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Davide Di Pasquale – Made in China
Un viaggio per immagini nel “ventre del dragone”. Un fotografo siciliano percorre la Cina e ne registra i mille volti: la gente, le città e il paesaggio in bilico tra stereotipi e tradizione, post modernità e irrefrenabile umanità. 40 scatti e un obiettivo per il Catai di inizio millennio.
Comunicato stampa
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La Galleria Fotografica Luigi Ghirri di Caltagirone CT,
nel promuovere la fotografia, con mostre, attività culturali, incontri e pubblicazioni, muove la sua focale sul registro ampio del contemporaneo cercando di dare spazio – senza preclusioni o avventate certezze – alle esperienze più varie della ricerca fotografica: dal lavoro degli autori ampiamente storicizzati, alle più attuali indagini in progress senza tralasciare peraltro mirate incursioni nella fotografia storica o attente riflessioni sul lavoro di fotografi “di professione” coloro che, fondamentalmente, rappresentano l’humus antropologico fatto di studi capillarmente diffusi sul territorio del quale, immancabilmente, conservano la memoria visiva.
Ma cosa accade quando un fotografo “di professione” esce dal suo studio e veste i panni di un reporter?
Cosa vede allontanandosi da sale di posa, lampade, album e software dedicati per cedere allo stupore?
Questa mostra di Davide DI PASQUALE – figlio d’arte e fotografo di professione – con le sue quaranta fotografie dal ventre del dragone cinese ci consente, in tal senso, di avere delle risposte e traguardare il Celeste Impero attraverso l’obiettivo di chi, avvezzo a ben altri soggetti e latitudini, ne scruta e ne registra fotograficamente l’esotica unicità confrontandosi col gigante asiatico e con il fluire incessante di immagini che, nel suo e nel nostro background visivo, lo rappresentano.
La scelta linguistica dell’autore – il colore fotografico – concede all’intera gamma del visibile le immagini di questo reportage dove ogni singolo fotogramma è immancabilmente, incontestabilmente e inesorabilmente cinese: colori e volti, ritmi e gesti, architetture, dettagli e paesaggi infatti non lasciano dubbi sulle coordinate geografiche esplorate dal DI PASQUALE che, deliberatamente, oscilla tra un dejà vu da cartolina e il caleidoscopio dinamico da horror vacui futurista, per restituirci il suo Catai contemporaneo.
Cina, Cina e ancora implacabilmente Made in China.
Oggi si può solo congetturare sulle immagini che accolsero i mercanti italiani lungo la medievale Via della seta – non troveremo mai, perché hai noi mai esistito, nessun dagherrotipo o albumina di tale vetustà – ma di una cosa potremo essere certi: analogo sarà stato lo sconcerto e l’interesse; stesso, il tentativo di discernimento di fronte ad una civiltà millenaria così singolare e antagonista; unico, il senso di smarrimento di fronte ai grandi numeri, gli unici che si possono associare a questa parte del globo e, forse, solo la prospettiva e la distanza, che nemmeno la stessa globalizzazione contemporanea riesce ad annullare, possono concedere a noi – e al fotoreporter per caso – di poter reggere il peso di questo Oriente estremo.
Sebastiano FAVITTA e Attilio GERBINO
Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
Caltagirone, marzo 2012
Continente Cina secondo Davide DI PASQUALE
In the haze of the morning, China sits on eternity
And the opium farmers sell dreams to obscure fraternities
On the horizon the curtains are closing
Down in the orchard the aunties and uncles play their games
(like it seems they always have done)
In the blue distance the vertical offices bear their names
(like it seems they always have done)
Clocks ticking slowly, dividing the day up
These poor girls are such fun they know what God gave them fingers for
(to make percussion over solos)
China my China, I’ve wandered around and you’re still here
(which I guess you should be proud of)
Your walls have enclosed you, have kept you at home for thousands of years
(but there’s something I should tell you)
All the young boys are dressing like sailors
I remember a man who jumped out from a window over the bay
(there was hardly a raised eyebrow)
The coroner told me ’this kind of thing happens every day’
You see, from a pagoda, the world is so tidy
Nella foschia del mattino, la Cina mette nel cassetto l'eternità
E i coltivatori di oppio vendono sogni a oscure fratellanze
All'orizzonte si stanno chiudendo le tende
Giù nel frutteto le zie e gli zii giocano i loro giochi
(Come a quanto pare hanno sempre fatto)
In lontananza gli uffici blu verticali recano i loro nomi
(Come a quanto pare hanno sempre fatto)
Gli orologi girano lentamente, scandendo la giornata
Queste povere ragazze sono così divertenti, loro sanno per cosa Dio ha dato loro le dita
(Per fare percussione sopra gli assoli)
Cina mia Cina, ho vagato in giro e tu sei ancora qui
(Cosa di cui suppongo dovresti essere orgogliosa)
I tuoi muri ti hanno cinta, ti hanno rinchiusa in casa per migliaia di anni
(Ma c'è qualcosa che dovrei dirti)
Tutti i ragazzi giovani si vestono come marinai
Mi ricordo di un uomo che saltò fuori da una finestra sulla baia
(difficilmente ci fu un sopracciglio alzato)
Il medico legale mi ha detto 'questo genere di cose capita tutti i giorni
Vedete, da una pagoda, il mondo è così ordinato
Brian ENO, China my China, 1974
La Cina è stata la mia grande avventura.
È una grande civiltà, per volerla capire bisogna avvicinarsi quasi camuffandosi.
In tutte le lingue asiatiche “altro” è una parola orribile. Identifica lo straniero, colui che è fuori, colui che viene da fuori e deve rimanere fuori. Se si è già incapsulati all’interno di una parola che rende stranieri, l’unico modo per avvicinarsi a una cultura è fare come il camaleonte, che prende il colore della foglia se è sulla foglia e il colore della sabbia se è sulla sabbia: diventare sempre di più come l’altro.
Tiziano TERZANI, intervista di Maria Lucia DE LUCA e Marina MARRAZZI, www.zam.it
Al centro del reportage cinese del fotografo Davide DI PASQUALE ciò che mi colpisce sono i volti: c’è sempre uno sguardo, un sorriso, un guizzo di curiosità che buca l’inquadratura e giunge a noi. Come Tiziano TERZANI, anche l’artista si è lasciato trasportare dalla sua curiosità per il continente Cina. E’ possibile che il fascino e la malia di questa civiltà così dissimile dalla nostra attraggano e incantino il visitatore occidentale, proprio come racconta il nipote di Luigi BARZINI Senior, giornalista che fu a lungo in Cina ai primi del Novecento, e di cui egli ripercorre i passi nella propria autobiografia
“Girò per la città. Osservava senza pregiudizi e il ritratto che ne venne fuori non aveva nulla di retorico. […] I cinesi li amò da subito. Gli ricordavano gli italiani, avevano lo stesso fatalismo, la stessa fragilità, lo stesso scetticismo, la stessa alacrità, il senso della famiglia, il gusto delle sfumature. […] Senior rimase a Pechino per altri sei mesi. La girò tutta a cavallo e a piedi, mise il naso dappertutto, nei vicoli della città vecchia, nelle strade degli antiquari e dei librai, nelle corti dei palazzi. Gli piacevano gli odori dei mercati, fra le bancarelle ritrovava i sapori della sua infanzia. Era una vita divagatoria, immaginaria”
Andrea BARZINI, Una famiglia complicata, 1996
Nelle immagini di Davide DI PASQUALE stride il contrasto fra la Cina arcaica e l’occidentalizzazione che sta mutando radicalmente questo Paese, fra rapidi cambiamenti e potenti contraddizioni .
Dei sette miliardi di abitanti che popolano la Terra, un miliardo e trecento milioni di individui vorticano in quell’universo che alterna campagne e metropoli, dove una politica che impone di avere un unico figlio in ciascuna famiglia tenta di porre argine a questo fenomeno in esponenziale evoluzione.
Fra offerte votive e scenari da fast-food, Davide DI PASQUALE ci offre un coloratissimo spaccato urbano, dove i risciò a pedali si alternano agli scooter, i telefoni e le tazze da asporto tipiche della cultura angloamericana si sovrappongono a manifatture artigianali che ci riportano all’Ottocento contadino. Mondi rurali in estinzione e antiche pratiche di trasporto delle merci – carretti a pedali, gerle portate a spalle – vanno a sparire offuscate su uno sfondo di luci, insegne luminose, grattacieli e superstrade. Potente la scelta espressiva di rendere il flusso inarrestabile di questa mutazione attraverso un vortice di immagini in movimento, dove il soggetto in primo piano spicca colto nella perplessità un po’ sbigottita di questo epocale cambiamento.
Anni di sviluppo tumultuoso hanno portato il Dragone al centro dello scacchiere economico e politico mondiale, facendolo ritornare ai fasti di un passato non molto lontano, anche se spesso dimenticato. Ora, però, il gigante appare fragile e ricco di contraddizioni: senza una politica industriale oculata, improntata all’innovazione e non solo ai bassi costi, il Paese rischia di frantumare la propria crescita alla stessa velocità con cui l’ha creata.
Giuliano NOCI, Continente Cina: un vortice di cambiamenti all’orizzonte, www.ict4executive.it
Un malinconico Mao ZEDONG ci saluta da una delle fotografie in mostra, muto testimone di un mondo scomodo e quasi dimenticato. Le giovani sorridenti in uniforme e copricapo a bustina sono le nuove omologate schiave del consumismo commerciale orientale, nuove dittature consumiste hanno ammaliato e definitivamente conquistato il vecchio gigante comunista. Nelle foto di Davide DI PASQUALE si respira la libertà che la Cina pensa di aver conquistato e il conto che il mondo occidentale ogni giorno presenta a chi ne è preda.
Oggi l'economia è fatta, per costringere tanta gente, a lavorare a ritmi spaventosi per produrre delle cose per lo più inutili, che altri lavorano a ritmi spaventosi, per poter comprare, perché questo è ciò che dà soldi alle società multinazionali, alle grandi aziende, ma non dà felicità alla gente. Io trovo che c'è una bella parola in italiano che è molto più calzante della parola felice, ed è contento, accontentarsi, uno che si accontenta è un uomo felice.
Tiziano TERZANI, Anam, il senzanome, 2004
Marina BENEDETTO
Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
Savona, febbraio 2012
Un reportage dalla Cina?
Ma non è sufficiente rimanere a casa?
Scherzo, ovviamente.
Ma attorno a me, a Catania, ne incontro tanti, che lavorano continuamente, grandi e piccoli, uomini e donne; mai in ozio, mai in attesa. Sempre impegnati in qualcosa che raramente è un passatempo.
Per un perditempo come il sottoscritto, lo stupore è consequenziale: ma appena mi trasferisco a Roma, o a Milano, lo stupore diventa riflessione che si conclude con la domanda: ma dove abitano i cinesi? In Cina, a quanto pare. Ma non tutti. In tutto il mondo, la restante parte, sicuramente. E del mondo imparano usi e costumi, tradizioni e comportamenti, scambiando esperienze e mantenendo integre la loro identità culturale.
La Cina è vicina? Come in quel film di qualche decennio fa?
Beh, di quella Cina, ideologizzata e compromessa democraticamente, abbiamo perso la memoria; continuiamo, invece, a confrontarci con i numeri perché questi sono ancora impressionanti e influiscono sulle condizioni del pianeta in termini d’impatto ambientale, economico e culturale. La Cina, pertanto, non è più solo presente in politica o in letteratura e non è più l’esotico sfondo di Turandot e dell’italianissimo “Nessun dorma”, ma ci guarda da vicino, con interesse per i nostri mercati, ma anche per le nostre tradizioni, e per la nostra civiltà. E, paradossalmente, lo sguardo del nostro DI PASQUALE ha la stessa natura: curioso quanto basta, disposto a lasciarsi sorprendere, pronto ad annotare l’aneddoto di costume e di colore. Il suo documentare trova conforto nella padronanza del colore e del colpo d’occhio sempre capace di cogliere, nel giusto tempo, quando cade sotto il suo sguardo. Muove dal desiderio di documentare, ma volentieri si accinge a raccontare, lasciando che qualche aspetto artistico, del suo atteggiamento fotografico, faccia, qua e là, capolino.
Non gli sfugge l’esotico, il differente, ma lo raccoglie con simpatia, quasi individuando una possibile radice comune con la nostra mediterraneità. Questo sguardo ha una lunga storia che affonda nell’aristocrazia della storia della fotografia e, fin dalla nascita della fotografia, ha avuto esiti assolutamente di rilievo.
L’Occidente della fotografia ha sempre guardato con interesse alla Cina, tanto che è più facile fare una storia dei fotografi occidentali che hanno guardato alla Cina che ricostruirne una dei fotografi cinesi.
Dai libri di storia traiamo la testimonianza di FU BING CHANG, diplomatico, che lungo il corso del secolo passato ha indagato i momenti di differenza tra i due mondi sottolineando la diversa educazione allo sguardo. La sua opera si è confrontata con la testimonianza della miglior fotografia europea. E della sua particolare posizione di ambasciatore si è avvalso per promuovere una fotografia di testimonianza e di documento. La stessa, peraltro, era stata promossa dagli occidentali fin dalla scoperta della fotografia, per corredare i giornali delle immagini di guerre lontane (le guerre dell’oppio), del disfacimento lento e inesorabile dell’impero, e della nascita tormentata del nuovo stato.
Ricordiamo queste cose perché vogliamo sottolineare, che consapevolmente o meno, la fotografia del nostro DI PASQUALE si muove lungo i percorsi che furono di Felice BEATO, di William SANDERS, di Milton M. MILLER, di John THOMPSON, di Padre BRICCO e padre Leone NANI, ma anche di Fosco MARAINI, del grandissimo Henry CARTIER-BRESSON e di Caio Mario GARRUBBA. Quindi, dal vecchio fotogiornalismo di guerra al documento turistico o commerciale, dalla fotografia dei missionari a quella dei sinologhi attenti alle vicende tibetane e a quella cultura religiosa, dall’indagine surrealistica del fondatore della MAGNUM all’indagine politica del fotogiornalismo europeo, fino agli ultimi cronisti delle trionfali Olimpiadi
E, dopo tanto fotografare, ne sappiamo di più della Cina?
Sappiamo che è sempre enorme e che occorrerà domandare con gli occhi (ai cinesi e alle loro cose), come fa il nostro DI PASQUALE, se domani, sul nostro piatto ci saranno solo involtini primavera, soia e bambù o, insieme, mangeremo anche pizza e maccheroni delle nostre parti.
Pippo PAPPALARDO
per la Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
Catania, marzo 2012
nel promuovere la fotografia, con mostre, attività culturali, incontri e pubblicazioni, muove la sua focale sul registro ampio del contemporaneo cercando di dare spazio – senza preclusioni o avventate certezze – alle esperienze più varie della ricerca fotografica: dal lavoro degli autori ampiamente storicizzati, alle più attuali indagini in progress senza tralasciare peraltro mirate incursioni nella fotografia storica o attente riflessioni sul lavoro di fotografi “di professione” coloro che, fondamentalmente, rappresentano l’humus antropologico fatto di studi capillarmente diffusi sul territorio del quale, immancabilmente, conservano la memoria visiva.
Ma cosa accade quando un fotografo “di professione” esce dal suo studio e veste i panni di un reporter?
Cosa vede allontanandosi da sale di posa, lampade, album e software dedicati per cedere allo stupore?
Questa mostra di Davide DI PASQUALE – figlio d’arte e fotografo di professione – con le sue quaranta fotografie dal ventre del dragone cinese ci consente, in tal senso, di avere delle risposte e traguardare il Celeste Impero attraverso l’obiettivo di chi, avvezzo a ben altri soggetti e latitudini, ne scruta e ne registra fotograficamente l’esotica unicità confrontandosi col gigante asiatico e con il fluire incessante di immagini che, nel suo e nel nostro background visivo, lo rappresentano.
La scelta linguistica dell’autore – il colore fotografico – concede all’intera gamma del visibile le immagini di questo reportage dove ogni singolo fotogramma è immancabilmente, incontestabilmente e inesorabilmente cinese: colori e volti, ritmi e gesti, architetture, dettagli e paesaggi infatti non lasciano dubbi sulle coordinate geografiche esplorate dal DI PASQUALE che, deliberatamente, oscilla tra un dejà vu da cartolina e il caleidoscopio dinamico da horror vacui futurista, per restituirci il suo Catai contemporaneo.
Cina, Cina e ancora implacabilmente Made in China.
Oggi si può solo congetturare sulle immagini che accolsero i mercanti italiani lungo la medievale Via della seta – non troveremo mai, perché hai noi mai esistito, nessun dagherrotipo o albumina di tale vetustà – ma di una cosa potremo essere certi: analogo sarà stato lo sconcerto e l’interesse; stesso, il tentativo di discernimento di fronte ad una civiltà millenaria così singolare e antagonista; unico, il senso di smarrimento di fronte ai grandi numeri, gli unici che si possono associare a questa parte del globo e, forse, solo la prospettiva e la distanza, che nemmeno la stessa globalizzazione contemporanea riesce ad annullare, possono concedere a noi – e al fotoreporter per caso – di poter reggere il peso di questo Oriente estremo.
Sebastiano FAVITTA e Attilio GERBINO
Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
Caltagirone, marzo 2012
Continente Cina secondo Davide DI PASQUALE
In the haze of the morning, China sits on eternity
And the opium farmers sell dreams to obscure fraternities
On the horizon the curtains are closing
Down in the orchard the aunties and uncles play their games
(like it seems they always have done)
In the blue distance the vertical offices bear their names
(like it seems they always have done)
Clocks ticking slowly, dividing the day up
These poor girls are such fun they know what God gave them fingers for
(to make percussion over solos)
China my China, I’ve wandered around and you’re still here
(which I guess you should be proud of)
Your walls have enclosed you, have kept you at home for thousands of years
(but there’s something I should tell you)
All the young boys are dressing like sailors
I remember a man who jumped out from a window over the bay
(there was hardly a raised eyebrow)
The coroner told me ’this kind of thing happens every day’
You see, from a pagoda, the world is so tidy
Nella foschia del mattino, la Cina mette nel cassetto l'eternità
E i coltivatori di oppio vendono sogni a oscure fratellanze
All'orizzonte si stanno chiudendo le tende
Giù nel frutteto le zie e gli zii giocano i loro giochi
(Come a quanto pare hanno sempre fatto)
In lontananza gli uffici blu verticali recano i loro nomi
(Come a quanto pare hanno sempre fatto)
Gli orologi girano lentamente, scandendo la giornata
Queste povere ragazze sono così divertenti, loro sanno per cosa Dio ha dato loro le dita
(Per fare percussione sopra gli assoli)
Cina mia Cina, ho vagato in giro e tu sei ancora qui
(Cosa di cui suppongo dovresti essere orgogliosa)
I tuoi muri ti hanno cinta, ti hanno rinchiusa in casa per migliaia di anni
(Ma c'è qualcosa che dovrei dirti)
Tutti i ragazzi giovani si vestono come marinai
Mi ricordo di un uomo che saltò fuori da una finestra sulla baia
(difficilmente ci fu un sopracciglio alzato)
Il medico legale mi ha detto 'questo genere di cose capita tutti i giorni
Vedete, da una pagoda, il mondo è così ordinato
Brian ENO, China my China, 1974
La Cina è stata la mia grande avventura.
È una grande civiltà, per volerla capire bisogna avvicinarsi quasi camuffandosi.
In tutte le lingue asiatiche “altro” è una parola orribile. Identifica lo straniero, colui che è fuori, colui che viene da fuori e deve rimanere fuori. Se si è già incapsulati all’interno di una parola che rende stranieri, l’unico modo per avvicinarsi a una cultura è fare come il camaleonte, che prende il colore della foglia se è sulla foglia e il colore della sabbia se è sulla sabbia: diventare sempre di più come l’altro.
Tiziano TERZANI, intervista di Maria Lucia DE LUCA e Marina MARRAZZI, www.zam.it
Al centro del reportage cinese del fotografo Davide DI PASQUALE ciò che mi colpisce sono i volti: c’è sempre uno sguardo, un sorriso, un guizzo di curiosità che buca l’inquadratura e giunge a noi. Come Tiziano TERZANI, anche l’artista si è lasciato trasportare dalla sua curiosità per il continente Cina. E’ possibile che il fascino e la malia di questa civiltà così dissimile dalla nostra attraggano e incantino il visitatore occidentale, proprio come racconta il nipote di Luigi BARZINI Senior, giornalista che fu a lungo in Cina ai primi del Novecento, e di cui egli ripercorre i passi nella propria autobiografia
“Girò per la città. Osservava senza pregiudizi e il ritratto che ne venne fuori non aveva nulla di retorico. […] I cinesi li amò da subito. Gli ricordavano gli italiani, avevano lo stesso fatalismo, la stessa fragilità, lo stesso scetticismo, la stessa alacrità, il senso della famiglia, il gusto delle sfumature. […] Senior rimase a Pechino per altri sei mesi. La girò tutta a cavallo e a piedi, mise il naso dappertutto, nei vicoli della città vecchia, nelle strade degli antiquari e dei librai, nelle corti dei palazzi. Gli piacevano gli odori dei mercati, fra le bancarelle ritrovava i sapori della sua infanzia. Era una vita divagatoria, immaginaria”
Andrea BARZINI, Una famiglia complicata, 1996
Nelle immagini di Davide DI PASQUALE stride il contrasto fra la Cina arcaica e l’occidentalizzazione che sta mutando radicalmente questo Paese, fra rapidi cambiamenti e potenti contraddizioni .
Dei sette miliardi di abitanti che popolano la Terra, un miliardo e trecento milioni di individui vorticano in quell’universo che alterna campagne e metropoli, dove una politica che impone di avere un unico figlio in ciascuna famiglia tenta di porre argine a questo fenomeno in esponenziale evoluzione.
Fra offerte votive e scenari da fast-food, Davide DI PASQUALE ci offre un coloratissimo spaccato urbano, dove i risciò a pedali si alternano agli scooter, i telefoni e le tazze da asporto tipiche della cultura angloamericana si sovrappongono a manifatture artigianali che ci riportano all’Ottocento contadino. Mondi rurali in estinzione e antiche pratiche di trasporto delle merci – carretti a pedali, gerle portate a spalle – vanno a sparire offuscate su uno sfondo di luci, insegne luminose, grattacieli e superstrade. Potente la scelta espressiva di rendere il flusso inarrestabile di questa mutazione attraverso un vortice di immagini in movimento, dove il soggetto in primo piano spicca colto nella perplessità un po’ sbigottita di questo epocale cambiamento.
Anni di sviluppo tumultuoso hanno portato il Dragone al centro dello scacchiere economico e politico mondiale, facendolo ritornare ai fasti di un passato non molto lontano, anche se spesso dimenticato. Ora, però, il gigante appare fragile e ricco di contraddizioni: senza una politica industriale oculata, improntata all’innovazione e non solo ai bassi costi, il Paese rischia di frantumare la propria crescita alla stessa velocità con cui l’ha creata.
Giuliano NOCI, Continente Cina: un vortice di cambiamenti all’orizzonte, www.ict4executive.it
Un malinconico Mao ZEDONG ci saluta da una delle fotografie in mostra, muto testimone di un mondo scomodo e quasi dimenticato. Le giovani sorridenti in uniforme e copricapo a bustina sono le nuove omologate schiave del consumismo commerciale orientale, nuove dittature consumiste hanno ammaliato e definitivamente conquistato il vecchio gigante comunista. Nelle foto di Davide DI PASQUALE si respira la libertà che la Cina pensa di aver conquistato e il conto che il mondo occidentale ogni giorno presenta a chi ne è preda.
Oggi l'economia è fatta, per costringere tanta gente, a lavorare a ritmi spaventosi per produrre delle cose per lo più inutili, che altri lavorano a ritmi spaventosi, per poter comprare, perché questo è ciò che dà soldi alle società multinazionali, alle grandi aziende, ma non dà felicità alla gente. Io trovo che c'è una bella parola in italiano che è molto più calzante della parola felice, ed è contento, accontentarsi, uno che si accontenta è un uomo felice.
Tiziano TERZANI, Anam, il senzanome, 2004
Marina BENEDETTO
Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
Savona, febbraio 2012
Un reportage dalla Cina?
Ma non è sufficiente rimanere a casa?
Scherzo, ovviamente.
Ma attorno a me, a Catania, ne incontro tanti, che lavorano continuamente, grandi e piccoli, uomini e donne; mai in ozio, mai in attesa. Sempre impegnati in qualcosa che raramente è un passatempo.
Per un perditempo come il sottoscritto, lo stupore è consequenziale: ma appena mi trasferisco a Roma, o a Milano, lo stupore diventa riflessione che si conclude con la domanda: ma dove abitano i cinesi? In Cina, a quanto pare. Ma non tutti. In tutto il mondo, la restante parte, sicuramente. E del mondo imparano usi e costumi, tradizioni e comportamenti, scambiando esperienze e mantenendo integre la loro identità culturale.
La Cina è vicina? Come in quel film di qualche decennio fa?
Beh, di quella Cina, ideologizzata e compromessa democraticamente, abbiamo perso la memoria; continuiamo, invece, a confrontarci con i numeri perché questi sono ancora impressionanti e influiscono sulle condizioni del pianeta in termini d’impatto ambientale, economico e culturale. La Cina, pertanto, non è più solo presente in politica o in letteratura e non è più l’esotico sfondo di Turandot e dell’italianissimo “Nessun dorma”, ma ci guarda da vicino, con interesse per i nostri mercati, ma anche per le nostre tradizioni, e per la nostra civiltà. E, paradossalmente, lo sguardo del nostro DI PASQUALE ha la stessa natura: curioso quanto basta, disposto a lasciarsi sorprendere, pronto ad annotare l’aneddoto di costume e di colore. Il suo documentare trova conforto nella padronanza del colore e del colpo d’occhio sempre capace di cogliere, nel giusto tempo, quando cade sotto il suo sguardo. Muove dal desiderio di documentare, ma volentieri si accinge a raccontare, lasciando che qualche aspetto artistico, del suo atteggiamento fotografico, faccia, qua e là, capolino.
Non gli sfugge l’esotico, il differente, ma lo raccoglie con simpatia, quasi individuando una possibile radice comune con la nostra mediterraneità. Questo sguardo ha una lunga storia che affonda nell’aristocrazia della storia della fotografia e, fin dalla nascita della fotografia, ha avuto esiti assolutamente di rilievo.
L’Occidente della fotografia ha sempre guardato con interesse alla Cina, tanto che è più facile fare una storia dei fotografi occidentali che hanno guardato alla Cina che ricostruirne una dei fotografi cinesi.
Dai libri di storia traiamo la testimonianza di FU BING CHANG, diplomatico, che lungo il corso del secolo passato ha indagato i momenti di differenza tra i due mondi sottolineando la diversa educazione allo sguardo. La sua opera si è confrontata con la testimonianza della miglior fotografia europea. E della sua particolare posizione di ambasciatore si è avvalso per promuovere una fotografia di testimonianza e di documento. La stessa, peraltro, era stata promossa dagli occidentali fin dalla scoperta della fotografia, per corredare i giornali delle immagini di guerre lontane (le guerre dell’oppio), del disfacimento lento e inesorabile dell’impero, e della nascita tormentata del nuovo stato.
Ricordiamo queste cose perché vogliamo sottolineare, che consapevolmente o meno, la fotografia del nostro DI PASQUALE si muove lungo i percorsi che furono di Felice BEATO, di William SANDERS, di Milton M. MILLER, di John THOMPSON, di Padre BRICCO e padre Leone NANI, ma anche di Fosco MARAINI, del grandissimo Henry CARTIER-BRESSON e di Caio Mario GARRUBBA. Quindi, dal vecchio fotogiornalismo di guerra al documento turistico o commerciale, dalla fotografia dei missionari a quella dei sinologhi attenti alle vicende tibetane e a quella cultura religiosa, dall’indagine surrealistica del fondatore della MAGNUM all’indagine politica del fotogiornalismo europeo, fino agli ultimi cronisti delle trionfali Olimpiadi
E, dopo tanto fotografare, ne sappiamo di più della Cina?
Sappiamo che è sempre enorme e che occorrerà domandare con gli occhi (ai cinesi e alle loro cose), come fa il nostro DI PASQUALE, se domani, sul nostro piatto ci saranno solo involtini primavera, soia e bambù o, insieme, mangeremo anche pizza e maccheroni delle nostre parti.
Pippo PAPPALARDO
per la Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
Catania, marzo 2012
24
marzo 2012
Davide Di Pasquale – Made in China
Dal 24 marzo al 22 aprile 2012
fotografia
Location
GALLERIA FOTOGRAFICA LUIGI GHIRRI
Caltagirone, Via Duomo, 11, (Catania)
Caltagirone, Via Duomo, 11, (Catania)
Orario di apertura
lun./dom. 9.30 -12.30, 16.00 -19.00
Vernissage
24 Marzo 2012, h 18.30
Autore
Curatore