Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Dario Lazzaretto – I miei anni invisibili
Un nuovo lavoro di ricerca, una video-installazione di Giuliana Racco, giovane artista Canadese. E anche un’azione performativa richiesta al pubblico durante l’inaugurazione. Incisiva e delicata, Giuliana Racco propone il proprio lucido punto di vista sulle contraddizioni Italiane.(Dario Lazzaretto)
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Precari. In crisi. Disillusi. Esauriti. Svogliati. Stanchi. Precari.
Ancora precari.
Provate a sedervi in cinque diversi bar frequentati da giovani (va
bene qualunque città, purchè italiana, ovviamente) e ascoltate i
discorsi delle persone intorno a voi fingendovi disinteressati,
distratti, persi nei vostri pensieri. Una percentuale cospicua delle
persone che vi circonda parlerà della cosiddetta crisi (parola che
sta vivendo in questo momento una popolarità probabilmente
insperata e mai sperimentata), una percentuale forse minore ma
altrettanto interessante si lamenterà del proprio lavoro, del fatto
che non si può permettere di andare via di casa, del precariato e di
una varietà di altri flagelli che affliggono la nostra generazione,
definendosi probabilmente con alcune delle parole elencate nella
prima riga.
Negli ultimi anni molto più che in passato anche i media sembrano
interessati a tracciare un ritratto della attuale generazione dei
trentenni italiani, della quale è ovviamente possibile dire tutto e
niente, inventare ancora di più e generalizzare come non mai.
Dicono che siamo quelli che stanno a casa con i genitori per non
pagare un afftto. Quelli che, si sa, l'affitto è uno spreco di soldi,
meglio pensare al mutuo. Quelli che non si adattano ad un lavoro
perchè poco adatto alle loro ambizioni, troppo lontano, troppo
scomodo, troppo poco pagato. Oppure forse quelli che di lavori ne
fanno due, o anche tre, per mettere insieme uno stipendio appena
decente per vivere fuori di casa e sentirsi finalmente indipendenti.
Ma se ci fermiamo un attimo a pensarci, chi siamo davvero? Siamo
la quantità di euro che guadagnamo al mese? Siamo quel lavoro che
non ci piace e non ci regala niente ma ci fa mangiare?
2
Siamo quelle ore spese davanti al computer a cercare lavori e
spedire CV o siamo tutti i lavori che abbiamo rifiutato perchè
credevamo di non averne bisogno? Siamo la generazione Sì, quella
che non può mai rifiutare e accettare ogni lavoro come una
benedizione, anche quando non è pagato? E quando è esistita una
generazione No in cui c'era davvero una scelta? E a noi, una scelta
è davvero negata o ci piace pensarlo per lamentarci?
Una condizione che spesso ci fa sentire inadeguati, fino al momento
in cui ci ricordiamo che anche per gli altri è così, che non siamo gli
unici ad avere certe preoccupazioni, come se questo potesse
consolarci, certo.
Probabilmente la risposta a tutte le domande poste fino ad ora è
che siamo ciò che facciamo. Ma molto di quello che facciamo è
invisibile. Lavori precari, lavori in nero, lavori non pagati, affitti non
registrati legalmente. Siamo anche questo, e dunque è spesso
difficile fare sì che tali esperienze ci vengano riconosciute come
dovrebbero, vengano per esempio valutate in un CV proprio perché
non vi possono essere inserite.
I miei anni invisibili è sorprendentemente attuale in questo senso.
Giuliana Racco prende spunto dalla propria personale esperienza
lavorativa e più in generale di quotidianità in Italia per tracciare un
ritratto pieno di zone d'ombra, o meglio zone invisibili.
Il lavoro si compone principalmente di due parti, complementari
anche se molto diverse tra loro e raggruppate entrambe sotto il
titolo dato alla mostra.
Il video rappresenta un ironico quanto amaro commentario alla
burocrazia italiana e in particolare al suo linguaggio difficile e pieno
di termini obsoleti. Troppo spesso infatti le definizioni e i termini
utilizzati per esempio nei vecchi libretti di lavoro sono di difficile
riscontro nella realtà. Cercano di creare una classificazione nella
quale incasellare le persone e le relative prestazioni lavorative,
spesso con uno scollamento quasi imbarazzante rispetto alla realtà
3
dei fatti, mentre con il commento fuori campo la voce dell'artista
sottolinea il paradosso e la totale inadeguatezza del linguaggio
burocratico. L'interpretazione offerta dal commento dell'artista
sottolinea ancora una volta come sia più semplice per la
giurisprudenza italiana utilizzare definizioni che non corrispondono
a realtà piuttosto che cercare di smussare o risolvere tali
incongruenze.
La seconda parte del lavoro è costituita da un CV dell'artista
appeso nello spazio espositivo. Gli spazi apparentemente vuoti
sulla carta rivelano invece, ad un esame più attento con una
lampada di Wood, una serie di lavori illegali che l'artista ha svolto
nel corso degli anni e residenze in cui ha vissuto illegalmente. Tali
esperienze sono stampate su carta con uno speciale inchiostro
invisibile ad occhio nudo (proprio come le esperienze di cui si
parla). Come a dire, solo perché non è legale non significa che non
sia successo.
Eccoli, quegli anni invisibili di cui probabilmente molti di noi hanno
esperienza.
Prestazioni lavorative non regolari, passaggi in luoghi in cui
abbiamo vissuto di cui non è rimasta traccia da nessuna parte.
La mostra è completata infine da una componente performativa che
richiede la partecipazione del pubblico: la cartolina invito distribuita
in occasione della pubblicità dell'evento, si rivela infatti una sorta di
modulo che il pubblico può compilare con l'artista in occasione
dell'inaugurazione della mostra, raccontando i propri anni invisibili.
Questo ad ulteriore dimostrazione che la voce dell'artista è in realtà
l'espressione di un coro molto più vasto di persone con le stesse
problematiche e le stesse esperienze.
E che l'invisibilità è una condizione più comune di quanto pensiamo.
(Teresa Iannotta)
Ancora precari.
Provate a sedervi in cinque diversi bar frequentati da giovani (va
bene qualunque città, purchè italiana, ovviamente) e ascoltate i
discorsi delle persone intorno a voi fingendovi disinteressati,
distratti, persi nei vostri pensieri. Una percentuale cospicua delle
persone che vi circonda parlerà della cosiddetta crisi (parola che
sta vivendo in questo momento una popolarità probabilmente
insperata e mai sperimentata), una percentuale forse minore ma
altrettanto interessante si lamenterà del proprio lavoro, del fatto
che non si può permettere di andare via di casa, del precariato e di
una varietà di altri flagelli che affliggono la nostra generazione,
definendosi probabilmente con alcune delle parole elencate nella
prima riga.
Negli ultimi anni molto più che in passato anche i media sembrano
interessati a tracciare un ritratto della attuale generazione dei
trentenni italiani, della quale è ovviamente possibile dire tutto e
niente, inventare ancora di più e generalizzare come non mai.
Dicono che siamo quelli che stanno a casa con i genitori per non
pagare un afftto. Quelli che, si sa, l'affitto è uno spreco di soldi,
meglio pensare al mutuo. Quelli che non si adattano ad un lavoro
perchè poco adatto alle loro ambizioni, troppo lontano, troppo
scomodo, troppo poco pagato. Oppure forse quelli che di lavori ne
fanno due, o anche tre, per mettere insieme uno stipendio appena
decente per vivere fuori di casa e sentirsi finalmente indipendenti.
Ma se ci fermiamo un attimo a pensarci, chi siamo davvero? Siamo
la quantità di euro che guadagnamo al mese? Siamo quel lavoro che
non ci piace e non ci regala niente ma ci fa mangiare?
2
Siamo quelle ore spese davanti al computer a cercare lavori e
spedire CV o siamo tutti i lavori che abbiamo rifiutato perchè
credevamo di non averne bisogno? Siamo la generazione Sì, quella
che non può mai rifiutare e accettare ogni lavoro come una
benedizione, anche quando non è pagato? E quando è esistita una
generazione No in cui c'era davvero una scelta? E a noi, una scelta
è davvero negata o ci piace pensarlo per lamentarci?
Una condizione che spesso ci fa sentire inadeguati, fino al momento
in cui ci ricordiamo che anche per gli altri è così, che non siamo gli
unici ad avere certe preoccupazioni, come se questo potesse
consolarci, certo.
Probabilmente la risposta a tutte le domande poste fino ad ora è
che siamo ciò che facciamo. Ma molto di quello che facciamo è
invisibile. Lavori precari, lavori in nero, lavori non pagati, affitti non
registrati legalmente. Siamo anche questo, e dunque è spesso
difficile fare sì che tali esperienze ci vengano riconosciute come
dovrebbero, vengano per esempio valutate in un CV proprio perché
non vi possono essere inserite.
I miei anni invisibili è sorprendentemente attuale in questo senso.
Giuliana Racco prende spunto dalla propria personale esperienza
lavorativa e più in generale di quotidianità in Italia per tracciare un
ritratto pieno di zone d'ombra, o meglio zone invisibili.
Il lavoro si compone principalmente di due parti, complementari
anche se molto diverse tra loro e raggruppate entrambe sotto il
titolo dato alla mostra.
Il video rappresenta un ironico quanto amaro commentario alla
burocrazia italiana e in particolare al suo linguaggio difficile e pieno
di termini obsoleti. Troppo spesso infatti le definizioni e i termini
utilizzati per esempio nei vecchi libretti di lavoro sono di difficile
riscontro nella realtà. Cercano di creare una classificazione nella
quale incasellare le persone e le relative prestazioni lavorative,
spesso con uno scollamento quasi imbarazzante rispetto alla realtà
3
dei fatti, mentre con il commento fuori campo la voce dell'artista
sottolinea il paradosso e la totale inadeguatezza del linguaggio
burocratico. L'interpretazione offerta dal commento dell'artista
sottolinea ancora una volta come sia più semplice per la
giurisprudenza italiana utilizzare definizioni che non corrispondono
a realtà piuttosto che cercare di smussare o risolvere tali
incongruenze.
La seconda parte del lavoro è costituita da un CV dell'artista
appeso nello spazio espositivo. Gli spazi apparentemente vuoti
sulla carta rivelano invece, ad un esame più attento con una
lampada di Wood, una serie di lavori illegali che l'artista ha svolto
nel corso degli anni e residenze in cui ha vissuto illegalmente. Tali
esperienze sono stampate su carta con uno speciale inchiostro
invisibile ad occhio nudo (proprio come le esperienze di cui si
parla). Come a dire, solo perché non è legale non significa che non
sia successo.
Eccoli, quegli anni invisibili di cui probabilmente molti di noi hanno
esperienza.
Prestazioni lavorative non regolari, passaggi in luoghi in cui
abbiamo vissuto di cui non è rimasta traccia da nessuna parte.
La mostra è completata infine da una componente performativa che
richiede la partecipazione del pubblico: la cartolina invito distribuita
in occasione della pubblicità dell'evento, si rivela infatti una sorta di
modulo che il pubblico può compilare con l'artista in occasione
dell'inaugurazione della mostra, raccontando i propri anni invisibili.
Questo ad ulteriore dimostrazione che la voce dell'artista è in realtà
l'espressione di un coro molto più vasto di persone con le stesse
problematiche e le stesse esperienze.
E che l'invisibilità è una condizione più comune di quanto pensiamo.
(Teresa Iannotta)
14
novembre 2008
Dario Lazzaretto – I miei anni invisibili
Dal 14 novembre al 15 dicembre 2008
arte contemporanea
giovane arte
giovane arte
Location
NOLOCO STUDIO
Padova, Volto Dell'orologio, 29, (Padova)
Padova, Volto Dell'orologio, 29, (Padova)
Orario di apertura
da mercoledì a sabato ore 17.00-20.00 (o su appuntamento)
Vernissage
14 Novembre 2008, ore 18.30
Autore
Curatore