Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Daniele Giuliani – Luigi Tenco tra i writer
Prima mostra personale del giovane artista aquilano
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Scrive Donatella Lanciotti:
Immaginate una metropoli del nord Italia. Anzi no, immaginate una piccola
cittadina di mare. Oppure no, immaginate uno sperduto raccordo autostradale
in mezzo al niente.
Poi immaginate l’ora tarda di una afosa notte estiva, quando il calore rende
liquidi i contorni delle cose. Oppure immaginate un tardo pomeriggio piovoso
del pieno inverno, quando l’unica cosa che vive al di fuori dei vetri dei
finestrino dell’auto sono le luci delle altre auto, sfocate ma brillanti,
nel nero lucido dell’asfalto bagnato e buio.
Immaginate un ingorgo, uno qualunque, uno di quelli da pendolari. E poi
immaginate la desolazione di una strada vuota.
Se riuscite ad immaginare tutto questo contemporaneamente, ecco, forse
riuscite a vedere attraverso una delle immagini che Daniele Giuliani ci
propone.
Sono immagini chiare, familiari, eppure contengono qualcosa che ci lascia
perplessi, pensierosi.
Sono strade che non portano da nessuna parte, e che eppure hanno un senso
compiuto in se stesse. Sono strade che non raccontano di viaggi, ma degli
istanti in cui sono state percorse. Strade che sanno di musica
dall’autoradio, di notiziari flash, di vetri abbassati per buttare via la
cicca di una sigaretta. Sono strade di utilitarie, strade che non hanno
nulla a che vedere con le moto da Route 66, strade dove i fuoristrada si
limitano ad arrampicarsi sui marciapiedi, strade dove le biciclette sono
fuori contesto, dove il navigatore satellitare non ha senso, perché la
strada è la stessa, da sempre. Come raccontava Luigi Tenco.
Strade che non invitano a domandarsi quale sia la meta, né quale sia stato
il punto di partenza, perché quello che Daniele Giuliani vuole descrivere è
l’istante dilatato del percorrere la strada. Non c’è un itinerario da
immaginare, nei suoi quadri, c’è piuttosto da percepire l’atmosfera. Le
sensazioni. Lo stato d’animo dell’istante stesso che ci troviamo a
percorrere, persi tra i nostri pensieri, quando veloci scivoliamo via sotto
i lampioni, convinti che la vita ci stia seguendo, e invece la vita resta lì
sotto, immobile, sotto la luce arancione o gialla: come l’immagine di una
telecamera di sorveglianza, che continua a focalizzare un unico punto della
strada, anche se a pochi centimetri dal suo raggio di visuale si sta
compiendo una rivoluzione.
Le strade di Daniele Giuliani sono di passaggio, non di paesaggio.
Sono istantanee urbane. Che non significa urbanistiche, perché probabilmente
neanche chi abita sopra agli incroci da lui ripresi riuscirebbe a
riconoscere in quei tagli fotografici la propria città.
Nulla è lasciato all’identificazione. I dettagli, se anche ci sono, non
hanno un ruolo: sono talmente contestualizzati da essere solo parte della
strada.
E il risultato è straniante: la strada, nata dall’uomo, nata per l’uomo,
sopravvive anche senza l’uomo.
E’ una realtà innegabile, che costringe l’individuo ad ammettere la propria
caducità, la propria aleatorietà.
La strada, che è solo un tratto di quotidiano, un mezzo per andare a
congiungere i tempi ed i modi di specifiche esistenze, ponte tra case,
uffici, scuole, improvvisamente da strumento diventa protagonista.
Acquisisce una propria dignità che bellamente sbeffeggia l’essere umano, che
non si cura della sua personalità, dei suoi tempi, dei suoi ricordi.
E come Luigi Tenco Daniele Giuliani riesce a catapultarci nella quotidianità
della vita, negli istanti di un “immaginato” comune, nella immobilità delle
azioni.
Attraverso le sue immagini riesce a trasmettere i rumori, le percezioni, gli
stati d’animo che si allacciano all’interno degli abitacoli delle auto.
Talvolta, guardando le sue opere, viene spontaneo muovere la mano per
cercare i tasti del riscaldamento, o il volume.
Le sue immagini sono rassicuranti, perché conosciute, perché statiche.
Ma non sono calde. Né accoglienti. Né domestiche.
Sono rassicuranti solo perché uguali a se stesse. Uguali a come erano ieri.
Uguali a come saranno domani. Strade dove il codice non cambia mai, e la
linea bianca e il rosso del semaforo significheranno sempre la stessa cosa.
E quindi è una immagine netta, ben definita, che però non ricordiamo, che
non si fissa nella nostra mente, che è riconoscibile ma non nitida.
E’ un de ja vù del presente.
E’ una memoria a brevissimo termine, sbavata, imprecisa, quasi spontanea.
Come la tecnica utilizzata dall’autore, lo spray, tecnica dove il contorno è
per sua natura sporco, sbavato, e va domato con le mani, va arginato, va
addomesticato. Come un’ombra che passa velocemente al ciglio della strada,
che lascia si una impronta sulla nostra retina ma che è di difficile
interpretazione, e che chiama in aiuto la razionalità, la memoria, la
consuetudine per lasciarsi decifrare. E alla fine il lavoro di tutte le
nostre sinapsi ci porta a riconoscere un gatto.
Daniele Giuliani gioca con i colori, li mortifica, li rende talmente
indefinibili da essere unici. Ma questa loro unicità non è altro che
l’epitome della vaghezza. Colori che possono essere tutto, carrozzerie
scure, contrasti di ombre, architetture buie, e alla fine risultano non
essere nulla di preciso. Solo atmosfere. Perché, ancora una volta, la strada
percorsa di notte non regala colori, ma solo sagome veloci.
Sono pochi colori, in verità, perché la notte asfaltata non lascia molto
alla cromia.
Ma sono colori che vogliono vivere, colori che si scontrano, che si
sovrastano per attimi incessanti. Sono i pochi colori essenziali della
notte: il nero del catrame, delle auto anonime al ciglio della strada; il
giallo lancinante delle luci, degli aloni. Il resto, non esiste. Il rosso,
il verde, l’azzurro, sono solo accennati, piccoli spunti di segnaletica
stradale…
Ad una strada, di notte, non servono i colori. Non è un viaggio tra la
campagna.
Di una strada, di notte, non ricordiamo i colori.
Ricordiamo il freddo, la noia, la consuetudine.
Gli stessi che descriveva Luigi Tenco. Una quotidianità normale, non
angosciante ma comunque cupa, una ripetitività che è sintomo di punto di
rottura, di presa di coscienza del sopraggiungere della crisi.
Le strade di Daniele Giuliani prendono l’individuo e lo mettono in
discussione con il mondo e con l’esistenza. Perché lo costringono a guardare
ciò che solito si limita ad attraversare. Lo costringono a guardare dentro
l’obiettivo della telecamera di sorveglianza, ad ammettere il vuoto che
continua nella strada dopo il proprio passaggio, e che è la rappresentazione
della inconsistenza di ciascuno.
Lo costringono a vedere con fissità ciò che di solito è un contorno
sfuggente e mobile alla propria vita.
In tutti questi paesaggi urbani, non è la città ad essere protagonista, ma i
suoi abitanti. Invisibili.
I loro silenzi. La loro spersonalizzazione. La necessità che esistano, per
dare un senso ad una strada che tale non sarebbe, se non venisse percorsa.
Immaginate una metropoli del nord Italia. Anzi no, immaginate una piccola
cittadina di mare. Oppure no, immaginate uno sperduto raccordo autostradale
in mezzo al niente.
Poi immaginate l’ora tarda di una afosa notte estiva, quando il calore rende
liquidi i contorni delle cose. Oppure immaginate un tardo pomeriggio piovoso
del pieno inverno, quando l’unica cosa che vive al di fuori dei vetri dei
finestrino dell’auto sono le luci delle altre auto, sfocate ma brillanti,
nel nero lucido dell’asfalto bagnato e buio.
Immaginate un ingorgo, uno qualunque, uno di quelli da pendolari. E poi
immaginate la desolazione di una strada vuota.
Se riuscite ad immaginare tutto questo contemporaneamente, ecco, forse
riuscite a vedere attraverso una delle immagini che Daniele Giuliani ci
propone.
Sono immagini chiare, familiari, eppure contengono qualcosa che ci lascia
perplessi, pensierosi.
Sono strade che non portano da nessuna parte, e che eppure hanno un senso
compiuto in se stesse. Sono strade che non raccontano di viaggi, ma degli
istanti in cui sono state percorse. Strade che sanno di musica
dall’autoradio, di notiziari flash, di vetri abbassati per buttare via la
cicca di una sigaretta. Sono strade di utilitarie, strade che non hanno
nulla a che vedere con le moto da Route 66, strade dove i fuoristrada si
limitano ad arrampicarsi sui marciapiedi, strade dove le biciclette sono
fuori contesto, dove il navigatore satellitare non ha senso, perché la
strada è la stessa, da sempre. Come raccontava Luigi Tenco.
Strade che non invitano a domandarsi quale sia la meta, né quale sia stato
il punto di partenza, perché quello che Daniele Giuliani vuole descrivere è
l’istante dilatato del percorrere la strada. Non c’è un itinerario da
immaginare, nei suoi quadri, c’è piuttosto da percepire l’atmosfera. Le
sensazioni. Lo stato d’animo dell’istante stesso che ci troviamo a
percorrere, persi tra i nostri pensieri, quando veloci scivoliamo via sotto
i lampioni, convinti che la vita ci stia seguendo, e invece la vita resta lì
sotto, immobile, sotto la luce arancione o gialla: come l’immagine di una
telecamera di sorveglianza, che continua a focalizzare un unico punto della
strada, anche se a pochi centimetri dal suo raggio di visuale si sta
compiendo una rivoluzione.
Le strade di Daniele Giuliani sono di passaggio, non di paesaggio.
Sono istantanee urbane. Che non significa urbanistiche, perché probabilmente
neanche chi abita sopra agli incroci da lui ripresi riuscirebbe a
riconoscere in quei tagli fotografici la propria città.
Nulla è lasciato all’identificazione. I dettagli, se anche ci sono, non
hanno un ruolo: sono talmente contestualizzati da essere solo parte della
strada.
E il risultato è straniante: la strada, nata dall’uomo, nata per l’uomo,
sopravvive anche senza l’uomo.
E’ una realtà innegabile, che costringe l’individuo ad ammettere la propria
caducità, la propria aleatorietà.
La strada, che è solo un tratto di quotidiano, un mezzo per andare a
congiungere i tempi ed i modi di specifiche esistenze, ponte tra case,
uffici, scuole, improvvisamente da strumento diventa protagonista.
Acquisisce una propria dignità che bellamente sbeffeggia l’essere umano, che
non si cura della sua personalità, dei suoi tempi, dei suoi ricordi.
E come Luigi Tenco Daniele Giuliani riesce a catapultarci nella quotidianità
della vita, negli istanti di un “immaginato” comune, nella immobilità delle
azioni.
Attraverso le sue immagini riesce a trasmettere i rumori, le percezioni, gli
stati d’animo che si allacciano all’interno degli abitacoli delle auto.
Talvolta, guardando le sue opere, viene spontaneo muovere la mano per
cercare i tasti del riscaldamento, o il volume.
Le sue immagini sono rassicuranti, perché conosciute, perché statiche.
Ma non sono calde. Né accoglienti. Né domestiche.
Sono rassicuranti solo perché uguali a se stesse. Uguali a come erano ieri.
Uguali a come saranno domani. Strade dove il codice non cambia mai, e la
linea bianca e il rosso del semaforo significheranno sempre la stessa cosa.
E quindi è una immagine netta, ben definita, che però non ricordiamo, che
non si fissa nella nostra mente, che è riconoscibile ma non nitida.
E’ un de ja vù del presente.
E’ una memoria a brevissimo termine, sbavata, imprecisa, quasi spontanea.
Come la tecnica utilizzata dall’autore, lo spray, tecnica dove il contorno è
per sua natura sporco, sbavato, e va domato con le mani, va arginato, va
addomesticato. Come un’ombra che passa velocemente al ciglio della strada,
che lascia si una impronta sulla nostra retina ma che è di difficile
interpretazione, e che chiama in aiuto la razionalità, la memoria, la
consuetudine per lasciarsi decifrare. E alla fine il lavoro di tutte le
nostre sinapsi ci porta a riconoscere un gatto.
Daniele Giuliani gioca con i colori, li mortifica, li rende talmente
indefinibili da essere unici. Ma questa loro unicità non è altro che
l’epitome della vaghezza. Colori che possono essere tutto, carrozzerie
scure, contrasti di ombre, architetture buie, e alla fine risultano non
essere nulla di preciso. Solo atmosfere. Perché, ancora una volta, la strada
percorsa di notte non regala colori, ma solo sagome veloci.
Sono pochi colori, in verità, perché la notte asfaltata non lascia molto
alla cromia.
Ma sono colori che vogliono vivere, colori che si scontrano, che si
sovrastano per attimi incessanti. Sono i pochi colori essenziali della
notte: il nero del catrame, delle auto anonime al ciglio della strada; il
giallo lancinante delle luci, degli aloni. Il resto, non esiste. Il rosso,
il verde, l’azzurro, sono solo accennati, piccoli spunti di segnaletica
stradale…
Ad una strada, di notte, non servono i colori. Non è un viaggio tra la
campagna.
Di una strada, di notte, non ricordiamo i colori.
Ricordiamo il freddo, la noia, la consuetudine.
Gli stessi che descriveva Luigi Tenco. Una quotidianità normale, non
angosciante ma comunque cupa, una ripetitività che è sintomo di punto di
rottura, di presa di coscienza del sopraggiungere della crisi.
Le strade di Daniele Giuliani prendono l’individuo e lo mettono in
discussione con il mondo e con l’esistenza. Perché lo costringono a guardare
ciò che solito si limita ad attraversare. Lo costringono a guardare dentro
l’obiettivo della telecamera di sorveglianza, ad ammettere il vuoto che
continua nella strada dopo il proprio passaggio, e che è la rappresentazione
della inconsistenza di ciascuno.
Lo costringono a vedere con fissità ciò che di solito è un contorno
sfuggente e mobile alla propria vita.
In tutti questi paesaggi urbani, non è la città ad essere protagonista, ma i
suoi abitanti. Invisibili.
I loro silenzi. La loro spersonalizzazione. La necessità che esistano, per
dare un senso ad una strada che tale non sarebbe, se non venisse percorsa.
20
maggio 2006
Daniele Giuliani – Luigi Tenco tra i writer
Dal 20 maggio al 30 giugno 2006
giovane arte
Location
PIZIARTE
Teramo, Viale Cavour, 39, (Teramo)
Teramo, Viale Cavour, 39, (Teramo)
Orario di apertura
10/13 e 16/20
Vernissage
20 Maggio 2006, ore 19
Autore
Curatore