, Ordinario di Storia dell’Arte, University of Texas, Dallas, si avvale di un prestigioso comitato scientifico composto da John House, Walter H. Annenberg Professor, Courtauld Institute of Art, Londra; Maria Grazia Messina, Ordinaria di Storia dell’Arte Contemporanea, Università di Firenze; Greg M. Thomas, Associate Professor in Art History, The University of Hong Kong, Hong Kong; MaryAnne Stevens, Director of Academic Affairs e Senior Curator, The Royal Academy of Arts, Londra; Michael Zimmermann, Deputy Director of the Zentralinstitut für Kunstgeschichte, Monaco di Baviera.
La mostra
L’Impressionismo è certamente un periodo storico artistico al quale sono state dedicate innumerevoli esposizioni, studi e pubblicazioni, ma questa mostra al Complesso del Vittoriano, propone per la prima volta un’analisi davvero approfondita e complessiva del rapporto tra Impressionismo e Natura e di come gli Impressionisti, con il loro linguaggio artistico innovativo, non solo abbiano reso testimonianza visiva dell’impatto della modernità sul paesaggio francese, in una coesistenza di passato e presente, ma abbiano abbracciato una nuova prospettiva olistica, che rivela il dinamismo e la contingenza di ogni sistema sociale e naturale.
La mostra si apre con una selezione di opere a contrasto: da un lato i paesaggi classicheggianti, alla maniera dei Salon, come l’imponente Vista dell’isola di Capri di Harpignies, dall’altro il nuovo approccio degli artisti della Scuola di Barbizon, che sceglievano, invece, di raffigurare luoghi meno spettacolari e di creare composizioni meno fedeli ai dettami della tradizione.
La Scuola di Barbizon comprende quegli artisti, tra cui Corot, Rousseau, Díaz de la Peña, Dupré e Daubigny, che, a partire dagli anni trenta dell’Ottocento, si stabilirono proprio a Barbizon, una località della foresta di Fontainebleau, dove cominciarono a disegnare e, talvolta anche a dipingere, en plein air, con un’attenzione particolare agli effetti transitori della luce e dell’atmosfera, pur mantenendo un notevole rispetto per la tradizione artistica, raffigurando scene rurali solitarie, oltre che per gli elementi legati alla visione e alla vita materiale.
La foresta di Fontainbleau, poco lontana da Parigi, rappresentava per i francesi dell’epoca un vero e proprio monumento naturale, da proteggere e preservare. Come scrive Stephen Eisenman nel suo saggio: “Nel 1860 C.F. Denecourt, il celebre scrittore di guide di viaggio, rivolse un appello all’imperatore Napoleone III affinché la foresta venisse protetta: ‘Con i suoi splendidi orizzonti, le superbe masse di rocce antidiluviane, le valli ombreggiate, gli spazi vuoti e gli alberi secolari... [questa foresta] è stata regalata da Dio alla Francia come un modello di paesaggio terreno’ Théodore Rousseau, dal canto suo, descrisse le foreste come ‘l’unico ricordo ancora vivo dell’epoca eroica della madrepatria, da Carlo Magno a Napoleone’ e nel 1852 sollecitò Napoleone III a istituire una riserva naturale nella foresta, cosa che quest’ultimo fece nel 1861. Questa réserve artistique di 1.097 ettari fu uno dei primi parchi nazionali del mondo. (...) I dipinti di Barbizon, comprese le fotografie di Cuvelier, Le Gray, Le Secq e altri, - qui esposte - erano dunque intensamente nostalgici, giacché rievocano il sogno di un’era in cui – almeno così si credeva – nobili e contadini vivevano in armonia, la terra era fertile e pacifica e le uniche tracce significative dello scorrere del tempo erano il mutare delle stagioni e la diversa intensità della luce nelle ore del giorno.”
“Gli impressionisti, che ammiravano Daubigny e negli anni settanta dell’Ottocento lo seguirono a Auvers“ – spiega Eisenman - amplificarono al massimo le innovazioni e minimizzarono il conservatorismo degli artisti di Barbizon. Nel 1872 Claude Monet si costruì uno studio galleggiante sull’esempio di Daubigny (autore della serie di incisioni En bateau, 1872, New York Public Library, presenti in mostra), ma anziché guardare in basso verso le sponde dei fiumi per rappresentarne la particolare morfologia, di solito abbracciava con lo sguardo acqua, cielo, ponti, gitanti, passeggiatori, battellieri, braccianti e tutte le forme della natura e della cultura rivierasca. E invece di raffigurare quel mondo complesso gradualmente, con pennellate brevi, misurate e relativamente uniformi, utilizzava segni ampi ed espressivi, macchie, tocchi, riccioli e virgole di colore. Attraverso l’unione di una superficie pittorica animata e una nuova gamma di soggetti, in effetti, Monet e gli impressionisti aprirono una serie di interrogativi critici sulla modernità che avrebbero stimolato l’ambiziosa pittura europea per i decenni a venire. Essi sostituirono al nominalismo degli artisti di Barbizon un olismo nuovo e convincente: erano diventati artisti ecologici. “
Una rappresentazione della Natura come forza vitale, nella sua perpetua attività generatrice, priva di figure umane, è quella presentata da artisti come Courbet, Boudin e Cazin.
Nelle opere degli Impressionisti appare, quindi, evidente questa nuova volontà di rappresentare una realtà che è frutto dell’equilibrio e della commistione indissolubile tra tutte le parti del mondo naturale. Prendendo spunto dagli sviluppi della scienza a loro contemporanea, come testimoniano in mostra alcune copie della rivista scientifica La Nature di Gustave Tissandier e pubblicazioni del geologo radicale Elisée Reclus, i pittori impressionisti rappresentarono “l’economia della natura”, ovvero la terra come un insieme di sistemi umani e naturali collegati tra loro, con tutte le parti ugualmente vitali e reciprocamente vincolate.
Quella impressionista è una sfida al pittoresco convenzionale, sia nel virtuosismo della tecnica essenziale, sia in quello della composizione. Come spiega John House nel suo saggio in catalogo: “Le opere eseguite da Pissarro e Monet tra gli anni settanta e ottanta dell’Ottocento chiariscono ulteriormente questi temi. Negli anni settanta Pissarro realizzò una sequenza di vedute delle rive dell’Oise in cui le fabbriche giocano un ruolo prominente (vedi per es. in mostra La sente du Chou, Douai, Musée de la Chartreuse). Questa intrusione della contemporaneità equivaleva a un rifiuto delle immagini convenzionali del fiume rese popolari dai dipinti di Charles-François Daubigny, in cui le sponde verdi e nebbiose sono presentate come un rifugio incontaminato (per es. esposto Mattino sull’Oise, Oshkosh, Paine Art Center and Gardens). A un primo sguardo le fabbriche di Pissarro sembrano accomunabili alla parodistica mietitura di Renoir, ma tra le due c’è una differenza sostanziale: mentre in Renoir contava soprattutto la decisione di declinare il tema della mietitura in chiave antipittoresca, in Pissarro la rottura è provocata da un’intrusione fisica nel paesaggio stesso, quella della fabbrica sulla riva del fiume. (...) Considerato nel suo insieme, questo progetto suggerisce che la presenza della modernità può assumere molte forme e che una pittura realmente moderna dovrebbe riunire quegli elementi contrastanti che le rappresentazioni di paesaggi tradizionali avevano escluso.”
Anche Monet, nelle vedute di Argenteuil realizzate in questo stesso periodo, esplora un’ampia gamma di tonalità e atmosfere. A volte il luogo è raffigurato come un villaggio rurale, ma più spesso sono i segni della modernità a imporsi, pur nella loro estrema diversità: fabbriche e ponti ferroviari, ma anche ville suburbane, chalet sulle rive del fiume e imbarcazioni in movimento, con una continua variazione tonale delle opere, che esplorano tutte le più disparate variazioni atmosferiche in una gamma di effetti visivi davvero straordinaria.
L’uomo entra nel paesaggio, come nel capolavoro di Frédéric Bazille dal Musée Fabre di Montpellier, nel quale la donna in primo piano si immerge completamente nella natura, invitando il nostro sguardo a sprofondare nel panorama della valle verdeggiante vicino al villaggio di Castelnau.
Come spiega Eisenman, Alfred Sisley, invece, dedicò tutta la sua carriera a rappresentare i cicli della natura e il potere dell’idrologia: “I suoi maggiori dipinti hanno per soggetto fiumi, laghi, oceani e alluvioni. Ne sono un esempio – tra le opere esposte - L’inondazione a Port-Marly (1872, Washington, National Gallery of Art), L’inondazione a Moret (1879, Brooklyn Museum) e La Senna a St.-Mammès (ca. 1882, Muskegon Museum of Art): essi raffigurano in maniera vivida ciò che Tissandier e Reclus descrivevano a parole, ovvero che le piene sempre più frequenti dei fiumi francesi, tra cui la Senna, il Rodano, la Loira e la Garonna, erano una conseguenza dell’azione e degli abusi dell’uomo, che tagliava alberi e siepi distruggendo le foreste per lasciar spazio all’agricoltura. In effetti le grandi inondazioni del 1846, 1856 e 1875 furono ampiamente attribuite alla deforestazione. Ma i quadri di Sisley evidenziano anche un altro aspetto della visione di Reclus, ovvero che le comunità sono in grado di adattarsi ai cicli della natura e persino alle calamità esacerbate dall’agire dell’uomo.”
L’avvento della Terza Repubblica nel 1879 cambiò nettamente la politica artistica dello stato francese, che, se in passato aveva favorito le forme più tradizionali del paesaggio rurale, incoraggiava ora attivamente la raffigurazione delle scene contemporanee. Fu forse anche questo che contribuì al trasferimento di Monet a Vétheuil e ad un atteggiamento nuovo: abbandono dei soggetti esplicitamente moderni, riduzione al minima della presenza umana.
La fusione tra pratica artistica e vita privata che Monet attuò, poi, nella casa e nei giardini di Giverny è un esempio perfetto della tendenza antiurbana e introspettiva dell’arte moderna fin de siècle. Spiega Eisenman “Ormai prossimo alla fine della vita e della carriera, Monet ripensò alle opere dei grandi pittori di Barbizon Rousseau, Díaz, Dupré, Harpignies e Daubigny, nonché dei fotografi Eugène Cuvelier, Gustave Le Gray e Henri Le Secq, i quali avevano tutti posto l’acqua – in particolare i fiumi e le paludi – al centro della loro visione. Al pari di questi artisti, anche lui considerava l’acqua – come aveva scritto il naturalista Justus Liebig nel 1845, durante il periodo d’oro di Barbizon – “l’agente intermedio di tutta la vita organica”. Le sue ninfee erano forse “il piccolo e tiepido stagno” descritto da Darwin, il brodo primordiale da cui si svilupparono tutte le forme di vita.”
La mostra si chiude con una testimonianza dello splendido ciclo delle Ninfee, oggi chiamato Grandes Décorations, installato all’Orangerie di Parigi e aperto al pubblico nel 1927, un anno dopo la morte dell’artista. “Queste immense tele panoramiche, che raggiungono un’estensione totale di oltre novanta metri, segnano un netto passaggio concettuale dall’originario obiettivo artistico di Monet, ovvero quello di recarsi in campagna e dipingere tutto ciò su cui si posava lo sguardo – terra, cielo, acqua, barche, gente, edifici – purché il risultato fosse una composizione pregevole e coerente.”
L’artista non raffigura più la natura come momento insieme immediato ed eterno, non è più interessato a fissare sulla tela il fondersi di passato e presente, antico e modernità, ma crea, piuttosto, un luogo dell’anima, un ideale rifugio dalla contingenza della vita quotidiana.
Conclude Eisenman: “Questo sforzo di monumentalizzazione è decisamente distante dalla deliberata contemporaneità e contingenza della precedente visione ecologica di Pissarro, Sisley e dello stesso Monet. L’artista aveva quindi abbandonato l’ecologia di Reclus, con la sua enfasi sul cambiamento e sull’interdipendenza dinamica di natura e cultura, per tornare a una versione del paysage nature o natura naturans (la natura che genera se stessa) della scuola di Barbizon, ma stavolta senza la struttura di sostegno del classicismo. Il risultato è una straordinaria emancipazione dalle forze scoraggianti della modernizzazione, ma anche un terribile ritiro in un’isola privata di sogni e ansietà.
ELENCO DEI MUSEI PRESTATORI
BELGIO
Gand, Museum voor Schone Kunsten
FRANCIA
Douai, Musée de La Chartreuse
Lille, Palais des Beaux-Arts
Montpellier, Musée Fabre
Orléans, Musée des Beaux-arts
Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs
Parigi, Bibliothèque nationale de France
Parigi, Musée d'Orsay
Parigi, Musée Marmottan Monet
Tour, Musée des Beaux-Arts
Vernon, Musée de Vernon
GERMANIA
Amburgo, Hamburger Kunsthalle
RUSSIA
San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage
UNGHERIA
Budapest, Szépmüvészeti Múzeum
USA
Chicago, Collezione Union League Club of Chicago
Chicago, The Art Institute of Chicago
Columbus, Columbus Museum of Art
Dallas, Dallas Museum of Art
Duluth, Tweed Museum of Art
Fort Worth, Kimbell Art Museum
Los Angeles, The J. Paul Getty Museum
Madison, Chazen Museum of Art
Montana, Montana Museum of Art and Culture
Montreal, The Montreal Museum of Fine Arts
Muskegon, Muskegon Museum of Art
New York, Brooklyn Museum
New York, The Metropolitan Museum of Art
New York, The New York Public Library
Omaha, Joslyn Art Museum
Seattle, Seattle Art Museum
South Hadley, Mount Holyoke College Art Museum
St. Louis, Saint Louis Art Museum
Toledo, Toledo Museum of Art
Tulsa, Philbrook Museum of Art
Washington, Corcoran Gallery of Art
Washington, National Gallery of Art
Impressionismo ed ecologia
Stephen F. Eisenman
La nuova pittura
L’impressionismo segnò una trasformazione nella pittura di paesaggio di fine Ottocento. I suoi esponenti – Monet, Renoir, Sisley, Pissarro, Morisot e gli altri – ordinavano la luce e il colore in maniere inedite e utilizzavano un tocco vigoroso che talvolta produceva opere più simili a schizzi che non a dipinti compiuti. Neve a Port-Marly, brina di Alfred Sisley (1872, Lille, Musée des Beaux-Arts) rappresenta un’ansa della Senna in una limpida mattina d’inverno, ma la tela è tempestata di pennellate a ricciolo di un bianco screziato di lavanda contrapposte a rombi di color arancio – lo stesso che, applicato in blocchi irregolari e privi di modulazioni, fa fiammeggiare gli alberi sulla sponda distante; sotto, circondata da una coltre grigio azzurro, un’imbarcazione a vapore fende le acque del fiume. Un decennio prima, nessuno avrebbe considerato Port-Marly un’opera d’arte finita degna di essere mostrata al pubblico. Ancora nel 1870 ca., Canale in Piccardia di Camille Corot (Toledo Museum of Art) – idealizzante, classicheggiante e accattivante – rappresentava i canoni del gusto nel paesaggio. Ma Sisley e gli altri esponenti di quella che il critico Edmond Duranty definì “la nuova pittura” stavano cambiando la definizione stessa di peinture. Non più il risultato di una meticolosa attenzione alle sottigliezze della prospettiva, alle gradazioni tonali, all’equilibrio della composizione o all’anatomia insegnati all’accademia, l’arte degli impressionisti era invece il prodotto di uno sguardo rapido, una mano abile e un temperamento sensibile. Questi artisti, come scrisse Duranty, “spalancarono le finestre e uscirono all’aria aperta, alla luce del sole... [Essi fornirono] un nuovo metodo di colore e di disegno, oltre che una gamma di punti di vista originali”.1 Quei “punti di vista”, tuttavia, riguardavano tanto i soggetti veri e propri quanto le tecniche artistiche.
A partire da Meyer Schapiro nel 1936, gli storici dell’arte e i critici d’arte moderna hanno osservato che gli impressionisti includevano nelle loro rappresentazioni di paesaggi e città molti elementi di architettura e ingegneria, nonché figure, attività e luoghi urbani e suburbani che l’arte precedente aveva del tutto ignorato.2 La “nuova pittura” trattava del conflitto e dell’interazione dinamica fra natura e industria, svago e lavoro, libertà e costrizione, cambiamento e tradizione. Gli impressionisti rappresentavano in modi al tempo stesso ovvi e sottili l’impatto della modernizzazione sulle città e le campagne francesi. Paesaggio a Auvers-sur-Oise di Camille Pissarro (1878, Columbus Museum of Art), per esempio, si sofferma appunto sugli spazi tra città e campagna, campi arati e terreni incolti, agricoltura e industria, raffigurando un giardino in primo piano a destra e le ciminiere di una fabbrica che si profilano in lontananza in alto a sinistra. Una dicotomia analoga è presente in un’opera dello stesso anno, La sente du Chou (Douai, Musée de La Chartreuse), in cui Pissarro rappresenta due contadini fermi a chiacchierare su un viottolo che costeggia un filare di cavoli, poco distante dalla Senna. Sullo sfondo a sinistra si intravedono i nuovi stabilimenti Arnoul e Châlon, che producevano rispettivamente vernici e fertilizzanti. Il lungo bastone che l’uomo tiene contro la spalla sinistra lo identifica come il proprietario della capra d’angora (all’inizio dell’Ottocento le angora erano importate dalla Turchia; per conservare il manto delicato avevano bisogno di pascoli abbondanti e la lana che producevano – il mohair – era destinata ai ricchi).
Se il contrasto fra tradizione e modernità nel dipinto di Pissarro appare ovvio, le sue implicazioni non lo sono altrettanto. Esse riguardano complesse questioni legate al tempo e a ciò che il rivoluzionario russo Trotsky – scrivendo una generazione dopo Pissarro – definì “sviluppo diseguale”.3 In questo particolare giorno e in questa località nei pressi della Senna vediamo affiancati unità di tempo e modi di produzioni contrastanti: la longue durée della geografia e della geologia (erosione, corso dei fiumi, creazione ed esaurimento del terreno) contro il tempo breve e incerto dei rapporti umani (la durata di una conversazione o del tragitto a piedi dalla fattoria al mercato); il tempo rapido dell’industria (il ritmo imposto dalle fabbriche e la velocità di trasporto delle materie grezze o dei prodotti finiti) contro il tempo languido del pastoralismo (le ore del giorno e le stagioni dell’anno). In questo angolo di terra – suggerisce il dipinto – il passato della Francia rurale con la sua classe contadina folta e stabile coesiste pacificamente con il presente della Francia moderna e la sua industria emergente, il suo proletariato in crescita e il suo mercato di lusso (i cappotti in mohair!). Il quadro sintetizza dunque la visione “assimilazionista” di Pissarro discussa in questo volume da Greg Thomas, ovvero l’ambizione di “accostare alla tradizionale vita nei campi moderne intrusioni industriali come fabbriche e ferrovie”. Almeno per ora, sembra dire Pissarro, tradizione e modernità si danno la mano; in altri momenti e luoghi, l’unione potrà diventare forzata o addirittura rompersi.
Ma il contributo di Pissarro e degli impressionisti al linguaggio visivo della modernità non si limita all’assimilazione pittorica di forze economiche e sociali apparentemente contrastanti. Attraverso l’autorità della loro tecnica innovativa, abbinata alla scelta di soggetti moderni, gli impressionisti elaborarono un olismo nuovo e radicale – una visione ecologica – e lo offrirono all’arte e all’immaginazione del futuro (una prospettiva olistica è potenzialmente radicale in quanto rivela il dinamismo e la contingenza di un sistema sociale, e di conseguenza il suo potenziale di cambiamento). Per gli impressionisti come per la scuola degli storici, geografi, sociologi e biologi evoluzionisti che crearono e definirono il campo dell’ecologia, non esistono unità isolate di natura e società, come non esiste una natura senza cultura o una cultura che non sia stata forgiata dalla natura. In un’ottica ecologica, anche l’arte visiva e la cultura materiale sono forgiate dalla natura e contraddistinte da un alto grado di contingenza. Il ruolo del caso o dell’accidentalità è un tratto significativo di tutta l’arte moderna da Cézanne all’espressionismo astratto.
Sisley, Pissarro, Monet e gli altri impressionisti non furono i primi che capirono e tentarono di rappresentare la contingenza e il cambiamento, come pure la coesistenza di passato e presente nel paesaggio. Essi si rifacevano alla lezione dei pittori di Barbizon – tra cui Corot, Rousseau, Díaz de la Peña, Dupré (Il fiume, ca. 1850, St. Louis, Kemper Art Museum) e Daubigny – che a partire dagli anni trenta dell’Ottocento si stabilirono in quella località della foresta di Fountainebleau e cominciarono a disegnare – talvolta anche a dipingere – en plein air. Questi artisti più anziani erano attenti agli effetti transitori della luce e dell’atmosfera e raffiguravano luoghi poco spettacolari che ad alcuni loro predecessori sarebbero apparsi estremamente inadatti alla realizzazione di opere compiute (l’imponente Veduta dell’isola di Capri di Harpignies [Londra, Matthiesen Gallery], presentata al Salon del 1853, esemplifica questa precedente maniera classicheggiante, ispirata in parte al paysage historique di Pierre-Henri de Valenciennes, mentre il successivo Ponte ferroviario a Briare [Tulsa, Philbrook Art Museum] è più tipico dello stile di Barbizon). In Bordo dell’acqua, Optevoz (1856, Mt. Holyoke Museum of Art), Daubigny dipinse fiori selvatici, erbe, arbusti e alberi quasi con la stessa precisione di un naturalista; le nuvole azzurre, porpora e bianche riflesse nell’acqua sono cariche di umidità e le rocce granitiche sono state spaccate dall’azione congiunta di acqua, caldo e freddo. I pittori di Barbizon come Daubigny, tuttavia, mostravano notevole rispetto per la tradizione artistica oltre che per gli elementi legati alla visione e alla vita materiale. Bordo dell’acqua fu composto alla maniera classica sulla base di piccoli disegni a matita e schizzi a olio eseguiti dal vero (forse da una barca a remi sull’acqua), seguiti da un lavoro preparatorio di dimensioni più grandi realizzato in studio per giungere infine al dipinto finale. Mattino sull’Oise di Daubigny (1866, Oskosh Wisconsin, Paine Art Center), completato cinque anni dopo che l’artista si fu trasferito a Auvers-sur-Oise, condensa tutta la sua opera nonché più di un secolo di tradizione del paesaggismo francese. Le lavandaie in primo piano, inginocchiate sulle placide rive di un fiume, ricordano le figure accessorie – il cosiddetto staffage – nei dipinti di Hubert Robert, J.-H. Fragonard e altri vedutisti del Settecento. Quanto alla composizione estremamente equilibrata, composta da cunei interconnessi di acqua, prato e collina, essa derivava da formule stabilite nel Seicento dai classicisti Claude Lorrain e Nicholas Poussin. Nonostante ciò, la libertà della resa presente in tutta l’opera e l’evidente piacere di Daubigny nel dipingere il riflesso appiattito del cielo nell’acqua avvicinano il dipinto alla pratica degli impressionisti.
Gli impressionisti, che ammiravano Daubigny e negli anni settanta dell’Ottocento lo seguirono a Auvers, amplificarono al massimo le innovazioni e minimizzarono il conservatorismo degli artisti di Barbizon. Nel 1872 Claude Monet si costruì uno studio galleggiante sull’esempio di Daubigny (autore della serie di incisioni En bateau [In barca], 1872, New York Public Library), ma anziché guardare in basso verso le sponde dei fiumi per rappresentarne la particolare morfologia, di solito abbracciava con lo sguardo acqua, cielo, ponti, gitanti, passeggiatori, battellieri, braccianti e tutte le forme della natura e della cultura rivierasca. E invece di raffigurare quel mondo complesso gradualmente, con pennellate brevi, misurate e relativamente uniformi, utilizzava segni ampi ed espressivi, macchie, tocchi, riccioli e virgole di colore. Attraverso l’unione di una superficie pittorica animata e una nuova gamma di soggetti, in effetti, Monet e gli impressionisti aprirono una serie di interrogativi critici sulla modernità che avrebbero stimolato l’ambiziosa pittura europea per i decenni a venire. Essi sostituirono al nominalismo degli artisti di Barbizon un olismo nuovo e convincente: erano diventati artisti ecologici.
L’“economia della natura”
Il concetto fondamentale di ecologia – anche se non ancora il termine stesso – fa la sua comparsa negli scritti di Linneo, botanico e tassonomista svedese vissuto nel Settecento. Nella sua visione, tutti gli organismi occupavano un determinato posto nella natura assegnato loro da Dio e insieme al mondo inanimato formavano un ordine grandioso ed equilibrato. In secondo luogo, ogni elemento di natura inorganica – minerali, acqua, aria, terra – costituiva il sostrato essenziale per l’esistenza di piante e animali e non poteva essere rimosso o sconvolto se non sacrificando l’intero sistema ordinato da Dio. Il principio ricalcava quello dell’estetica idealista, secondo cui a un’opera d’arte non si può aggiungere o togliere nulla se non a danno dell’insieme. Più o meno nello stesso periodo di Linneo, il naturalista francese G.-L. Buffon prospettò la sua visione di una natura più dinamica, scandita nel tempo dall’estinzione di piante e animali. Due generazioni dopo, l’inglese Charles Lyell – in Principles of Geology (1833) e nel più tardo The Geological Evidences of the Antiquity of Man (1863) – accettò il principio linneano dell’esistenza di un equilibrio tra tutte le parti del mondo naturale, ma lasciò fuori Dio proponendo invece la competizione come principio fondamentale alla base del cambiamento e comprendendo in quest’ultimo anche l’estinzione e l’evoluzione (o “trasmutazione”) delle specie e degli organismi. In Germania, Alexander von Humboldt tentò di descrivere per la prima volta, nell’opera in più volumi Kosmos (1858), la “grande catena di connessioni mediante le quali tutte le forze naturali sono collegate e rese interdipendenti”, analizzando anche i “collegamenti e gli stati di transizione” tra un organismo e l’altro.4 Fu solo con la pubblicazione de L’origine delle specie di Charles Darwin (1859), tuttavia, che il concetto linneano di “economia della natura” fu accolto pienamente come cardine dell’ordine naturale e dello sviluppo evolutivo. Nel quarto capitolo de L’origine, Darwin descrisse il processo che dà luogo alla variazione e alla speciazione, spiegando come individui di una specie esistente, in virtù di un piccolo, accidentale vantaggio nella loro struttura, possono essere in grado di prosperare e riprodursi in un determinato ambiente mentre altri, meno favoriti dalla natura, non lo sono. Moltiplicato per molte generazioni, il processo – chiamato appunto “selezione naturale” – porta alla creazione di numerose specie nuove e all’estinzione di altre. La selezione naturale, sosteneva Darwin, agisce sempre con estrema lentezza e dipende dall’ambiente fisico e sociale in cui avviene:
La sua azione dipende dal fatto che, nella compagine della natura, vi sono dei posti che possono essere occupati meglio da alcuni abitatori del paese che subiscano una modificazione di qualche sorta. Spesso l’esistenza di questi posti dipenderà da mutamenti fisici, che in genere sono lentissimi, e dal fatto che è stata impedita l’immigrazione di forme meglio adattate. A mano a mano che alcuni abitanti del vecchio tipo andranno incontro a modificazioni, spesse volte i rapporti reciproci con gli altri subiranno un perturbamento, e questo creerà nuovi posti, pronti ad essere colmati da forme meglio adattate [...] non riesco a scorgere alcuna limitazione alla quantità di mutamento, alla bellezza ed all’infinita complessità degli adattamenti reciproci di tutti i viventi fra loro e con le condizioni fisiche di vita…5
La comprensione da parte di Darwin degli “adattamenti reciproci di tutti i viventi fra loro e con le condizioni fisiche di vita” e la sua concezione di una “compagine della natura” o, come la definisce altrove, di un’“economia della natura”, gettarono le basi della futura scienza dell’ecologia e di tutte le sue diramazioni in sociologia, antropologia, geografia, storia, politica, letteratura e arte.6 Benché lo studio scientifico dell’ecologia, come pure la diffusione della coscienza ecologica, siano sviluppi largamente novecenteschi, le linee fondamentali di quella nuova disciplina furono fissate in Germania e Francia tra gli anni sessanta e settanta dell’Ottocento, in concidenza con la nascita dell’impressionismo. Nonostante esistesse qualche legame concreto tra gli scienziati o i geografi d’avanguardia e gli artisti impressionisti, qui non si intende sostenere che gli uni influenzarono direttamente gli altri. Ciò che vogliamo sottolineare è piuttosto che ecologia e impressionismo hanno in comune un olismo profondo e radicale che li distingue dai precedenti sviluppi nei rispettivi campi. Entrambi, inoltre erano un sottoprodotto del pensiero evoluzionista e delle concezioni biologiche dell’“economia della natura”. Capire l’ecologia significa dunque acquisire una conoscenza nuova dell’impressionismo.
Il termine ecologia fu utilizzato per la prima volta dal prussiano Ernst Haeckel in Generelle Morphologie (1866), ma acquistò una diffusione ben più ampia con la pubblicazione, due anni più tardi, del suo popolarissimo volume Natürliche Schöpfungsgeschichte, tradotto in francese nel 1874 come Histoire de la création des êtres organisés d’après les lois naturelles.7 Haeckel fu il principale sostenitore europeo del darwinismo e la sua Storia della creazione naturale ricapitolava in un linguaggio accessibile molti dei temi presenti ne L’origine delle specie, compresi quelli riguardanti l’“economia della natura”. Tra le leggi che governano lo sviluppo biologico, scriveva Haeckel, c’è
l’ecologia degli organismi, la conoscenza della somma dei rapporti degli organismi con il mondo esterno, con le condizioni organiche e inorganiche dell’esistenza; la cosiddetta “economia della natura”, le correlazioni tra tutti gli organismi che vivono insieme in uno stesso luogo, i loro adattamenti all’ambiente circostante, le loro modificazioni nella lotta per l’esistenza, in particolare le circostanze del parassitismo, ecc. Sono proprio questi fenomeni dell’“economia della natura” che i non scienziati, in base a un’analisi superficiale, sono abituati a considerare come le sagge disposizioni di un Creatore che agisce per uno scopo definito, ma che a un esame più attento si dimostrano essere i risultati necessari di cause meccaniche.8
Tra la fine degli anni sessanta e i settanta, i concetti chiave del pensiero ecologico moderno erano ormai penetrati nei circoli intellettuali francesi e oltre, in parte grazie alla rivista scientifica La Nature, fondata nel 1873 e diretta da Gaston Tissandier. Il lavoro di Haeckel sulla Monera, da lui ritenuta (erroneamente) un phylum del regno dei protisti che avrebbe occupato una posizione intermedia tra pianta e animale, fu pubblicato in uno dei primi numeri.9 Nel 1984, la sua Histoire de la création fu recensita come “… un libro fuori dell’ordinario; spesso eccessivo [nel suo darwinismo]… è in ogni caso erudito, originale e in molte pagine autorevole”.10
Haeckel esercitò un’influenza diretta sul geografo radicale Elisée Reclus, una delle figure più importanti nella diffusione del pensiero ecologico in Francia, il quale abbracciò il principio dello scienziato tedesco (oggi ampiamente screditato) secondo cui l’ontogenesi ricapitola la filogenesi – ovvero l’idea che lo sviluppo embrionale dell’individuo riproduce gli stadi di sviluppo della sua specie.11 Reclus estese il concetto al rapporto tra individuo e società, conciliando così i campi della biologia e della storia. Nella summa L’uomo e la terra del 1905, di cui furono tuttavia pubblicati alcuni abbozzi già alla fine degli anni sessanta dell’Ottocento, scrisse: “L’uomo ricorda nella sua struttura tutto ciò che i suoi antenati hanno vissuto nel corso delle ere. Egli incarna in sé tutto ciò che lo ha preceduto nell’esistenza, allo stesso modo in cui, nella sua vita embrionale, presenta in successione varie forme di organizzazione più semplici della propria”.12
Reclus contribuì a diffondere in Francia e altrove le idee dell’ecologia sociale e dell’olismo geografico (le sue opere erano infatti tradotte in varie lingue). Ne La terre (1869), descrisse il pianeta come un insieme di sistemi umani e naturali: un “sistema di fiumi”, un “sistema di ghiacci” (entrambi parte di un più ampio “sistema di acque”), un “sistema di montagne” e un “sistema geologico”, nonché un “sistema agricolo”.13 Ogni singolo sistema dipende a sua volta dagli altri: il sistema idrologico, per esempio, varia in proporzione all’“altezza e orientamento delle catene montuose, alla lunghezza e inclinazione delle loro pendici, alla natura geologica delle regioni che alimenta, alla quantità annuale di pioggia e alla sua distribuzione”. Gli esseri umani – riteneva Reclus – sono in grado di integrarsi con questi diversi sistemi e vivere in quasi ogni angolo del pianeta, ma sanno anche trarre ispirazione dai suoni e dagli ambienti naturali. “È indubbio” sosteneva, “che la prospettiva costante di un orizzonte aperto incide fortemente sul carattere dei montanari, e non è un luogo comune affermare che le Alpi sono i viali della libertà”.14 La bellezza artistica e naturale, in altre parole, svolgerebbe un ruolo significativo nella creazione e riproduzione di sistemi ecologici e politici complessi.
Spesso definito un fondatore dell’“ecologia sociale”, Reclus era un evoluzionista ma non un darwiniano – e ancor meno un seguace di Herbert Spencer – poiché respingeva l’idea che la natura e la società fossero impegnate in continue lotte per la sopravvivenza o la dominanza, ma considerava anzi i due ambiti reciprocamente essenziali. In una prima versione de L’uomo e la terra, di cui apparve un estratto su La Nature nel 1875, parlò della necessità di “seguire nel tempo ciascun periodo della vita di un popolo in relazione ai cambiamenti ambientali, in modo da osservare l’azione congiunta della natura e dell’Uomo stesso, il quale agisce sulla terra che lo ha formato”.15 In Storia di un ruscello (1871), descrisse i cicli dell’acqua definendoli un segno dell’interazione tra natura e società e annunciò il sogno anarchico di cooperazione e aiuto reciproco: “I popoli si mischieranno con altri popoli come i ruscelli con i ruscelli e i fiumi con i fiumi; prima o poi formeranno una sola e unica nazione, così come tutte le acque di un unico bacino finiscono per confluire inseparabilmente in un unico fiume”.16 L’idea che l’umanità costituisse un unico organismo che a tempo debito sarebbe progredito verso l’emancipazione era alla base dell’anarchismo di Reclus e influenzò profondamente il pensiero degli anarchici Pëtr Kropotkin e Jean Grave, come pure l’impressionista Camille Pissarro.
Anche lo scrittore Gaston Tissandier, al pari di Reclus, era affascinato dall’acqua come entità concreta e metaforica. Ne L’Eau (1867) ne decantò i simultanei effetti distruttivi e “riproduttivi”, affermando che le onde “infliggono ferite” alla delicata epidermide della terra, ma al tempo stesso depositano sedimenti che creano nuova carne: “Se, come dicono alcuni, il ferro è lo scheletro della terra, allora l’acqua è il sangue: il flusso e riflusso incessante, l’evaporazione e il ritorno infinito corrispondono al battito del cuore umano e alla sua linfa vitale”.17 La Meuse à Freyr (La Mosa a Freyr) e La vague (L’onda) di Gustave Courbet (1856, Lille, Palais des Beaux-Arts; 1870, Orléans, Musée des Beaux-Arts), il primo con il fiume simile a un’arteria che scava la roccia e il secondo con la successione di onde pronte a infrangersi sulla riva, sarebbero apparsi come vere e proprie illustrazioni delle potenti forze di erosione e sedimentazione descritte da Tissandier. Nel dipinto di Courbet l’onda suggerisce forza e vigore più della bruma e degli spruzzi, facendo apparire fragile il robusto peschereccio sulla spiaggia. Ma ancor più di Reclus, Tissandier e il realista Courbet, furono i pittori impressionisti a rappresentare “l’economia della natura”, ovvero la terra come un insieme di sistemi umani e naturali collegati tra loro, con tutte le parti ugualmente vitali e reciprocamente vincolate.
Sisley e Pissarro: la dialettica del tempo e dello spazio
Alfred Sisley dedicò tutta la sua carriera a rappresentare i cicli della natura e il potere dell’idrologia. I suoi maggiori dipinti hanno per soggetto fiumi, laghi, oceani e alluvioni. Ne sono un esempio L’inondazione a Port-Marly (1872, Washington, National Gallery of Art), L’inondazione a Moret (1880, Brooklyn Museum) e La Senna a St.-Mammès (ca. 1881-82, Muskegon Museum of Art): essi raffigurano in maniera vivida ciò Tissandier e Reclus descrivevano a parole, ovvero che le piene sempre più frequenti dei fiumi francesi, tra cui la Senna, il Rodano, la Loira e la Garonna, erano una conseguenza dell’azione e degli abusi dell’uomo, che tagliava alberi e siepi distruggendo le foreste per lasciar spazio all’agricoltura. In effetti le grandi inondazioni del 1846, 1856 e 1875 (quest’ultima avvenne nei pressi di Tolosa e provocò 3.000 morti) furono ampiamente attribuite alla deforestazione.18 Ma i quadri di Sisley evidenziano anche un altro aspetto della visione di Reclus, ovvero che le comunità sono in grado di adattarsi ai cicli della natura e persino alle calamità esacerbate dall’agire dell’uomo. L’inondazione a Port-Marly fa parte di un ciclo di opere in cui il pittore rappresentò l’alluvione della primavera del 1872.19 Qui le nuvole sembrano promettere ancora pioggia, ma in questo momento di tregua alcuni uomini e due donne – i primi su una barca, le seconde su una piattaforma – si sono fermati vicino all’angolo del caffè del villaggio – un St. Nicolas che vendeva anche vino – a parlare tranquillamente del tempo o a fare pettegolezzi. Probabilmente sono abituati alle piene stagionali e pronti a superarle. A destra è visibile un piccolo riparo in legno, e ancora oltre alcuni pali a cui ormeggiare le barche. I grigi, azzurri e marroni che predominano nel dipinto brillano nell’umidità.
Dipinto en plein air e con evidente rapidità, Inondazione a Moret di Sisley torna a presentare la complessità idrologica e l’adattabilità dell’uomo discussa da Reclus e Tissandier. La cittadina di Moret-sur-Loing si trova alla confluenza del Loing e la Senna con il Canal du Loing; vecchie fotografie del luogo (vedi foto di Moret-sur-Loing) mostrano quanto fosse ben adattata a questo ambiente fluviale, con le case edificate su elevate piattaforme di pietra e i canali e passaggi per far defluire le acque. Il dipinto di Sisley raffigura al centro e a destra un gruppo di case appollaiate su alte fondamenta atte a proteggerle dalle piene periodiche, e sulla sinistra alcuni alberi inondati fino a metà tronco. La straordinaria mobilità del cielo – in certi punti sembra addirittura che il colore azzurro si sia staccato dalla tela per effetto di un forte vento – indica che l’alta pressione atmosferica ha spazzato via le nuvole di pioggia e presto ogni cosa comincerà ad asciugarsi. Di due o tre anni più tardo, La Senna a St.-Mammès ritrae un sito a pochi chilometri da Moret, rendendo con grande vivacità cromatica rami di alberi sospesi sul fiume, la cui sponda divide la composizione in due parti. Se il fiume non è in piena, l’acqua è certamente alta, un fenomeno abituale in una località che vanta la sua tradizione marinara e in particolare la cultura della chiatta, di cui vediamo in effetti un esemplare nella parte centrale destra del dipinto di Sisley. Ma l’elemento più notevole di Senna a St.-Mammès è la resa dell’acqua stessa: posta molto vicino all’osservatore – quasi fosse vista attraverso un occhio di pesce – è dipinta con pennellate lunghe simili ad anguille, particolarmente visibili nella zona in ombra sotto l’albero a sinistra. Nell’angolo inferiore sinistro predomina una tonalità nero-azzurra con lumeggiature arancio, mentre la zona d’acqua adiacente è, all’inverso, arancione con lumeggiature azzurre. Qui Sisley rivela una vena pointillista tre o quattro anni prima che Seurat e Signac inventassero la tecnica e il critico Félix Fénéon ne desse una definizione. Il suo dipinto comprende una serie di opposizioni compositive e coloristiche e la loro sintesi.
Camille Pissarro pervenne alla sua personale visione dialettica del paesaggio dopo oltre un decennio di riflessione e tentativi pratici. Nel 1862 o 1863 eseguì un piccolo schizzo a olio di un Carro con tronchi (Haifa, Hecht Museum), indicando così la sua preoccupazione – diffusa anche tra gli artisti di Barbizon e i turisti – che le querce di Fontainebleau fossero sul punto di scomparire, rimpiazzate dai pini piantati di recente per ottenere materiale da costruzione. Che si tratti in effetti di pini tagliati dalla foresta circostante, visibilmente depauperata, è suggerito dalla forma dritta dei tronchi nel carro. Nel 1860 C.F. Denecourt, il celebre scrittore di guide di viaggio, rivolse un appello all’imperatore Napoleone III affinché la foresta venisse protetta: “Con i suoi splendidi orizzonti, le superbe masse di rocce antidiluviane, le valli ombreggiate, gli spazi vuoti e gli alberi secolari... [questa foresta] è stata regalata da Dio alla Francia come un modello di paesaggio terreno” (vedi le foto di Gustave Le Gray, Sentiero oltre un masso e Crocevia nella foresta [ca. 1865, New York, H. P. Kraus]).20 Théodore Rousseau, dal canto suo, descrisse le foreste come “l’unico ricordo ancora vivo dell’epoca eroica della madrepatria, da Carlo Magno a Napoleone” e nel 1852 sollecitò Napoleone III a istituire una riserva naturale nella foresta, cosa che quest’ultimo fece nel 1861.
Questa réserve artistique di 1.097 ettari fu uno dei primi parchi nazionali del mondo. Le tante fotografie della foresta di Fontainebleau scattate da Eugène Cuvellier tra gli anni cinquanta e sessanta dell’Ottocento, tra cui Chênes et hêtres (Querce e faggi) (Parigi, Levy Collection), Le Chêne Bodmer (La quercia Bodmer) e Près de la caverne, terrain brûlé (Vicino alla caverna, terreno bruciato), testimoniano la venerazione diffusa per le querce, ritenute una testimonianza vivente della storia francese, e lo scarso riguardo per i pini, da molti considerati dannosi per l’ecologia locale. Le Chêne Bodmer ritrae un albero particolarmente noto, dipinto prima da Karl Bodmer (ed esposto al Salon del 1850) e poi da Monet nel 1865. Près de la caverne (New York, Metropolitan Museum of Art) è una visione allucinata di una terra senza querce. Altre immagini di Cuvelier, quali Stagno a Piat (Washington D.C., National Gallery of Art), sembrano pervase da un’atmosfera magica: la loro straordinaria nitidezza, combinata a effetti di luce innaturali, le rende fantasmagoriche come la litografia di Rodolphe Bresdin Il buon samaritano (New York Public Library). Era proprio l’utilizzo di un medium ostentatamente scientifico che obbligava Cuvelier a idealizzare i suoi paesaggi in maniera tanto intensa: il sogno di Barbizon come terra antica e incontaminata dove l’uomo e la natura coesistevano in perfetto equilibrio non poteva sostenere facilmente un reportage fotografico. I contadini che spesso popolano le scene di Rousseau, Dupré, Díaz e Corot – e che nelle opere di quest’ultimo non di rado appaiono come spiriti dei boschi – erano in effetti ritenuti dallo stato francese la più grave minaccia alla sopravvivenza delle foreste, poiché tagliavano regolarmente rami e rametti per farne legna da ardere. I dipinti di Barbizon, comprese le fotografie di Cuvelier, Le Gray, Le Secq e altri, sono dunque intensamente nostalgici, giacché rievocano il sogno di un’era in cui – almeno così si credeva – nobili e contadini vivevano in armonia, la terra era fertile e pacifica e le uniche tracce significative dello scorrere del tempo erano il mutare delle stagioni e la diversa intensità della luce nelle ore del giorno.21
La foresta di Pissarro (1870, Johannesburg Art Museum), benché eseguita a Louveciennes, è una delle opere dell’artista più vicine allo stile di Barbizon, con il suo boschetto di alberi, la donna china a raccogliere noci, altre due figure sulla destra e il casolare sullo sfondo a sinistra. E tuttavia la tela è più moderna di quanto non appaia. Le figure non indossano abiti da contadini bensì da borghesi di campagna, castagni hanno sostituito le mitiche querce di Fontainebleau e il colore ha una vivacità sconosciuta ai dipinti di Barbizon. La Senna a Bougival di Pissarro, del 1871(collezione privata), così come la rappresentazione della vicina Port-Marly di un anno più tarda (Stoccarda, Staatsgallerie), raffigura un tratto di fiume piacevole e animato nei pressi della pittoresca cittadina di Bougival, distante circa venticinque chilometri da Parigi, diciassette da Argenteuil e undici da Versailles. Era questa la zona di elezione impressionista, sospesa tra il passato mitico e la modernità. La cittadina di Marly, per esempio, era segnalata nelle guide turistiche dell’epoca per la sua vicinanza alle residenze reali di Malmaison, Versailles e naturalmente Marly-le-Roi, anche se quest’ultima era andata distrutta durante la rivoluzione francese. Alla fine del Seicento, Port-Marly, Marly-le-Roi e Marly-la-Machine furono sede di ingenti campagne di lavori pubblici grazie alle quali fu possibile far salire l’acqua della Senna di circa 140 metri, fino a un acquedotto usato per alimentare le cascatelle e le fontane di Marly-le-Roi. Negli anni settanta dell’Ottocento, tuttavia, a godere di Marly non erano più i nobili, ma gli artisti e i turisti borghesi che visitavano le rovine di quei giardini e giochi d’acqua e vagavano nella foresta locale, dove a quanto pare nel Settecento si aggiravano lupi ormai addomesticati e ridotti di numero. Non lontano da Marly, poi, si trovava Louveciennes, sede di una villa un tempo appartenuta a Madame du Barry, amante di Luigi XV (e molti altri), finita sotto la ghigliottina nel dicembre del 1793. Tra il 1869 e il 1870, come abbiamo visto, la cittadina ospitò anche Pissarro, che raffigurò le rovine dell’acquedotto di Marly sullo sfondo di Veduta da Louveciennes (1869-70) e ciò che restava dei giochi d’acqua in Port-Marly. Nei paesaggi dell’Isle-de-France di Pissarro passato e presente, aristocratici, contadini e borghesi, sono presenze ossessive, immagini di uno sviluppo diseguale e di un’agognata riconciliazione di tradizione e modernità.
Alla fine degli anni ottanta, Pissarro avrebbe comunicato questi sogni in lettere e disegni – profondamente influenzati da Reclus e Kropotkin – che sfiorano l’anarchismo rivoluzionario. L’artista avrebbe trovato una formula inusuale per esprimerli in maestosi dipinti di figure quali Raccolta delle mele a Epte (1888, Dallas Museum of Art) e Le spigolatrici (1889, Basilea, Kunstmuseum), ma anche in paesaggi puri quali Dune a Knokke (1894, Winnetka Illinois, collezione privata). In tutti questi lavori, Pissarro configura la linea dell’orizzonte come un arco, per significare la vastità della terra stessa e ricordare la sintesi del principio ecologico di Reclus: “L’uomo è la natura che acquista coscienza di sé”. Nell’infinitezza geografica suggerita da quell’orizzonte curvo e da quelle dune sinuose, i casolari della cittadina belga di Knokke appaiono particolarmente intimi e invitanti. Si metta a confronto questa tela con il panorama ampio, piatto e desolato de La Durance a Cadenet di Paul Guigou (collezione privata), presentato al Salon del 1867 e dipinto con una durezza e una meticolosità davvero lontane dalla visione feconda e avvolgente di Pissarro.
Ecologia: dal soggetto allo stile
Gli impressionisti non si limitarono a raffigurare l’economia complessa di natura e società, ma costruirono dipinti di paesaggio che erano sistemi ecologici in sé. La sente du Chou di Pissarro, come abbiamo visto, si distingueva per l’alto grado di integrazione tematica e complessità formale. I sentieri a destra e al centro seguono l’ansa del fiume a sinistra, mentre le verticali degli alberi richiamano quelle delle ciminiere visibili in lontananza al centro e a sinistra della composizione e gli sbuffi di fumo provenienti da fabbriche distanti si fondono senza soluzione di continuità con le nuvole fluttuanti. Il peso visivo dei nembi azzurri e bianchi, inoltre, è calibrato in modo da bilanciare le configurazioni del terreno, le piante, i cespugli e la vegetazione sottostante. Il risultato è un’opera di straordinario equilibrio in cui ciascuna parte dialoga con tutte le altre. Naturalmente si potrebbe obiettare che una volta scelto il soggetto – un sentiero vicino al fiume con le fabbriche sullo sfondo – il parallelismo e l’equilibrio erano inevitabili. Ma un’osservazione attenta delle opere di artisti estranei all’orbita impressionista, incluso Guigou, rivela che le cose stanno diversamente. Canale in Piccardia di Corot (ca.1870, Toledo Museum of Art), in cui sono ritratte figure su un viottolo accanto a un canale, e La Mosa a Freyr di Courbet, che presenta una strada di alaggio o un sentiero vicino al fiume, sono privi di questa consonanza e offrono invece una spiccata riduzione prospettica nel primo caso, e un forte senso di materialità nel secondo. Anche Equihen sulla scogliera: bassa marea di Jean Charles Cazin (ca. 1880, Washington D.C., Corcoran Gallery), una rappresentazione della spiaggia attigua al pittoresco villaggio di pescatori vicino al porto di Boulogne, presenta un viottolo che corre parallelo a una massa d’acqua, ma qui i due sembrano divergere, uno per puntare verso l’alto a destra e poi piegarsi a gomito nella direzione opposta, l’altro visibile come una stretta fascia orizzontale di azzurro in basso a sinistra. E mentre il paesaggio di Corot dispiega un alto grado di uniformità tonale e coloristica attraverso la tela, non esprime però la natura sinfonica dell’opera di Pissarro, in cui molteplici note colorate danzano sulla superficie dipinta. Osserviamo per esempio i tocchi di rosa-marrone sul pendio della collina a destra, riecheggiati nella parte centrale dello sfondo e nei tetti delle fabbriche a sinistra del fiume. Ci sono molti modi di dipingere sentieri con un corso d’acqua vicino, ma quello di Pissarro era il risultato di un particolare olismo di tipo dialettico. Qualche anno dopo, l’artista avrebbe scritto al figlio Georges: “L’armonia nasce solo dai contrasti, altrimenti quello che ottieni è l’UNISONO, una melodia composta su una sola nota”.22
La struttura compositiva e cromatica de La sente du Chou, come quella di molte opere impressioniste di Pissarro e altri, funziona – a mio avviso – in maniera analoga ai sistemi ecologici descritti da Darwin, Haeckel, Reclus e Tissandier. Si tratta, in effetti, di un meccanismo semiotico comprendente messaggi, codici e trasmissioni che trasferiscono energia e informazioni a tutte le parti dell’opera e le combinano in modo da formare matrici comunicative complesse. Questo approccio alla rappresentazione era rilevante in quanto indicava che la vita naturale e sociale nel tardo Ottocento non era fatta di una serie di organismi e ambienti distinti che influivano l’uno sull’altro secondo un semplice meccanismo di causa effetto; al contrario, gli spazi e le culture del presente erano piuttosto una sorta di immanenza, una rete di materiali organici e inorganici collegati e privi di confini ben definiti. In altre parole, Pissarro e Sisley idearono un metodo di rappresentazione che simulava l’ecologia complessa, e da poco scoperta, della natura e della società. La grande domanda rimasta senza risposta per l’anarchico Pissarro – specialmente nell’ultimo quindicennio della sua vita – come per l’ammirato Reclus, era se quell’armonia complessa esistesse realmente nel mondo o fosse un ideale che poteva essere raggiunto dopo la tanto sperata rivoluzione sociale.
Monet e l’ecologia dell’isola
Claude Monet fu molto sensibile all’interazione dinamica tra luce, idrologia, meteorologia e geologia, e osservò attentamente l’impatto dell’attività e degli svaghi dell’uomo sugli ambienti che rappresentava. Come Pissarro e Sisley, può essere considerato un pioniere della pittura ecologica. Meli in fiore (Union League Club of Chicago) fu probabilmente eseguito tra la fine di aprile e maggio del 1872, anche se non è possibile stabilirlo con certezza poiché l’ambientazione non somiglia a nessuna delle località ritratte dall’artista. Il dipinto, raffigurante un viottolo irregolare e pieno di solchi che attraversa un frutteto nella stagione primaverile, è audace nella sua indeterminatezza; gli alberi in fiore evocano un luogo idilliaco e fecondo, ma la parte centrale del sentiero, erosa dalla pioggia e dal peso delle ruote di carri e carrozze, appartiene a un paesaggio più abusato e moderno. Sullo sfondo si profilano alberi e il fianco di una collina color senape. Domina su tutto un cielo composto di macchie successive di bianco, rosa, grigio e azzurro. Il cielo a chiazze, i ciuffi di erba verde e il viottolo marrone che serpeggia dal primo piano allo sfondo, ma soprattutto la miriade di piccoli tocchi di bianco con cui sono rappresentati i fiori, esprimono lo stato d’animo allusivo di Monet. Un po’ di pigmento bianco, applicato rapidamente con un pennello piatto, evoca l’immagine e la consistenza di un fiore di melo; spesse sbavature di colore, trascinate attraverso la superficie della tela, richiamano la tridimensionalità di un sentiero consumato; la linea continua formata dalle chiome degli alberi distanti, dalla cresta di una collina e dal profilo scuro dei rami più vicini, crea un grande contorno ad arco che unifica la composizione. Oltre a ciò, un dipinto che a prima vista sembra fondarsi sulla prospettiva e la riduzione rivela anche elementi di piattezza e planarità: il viottolo si allontana a un ritmo vertiginoso, ma viene bloccato da una macchia marrone che sembra inclinata verso l’alto e parallela al piano del dipinto. Appena sopra di essa è visibile un rombo verde, a sua volta sovrastato da piatti alberi color giallo senape e da una collina che per via della sua intensità cromatica sembra avanzare più che arretrare. Siamo insomma di fronte a un’ecologia basata non tanto sulla tematica quanto sulla forma. Ogni parte del dipinto utilizza tutte le altre e interagisce con esse in maniera dinamica; le forme parlano alle forme, i colori ai colori; sinistra e destra, alto e basso sembrano tutti cambiare posizione e roteare come una girandola. Persino la firma di Monet ha un suo ruolo preciso in questa totalità complessa e dinamica: le spesse lettere corsive di colore marrone richiamano il colore e la forma dei rami degli alberi soprastanti. Il risultato è una notevole autonomia e somiglianza tra le forme, come quella riscontrabile tra individui di una specie trovata su un’isola, dove l’isolamento conduce a una relativa stabilità morfologica. Nel capitolo 4 de L’origine delle specie (uscito in traduzione francese nel 1862), Darwin osservava:
In un territorio remoto o isolato, quando non sia troppo esteso, le condizioni organiche e inorganiche di vita saranno generalmente quasi uniformi, e la selezione naturale tenderà a modificare nello stesso modo tutti gli individui varianti della stessa specie. Così saranno anche impediti gli incroci con gli abitanti dei territori circostanti… Se ci rivolgiamo alla natura per provare la giustezza di queste affermazioni e consideriamo una piccola regione isolata, per esempio un’isola oceanica, sebbene il numero delle specie che la abitano sia piccolo… troviamo tuttavia che una parte assai considerevole di queste sono endemiche, cioè si sono originate in quel luogo e in nessun’altra parte del mondo.23
Nel 1872, decenni prima di ideare e dipingere la sua utopia acquatica a Giverny, Monet costruì qui e in altre opere un’isola sociale e completa, autonoma e rivolta a se stessa, in cui tutti gli elementi condividono un substrato comune.
Effetto di neve al tramonto di Monet (1875, Musée Marmottan), con il suo campo imbiancato in primo piano che porta alla massiccia fabbrica sullo sfondo, è un’ulteriore testimonianza di quella visione ecologica. Qui il villaggio medievale di Argenteuil, dove visse la badessa Eloisa che amò Abelardo ed è custodita una tunica miracolosa che sarebbe stata indossata da Cristo e intessuta dalla Madonna stessa, ha smesso di essere un luogo incantato per diventare una semplice cittadina come tante altre nei dintorni della grande metropoli parigina. I famosi vigneti ei campi di asparagi di Argenteuil sono assenti e l’antichità del villaggio è come assorbita nella cappa prodotta dalla grande ferriera Joly al centro della composizione (la manifattura forniva il ferro per Les Halles, il grande mercato di Parigi, vero e proprio simbolo di modernità). E tuttavia la natura – nella forma di una coltre di neve leggermente annerita e sporcata dall’inquinamento – ha parzialmente risanato Argenteuil, ammorbidendone gli spigoli aguzzi. Le verticali, orizzontali e diagonali smussate delle case moderne, i rami rinsecchiti dipinti con calligrafica espressività e i pennacchi di fumo provenienti dalle ciminiere delle fabbriche sono resi consonanti dalle armonie di colori e ombreggiature come pure dalla ripetizione di forme semplici: i tratti sintetici verticali per le finestre e le fuligginose linee nerastre per i tronchi degli alberi e i rami, i cespugli, le erbe e finanche le persone. Tutte le parti del dipinto si compenetrano e colludono in questa allegoria dell’interazione fra tradizione e modernità, natura fisica e cultura dell’uomo.
Se l’attenzione alla complessità e contingenza della visione e all’ecologia della rappresentazione accompagnò Monet per una vita intera, il suo interesse per l’elemento sociale non durò per sempre. Già negli anni ottanta dell’Ottocento, in opere quali Campo di papaveri a Vétheuil (1880, collezione privata) e Campo di papaveri a Giverny (1885, Richmond Museum of Art), il pittore ridusse la presenza umana a elemento secondario, rappresentando i villaggi come semplici sfondi e concentrandosi invece su terreni incolti, prati e fiori. Campo di papaveri a Vétheuil è un esempio iniziale di quella semi-astrazione che avrebbe fatto la sua comparsa subito dopo il 1900 con i dipinti di ninfee. Il formato verticale della tela, insolito per qualsiasi paesaggio, sottolinea il carattere frammentario della veduta, mentre la triplice sovrapposizione di campo, villaggio e cielo anticipa le composizioni di artisti della New York School come Mark Rothko. Gli alberi a sinistra e a destra insieme alla torre della chiesa tardo medievale di Notre-Dame al centro fungono da efficaci elementi di unione fra le tre parti. La vita del villaggio, tuttavia, è totalmente assente; all’osservatore non vengono mostrate industrie, treni, barche a vapore, né isolati gitanti che fanno un picnic nel campo fiorito in primo piano. Nessuno studioso o critico ha spiegato in maniera adeguata la profonda perdita di radicamento sociale attestata nelle opere eseguite da Monet a partire dagli anni ottanta, ma quali che ne fossero le cause personali, professionali o politiche, essa si accentuò di anno in anno. Alla fine del secolo, dopo che l’artista si fu trasferito in via definitiva a Giverny, l’elemento umano, quotidiano e aneddotico fu bandito dai suoi lavori, ma una prospettiva ecologica rimase, seppur limitata alla sola natura, senza riferimenti evidenti alla storia e alla cultura dell’uomo. Nel 1883 il critico Gustave Geffroy rilevò la nuova prospettiva naturalista, e pensando forse a Mattino sul mare (1881, collezione privata), presentato alla mostra impressionista del 1882, osservò: “[Monet] studia la terra e i fianchi delle scogliere come un geologo. Con la punta del pennello illumina le pietre, i minerali e le venature delle rocce”.24
La fusione tra pratica artistica e vita privata che Monet attuò nella casa e nei giardini di Giverny è un esempio perfetto della tendenza antiurbana e introspettiva dell’arte moderna fin de siècle. Ma mentre Van Gogh ad Arles, Cézanne in Provenza o Gauguin a Tahiti e alle Marchesi cercarono comunità indigene e storie locali in grado di fornire un conforto emotivo rispetto alle forze alienanti della vita metropolitana e della modernizzazione, Monet era scarsamente interessato alla storia di Giverny e non desiderava legami stretti con la sua comunità. A dire il vero, entrò gravemente in conflitto con i vicini nel 1901, quando chiese il permesso di deviare le acque del fiume Ru, un piccolo tributario dell’Epte, per creare lo stagno delle ninfee su un pezzo di terra acquistato di recente dall’altra parte dei binari ferroviari. Ciò che Monet cercava a Giverny non era una comunità solidale bensì un’isola utopica, un modello di pienezza o totalità in natura che potesse diventare la base per raggiungere la totalità nelle opere d’arte. Ormai prossimo alla fine della vita e della carriera, Monet ripensò alle opere dei grandi pittori di Barbizon Rousseau, Díaz, Dupré, Harpignies e Daubigny, nonché dei fotografi Eugène Cuvelier, Gustave Le Gray e Henri Le Secq, i quali avevano tutti posto l’acqua – in particolare i fiumi e le paludi – al centro della loro visione. Al pari di questi artisti, anche lui considerava l’acqua – come aveva scritto il naturalista Justus Liebig nel 1845, durante il periodo d’oro di Barbizon – “l’agente intermedio di tutta la vita organica”.25 Le sue ninfee erano forse “il piccolo e tiepido stagno” descritto da Darwin, il brodo primordiale da cui si svilupparono tutte le forme di vita.26
I giardini di Monet a Giverny, oggi splendidamente restaurati, sono formati dalla sezione del Clos Normand, comprendente oltre un ettaro di fiori piantati in discrete aiuole rettangolari (che creano comunque un effetto di esuberanza e copiosità), diviso quasi a metà dalla Grande Allée, un pergolato coperto di rose rampicanti e tappezzato di nasturzi (vedi Allée des rosiers [Viale delle rose] di Monet [1920, Musée Marmottan]). Al di là della strada (ai tempi di Monet era un binario ferroviario) si estende un giardino d’acqua di quasi un ettaro con al centro uno stagno di ninfee, circondato da salici piangenti e delimitato a un’estremità da un ponticello in stile giapponese. Qui l’acqua stessa è un’isola su cui galleggiano isolette formate da foglie di ninfea, come si vede in Nymphéas [Ninfee] (1903, Parigi, Musée Marmottan). Georges Truffault, capo vivaista di Monet e uno dei più illustri giardinieri francesi, descrisse il giardino d’acqua nel 1924, due anni prima della morte dell’artista: “Il laghetto è alimentato dal fiume Epte ed è circondato da salici piangenti con rami giallo oro. Il terreno intorno trabocca di piante adatte ai suoli acidi: felci, kalmie [della famiglia delle azalee], agrifogli e rododendri. Robuste rose a cespuglio ombreggiano il bordo del laghetto e al suo interno sono piantate tutte le varietà conosciute di ninfee... [Sulle sponde crescevano] le enormi foglie della petasite [nota come farfaraccio], l’Iris sibirica, l’iris del Giappone e della Virginia e l’Iris ensata (sin. I. kaempferi), contro un fondale di peonie giapponesi, peonie erbacee, gruppi di laburni e alberi di giuda… e un fitto boschetto di bambù… e accanto ai prati, talittro a foglie di aquilegia, glicine e felci con lanuginose infiorescenze rosa o bianche. Qui cresce anche la tamerice [un alberello sempreverde originario del Nordafrica] e tutto è costellato di rose ad arbusto e a cespuglio”.27
Monet realizzò i giardini in modo che l’ingresso principale della casa fosse in linea con l’Allée, il cancello di legno che portava nel giardino d’acqua e il ponticello. L’artista non doveva far altro che uscire dalla porta per trovarsi nel motivo da raffigurare; poteva dipingere in qualsiasi ora del giorno e in qualsiasi stagione, certo che il soggetto sarebbe stato sempre lo stesso eppure costantemente diverso. Era questa la vera formula del viaggio esotico fin de siècle: essa ci ricorda, tra l’altro, che Monet apparteneva alla borghesia benestante (e in effetti accumuò un patrimonio considerevole; poteva permettersi di pagare i salari di sei giardinieri più i domestici e mantenere una piccola flotta di automobili).
Il giardino, concepito in modo tale che ciascun assortimento di fiori locali e piante rare facesse da complemento agli altri, forniva a Monet una gamma sempre mutevole di colori e forme. Masse di iris viola e tulipani rosso acceso affiancano non ti scordar di me azzurri che a distanza, come osservava l’esperta di giardini Elizabeth Murray, si fondono insieme per creare una macchia viola, come la mescolanza ottica in un dipinto pointillista.28 Spiccano anche altri complementi, in particolare il giallo dei tulipani, il blu delle campanelle, il rosso dei gerani e il verde delle foglie. Come qualsiasi bravo giardiniere, Monet si rendeva conto che fiori, piante, arbusti e alberi occupavano tutti nicchie ecologiche distinte; fiorendo in diversi periodi dell’anno e anche in diversi momenti del giorno, attiravano insetti e uccelli diversi in modo da garantire l’impollinazione e ottimizzare la riuscita del processo riproduttivo. Aiutato da Truffault, apprese la scienza e l’arte della chimica del terreno, cimentandosi con profondità dell’interramento, livelli di umidità e fertilizzanti. Acquistò anche una conoscenza della storia dei giardini, di certo notando quanto il suo somigliasse a quelli realizzati da Truffault a Versailles (entrambi illustrati in un articolo del 1921 pubblicato sulla rivista The Garden – vedi illustrazione), ma anche alle creazioni della celebre Gertrude Jekyll, sostenitrice del movimento inglese Arts and Crafts, che illustrò il suo approccio pittorico al giardinaggio nei volumi Colour in the Flower Garden (1908) e Wall and Water Gardens (1903), quest’ultimo con un capitolo dedicato alle ninfee. Le ninfee di Jekyll e Monet, in effetti, provenivano dallo stesso vivaista, Joseph Bory Latour-Marliac da Lot-et-Garonne, che raccoglieva esemplari da tutto il mondo e li ibridava in modo da creare molte varietà nuove. Benché in genere preferisse le piante native perché facili da interrare e naturali nell’aspetto, Monet passava anche ore a studiare attentamente i cataloghi di semi, coltivando in serra piante sconosciute che poi piantava in giardino e lanciandosi persino in esperimenti di ibridazione. Come tutti i giardinieri e vivaisti, doveva aver acquisito una raffinata conoscenza del potere della selezione – artificiale o naturale – per creare varietà inedite e dar vita a una nuova “economia della natura”. Darwin trattò diffusamente il tema in Variazione degli animali e delle piante allo stato domestico, apparso nel 1868: “Con le piante migliorate… è quasi indispensabile esaminare i semenzali e distruggere quelli che si discostano dal tipo corretto. Questa operazione è chiamata ‘rouguing’ e si tratta in effetti di una forma di selezione, come lo scarto degli animali inferiori. Gli orticoltori e gli agricoltori esperti si raccomandano sempre di conservare le piante migliori per la produzione dei semi”.29
La suprema realizzazione del sogno ecologico di Monet fu il ciclo delle ninfee, oggi chiamato Grandes Décorations, installato all’Orangerie di Parigi e aperto al pubblico nel 1927, un anno dopo la morte dell’artista. Queste immense tele panoramiche, che raggiungono un’estensione totale di oltre novanta metri, segnano un netto passaggio concettuale dall’originario obiettivo artistico di Monet, ovvero quello di recarsi in campagna e dipingere tutto ciò su cui si posava lo sguardo – terra, cielo, acqua, barche, gente, edifici – purché il risultato fosse una composizione pregevole e coerente. Ora i soggetti di Monet erano legati a una disposizione affidabilmente stabile eppure prevedibilmente variata di colori e forme non umane che l’artista poteva osservare dalla finestra o passeggiando in giardino. Stando a una certa distanza da queste tele che formano un arco nelle sale ovali dell’Orangerie, come su un’isola circondata dall’acqua (l’esatto opposto di ciò che accadeva a Giverny), l’osservatore coglie i riflessi delle ninfee, le correnti, le piante sotto la superficie e le ninfee stesse. Se però si guarda da vicino uno qualsiasi dei pannelli, l’equivalenza visiva tra dipinto, materia osservata ed esperienza sembra svanire e si è liberi di entrare in uno spazio rarefatto di narcisismo o solipsismo estetico. Questa esito finale avvicinò Monet al poeta Mallarmé, suo buon amico, che si rapportava al verso disfacendosi del contenuto obiettivo per rendere il poema una composizione autosufficiente di parola e suono. Per il poeta il significato risiedeva negli spazi tra le parole come pure nella vista e nel suono del tutto; per l’artista, ciò che contava era l’acqua tra le ninfee e l’effetto ecologico complessivo.
Installate in uno spazio realizzato su misura, le Grandes Décorations facevano parte di una celebrazione accuratamente orchestrata per la vittoria francese nella prima guerra mondiale. La donazione dei pannelli fu personalmente avviata e negoziata da Georges Clemenceau, l’ex deputato socialista di Paris-Montmartre che a distanza di cinquant’anni assurse alla carica di primo ministro francese. Monet fu dunque un partecipante alla propria istituzionalizzazione. Nel contratto di donazione delle opere allo stato francese, richiese che le tele fossero incollate alle pareti dell’Orangerie in maniera permanente, in modo da non poter essere rimosse anche se i gusti fossero cambiati. Questo sforzo di monumentalizzazione è decisamente distante dalla deliberata contemporaneità e contingenza della precedente visione ecologica di Pissarro, Sisley e dello stesso Monet. L’artista aveva quindi abbandonato l’ecologia di Reclus, con la sua enfasi sul cambiamento e sull’interdipendenza dinamica di natura e cultura, per tornare a una versione del paysage nature o natura naturans (la natura che genera se stessa) della scuola di Barbizon, ma stavolta senza la struttura di sostegno del classicismo. Il risultato è una straordinaria emancipazione dalle forze avvilenti della modernizzazione e il ritiro in un’isola privata di sogni e ansietà.
ELENCO OPERE
Paul Guigou
La Durance a Cadenet, 1866-67
Olio su tela, 140 x 300 cm
Collezione privata
Jean-Baptiste Armand Guillaumin
La Pointe d’Ivry, ca. 1875-80
Olio su tela, 54,8 x 65,5 cm
Atene, Collezione privata
Henri-Joseph Harpignies
Veduta dell'isola di Capri, 1853
Olio su tela, 94 x 161.3 cm
Londra, The Matthiesen Gallery
Claude Monet
Meli in fiore; primavera, 1872
Olio su tela, 59,5 x 73,5
Collezione Union League Club of Chicago
Berthe Morisot
Paesaggio a Gennevilliers, 1875
Olio su tela, 32 x 41 cm.
Collezione privata
Camille Pissarro
La Senna a Bougival, 1871
Olio su tela, 43,5 x 59,5 cm
Collezione privata
Alfred Sisley
Sentiero da By al Bois des Roches-Courtaut – Estate di san Martino, 1881
Olio su tela, 59,2 x 81 cm
The Montreal Museum of Fine Arts
Acquisto John W. Tempest Fund
Auguste-François Bonheur
Vicino Taleyran/Cantal, ca. 1850
Olio su carta, 16,8 x 31,3 cm
Brooklyn Museum
Healy Purchase Fund B
Auguste-François Bonheur
Alvernia, ca. 1850-55
Olio su carta, 16,5 x 31 cm
Brooklyn Museum
Healy Purchase Fund B
Auguste-François Bonheur
Vulcano, ca. 1850-55
Olio su carta montato su tela, 26,7 x 42,1 cm
Brooklyn Museum
Healy Purchase Fund B
Auguste-François Bonheur
Pirenei/Aspe, ca. 1850
Olio su carta montato su tela, 19,1 x 42,9 cm
Brooklyn Museum
Healy Purchase Fund B
Jean-Baptiste Camille Corot
La strada in salita (Gouvieux vicino Chantilly), ca. 1855-60
Olio su tela, 37,3 x 46,2
Duluth, Tweed Museum of Art, University of Minnesota
Dono di Mrs. E.L. (Alice Tweed) Tuohy
Jean-Baptiste Camille Corot
Canale in Piccardia, ca. 1865-70
Olio su tela, 46,7x 61,6
Toledo Museum of Art
Dono di Arthur J. Secor
Jean-Baptiste-Camille Corot
Ville-d'Avray: la betulla, ca. 1865-70
Olio su tela, 53,34 x 80,01 cm
Washington, DC, Corcoran Gallery of Art
William A. Clark Collection
Jean-Baptiste Camille Corot
Ricordo di Coubron, 1872
Olio su tela, 46 x 55,3 cm.
Budapest, Szépművészeti Múzeum
Jean-Baptiste Camille Corot
Nel Morvan, ca. 1841-42
Olio su cartone, 25,5 x 22 cm
Collezione privata
Gustave Courbet
La Mosa a Freyr, ca. 1856
Olio su tela, 58,5 x 82 cm
Lille, Palais des Beaux-Arts
Gustave Courbet
Gola nella foresta (Le Puits-Noir), ca. 1865
Olio su tela, 66,04 x 81,28 cm
Courtesy The Oklahoma City Museum of Art
Dono di Mr. e Mrs. Sylvan Goldman
Gustave Courbet
L’onda, ca. 1870
Olio su tela, 54 x 73 cm
Orléans, Musée des Beaux-arts
Dono di Paul Fourché nel 1907
Charles-Francois Daubigny
Bordo dell’acqua a Optevoz, ca. 1856
Olio su tela, 66, 6 x 122,5 cm
South Hadley, Mount Holyoke College Art Museum
Dono anonimo in memoria di Mildred e Robert Warren
Charles-Francois Daubigny
Mattino sull’Oise, 1866
Olio su tela, 82,87 x 144,46 cm
Oshkosh, collezione del Paine Art Center and Gardens
Narcisse-Virgile Dìaz de la Peña
Paesaggio con figura, s.d.
Olio su tavola, 24,8 x 34,9 cm
Collezione permanente del Montana
Museum of Art and Culture, University of Montana
Narcisse-Virgile Díaz de la Peña
Foresta di Fontainebleau, 1868
Olio su tela, 84,46 x 111,12 cm
Dallas Museum of Art, Fondo Munger
Jules Dupré
Il fiume, ca. 1850
Olio su tela, 53,8 x 45,5 cm
Mildred Lane Kemper Art Museum
Washington University in St Louis
Lascito di Charles Parsons, 1905
Johan Barthold Jongkind
Tre pattinatori vicino a un mulino, 1864,
Olio su tela, 33 x 43 cm
Ginevra, Collezione privata, Courtesy Galerie Interart
Pierre Étienne Théodore Rousseau
Palude nelle lande, primavera, ca. 1844-48
Olio su tela, 32,5 x 53,5 cm
Londra, The Matthiesen Gallery
Rodolophe Bresdin
Il buon samaritano, 1867
(titolo originale Abd-El-Kader che soccorre un cristiano, 1860-61)
Litografia, 56,1 x 44,5 cm immagine, 63,2 x 48,3 cm foglio
The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations
S. P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Rodolphe Bresdin
Rami, ca. 1856
Acquaforte, 32 x 25,1 cm foglio 7,5 x 12,5 immagine
The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations
S. P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Rodolphe Bresdin
Ruscello nel bosco, 1880
Acquaforte 32,3 x 49,3 cm foglio 25 x 17,5 immagine
The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations
S. P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Théodore Rousseau
La quercia nella roccia, 1861
Acquaforte, immagine 17,5 x 12,5, 10 x 20 foglio
The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations
S. P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
4 biglietti da visita dei pittori
Etienne CARJAT, Narcisse Diaz
Pierre PETIT, Camille Corot
Etienne CARJAT, Gustave Courbet
ANONYME, Gustave Courbet
10,5 x 6,4 cm ciascuno
Frederic Bazille
Veduta di un villaggio, 1868
Olio su tela, 137,5 x 85,5 cm
Montpellier Agglomération, Musée Fabre
Eugène Louis Boudin
La Touques vicino Deauville, 1883
Olio su tela, 55 x 74,5 cm
The Art Institute of Chicago
Dono di Frank H. e Louise B. Woods
Jean Charles Cazin
Equihen sulla scogliera : bassa marea, ca.1885
Oil su tela, 55,88 x 71,12 cm
Washington, DC, Corcoran Gallery of Art
William A. Clark Collection
Jean Charles Cazin
Antica fortezza, 1885
Olio su tela, 64,77 x 80,64 cm
Washington, DC, Corcoran Gallery of Art
William A. Clark Collection
Jean Charles Cazin
Paesaggio con case, sera di settembre, ca. 1880-85
Olio su tela, 66 x 82 cm
Musée de Vernon
Jean-Baptiste Armand Guillaumin
L’acquedotto ad Arcueil, linea di Sceaux, 1874
Olio su tela, 51,5 x 65 cm
The Art Institute of Chicago
Dono vincolato di Mrs. Clive Runnells
Jean-Baptiste Armand Guillaumin
La Senna a Rouen, 1899
Olio su tela, 63 x 70 cm
Douai, Musée de La Chartreuse
Jean-Baptiste Armand Guillaumin
L’essenza della primavera, Valle della Chevreuse, ca. 1885
Olio su tela, 66 x 121,9 cm
Seattle Art Museum
Dono di Mr. e Mrs. Philip E. Renshaw
Jean-Baptiste Armand Guillaumin
Avamporto, Dieppe, 1881
Olio su tela, 59,5 x 73,4 cm
Ginevra, Association des Amis du Petit Palais
Jean-Baptiste Armand Guillaumin
Paesaggio dell’Ile de France, ca. 1875-85
Olio su tela, 55 x 46 cm
Douai, Musée de la Chartreuse
Jean-Baptiste Armand Guillaumin
Le grotte di Prunal vicino a Pontgibaud (Auvergne), ca. 1890-1900
Olio su tela, 73,5 x 92 cm
Gand, Museum voor Schone Kunsten
Jean-Baptiste Armand Guillaumin
Le ravin de la folie, Crozant, 1894
Olio su tela, 65 x 82 cm
Ginevra, Association des Amis du Petit Palais
Jean-Baptiste Armand Guillaumin
Ponte ferroviario sul Canal de Briare, 1888
Olio su tela, 33,75 x 46,25 cm
Tulsa, Philbrook Museum of Art
Acquistato dal Museo con i fondi del patrimonio di Judith Pape Adams
Henri-Joseph Harpignies
Il vecchio Pont du Carrousel, Parigi, 1886
Acquerello, 28 x 40 cm
Collezione privata
Claude Monet
Effetto di neve al tramonto, 1875
Olio su tela, 53 x 64 cm
Parigi, Musée Marmottan Monet
Claude Monet
I giardini delle Tuileries, 1876
Olio su tela, 54 x 73 cm
Parigi, Musée Marmottan Monet
Claude Monet
Un ramo della Senna vicino Vétheuil, 1878
Olio su tela, 57,5 x 72 cm
Tours, Musée des Beaux-Arts
Claude Monet
Il prato, ca. 1879
Olio su tela 81,28 x 99,69 cm
Omaha, Joslyn Art Museum. Dono William Averell Harriman
Claude Monet
Campo di papaveri a Vétheuil, 1880
Olio su tela, 73 x 60 cm
Collezione privata
Camille Pissarro
Carro con tronchi, 1863
Olio su tela, 16,5 x 25 cm (P-227)
Courtesy Hecht Museum, Università di Haifa
Camille Pissarro
La Varenne-Saint-Hilaire, ca. 1863
Olio su tela, 49,6 x 74 cm
Budapest, Szépművészeti Múzeum
Camille Pissarro
Veduta di Marly-le-Roi, 1870
Olio su tela, 47 x 71 cm
Collezione privata
Camille Pissarro
La sente du Chou, 1878
Olio su tela, 57 x 92 cm
Douai, Musée de la Chartreuse
Camille Pissarro
Riposo nel bosco, 1878
Olio su tela, 65 x 54 cm,
Hamburger Kunsthalle
Camille Pissarro
Paesaggio a Pontoise, 1878
Olio su tela, 53,9 x 65 cm
Ohio, Columbus Museum of Art
Dono di Howard D. e Babette L. Sirak, the Donors to the Campaign for Enduring Excellence and the Derby Fund
Camille Pissarro
Il campanile di Bazincourt, 1885
Olio su tela, 65,1 x 53,7 cm
Saint Louis Art Museum
Fondi elargiti da Mr. e Mrs. John E. Simon
Alfred Sisley
Neve a Port-Marly, brina 1872
Olio su tela, 46,5 x 65,5 cm
Lille, Palais des Beaux-Arts
Alfred Sisley
Inondazione a Port-Marly, 1872
Olio su tela, 46,4 x 61 cm
Washington, National Gallery of Art
Collection of Mr. and Mrs. Paul Mellon
Alfred Sisley
La Senna a Marly, 1873
Olio su tela, 33 x 46,5 cm
Courtesy Hecht Museum, Università di Haifa
Alfred Sisley
Pescatori che stendono le reti, 1872
Olio su tela, 42 x 65 cm
Fort Worth, Kimbell Art Museum
Alfred Sisley
Inondazione a Moret ca.1880
Olio su tela, 54 x 71,8 cm
New York, Brooklyn Museum, lascito di A. Augustus Healy
Alfred Sisley
La Senna a Saint-Mammès, ca. 1881
Olio su tela, 50,2 x 65,4 cm
Collezione del Muskegon Museum of Art
Dono di Martin A. Ryerson nel 20° anniversario della Hackley Art Gallery
Félix Bracquemond
La nuvola del temporale, ca. 1880
Acquaforte e puntasecca con gouache bianca e grigia, 30,2 x 43,2 cm (foglio), 25,4 x 34,5 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Félix Bracquemond
La nuvola del temporale, ca. 1880
Acquaforte e puntasecca con gouache bianca e grigia, 25,7 x 34.5 cm (sheet), 24,1 x 34 cm (image), The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Félix Bracquemond
I salici di Mottiaux, 1868
Acquaforte, 22,6 x 34,5 cm (foglio), 20,1 x 29,5 cm (immagine)
The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Felix Bracquemond
I salici di Mottiaux, 1868
Controprova del primo stato, con gessetto e acquerello, 22,1 x 34,5 cm (foglio), 20,3 x 29,5 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Titolo-Frontespizio dell'album Viaggio in barca, 1861
Acquaforte 27,7 x 20,3 cm foglio); 12,3 x 17,2 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in Barca, "Colazione prima di andare ad Asnières", 1861
Acquaforte 20,1 x 27,7 cm (foglio), 15,4 x 10,2 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "Il trasferimento sulla Bottin" (« Il rifornimento della barca »), 1861
Acquaforte, 20,1 x 27,7 cm (foglio), 15,9 x 10,5 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "L'eredità del carro" (“Bambini con carretto”), 1861
Acquaforte 20,1 x 27,4 cm (foglio), 16,2 x 10,7 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "Il mozzo tira la fune di rimorchio", 1861
Acquaforte 20,1 x 27,7 cm (foglio), 15,9 x 10,3 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, « Si fa bisboccia », ("Pranzo sulla barca"), 1861
Acquaforte 20,1 x 27,7 cm (foglio), 15,9 x 10,5 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "La parola di Cambronne", (“Scambio di volgarità”), 1861
Acquaforte 20,1 x 27,7 cm (foglio), 16,4 x 11 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "La ricerca di una locanda", 1861
Acquaforte 20,1 x 27,7 cm (foglio), 15,9 x 10,5 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "Interno di una locanda" (“Il corridoio di una locanda”), 1861
Acquaforte, 20,3 x 27,7 cm (foglio), 13 x 9,2 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "Viaggio di notte" (“Pesca con la rete”), 1861
Acquaforte 20,1 x 27,7 (foglio), 15,9 x 10,2 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "Il mozzo che pesca" (“Pesca con la lenza”), 1861
Acquaforte, 20,3 x 27,7 cm (foglio), 15,9 x 10,2 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "L'atelier sulla barca", 1861
Acquaforte 20,1 x 27,7 cm (foglio), 13,5 x 10,2 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "Il battello a vapore" (“Attenti ai battelli a vapore”), 1861
Acquaforte, 20,1 x 27,7 cm (foglio), 15,6 x 11,1 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "E’ tempo di dormire a bordo della Bottin" (“Notte sulla barca”), 1861
Acquaforte 20,1 x 27,7 cm (foglio), 12 x 10,2 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny
Viaggio in barca, "Pesci felici per la partenza del mozzo" (Pesci) 1861
Acquaforte 20,1 x 27,7 cm foglio, 15,9 x 10 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Charles-François Daubigny, Viaggio in barca, "La partenza" (“Il ritorno”), 1861
Acquaforte, 20,1 x 27,7 cm (foglio), 15,7 x 10,2 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Jean Baptiste Armand Guillaumin
Vicolo Barrault, 1873
Acquaforte, 20 x 28,5 cm (foglio), 9,5 x 17,5 cm (immagine)
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
Le paludi di Vitry, 1873
Acquaforte, 28,5 x 20 cm (foglio), 7 x 11 cm (immagine)
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
Les Hautes Bruyères, 1873
Acquaforte, 28,5 x 20 cm (foglio), 7,5 x 10,5 cm (immagine)
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
La cava di gesso o L'île de Casseuil, Gironda, 1873
Acquaforte 28,5 x 20 cm, 7 x 10 cm
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
L'entrata del villaggio, 1873
Acquaforte 28,5 x 20 cm (foglio), 7 x 9 cm
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
Nell'erba alta, Bas Meudon, 1873
Acquaforte, 28,5 x 20 cm (foglio), 7 x 9 cm
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
Marina a Chareton, 1873
Acquaforte, 28,5 x 20 cm (foglio), 4,5 x 7,5 cm (immagine)
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
La periferia di Charonne, 1873
Acquaforte, 28,5 x 20 cm (foglio), 8,5 x 6 cm (immagine)
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
La Senna a Bercy, 1873
Acquaforte, 28,5 x 20 cm (foglio), 6 x 8,5 cm (immagine)
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
Route d’Allemagne, più tardi, Avenue Jean Jaures, Paris, 1873
Acquaforte 8,5 x 20 cm (foglio), 5,5 x 11 cm (immagine)
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
La Senna vista da Charenton, 1873
Acquaforte, 28,5 x 20 cm (foglio), 5 x 8 cm (immagine)
Courtesy Idbury Prints Ltd
Jean Baptiste Armand Guillaumin
Bicetre e Chemin des barons, 1873
Acquaforte, 28,5 x 20 cm (foglio) 5 x 8 cm
Courtesy Idbury Prints Ltd
Camille Pissarro
Paesaggio con sottobosco all'Hermitage, 1879
Ceramolle e acquatinta, 26,7 x 35,6 cm (foglio), 21,8 x 26,9 cm (immagine The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Camille Pissarro
Effetto di pioggia, 1879
Acquatinta e puntasecca, 21,8 x 30,7 cm (foglio), 15,9 x 21,8 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Camille Pissarro
Il sentiero di Pouilleux (versione piccola), 1882
Puntasecca e acquatinta, 31,5 x 19,6 cm (foglio), 15,9 x 12,1 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Camille Pissarro
Casa Rondest all'Hermitage, 1882
Acquaforte e acquatinta, 34 x 27,4 cm (foglio), 16 x 11,2 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Camille Pissarro
Veduta di Pontoise, 1885
Acquaforte e acquatinta, 26,9 x 34,3 cm (foglio), 15,7 x 23,9 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Camille Pissarro
LÎle Lacroix a Rouen, 1907
Acquaforte, 22,6 x 28,2 cm (foglio), 11,4 x 15,5 cm (immagine) The New York Public Library, Astor, Lenox and Tilden Foundations S.P. Avery Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs
Eugène Louis Boudin
Etretat, 1891
Olio su tela, 77,1 x 109,6 cm
Madison, Chazen Museum of Art, University of Wisconsin
Dono di Mrs. Frank P. Hixon
Claude Monet
Mattino a Fécamp, 1881
Olio su tela, 61 x 81 cm
The Collection of LeFrak Family
Claude Monet
Campo di papaveri, Giverny, 1885
Olio su tela, 60 x 73 cm
Richmond, Virginia Museum of Fine Arts
Collezione di Mr. e Mrs. Paul Mellon
Claude Monet
Ponte di Waterloo, effetto di nebbia, 1903
Olio su tela, 65 x 100 cm
San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage
Claude Monet
Ninfee, 1903
Olio su tela, 73 x 92 cm
Parigi, Musée Marmottan Monet
Claude Monet
Ninfee, ca. 1914
Olio su tela, 150 x 200 cm
Parigi, Musée Marmottan Monet
Claude Monet
Ninfee, armonia in blu, ca. 1914
Olio su tela, 200 x 200 cm
Parigi, Musée Marmottan Monet
Claude Monet
Il viale delle rose, Giverny, ca. 1920
Olio su tela, 90 x 92 cm
Parigi, Musée Marmottan Monet,
Camille Pissarro, 1892
Angolo del giardino, neve, Éragny, 1892
Olio su tela, 46,5 x 38,5 cm
Courtesy Hecht Museum, Università di Haifa
Camille Pissarro
Dune a Knokke, 1894
Olio su tela, 54 x 65 cm
Collezione privata
Pierre Auguste Renoir
Les Collettes, ca. 1908
Olio su tela, 39 x 54 cm
La Chaux-de-Fonds, Musée des Beaux-Arts
Collection René et Madeleine Junod
Pierre-Auguste Renoir
Ragazza sotto un albero, ca. 1910
Olio su tela, 46 x 38 cm
Collezione privata
FOTOGRAFIE
Eugène Cuvelier
Belle-Croix, 1860-70,
Stampa all'albumina da negativo su carta,
25,4 x 34,3 cm
Washington, National Gallery of Art
Gail and Benjamin Jacobs for the Millennium Fund
Eugène Cuvelier
Scena silvestre nei pressi del Carrefour de l'Epine, 1860
Stampa al sale da negativo su carta, 19,3 x 25,7 cm
National Gallery of Art, Washington Patrons' Permanent Fund
Eugène Cuvelier
Strada carraia attraverso la foresta, 1863
Stampa all'albumina, 25,8 x 19,9 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Eugène Cuvelier
Il querceto, ca. 1865
Stampa all'albumina, 25,5 x 34 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Eugène Cuvelier
Querce e faggi, ca. 1863
Stampa all'albumina, 25,7 x 19.9 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Eugène Cuvelier
La quercia Bodmer, ca. 1863
Stampa all'albumina, 25,9 x 20 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Eugene Cuvellier
Palude a Fampoux, ca. 1860
Stampa all'albumina da negativo su carta, 25 x 35,5 cm
Washington, National Gallery of Art
The Richard and Judith Smooke Fund e Fondi provenienti da un donatore anonimo
Eugène Cuvelier
Stagno a Piat,
Stampa al sale da negativo su carta, 25,7 x 34 cm
Washington, National Gallery of Art
Gift of Dan e Mary Solomon e Patrons' Permanent Fund
Eugène Cuvelier
Ninfee a Fampoux, 1862
Stampa all'albumina, 26 x 20,2 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Eugène Cuvelier
Vicino alla grotta, terreno bruciato, 1860-65
Stampa su carta salata da negativo su carta, 26 x 19,8 cm
New York, Metropolitan Museum of Art
Acquisto, Dono The Herbert and Nannette Rothschild Memorial Fund, in memoria di Judith Rothschild, 1996
Eugene Cuvelier
Strada per Briquet, 1860-65,
Stampa al sale da negativo su carta, 25,3 x 33,6 cm; montata su carta 54,3 x 71 cm
New York, Hans P. Kraus, Jr. and Charles Isaacs
Alphonse Jeanrenaud
Fontainebleau, 1860-70
Stampa all'albumina, 32 x 26 cm
Washington, National Gallery of Art
The Amy Rose Silverman Fund e Fondi da anonimo
Gustave Le Gray
Crocevia nella foresta, Fontainebleau, ca. 1852
Stampa al sale da negativo su carta, 27,4 x 37,3 cm immagine; montata su foglio di album 38 x 48
New York, Hans P. Kraus, Jr.
Gustave Le Gray
Quercia e rocce, Foresta di Fontainebleau, ca. 1849-52
Stampa al sale da negativo su carta, 25,2 x 35,7 cm,
New York, Metropolitan Museum of Art
Acquisto, dono Jennifer and Joseph Duke e Lila Acheson Wallace Gifts, 2000
Gustave Le Gray
Masso lungo la strada, Foresta di Fontainebleau, ca. 1852
Stampa al sale da negativo su carta, 27,9 x 37,3 cm
New York, Hans P. Kraus, Jr.
Gustave Le Gray
Strada per Chailly, Fontainebleau, 1856
Stampa all’albumina, 25,6 x 35,4 cm
Los Angeles, The J. Paul Getty Museum
Henri Le Secq
Sentiero in un bosco di betulle, ca. 1851-52
Stampa al sale da negativo su carta cerata, 37,9 x 50,8
Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs
Henri Le Secq
Albero morto in una foresta, ca. 1851-52
Stampa al sale da negativo su carta cerata, 50,6 x 37,9 cm
Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs
Henri Le Secq
Cava, ca. 1851-52
Stampa al sale da negativo su carta cerata, 51 x 38 cm
Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs
Henri Le Secq
Sentiero nella foresta, ca.1851-52
Stampa al sale da negativo su carta cerata, 37,4 x 50,1 cm
Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs
Henri Le Secq
Querce spoglie in inverno, ca. 1851-52,
Stampa al sale da negativo su carta cerata, 38,9 x 51,5 cm
Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs
Henri Le Secq
Studio di una quercia, ca. 1851-52
Stampa al sale da negativo su carta cerata, 51,3 x 39,3 cm
Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs
Henri Le Secq
Ruscello nella foresta, c. 1851-52
Stampa al sale da negativo su carta cerata, 50,7 x 37,7 cm
Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs
Henri Le Secq
Sottobosco, ca. 1851-52
Stampa al sale da negativo su carta cerata, 50,5 x 37,8
Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs
Charles Marville
Corot e Diaz a Barbizon, ca. 1854
Stampa al sale, 17 x 23,5 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Joseph Vigier
Bagneres-de-Luchon, Ponte di ardesia al ritorno dalle Cascade des Parisiens, ca. 1853
Stampa al sale da negativo su carta, 24,6 x 35,6 cm
New York, Hans P. Kraus
Joseph Vigier
Saint-Sauveur, erosione delle rocce sulla strada per Gavarni, ca. 1853
Stampa al sale da negativo su carta, 27,6 x 37 cm
New York, Hans P. Kraus
E. Ziegler & Cie
Radici, ca. 1870
Stampa all'albumina, 26 x 20,9 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Anonimo francese
Foresta di Fontainebleau, nid de l’Aigle, ca. 1880
Stampa all'albumina, 27,9 x 22,8 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Anonimo francese
Foresta di Fontainebleau, Apremont, la Gorge aux néfliers, ca. 1880
Stampa all'albumina, 27,4 x 21 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Anonimo francese
Lettura nella foresta, ca. 1870
Stampa all'albumina, 13,5 x 9,9 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Anonimo
Colazione sull’erba, ca. 1880
Stampa all'albumina, 16 x 21,9 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Anonimo francese
Montigny, Veduta sul Loing, ca. 1880
Stampa all'albumina, 21 x 27,4
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Anonimo francese
Pittore al cavalletto, ca. 1890-95
Aristotipo, 22,7 x 16,3 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Anonimo francese
Pittore con tavolozza, ca. 1880
Stampa all'albumina, 16,2 x 11,6 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Alfred Briquet
Barca sulla sponda del fiume, ca. 1870
Stampa all'albumina, 19,2 x 24,3 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Constant Alexandre Famin
La Mare aux Fées a Barbizon con il pittore Théophile Chauvel, ca. 1865 / 1870,
Stampa all'albumina, 18,5 x 24,2 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Contstant Alexandre Famin
Uomo nella foresta, ca. 1870
Stampa all'albumina da negativo su vetro, 33,7 x 25,3 cm
New York, Metropolitan Museum of Art, The Rubel Collection, Acquisto
Dono di Lila Acheson Wallace
Charles Alexandre Famin o Achille Quinet
Rocce nella Foresta di Fontainebleau, ca. 1870
Stampa all’albumina, 19,6 x 25,4 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Constant Alexandre Famin
Sottobosco, ca. 1870
Stampa all’albumina, 25,6 x 19 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Constant Alexandre Famin
Tronco d’albero nella foresta di Barbizon, ca. 1870
Stampa all'albumina, 25,4 x 19 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
William Drooke Harrison
Foresta di Fontainebleau, ca. 1870
Stampa all'albumina, 19,5 x 19,1 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
William Drooke Harrison
Foresta di Fontainebleau, 1870-80
Stampa al carbone da negativo su vetro, 18,8 x 13,9 cm
New York, Metropolitan Museum of Art
Dono di Alain Paviot, in memoria di Samuel J. Wagstaff Jr.
Gaudenzio Marconi
Studio di foresta, ca. 1870
Stampa all'albumina, 17,4 x 24,4 cm,
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Achille Quinet
Barca sulla sponda di un fiume, ca. 1870
Stampa all'albumina, 17,5 x 25,5 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Achille Quinet
Studio dal vero, ca. 1874
Stampa all'albumina 18,1 x 24,8 cm
Parigi, Galerie Gérard-Lévy
Achille Quinet
Studio dal vero [paesaggio fluviale], Eo 31 (2)-Fol, lastra 24, 5362, 1868
Stampa all’albumina da negativo su collodio umido, 19,1 x 24,8 cm
Parigi, Bibliothèque nationale de France
Achille Quinet
Studio dal vero [scena fluviale], Eo 31 (2)-Fol, lastra 67, 1319, 1874
Stampa all’albumina da negativo su collodio umido, 19,4 x 24,8 cm
Parigi, Bibliothèque nationale de France
Achille Quinet
Studio dal vero [nuvole], Eo 31 (1)-Fol, lastra 218, 2689, 1875
Stampa all’albumina da negativo su collodio umido, 16,6 x 24,5 cm
Parigi, Bibliothèque nationale de France
Achille Quinet
Studio dal vero [ninfee], Eo 31 (2)-Fol, lastra 239, 2710, 1875
Stampa all’albumina da negativo su collodio umido, 19,8 x 24,7 cm
Parigi, Bibliothèque nationale de France
Achille Quinet
Studio dal vero [sponda del fiume], Eo 31 (3)-Fol, lastra 129, 2522, 1875
Stampa all’albumina da negativo su collodio umido, 19,3 x 24,7 cm
Parigi, Bibliothèque nationale de France
Achille Quinet
Studio dal vero [scena fluviale], Eo 31 (3)-Fol, lastra 127, 2394, 1875
Stampa all’albumina da negativo su collodio umido, 18,6 x 24,8 cm
Parigi, Bibliothèque nationale de France
Achille Quinet
Massi a Fontainebleau, ca. 1870
Stampa all'albumina, 19 x 24,9 cm
Parigi, Collection Gérard-Lévy
Gustave Le Gray, Grande onda, Sète - n.17
1857 ca.
Stampa moderna di Patrice Schmidt ottenuta da una stampa all’albumina da negativo su vetro al collodio
34,2 x 42 cm
Parigi, Musée d'Orsay
Gustave Le Gray, Marina, studio di nuvole
1856-1857
Stampa moderna di Patrice Schmidt ottenuta da una stampa all’albumina da due negativi su vetro al collodio
32 x 39 cm
Parigi, Musée d'Orsay
Gustave Le Gray, Effetto di sole nelle nuvole - Oceano
1856-1857
Stampa moderna di Patrice Schmidt ottenuta da una stampa all’albumina da negativo su vetro
32,2 x 42 cm
Parigi, Musée d'Orsay
Attribuito a Charles Nègre, Studio dal vero, Fontainebleau, 1850 ca.
Stampa moderna di Patrice Schmidt ottenuta da una stampa al sale da negativo su carta cerata asciutta
17,5 x 25,1 cm
Parigi, Musée d'Orsay
DOCUMENTI
Charles NODIER, Voyages pittoresques et romantiques dans l'ancienne France. Ancienne Normandie, t. 1, 1820- , volume, 53,9 x 34,9 x 5,6 cm, Gr. Fol.-L15-28, M-16009. Bibliothèque nationale de France, Parigi
Charles NODIER, Voyages pittoresques et romantiques dans l'ancienne France. Ancienne Normandie, t. 2, 1820 - , volume, 53,6 x 34,6 x 5,8 cm, Gr. Fol.-L15-28, M-16010, Bibliothèque nationale de France, Parigi
C.-F. DENECOURT, Guide du voyageur dans le palais et la forêt de Fontainebleau, 1840, volume, 21,4 x 12,9 x 1,2 cm, 8-LK7-2822, Bibliothèque nationale de France, Parigi
Gaston TISSANDIER, La Nature, 1874, volume, 29 x 19 x 2,5 cm, 4-R-45 (1874/06-11), Bibliothèque nationale de France, Parigi
Gaston TISSANDIER, La Nature, 1881, voulme, 29 x 19 x 3 cm, 4-R-45 (1880/12 - 1881/05), Bibliothèque nationale de France, Parigi
Gaston TISSANDIER, La Nature, 1888, volume, 29 x 19 x 3 cm, 4-R-45 (1887/12 - 1888/05), Bibliothèque nationale de France, Parigi
Gaston TISSANDIER, La Nature, 1893, volume, 29 x 19 x 3,7 cm, 4-R-45 (1892/12 - 1893/05), Bibliothèque nationale de France, Parigi
Gaston TISSANDIER, La Nature, 1900, volume, 28,8 x 18,5 x 3,7 cm, 4-R-45 (1900/06-11), Bibliothèque nationale de France, Parigi
Gaston TISSANDIER, L'eau, 1867, volume, 18,5 x 12 x 2,5 cm, S-34954, Bibliothèque nationale de France, Parigi
Elisée RECLUS, La terre : description des phénomènes de la vie du globe, 1877, volume, 27,5 x 19 x 5,5 cm, 4-S-95 (1), Bibliothèque nationale de France, Parigi
Elisée RECLUS, La terre : description des phénomènes de la vie du globe, 1877, volume, 27,5 x 19 x 5,5 cm , 4-S-95 (2), Bibliothèque nationale de France, Parigi
Ernst HAECKEL, Histoire de la création des êtres organisés d'après les lois naturelles, 1877, volume, 23 x 15 x 5 cm, 8-S-267, Bibliothèque nationale de France, Parigi
LETTERE
Camille Pissarro
Lettera autografa, firmata e datata: Paris, Hôtel du Louvre 23 Jan. [18]98
Lettera a sua moglie Julie
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
Camille Pissarro
Lettera autografa, firmata e datata: [Paris], 2 février 1887
Lettera a sua moglie Julie sulle difficoltà di vendere i propri dipinti
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
Claude Monet
Lettera autografa, firmata: Londres, 11 mars 1900
Monet scrive a sua nuora Blanche Hoschedé da Londra dove dipinge un centinaio di vedute del Tamigi
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
Claude Monet
Lettera autografa, firmata: Rouen, 26 février 1892
Monet informa un amico che sta lavorando a dei dipinti della Cattedrale di Rouen
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
Claude Monet
Lettera autografa, firmata: Étretat, [automne-hiver 1868]
Lettera a Frédéric Bazille, amico fedele e benestante, che aiutò spesso Monet nei momenti difficili
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
Auguste Renoir
Lettera autografa con disegno, firmata e datata: Chatou, 17 septembre 1880
Lettera alla sua modella Lucie
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
Pierre Auguste Renoir
Lettera autografa, datata : Paris, 7 décembre 1893
Nella lettera, indirizzata ad un “suo caro amico”, Renoir parla del proprio stato di salute e delle cattive condizioni climatiche che ritardano il suo lavoro
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
Eugène Boudin
Lettera autografa, firmata e datata: Beaulieu-sur-Mer, 5 mai 1898
Lettera a sua fratello Louis
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
Gustave Courbet
Lettera autografa, firmata e datata: La Tour de Peilz, 7 décembre 1874
Lettera indirizzata al mercante d’arte francese Paul Pia
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
Berthe Morisot
Lettera autografa, firmata e datata: Nice, 7 mars 1889
Lettera a Monet
Collezione privata, Musée des Lettres et Manuscrits, Paris
05
marzo 2010
Da Corot a Monet. La sinfonia della natura
Dal 05 marzo al 29 giugno 2010
arte moderna
Location
COMPLESSO DEL VITTORIANO
Roma, Via Di San Pietro In Carcere, (Roma)
Roma, Via Di San Pietro In Carcere, (Roma)
Biglietti
€ 10,00 intero; € 7,50 ridotto
Orario di apertura
dal lunedì al giovedì 9.30 –19.30; venerdì e sabato 9.30 –
23.30; domenica 9.30 – 20.30
Vernissage
5 Marzo 2010, dalle ore 18.00 alle ore 20.00 su invito
Editore
SKIRA
Ufficio stampa
COMUNICAREORGANIZZANDO
Ufficio stampa
LUCIA CRESPI
Autore