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Dario Zaffaroni – Punti di (s)vista
La personale dell’artista Dario Zaffaroni, che si terrà a Como, consta di una ventina di lavori che abbracciano circa 40 anni di carriera del maestro, dai famosi rulli, alle dinamiche bicromiche, dinamiche policrome fino alle recenti stampe digitali.
Comunicato stampa
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La mostra Punti di (s)vista di Dario Zaffaroni presso la Galleria Arte Contemporanea e Dintorni a Como, presenta una accurata selezione di opere a partire degli anni ’70 che bene riassumono gli sviluppi del suo lavoro.
Dario Zaffaroni possiede un percorso artistico che fonda le sue radici dai fermenti culturali/creativi degli anni ’60 / ’70 e la percezione visiva è l’elemento fondamentale del suo lavoro.
Nei primi anni ’70 Zaffaroni inizia una ricerca artistica sul colore definita Cromodinamiche Fluorescenti in cui non solo l’opera d’arte si allontanava sempre più dalla raffigurazione della realtà, ma l’osservatore perdeva la sua passività per entrare in relazione dinamica con l’opera: egli stesso poteva diventarne complemento e completamento tanto che il suo modo di interagire con essa poteva cambiarla o modificarle senso. Zaffaroni si lascia affascinare da questo modo di fare arte e in Cromodinamiche Fluorescenti lavora con forme, rilievi geometrici e carta ritagliata dai colori fluorescenti. Esclude a priori qualsiasi forma di miscelazione del colore. La fluorescenza assume un ruolo di forte stimolo visivo, agisce quasi da richiamo dell’attenzione. Catturato lo sguardo dell’osservatore, lo affascina e lo sorprende invitandolo a un gioco di variazioni di toni, di luci, ombre e forme che sono il risultato del movimento dell’osservatore rispetto al lavoro artistico. Il rigore matematico, delle strisce colorate che si intersecano, coinvolgono il soggetto che guarda a modificare il suo punto di (s)vista le forme si liberano e acquistano dinamismo ed energia.
Dopo le Cromodinamiche Fluorescenti Zaffaroni intraprende un nuovo percorso artistico in cui la percezione dell’opera abbandona l’aspetto solare e ludico e diventa più enigmatico. L’artista cambia strumento espressivo e utilizza il computer attraverso il quale cattura e rielabora immagini nelle forme possibili. Questa scelta nasce dall’analisi del nuovo contesto sociale in cui la tecnologia, in particolare gli strumenti informatici, diventano sempre più il mezzo attraverso il quale l’uomo riceve gli stimoli percettivi.
Zaffaroni prosegue la sua esplorazione nel digitale e arriva a produrre la serie Digital Textur. In questi lavori non c’è più nessuna forma precostituita alla quale l’osservatore possa relazionarsi ed è costretto ad affrontare l’indeterminazione. Chi guarda è lasciato nel ruolo perenne di ricercatore, perché si trova in un ambiente confuso che sembra non portare a nessun risultato definito.
Digital Textur raffigurano miriadi di pixel cromatici apparentemente caotici dai quali, come magicamente, fa apparire e svelare parole e frasi famose (Arte, I have a dream, Yes we can…) che fanno parte del patrimonio culturale collettivo. Le frasi sono celate quanto basta per non dare la sensazione a chi guarda di trovarsi nell’assenza di un oggetto o di una forma. Per scoprire la frase nascosta è inoltre importante il movimento dell’osservatore, chi guarda deve allontanarsi per avere una percezione d’insieme dell’opera. Quando l’osservatore svela la frase nascosta nell’opera si scopre un'altra caratteristica dei lavori Digital Textur: il senso lo si può facilmente smarrire o ritrovare. Infatti basta un movimento, una visione, più rapida dell’insieme dell’opera per perdere la (s)vista della frase. In tal caso il soggetto che guarda è posto nella condizione di decidere se prendere o meno consapevolezza del contenuto.
I percorsi scelti dall’artista sono l’invito al superamento dell’”indeterminatezza” senza perdere, come fa da tempo Zaffaroni, il gusto della ricerca e del gioco che sono parte intrinseca della sua arte e, forse, del suo modo di vivere.
Melina Scalise
(Spazio Tadini – Milano)
Dario Zaffaroni possiede un percorso artistico che fonda le sue radici dai fermenti culturali/creativi degli anni ’60 / ’70 e la percezione visiva è l’elemento fondamentale del suo lavoro.
Nei primi anni ’70 Zaffaroni inizia una ricerca artistica sul colore definita Cromodinamiche Fluorescenti in cui non solo l’opera d’arte si allontanava sempre più dalla raffigurazione della realtà, ma l’osservatore perdeva la sua passività per entrare in relazione dinamica con l’opera: egli stesso poteva diventarne complemento e completamento tanto che il suo modo di interagire con essa poteva cambiarla o modificarle senso. Zaffaroni si lascia affascinare da questo modo di fare arte e in Cromodinamiche Fluorescenti lavora con forme, rilievi geometrici e carta ritagliata dai colori fluorescenti. Esclude a priori qualsiasi forma di miscelazione del colore. La fluorescenza assume un ruolo di forte stimolo visivo, agisce quasi da richiamo dell’attenzione. Catturato lo sguardo dell’osservatore, lo affascina e lo sorprende invitandolo a un gioco di variazioni di toni, di luci, ombre e forme che sono il risultato del movimento dell’osservatore rispetto al lavoro artistico. Il rigore matematico, delle strisce colorate che si intersecano, coinvolgono il soggetto che guarda a modificare il suo punto di (s)vista le forme si liberano e acquistano dinamismo ed energia.
Dopo le Cromodinamiche Fluorescenti Zaffaroni intraprende un nuovo percorso artistico in cui la percezione dell’opera abbandona l’aspetto solare e ludico e diventa più enigmatico. L’artista cambia strumento espressivo e utilizza il computer attraverso il quale cattura e rielabora immagini nelle forme possibili. Questa scelta nasce dall’analisi del nuovo contesto sociale in cui la tecnologia, in particolare gli strumenti informatici, diventano sempre più il mezzo attraverso il quale l’uomo riceve gli stimoli percettivi.
Zaffaroni prosegue la sua esplorazione nel digitale e arriva a produrre la serie Digital Textur. In questi lavori non c’è più nessuna forma precostituita alla quale l’osservatore possa relazionarsi ed è costretto ad affrontare l’indeterminazione. Chi guarda è lasciato nel ruolo perenne di ricercatore, perché si trova in un ambiente confuso che sembra non portare a nessun risultato definito.
Digital Textur raffigurano miriadi di pixel cromatici apparentemente caotici dai quali, come magicamente, fa apparire e svelare parole e frasi famose (Arte, I have a dream, Yes we can…) che fanno parte del patrimonio culturale collettivo. Le frasi sono celate quanto basta per non dare la sensazione a chi guarda di trovarsi nell’assenza di un oggetto o di una forma. Per scoprire la frase nascosta è inoltre importante il movimento dell’osservatore, chi guarda deve allontanarsi per avere una percezione d’insieme dell’opera. Quando l’osservatore svela la frase nascosta nell’opera si scopre un'altra caratteristica dei lavori Digital Textur: il senso lo si può facilmente smarrire o ritrovare. Infatti basta un movimento, una visione, più rapida dell’insieme dell’opera per perdere la (s)vista della frase. In tal caso il soggetto che guarda è posto nella condizione di decidere se prendere o meno consapevolezza del contenuto.
I percorsi scelti dall’artista sono l’invito al superamento dell’”indeterminatezza” senza perdere, come fa da tempo Zaffaroni, il gusto della ricerca e del gioco che sono parte intrinseca della sua arte e, forse, del suo modo di vivere.
Melina Scalise
(Spazio Tadini – Milano)
03
ottobre 2009
Dario Zaffaroni – Punti di (s)vista
Dal 03 al 31 ottobre 2009
arte contemporanea
Location
GALLERIA ARTE CONTEMPORANEA E DINTORNI
Como, Via Borgo Vico, 12, (Como)
Como, Via Borgo Vico, 12, (Como)
Biglietti
Libero
Orario di apertura
Da Martedì a Venerdì 15:30 - 19:30
Sabato 10:30 - 12:30 15:30 - 19:30
Vernissage
3 Ottobre 2009, ore 17:30
Autore
Curatore