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Daniele Covarino – Metamorfosi di terra e di Fuoco
L’argilla viene interpretata da Covarino come possibilità di regressione formale, un po’ narrando di un naturalismo “partecipato” dal di dentro. Le sue mani riproducono i tessuti connettivi della materia organica, addentrandosi nel mistero dei meandri cellulari.
Comunicato stampa
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Metamorfosi di fuoco e terra
“Vidi crescere una pianta. Le foglie s’aprivano verdi e brillanti, mentre l’esile tronco emergeva timido dalla fessura centrale.
La pianta era nel mio giardino. Il suo seme era stato sempre lì. Ma quel giorno la vidi.
Era stata una scultura di Daniele la sua incubatrice. Una scultura che lui stesso mi aveva donato e che io avevo posto a terra, fra altre piante, sull’erba, con attorno fiori nati spontaneamente. Nel suo ventre la pianta era germinata, era cresciuta, e finalmente conquistava la luce.
Quel giorno mi fu chiaro il senso della sua scultura!”.
(Andrea Baffoni, Il mio viaggio nell’arte)
L’arte di Daniele Covarino rappresenta un viaggio nel mistero della trasformazione materica. Ed è così, che attraverso semplici forme, allusive agli albori delle prime masse biologiche, l’artista interpreta il mistero della vita.
Terra alla terra!
Con le sue sculture Covarino sembra voler riflettere il senso di un elaborato che partendo dalla lavorazione dell’argilla, conclude il suo percorso nuovamente a contatto con l’elemento da cui prese origine. Queste sculture sembrano voler tornare alla terra, ricoprirsi di muschi, divenire casa per animali o insetti.
In questo modo la ceramica assume i contorni di una ricerca interna, biomorfica e organica. Un modo per scoprire i processi formativi biologici. Sculture come larve di primordiali vite trascorse, di esseri immaginari che non hanno mai respirato aria, ma che ugualmente vivranno nei secoli a venire. Fossili primitivi, di una qualche lontana discendenza, forgiati tra le mani dell’artista con l’antica sapienza del ceramista.
Covarino usa la tecnica del colombino, sovrapponendo, una dopo l’altra, strisce d’argilla che si stratificano, saldandosi ed andando a comporre la forma. L’artista lavora come il vasaio, ma senza produrre, altresì, oggetti d’uso, piuttosto mutando le sue opere in essenze scultoree, dove tutto rimanda ad un passato inteso come matrice di vita.
L’argilla viene interpretata da Covarino come possibilità di regressione formale, un po’ narrando di un naturalismo “partecipato” dal di dentro. Le sue mani riproducono i tessuti connettivi della materia organica, addentrandosi nel mistero dei meandri cellulari. Il colombino diventa metafora di connessione molecolare, senza la minima allusione alla ricerca scientifica, ma solo interpretando istintivamente il processo vitale. Da ciò la narrazione di forme che ricordano fossili, come detto, ma anche organi interni, con particolare attenzione per sinuosità prossime agli apparati riproduttivi: cavità uterine destinate a generare la vita, così il processo realizzativo di Covarino si ritrova perfettamente espresso nell’attività del vasaio, giungendo alla metafora del vaso alchemico. Le opere, cave come il ventre della madre, alludono alla morbidezza del grembo, spostando il richiamo verso il foco, l’energia che ha forgiato la materia delle stelle e dei pianeti, quella stessa energia da cui si genera la vita, ed il calore sembra così imprimere un senso di vitale appartenenza.
Andrea Baffoni
“Vidi crescere una pianta. Le foglie s’aprivano verdi e brillanti, mentre l’esile tronco emergeva timido dalla fessura centrale.
La pianta era nel mio giardino. Il suo seme era stato sempre lì. Ma quel giorno la vidi.
Era stata una scultura di Daniele la sua incubatrice. Una scultura che lui stesso mi aveva donato e che io avevo posto a terra, fra altre piante, sull’erba, con attorno fiori nati spontaneamente. Nel suo ventre la pianta era germinata, era cresciuta, e finalmente conquistava la luce.
Quel giorno mi fu chiaro il senso della sua scultura!”.
(Andrea Baffoni, Il mio viaggio nell’arte)
L’arte di Daniele Covarino rappresenta un viaggio nel mistero della trasformazione materica. Ed è così, che attraverso semplici forme, allusive agli albori delle prime masse biologiche, l’artista interpreta il mistero della vita.
Terra alla terra!
Con le sue sculture Covarino sembra voler riflettere il senso di un elaborato che partendo dalla lavorazione dell’argilla, conclude il suo percorso nuovamente a contatto con l’elemento da cui prese origine. Queste sculture sembrano voler tornare alla terra, ricoprirsi di muschi, divenire casa per animali o insetti.
In questo modo la ceramica assume i contorni di una ricerca interna, biomorfica e organica. Un modo per scoprire i processi formativi biologici. Sculture come larve di primordiali vite trascorse, di esseri immaginari che non hanno mai respirato aria, ma che ugualmente vivranno nei secoli a venire. Fossili primitivi, di una qualche lontana discendenza, forgiati tra le mani dell’artista con l’antica sapienza del ceramista.
Covarino usa la tecnica del colombino, sovrapponendo, una dopo l’altra, strisce d’argilla che si stratificano, saldandosi ed andando a comporre la forma. L’artista lavora come il vasaio, ma senza produrre, altresì, oggetti d’uso, piuttosto mutando le sue opere in essenze scultoree, dove tutto rimanda ad un passato inteso come matrice di vita.
L’argilla viene interpretata da Covarino come possibilità di regressione formale, un po’ narrando di un naturalismo “partecipato” dal di dentro. Le sue mani riproducono i tessuti connettivi della materia organica, addentrandosi nel mistero dei meandri cellulari. Il colombino diventa metafora di connessione molecolare, senza la minima allusione alla ricerca scientifica, ma solo interpretando istintivamente il processo vitale. Da ciò la narrazione di forme che ricordano fossili, come detto, ma anche organi interni, con particolare attenzione per sinuosità prossime agli apparati riproduttivi: cavità uterine destinate a generare la vita, così il processo realizzativo di Covarino si ritrova perfettamente espresso nell’attività del vasaio, giungendo alla metafora del vaso alchemico. Le opere, cave come il ventre della madre, alludono alla morbidezza del grembo, spostando il richiamo verso il foco, l’energia che ha forgiato la materia delle stelle e dei pianeti, quella stessa energia da cui si genera la vita, ed il calore sembra così imprimere un senso di vitale appartenenza.
Andrea Baffoni
02
luglio 2016
Daniele Covarino – Metamorfosi di terra e di Fuoco
Dal 02 al 14 luglio 2016
arte moderna e contemporanea
Location
SPAZIO 121
Perugia, Via Armando Fedeli, 121, (Perugia)
Perugia, Via Armando Fedeli, 121, (Perugia)
Orario di apertura
da martedì a venerdì ore 16 - 19 o per appuntamento
Vernissage
2 Luglio 2016, ore 17,30
Autore
Curatore