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Dado&Stefy – Muro del Reato
Dalla strada in galleria.I Magazzini Criminali ospitano i writers bolognesi Dado&Stefy
Comunicato stampa
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Nel Giappone c’è lo shodo, la via della scrittura. Considerata la forma più alta e raffinata di pittura, lo shodo è uno dei modi eccellenti di seguire il tao. Nel mondo arabo, due principali scuole: la cufica, spigolosa, statica e monumentale, e la corsiva naskh, fine ed arrotondata. Da questi due elementi basali sono scaturiti i calligrammi arabi, rifilati d’oro, spesso talmente complessi da risultare illeggibili. Il logo della Sony è composto da caratteri romani, detti capitalis universalis, tutt’oggi inimitabili per pulizia, eleganza ed essenzialità. In Europa ci sono state la scrittura semionciale del periodo romanico, il carattere gotico dei manoscritti miniati medievali, il corsivo quattrocentesco, la scrittura italiana posata che si diffuse fra il Cinquecento e il Seicento, il periodo francese del XVII secolo. La beneventana, pesante e piazzata, la cancelleresca, con svirgolamenti e volute. Il carattere rotondo, di prima, seconda e terza grandezza. L’arte della calligrafia ha avuto innumerevoli scuole e correnti di pensiero. Il writing costituisce il suo approdo contemporaneo. Pur usando grandi supporti e operando di norma fuori dalle leggi, anche il writing è una disciplina rigorosa, che prevede delle fasi stilistiche d’apprendimento da cui nessuno dei praticanti può prescindere. La prima è lo stick-style, squadrato e veloce, la copia dal vero delle lettere. La seconda è il bubble, stesso principio di velocità, ma adottando forme curve. Si passa per l’arrow, fatto di fughe vettoriali. L’ultimo approdo, quasi equivalente al grado di maestro non più giudicabile dello shodo, è il wild style, in cui le lettere lasciano una traccia percepibile solo all’occhio allenato, un po’ come accade per i calligrammi arabi più difficili. Il wild gioca sulla compenetrazione dimensionale, su una scomposizione di piani basata su ricorrenze di precisione millimetrica, in cui l’apparenza del caos massimo è sorretta da un ordine sostanziale folle. Dado pratica wild style da ormai dieci anni, e ogni pezzo che realizza è la complicazione di quello precedente.
Muretto è un esempio di combo-style, combinazione di linee sinuose e spezzate. La vita e la vicenda di Muretto sono emblematiche della natura mutante di ogni cosa: l’identità, lo sguardo degli altri, il cortocircuito prodotto dai due elementi. E soprattutto la polisemia dell’opera d’arte. Muretto vede la luce in occasione della mostra Scala Mercalli, consacrazione del movimento della Street Art nell’ambito delle grandi esposizioni romane. Curata da Gianluca Marziani, Scala Mercalli è stata la più grande mostra sul graffitismo realizzata in Italia, con più di cinquanta artisti presenti e centinaia di opere esposte.
Alla sua conclusione, il 31 luglio del 2008, tutte le opere sono state stoccate in un deposito, dove sono rimaste per sei mesi. Quando è stato il momento di recuperarle, era in pieno svolgimento Arte Fiera. Dado e Stefy hanno deciso che Muretto, essendo in fondo un graffito a tre dimensioni, doveva seguire la sua autentica vocazione. Senza bisogno di chiedere nessun permesso, Muretto doveva palesarsi in un punto critico del tessuto urbano, per mettere al servizio della città la propria bellezza. La scultura è stata piazzata nella rotonda fra via Aldo Moro e viale Europa, all’ombra dei Palazzi della Fiera. E’ stata fissata al terreno con un collante segreto e potentissimo, e corredata di una targa con gli estremi di autore, titolo dell’opera, dimensioni e materiali. Tutta l’operazione è stata realizzata alle otto di sera, in mezzo al traffico dell’ora di punta, e documentata da un filmato, diffuso poi su U-Tube. Ad Arte Fiera Dado e Stefy hanno ricevuto valanghe di complimenti per la loro installazione metropolitana. Nessuno nel gotha del mondo dell’arte immaginava che Muretto, dopo i suoi natali romani così illustri, si fosse trasformata in un’opera d’arte illegale. Proprio sotto il naso di tutti, e senza che nessuno lo notasse.
Muretto è rimasta nella stessa rotonda per sei mesi, allo scadere dei quali “una signorina gentilissima” del Comune di Bologna ha telefonato a Stefy.
“Stefy, scusami, ci deve essere stato qualche disguido. Si è fatta viva una ditta di giardinaggio che ha vinto un appalto per la rotonda davanti al Palazzo delle Fiere. Solo che quando sono andati a lavorarci hanno trovato una vostra scultura. Ed ora io non riesco proprio a trovare i permessi per la sua collocazione. Mi aiuti a ricostruire la vicenda?”
“Ma guarda, dopo la mostra Scala Mercalli si pensava di regalarla a dei bimbetti di un quartiere popolare romano, poi il curatore ci ha suggerito di riportarla a Bologna per Arte Fiera. Dopo la fiera abbiamo avuto mille altri impegni … Ma sai che non mi ricordo proprio!”
Dopo aver tentato di convivere con le siepi sempreverdi della ditta di giardinaggio, Muretto è stata rimossa nottetempo, e nascosta nel seminterrato dei suoi creatori. I quali, subito dopo, sono stati bombardati di telefonate di critici d’arte ed amici, indignati per il furto della loro opera.
“Non preoccupatevi, l’abbiamo venduta!”
Dopo la sua permanenza nei magazzini di Roma assieme alle altre opere di Scala Mercalli, dopo i suoi sei mesi di criminalità, Muretto torna in una galleria che sembra fatta apposta per lei, i Magazzini Criminali. Per riconciliarsi col mondo, seguendo nello stesso tempo la sua natura più vera, Muretto concluderà la sua vicenda donandosi al quartiere di Braida. Quale posto migliore per un graffito? Un graffito nato come opera d’arte, diventato fuorilegge, tornato agli onori delle gallerie ufficiali, e infine ritrasformatosi in complemento ornamentale per la città, ovvero ciò che i graffiti dovrebbero essere. Muretto è un graffito con qualcosa in più. Una scultura interattiva. Da toccare. Ottima per sedercisi sopra. E si spera che i ragazzini di Braida, interagendo con Muretto, possano percepire per osmosi il suo messaggio. Che nulla è prestabilito, che tutti possono riuscire a fare qualsiasi cosa.
Dado e Stefy fanno sculture insieme da dieci anni. Per un writer storico come Dado staccarsi dalla dimensione familiare del muro è stato un passo non indifferente. Paragonabile forse al gesto di Fontana che taglia la tela, per indagare quello che c’è dall’altra parte. È stata Stefy a spingere in questa direzione. Stefy fa sculture da sempre, perché l’arte non può rimanere arroccata sui suoi supporti, ma deve muoversi ed operare nel mondo. La perizia tecnica di un maestro del writing è paragonabile a quella di un architetto. Dado padroneggia quella techne che è l’eredità dell’arte moderna, e di cui la stragrande maggioranza delle superstar della contemporaneità è priva. Stefy invece possiede il software del postmoderno, ovvero un’estrema raffinatezza concettuale. Stefy è quella che si butta in avanti. Quella che apre le porte. La meravigliosa sinergia di Dado e Stefy li ha portati ad elaborare un concetto di arte pandemica, virale, che contamina e trasforma in sé tutto ciò che tocca. Muri, pattern per vestiti, capannoni industriali, stazioni ferroviarie, complementi d’arredo, interni, esercizi pubblici, collezioni di moda. Oltre al canone delle sculture, delle installazioni, dei bassorilievi, delle tele, delle foto, delle performance. Dado e Stefy sono sempre alla ricerca delle zone interstiziali, di ciò che non è mai stato arte, ma che, proprio perché non lo è mai stato, potrebbe diventarlo.
Nuovi campi d’azione, nuovi lidi. Nuove frontiere.
Da valicare e scavalcare, per poter trovare quelle successive.
Ironica e tragica, decorativa ed essenziale, fashion e raw, superficiale e profonda. Tecnicista, concettuale, commerciale, underground, barocca, minimal, d’elite, per tutti. Proprio per essere il frutto di un matrimonio fra opposti, l’arte di Dado e Stefy concilia in sé tutte le contraddizioni, ed è libera di muoversi in avanti, senza soluzione di continuità.
Luiza Samanda Turrini
Muretto è un esempio di combo-style, combinazione di linee sinuose e spezzate. La vita e la vicenda di Muretto sono emblematiche della natura mutante di ogni cosa: l’identità, lo sguardo degli altri, il cortocircuito prodotto dai due elementi. E soprattutto la polisemia dell’opera d’arte. Muretto vede la luce in occasione della mostra Scala Mercalli, consacrazione del movimento della Street Art nell’ambito delle grandi esposizioni romane. Curata da Gianluca Marziani, Scala Mercalli è stata la più grande mostra sul graffitismo realizzata in Italia, con più di cinquanta artisti presenti e centinaia di opere esposte.
Alla sua conclusione, il 31 luglio del 2008, tutte le opere sono state stoccate in un deposito, dove sono rimaste per sei mesi. Quando è stato il momento di recuperarle, era in pieno svolgimento Arte Fiera. Dado e Stefy hanno deciso che Muretto, essendo in fondo un graffito a tre dimensioni, doveva seguire la sua autentica vocazione. Senza bisogno di chiedere nessun permesso, Muretto doveva palesarsi in un punto critico del tessuto urbano, per mettere al servizio della città la propria bellezza. La scultura è stata piazzata nella rotonda fra via Aldo Moro e viale Europa, all’ombra dei Palazzi della Fiera. E’ stata fissata al terreno con un collante segreto e potentissimo, e corredata di una targa con gli estremi di autore, titolo dell’opera, dimensioni e materiali. Tutta l’operazione è stata realizzata alle otto di sera, in mezzo al traffico dell’ora di punta, e documentata da un filmato, diffuso poi su U-Tube. Ad Arte Fiera Dado e Stefy hanno ricevuto valanghe di complimenti per la loro installazione metropolitana. Nessuno nel gotha del mondo dell’arte immaginava che Muretto, dopo i suoi natali romani così illustri, si fosse trasformata in un’opera d’arte illegale. Proprio sotto il naso di tutti, e senza che nessuno lo notasse.
Muretto è rimasta nella stessa rotonda per sei mesi, allo scadere dei quali “una signorina gentilissima” del Comune di Bologna ha telefonato a Stefy.
“Stefy, scusami, ci deve essere stato qualche disguido. Si è fatta viva una ditta di giardinaggio che ha vinto un appalto per la rotonda davanti al Palazzo delle Fiere. Solo che quando sono andati a lavorarci hanno trovato una vostra scultura. Ed ora io non riesco proprio a trovare i permessi per la sua collocazione. Mi aiuti a ricostruire la vicenda?”
“Ma guarda, dopo la mostra Scala Mercalli si pensava di regalarla a dei bimbetti di un quartiere popolare romano, poi il curatore ci ha suggerito di riportarla a Bologna per Arte Fiera. Dopo la fiera abbiamo avuto mille altri impegni … Ma sai che non mi ricordo proprio!”
Dopo aver tentato di convivere con le siepi sempreverdi della ditta di giardinaggio, Muretto è stata rimossa nottetempo, e nascosta nel seminterrato dei suoi creatori. I quali, subito dopo, sono stati bombardati di telefonate di critici d’arte ed amici, indignati per il furto della loro opera.
“Non preoccupatevi, l’abbiamo venduta!”
Dopo la sua permanenza nei magazzini di Roma assieme alle altre opere di Scala Mercalli, dopo i suoi sei mesi di criminalità, Muretto torna in una galleria che sembra fatta apposta per lei, i Magazzini Criminali. Per riconciliarsi col mondo, seguendo nello stesso tempo la sua natura più vera, Muretto concluderà la sua vicenda donandosi al quartiere di Braida. Quale posto migliore per un graffito? Un graffito nato come opera d’arte, diventato fuorilegge, tornato agli onori delle gallerie ufficiali, e infine ritrasformatosi in complemento ornamentale per la città, ovvero ciò che i graffiti dovrebbero essere. Muretto è un graffito con qualcosa in più. Una scultura interattiva. Da toccare. Ottima per sedercisi sopra. E si spera che i ragazzini di Braida, interagendo con Muretto, possano percepire per osmosi il suo messaggio. Che nulla è prestabilito, che tutti possono riuscire a fare qualsiasi cosa.
Dado e Stefy fanno sculture insieme da dieci anni. Per un writer storico come Dado staccarsi dalla dimensione familiare del muro è stato un passo non indifferente. Paragonabile forse al gesto di Fontana che taglia la tela, per indagare quello che c’è dall’altra parte. È stata Stefy a spingere in questa direzione. Stefy fa sculture da sempre, perché l’arte non può rimanere arroccata sui suoi supporti, ma deve muoversi ed operare nel mondo. La perizia tecnica di un maestro del writing è paragonabile a quella di un architetto. Dado padroneggia quella techne che è l’eredità dell’arte moderna, e di cui la stragrande maggioranza delle superstar della contemporaneità è priva. Stefy invece possiede il software del postmoderno, ovvero un’estrema raffinatezza concettuale. Stefy è quella che si butta in avanti. Quella che apre le porte. La meravigliosa sinergia di Dado e Stefy li ha portati ad elaborare un concetto di arte pandemica, virale, che contamina e trasforma in sé tutto ciò che tocca. Muri, pattern per vestiti, capannoni industriali, stazioni ferroviarie, complementi d’arredo, interni, esercizi pubblici, collezioni di moda. Oltre al canone delle sculture, delle installazioni, dei bassorilievi, delle tele, delle foto, delle performance. Dado e Stefy sono sempre alla ricerca delle zone interstiziali, di ciò che non è mai stato arte, ma che, proprio perché non lo è mai stato, potrebbe diventarlo.
Nuovi campi d’azione, nuovi lidi. Nuove frontiere.
Da valicare e scavalcare, per poter trovare quelle successive.
Ironica e tragica, decorativa ed essenziale, fashion e raw, superficiale e profonda. Tecnicista, concettuale, commerciale, underground, barocca, minimal, d’elite, per tutti. Proprio per essere il frutto di un matrimonio fra opposti, l’arte di Dado e Stefy concilia in sé tutte le contraddizioni, ed è libera di muoversi in avanti, senza soluzione di continuità.
Luiza Samanda Turrini
05
dicembre 2009
Dado&Stefy – Muro del Reato
Dal 05 dicembre 2009 al 06 gennaio 2010
arte contemporanea
Location
MAGAZZINI CRIMINALI
Sassuolo, Piazzale Domenico Gazzadi, 4, (Modena)
Sassuolo, Piazzale Domenico Gazzadi, 4, (Modena)
Orario di apertura
sabato e domenica dalle 16 alle 19
Vernissage
5 Dicembre 2009, ore 17,30
Ufficio stampa
ALIAS
Autore