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Dario Colombo
Dario Colombo affida il suo messaggio alla fotografia o più precisamente al ritratto
Comunicato stampa
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Dario Colombo affida il suo messaggio alla fotografia o più precisamente al ritratto. nell'ultima serie di lavori coniugandosi alla sua esperienza pittorica, i ritratti o gli occhi da lui raffigurati, vengono affiancati da pannelli verniciati a caldo in carrozzeria. Ciascun di essi riprende il colore che fa da fondo alla fotografia e riporta in rilievo l’esatta denominazione della tonalità utilizzata.
LA MOSTRA E' RICONOSCIUTA DALL'EVENTO "OLIMPIADI DELLA CULTURA - TORINO 2006"
DARIO COLOMBO
Con la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento ha avuto luogo un fenomeno importante tanto per l’arte quanto per la cultura in senso ampio, ma anche per il tortuoso sviluppo di una consapevolezza sociale che purtroppo, come dimostrano i recenti fatti di Parigi, ancora oggi non ha raggiunto il livello di maturazione da molti auspicata. Quello che avvenne, fu un connubio tra il forte impulso di una giovane e vitale scienza come la psicologia, e il vasto mondo dell’arte, in tutte le sue molteplici e variegate declinazioni. Quello che ne risultò fu un impasto estremamente ricco e complesso, che a partire dalle scoperte di Freud e colleghi, sarebbe stato l’ingrediente fondamentale per la nascita di un nuovo e moderno antropocentrismo. Certo, perché il grande protagonista del secolo scorso è stato proprio l’uomo, un uomo che ha deciso di scoprire se stesso e il suo rapporto con il mondo, un uomo che ha cominciato ad imparare a riconoscere i suoi limiti, che ha messo alla prova le convenzioni di un ordine prestabilito dimostrando la forza di certe idee, un uomo, insomma, quello del Novecento, che cerca di vivere in maniera critica il suo essere un animale sociale. E certo, la psicologia è stata importante, perché al di là dei casi specifici la cui influenza è palesemente riconoscibile, possiamo affermare che questa nuova scienza abbia fornito gli strumenti per una consapevolezza del sé e del sociale sempre più approfondita, e che insomma abbia aiutato l’affermazione di tutti quei presupposti per lo sviluppo di un moderno sistema sociale.
L’arte contemporanea ha visto in questa nuova attenzione per l’uomo e per il suo mondo, una risposta a tutte quelle tensioni che da tempo gli artisti andavano manifestando, e ne ha fatto uno dei suoi prediletti cavalli di battaglia. Ecco allora che cos’é questo nuovo antropocentrismo, è la volontà di conoscere anche attraverso l’arte, l’essere umano in tutta la sua complessità umana e sociale. Varie esperienze nacquero sulla base di tale necessità, come ad esempio gli studi di August Sander sulla composizione della società tedesca, una società di inizio secolo che veniva fotografata dal suo attento obbiettivo per poter fornire una sorta di antropologia sociale.
Col passare del tempo, tuttavia, aumentava anche la complessità dell’approccio umano nei confronti dei propri simili, perciò a delle indagini su larga scala, si cominciarono a preferire degli studi che si soffermassero maggiormente sulla natura prettamente umana della società. Ecco allora Diane Arbus, con un’indagine volta a documentare la diversità e gli eccessi cui l’uomo tende per natura o per deviazione, oppure Dorothea Lange, che documentò i cambiamenti avvenuti in seguito alla grande crisi del 1929 lavorando come fotografa per il Rural Resettlement Administration.
In anni più recenti l’attenzione si è rivolta verso direzioni molteplici, ma, ai fini della nostra analisi, forse alcuni sembrano emergere più di altri, per parentela o per contrasto: Thomas Struth e Thomas Ruff hanno voluto creare il vuoto intorno ai ritratti dei personaggi che sceglievano, mostrando una società sempre più veloce e superficiale, in cui anche l’uomo perde la consistenza della sua personalità sino a divenire un essere totalmente anonimo. Nan Goldin, invece, predilige le situazioni estreme, il delirio di certe feste sfrenate, l’esibizione di una sessualità ambigua, colorata ed eccentrica.
E se di colore ed eccentricità sono intrisi anche i lavori di Dario Colombo, molte precisazioni vanno fatte, perché il suo è un antropocentrismo tutto particolare, è un’attenzione nei confronti del genere, che certo tiene conto di tutta la tradizione di cui si è parlato, ma che si muove in maniera autonoma e verso direzioni diverse, perché non si tratta più di denunciare il rischio dell’anonimato verso cui ci porta la società di massa come per Struth e Ruff, e neanche di attivare una reazione nei confronti di situazioni umane difficili, come per Arbus, o di allontanare ogni forma di giudizio etico sui comportamenti sessuali. Per Colombo il discorso è differente, perché quello che emerge dai suoi lavori, è piuttosto la necessità di soffermarsi a riflettere sulla propria identità di uomini, è la volontà di mettere in moto una ricognizione sul concetto di genere, di realtà non psicologica, ma umana, una realtà, insomma, non individuale, ma universale, intima dell’uomo inteso come specie. Ecco allora che dare uno sguardo d’insieme al corpus di opere dell’artista, significa seguire una strada che si sofferma ogni volta su aspetti diversi, ma che vanno a formare un percorso complesso, uno studio dall’impianto attento e raffinato, in cui i rimandi con la storia della cultura si legano con quell’indagine di cui si è appena detto.
Ma non solo, perché l’uso della fotografia si unisce ad un gusto particolare, al richiamo del colore, della composizione, e della forma, così due diverse concettualità come quella della pittura e del mezzo fotografico, si incontrano attivando un interessante gioco dialettico di parentele e contrasti, che nel continuo confronto riesce a trasformarsi in una forza vitale travolgente, che appassiona lo spettatore, incuriosito dal richiamo umano ed estetico dei lavori.
E allora ecco la serie sul sesso, un insieme di immagini tratte da video ripresi in sale cinematografiche per soli adulti, immagini sfocate, ma accattivanti anche a causa della loro scarsa nitidezza, di quel senso del proibito che trapela dall’impianto formale, dalla geometria di quei corpi che nella letteratura visiva del porno manifestano una libertà e una disinvoltura, che stridono con una costruzione scenografica costruita e poco naturale, un po’, forse, come nella vita normale istinto e giudizio etico-sociale. Questo incontro tra desideri contrastanti c’è anche nella serie dedicata ai killer, in cui però, insieme all’appeal e al timore reverenziale che questi volti sanno suscitare, si unisce in maniera più lampante la dimensione del colore, un colore che viene utilizzato per enfatizzare quei dettagli, come gli occhiali scuri, che rendono il ritratto ancora più intrigante. E poi, ad accentuare ancora di più, se possibile, tutto questo fascino misterioso, concorre l’attenzione per il genere del ritratto, un genere che da qui in poi sarà fondamentale, che già nella serie dedicata ai bambini si era manifestata in tutta la sua forza, rivelando, tra l’altro, un certo caravaggismo di fondo, nel suo concentrarsi su luci radenti e su espressioni e particolarità che si manifestano senza vergogna in tutta la loro serena sincerità. Ecco allora che torna quell’antropocentrismo che per Colombo è un fatto principalmente di umanità, di rivelazione anche di gesti minimi e quotidiani, che pure vengono documentati nella serie dedicata al sud, ma che si manifesta anche nella creatura innocente per antonomasia, un bambino, oppure negli istinti latenti che fanno parte del suo essere animale, come il sesso e la violenza. Ma poi ci sono anche la tradizione, il ricordo, l’ambiente: ecco cos’è il sud di Dario Colombo, è la ricchezza di un contesto che vive di relazioni, di contatti, ma anche di passato, di storia, di un patrimonio che altrove è molto più debole. È un’attenzione quasi fiamminga per il dettaglio, quella della serie Sud, perché l’identità dell’uomo si manifesta anche così, attraverso i particolari della vita quotidiana, una vita sempre più difficile e veloce, dove il confronto tende a venir meno, dove l’abitudine alle proprie cose prevale sulla volontà di vedere il diverso. Così, visto l’impasto etnico cui la nostra società sta tendendo, e vista la difficile convivenza, forse l’unico modo è quello di mostrarlo, l’altro, il diverso, perché poi, considerando tutte le variabili, il diverso è giusto che resti tale, ma in senso buono, perché senza confronto, senza differenze, il nostro sviluppo umano subirebbe una battuta d’arresto catastrofica. Insomma, tutta la serie dei ritratti, un po’ si concentra anche su questo, rinomina un concetto che oramai assume solo connotati violenti, e lo fa interagire con un’altra componente, il colore, che a questo punto si materializza sino a divenire dimensione, volume, espressione. Negli ultimi anni, insomma, l’aspetto pittorico assume un peso particolare, divenendo un elemento sempre più centrale nell’analisi dell’artista, che lo fa interagire con le espressioni intense degli sguardi e dei volti dei suoi grandi pannelli, trovando un rapporto con il ritratto classico che si basa su presupposti totalmente nuovi. Certo, perché il taglio nitido dei suoi scatti, insieme all’austerità della composizione formale, e all’uso intrigante della luce, riportano al contesto del ritratto di stato, quel ritratto che qui non è più un’affermazione formale di rango, ma piuttosto una dichiarazione seria dell’appartenenza al genere umano. Ecco allora che il rigore pulito delle forme, viene scaldato dal colore, che attiva il ritratto rendendolo più vicino, più intimo. Chissà, forse sarà proprio a partire da qui che cominceremo a capire che chi vive con noi in fondo non è diverso, ma è solo e semplicemente un’altra variante del se’.
Elena Forin
LA MOSTRA E' RICONOSCIUTA DALL'EVENTO "OLIMPIADI DELLA CULTURA - TORINO 2006"
DARIO COLOMBO
Con la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento ha avuto luogo un fenomeno importante tanto per l’arte quanto per la cultura in senso ampio, ma anche per il tortuoso sviluppo di una consapevolezza sociale che purtroppo, come dimostrano i recenti fatti di Parigi, ancora oggi non ha raggiunto il livello di maturazione da molti auspicata. Quello che avvenne, fu un connubio tra il forte impulso di una giovane e vitale scienza come la psicologia, e il vasto mondo dell’arte, in tutte le sue molteplici e variegate declinazioni. Quello che ne risultò fu un impasto estremamente ricco e complesso, che a partire dalle scoperte di Freud e colleghi, sarebbe stato l’ingrediente fondamentale per la nascita di un nuovo e moderno antropocentrismo. Certo, perché il grande protagonista del secolo scorso è stato proprio l’uomo, un uomo che ha deciso di scoprire se stesso e il suo rapporto con il mondo, un uomo che ha cominciato ad imparare a riconoscere i suoi limiti, che ha messo alla prova le convenzioni di un ordine prestabilito dimostrando la forza di certe idee, un uomo, insomma, quello del Novecento, che cerca di vivere in maniera critica il suo essere un animale sociale. E certo, la psicologia è stata importante, perché al di là dei casi specifici la cui influenza è palesemente riconoscibile, possiamo affermare che questa nuova scienza abbia fornito gli strumenti per una consapevolezza del sé e del sociale sempre più approfondita, e che insomma abbia aiutato l’affermazione di tutti quei presupposti per lo sviluppo di un moderno sistema sociale.
L’arte contemporanea ha visto in questa nuova attenzione per l’uomo e per il suo mondo, una risposta a tutte quelle tensioni che da tempo gli artisti andavano manifestando, e ne ha fatto uno dei suoi prediletti cavalli di battaglia. Ecco allora che cos’é questo nuovo antropocentrismo, è la volontà di conoscere anche attraverso l’arte, l’essere umano in tutta la sua complessità umana e sociale. Varie esperienze nacquero sulla base di tale necessità, come ad esempio gli studi di August Sander sulla composizione della società tedesca, una società di inizio secolo che veniva fotografata dal suo attento obbiettivo per poter fornire una sorta di antropologia sociale.
Col passare del tempo, tuttavia, aumentava anche la complessità dell’approccio umano nei confronti dei propri simili, perciò a delle indagini su larga scala, si cominciarono a preferire degli studi che si soffermassero maggiormente sulla natura prettamente umana della società. Ecco allora Diane Arbus, con un’indagine volta a documentare la diversità e gli eccessi cui l’uomo tende per natura o per deviazione, oppure Dorothea Lange, che documentò i cambiamenti avvenuti in seguito alla grande crisi del 1929 lavorando come fotografa per il Rural Resettlement Administration.
In anni più recenti l’attenzione si è rivolta verso direzioni molteplici, ma, ai fini della nostra analisi, forse alcuni sembrano emergere più di altri, per parentela o per contrasto: Thomas Struth e Thomas Ruff hanno voluto creare il vuoto intorno ai ritratti dei personaggi che sceglievano, mostrando una società sempre più veloce e superficiale, in cui anche l’uomo perde la consistenza della sua personalità sino a divenire un essere totalmente anonimo. Nan Goldin, invece, predilige le situazioni estreme, il delirio di certe feste sfrenate, l’esibizione di una sessualità ambigua, colorata ed eccentrica.
E se di colore ed eccentricità sono intrisi anche i lavori di Dario Colombo, molte precisazioni vanno fatte, perché il suo è un antropocentrismo tutto particolare, è un’attenzione nei confronti del genere, che certo tiene conto di tutta la tradizione di cui si è parlato, ma che si muove in maniera autonoma e verso direzioni diverse, perché non si tratta più di denunciare il rischio dell’anonimato verso cui ci porta la società di massa come per Struth e Ruff, e neanche di attivare una reazione nei confronti di situazioni umane difficili, come per Arbus, o di allontanare ogni forma di giudizio etico sui comportamenti sessuali. Per Colombo il discorso è differente, perché quello che emerge dai suoi lavori, è piuttosto la necessità di soffermarsi a riflettere sulla propria identità di uomini, è la volontà di mettere in moto una ricognizione sul concetto di genere, di realtà non psicologica, ma umana, una realtà, insomma, non individuale, ma universale, intima dell’uomo inteso come specie. Ecco allora che dare uno sguardo d’insieme al corpus di opere dell’artista, significa seguire una strada che si sofferma ogni volta su aspetti diversi, ma che vanno a formare un percorso complesso, uno studio dall’impianto attento e raffinato, in cui i rimandi con la storia della cultura si legano con quell’indagine di cui si è appena detto.
Ma non solo, perché l’uso della fotografia si unisce ad un gusto particolare, al richiamo del colore, della composizione, e della forma, così due diverse concettualità come quella della pittura e del mezzo fotografico, si incontrano attivando un interessante gioco dialettico di parentele e contrasti, che nel continuo confronto riesce a trasformarsi in una forza vitale travolgente, che appassiona lo spettatore, incuriosito dal richiamo umano ed estetico dei lavori.
E allora ecco la serie sul sesso, un insieme di immagini tratte da video ripresi in sale cinematografiche per soli adulti, immagini sfocate, ma accattivanti anche a causa della loro scarsa nitidezza, di quel senso del proibito che trapela dall’impianto formale, dalla geometria di quei corpi che nella letteratura visiva del porno manifestano una libertà e una disinvoltura, che stridono con una costruzione scenografica costruita e poco naturale, un po’, forse, come nella vita normale istinto e giudizio etico-sociale. Questo incontro tra desideri contrastanti c’è anche nella serie dedicata ai killer, in cui però, insieme all’appeal e al timore reverenziale che questi volti sanno suscitare, si unisce in maniera più lampante la dimensione del colore, un colore che viene utilizzato per enfatizzare quei dettagli, come gli occhiali scuri, che rendono il ritratto ancora più intrigante. E poi, ad accentuare ancora di più, se possibile, tutto questo fascino misterioso, concorre l’attenzione per il genere del ritratto, un genere che da qui in poi sarà fondamentale, che già nella serie dedicata ai bambini si era manifestata in tutta la sua forza, rivelando, tra l’altro, un certo caravaggismo di fondo, nel suo concentrarsi su luci radenti e su espressioni e particolarità che si manifestano senza vergogna in tutta la loro serena sincerità. Ecco allora che torna quell’antropocentrismo che per Colombo è un fatto principalmente di umanità, di rivelazione anche di gesti minimi e quotidiani, che pure vengono documentati nella serie dedicata al sud, ma che si manifesta anche nella creatura innocente per antonomasia, un bambino, oppure negli istinti latenti che fanno parte del suo essere animale, come il sesso e la violenza. Ma poi ci sono anche la tradizione, il ricordo, l’ambiente: ecco cos’è il sud di Dario Colombo, è la ricchezza di un contesto che vive di relazioni, di contatti, ma anche di passato, di storia, di un patrimonio che altrove è molto più debole. È un’attenzione quasi fiamminga per il dettaglio, quella della serie Sud, perché l’identità dell’uomo si manifesta anche così, attraverso i particolari della vita quotidiana, una vita sempre più difficile e veloce, dove il confronto tende a venir meno, dove l’abitudine alle proprie cose prevale sulla volontà di vedere il diverso. Così, visto l’impasto etnico cui la nostra società sta tendendo, e vista la difficile convivenza, forse l’unico modo è quello di mostrarlo, l’altro, il diverso, perché poi, considerando tutte le variabili, il diverso è giusto che resti tale, ma in senso buono, perché senza confronto, senza differenze, il nostro sviluppo umano subirebbe una battuta d’arresto catastrofica. Insomma, tutta la serie dei ritratti, un po’ si concentra anche su questo, rinomina un concetto che oramai assume solo connotati violenti, e lo fa interagire con un’altra componente, il colore, che a questo punto si materializza sino a divenire dimensione, volume, espressione. Negli ultimi anni, insomma, l’aspetto pittorico assume un peso particolare, divenendo un elemento sempre più centrale nell’analisi dell’artista, che lo fa interagire con le espressioni intense degli sguardi e dei volti dei suoi grandi pannelli, trovando un rapporto con il ritratto classico che si basa su presupposti totalmente nuovi. Certo, perché il taglio nitido dei suoi scatti, insieme all’austerità della composizione formale, e all’uso intrigante della luce, riportano al contesto del ritratto di stato, quel ritratto che qui non è più un’affermazione formale di rango, ma piuttosto una dichiarazione seria dell’appartenenza al genere umano. Ecco allora che il rigore pulito delle forme, viene scaldato dal colore, che attiva il ritratto rendendolo più vicino, più intimo. Chissà, forse sarà proprio a partire da qui che cominceremo a capire che chi vive con noi in fondo non è diverso, ma è solo e semplicemente un’altra variante del se’.
Elena Forin
04
febbraio 2006
Dario Colombo
Dal 04 febbraio al 05 marzo 2006
fotografia
Location
SABRINA RAFFAGHELLO ARTE CONTEMPORANEA
Ovada, Via Benedetto Cairoli, 42, (Alessandria)
Ovada, Via Benedetto Cairoli, 42, (Alessandria)
Orario di apertura
dal mercoledì al sabato dalle 10,30 alle 12,30 e dalle 16,30 alle 19,30; la domenica su appuntamento
Vernissage
4 Febbraio 2006, ore 17
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