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Davide Frisoni – Ri-Vedute Riminesi
Abbiamo pensato di chiamare l’artista riminese Davide Frisoni, che con le sue panoramiche e coinvolgenti visioni della nostra Rimini, ha affascinato collezionisti e pubblico in tutta Italia e all’estero (San Diego California e Tokyo). Bellissima l’opera di grandi dimensioni (350×150) che rappresenta il piazzale del porto di Rimini, un quadro che diventerà presto testimonianza storica visti i progetti architettonici che riguardano proprio quella zona di lungomare; così come lo sono stati in passato i quadri realizzati prima e durante i lavori della darsena.
Comunicato stampa
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LA REALTA’ PER STRADA , AL MARE E NEL CIELO.
IN UN VORTICE DI POLVERE GLI ALTRI VEDEVAN SICCITA’ A ME RICORDAVA LA GONNA DI JENNY IN UN BALLO DI TANTI ANNI FA. ( Il suonatore Jones , F. De Andrè)
Sei lì che vorresti mordere il volante, quel maledetto rosso non cambia colore nemmeno a pagarlo. Poi si trasfigura nell’ agognato verde, hai il via libera per rincorrere il tuo ritardo. In fondo al viale alberato, quello che fai per accorciare. Un altro di quei semafori senza fine. Sbuffi, imprechi, maledici. E te la prendi con quello davanti che intanto si sistema il nodo della cravatta o con la signora che rivede il trucco. Aggiungici che magari, al riaccendersi del verde-speranza-di-arrivare-in-orario, con un tempismo impressionante quanto imbecille, qualcuno strombazza come se dal suono del clacson dipendesse la ripartenza della fila. Oppure pensi alla storia del tassista bolognese dietro alla signora attenta solo al proprio specchietto. Dopo due rossi e due verdi senza esito il tassista sbotta: “… quando viene bèn la tonalità di verde che le piace, andiamo, Signora ? …”. Storie di ordinari incroci. Se invece sei Davide Frisoni da Rimini, pittore della realtà e non solo, ti fermi disciplinato e cominci, sotto quel rosso fuoco, a disegnare il quadro che verrà. Schizzi la verità per quella che è, esiliando le nevrosi metropolitane in un nulla vacante ed inutile, laddove stanno benissimo, perché quella che vedi ( quella che Frisoni vede ) è la realtà vista con l’ occhio del pittore. Frisoni ha il sorriso romagnolo e la battuta pronta, un curriculum importante in cui gli accenti maggiori fanno ripensare alla classicità. E guarda in faccia a ciò che è reale facendo capire che l’ emozione dei riflessi del rosso di un semaforo, i colori alternati dei segnali stradali, i riverberi delle luci del mattino sull’ asfalto o le orme nella sabbia di Bellariva hanno una poesia che noi comuni mortali non vediamo. Siamo troppo presi dall’ essere come gli altri. 1. In questo Frisoni ha tutto dell’ artista puro, quello che inquadra un pezzo di cielo mentre gli cammini a fianco e magari gli stai parlando, e già immagazzina i dati per un quadro. Luci ed atmosfere che arrivano da quella che tutti chiamiamo creatività e che invece ha il nome e il cognome della realtà. È da lì che arrivano le vedute di una Rimini invernale, di un asfalto lucido di pioggia o delle strade trafitte dal sole che buca gli alberi verso la Galvanina. Frisoni è intuitivo ma anche pigro, se si pensa al modo che ha per risolvere il problema della natura morta: “… le mie scarpe,dopo una giornata di lavoro in studio, i tubetti spremuti dei miei colori … una bitta solitaria nel porto canale … il cappello di un torero nella sabbia dell’ arena … è tutto già presente, come oggetti che hanno già durato la fatica di vivere . Le nature morte ci sono già, sono già fatte …”. Sente il tempo, ne avverte le pulsazioni meno visibili per un occhio normale, ma più reali e sincere che mai. Il riflesso di un sole settembrino, dorato come i grappoli d’ uva per un buon bianco, accarezza la sagoma di un’auto al semaforo. Questione di attimi. Lui vede e dipinge, mentre tutti noi pensiamo ai fatti nostri, allo stesso semaforo. La formazione classica gli ha dato tantissimo. Non dimentica Michelangelo ( ha chiamato così il suo primogenito ) e le rielaborazioni che ne ha fatto, la partecipazione ai premi importanti con quadri composti, impeccabili e la sapienza nel dosaggio di quanto serve per le sue solenni, reali, fascinose figure. Volti letti con una somma di accenni alla classicità ma anche alla elaborazione pittorica di ricerca. Racconti di facce del mare e della terra. Probabilmente il momento della consapevolezza del suo stesso talento. Non ama la approssimazione, ma se ne deve servire per fare in fretta le sue fondamenta all’ idea di un dipinto. Sotto un semaforo o nel bel mezzo di un incrocio non si scherza. Gli altri, quelli che “ in un vortice di polvere vedevan siccità ” , hanno fretta. Allora serve il Frisoni disegnatore : pronto. Un blocco appoggiato da qualche parte nella Panda, ormai famosa come la slitta di Segantini, l’accenno a matita e via. Prima che gli altri muovano le proprie nevrosi, magari prima di quello che comincia a suonare e non ha ancora capito che tra lo spegnersi di un rosso e l’accendersi del relativo verde, al suono di quel clacson, si misura l’ imbecillità. Prima suona, più punti prende. 2. Poi ti avvicini a un suo dipinto, magari grande e grosso come quelli che liberano meglio la sua anima, e ci trovi il Frisoni ricercatore sottile. Colpi incrociati di spatola,materia tenuta a bada e ben stesa, rossi di fuoco e verdi da sogno, bianchi scalmanati mandati a spasso nella tela enorme e nessuna sottolineatura particolare, nessun elemento portato volutamente in primo piano. Tutto intero, niente escluso, un dipinto di Frisoni è figlio del concetto di quel dipingere il reale. Ti tocca, se vuoi leggerne le pieghe sottili, guardarlo più e più volte, da punti diversi e sempre avanzando verso le particolarità dell’ impasto cromatico. In un tempo di riassunti pseudopittorici e di minimalismo, o, peggio, di paesaggio - cartolina e di poca sacrosanta fantasia italica, è oro colato il suo infilarsi tra il quotidiano senza nemmeno sfiorare il banale. Spiritoso, ma anche spirituale. A volte cita la preghiera, la mette attaccata a quei dipinti silenziosamente meravigliosi, la sua produzione più meditativa. Albe sulla spiaggia, tramonti tra la sabbia e il cielo. Una luce prepotente, diversa, esce del quadro e ti arriva addosso. Una luce che è figlia di prove e riprove e madre di tante altre luci nate insieme all‘ idea di un quadro come “ Il mio silenzio, la mia preghiera ” , tanto per ricordarne uno . Lo riguardi dopo aver letto il titolo e capisci che lui, in quel posto della sua riviera romagnola, ci ha pregato davvero. Il silenzio sentito con quella luce ha il vestito della solennità, ma ci vuole lui a fartelo sentire. Ci vuole il pittore che vede quello che noi non vediamo in una spiaggia vuota o guardiamo senza ben vedere. Schietto, efficace per questo. Non convenzionale, ma neppure rivoluzionario. Tradizionalista, orgoglioso il giusto. Ama la sua città, se la coccola dall’ alto con dipinti che leggono la sagoma di Rimini dalle colline di Montefiore Conca e di Coriano, tratta la città augustea e balneare avvolgendola di amore casereccio. Piadina e champagne, liscio e valzer lento, certo che si può. E quando i silenzi del quotidiano sono quelli del lungomare, stavolta vuoto, senza i suoni del festival estivo, privo di tedeschi sempre più grossi e rossi di sole, senza le divette vere o finte in passeggiata, senza i playboy decaduti o i fighetti in uso attuale, ne esce il Frisoni vincente ed accattivante, che usa un senso della realtà più fedele e sognante insieme. Senza l’estate: Frisoni bada al sodo della realtà, meglio le altre stagioni, che avvolgono Rimini del fascino silente del mare d’ inverno (“ … sabbia bagnata / manifesti già sbiaditi di pubblicità …” - E. Ruggeri -) dove conciliare la riflessione e la potenza della tecnica provata e riprovata anno dopo anno, spatola dopo spatola. 3. Le pozzanghere davanti ai sottopassaggi, il silenzio dei lidi vuoti, le cabine come un complemento metafisicheggiante della immodificabile realtà presente. Il viale adorno solo dei lampioni e della scia rossa dei fanali delle auto. Crepuscolo, sogni da sognare per strada, perché lì vengono meglio. La scena, al porto o tra le strade che si srotolano di fianco al mare, sembra aspettare la Gradisca o il “Ciccio che scoppia” o lo Sceicco Bianco su un altalena legata ai cartelloni delle spiagge attrezzate o, perché no, altri personaggi usciti da Amarcord, figli del riminese più amato, che ha sognato e fatto sognare noi dei suoi stessi sogni : Federico Fellini. Frisoni lo ricorda spesso, ne parla. Prima o poi lo omaggerà, a modo suo, senza clamore, con la semplicità comprensibile del suo linguaggio pittorico sopraffino. Tradizione, realtà e leggerezza. Così Davide Frisoni combina gli elementi principali della sua pittura che ha toccato tasti memorabili e note che dalla realtà hanno preso molto per dare altrettanto. Per molti, lui è “quello delle macchine”. Non ho mai tollerato una definizione così limitativa. Non si può congelare il talento di un artista così completo solo in una delle sue espressioni, per quanto sia la più nota. Basta leggere la potenza dei rossi, amati da tutti, sprigionati dai fanali delle auto che entrano in una galleria, in mezzo al buio animato solo da quel passare. C’ è un atmosfera vitale incredibile, energia da ribellione futurista dentro una tecnica che pigia sulla materia. Guardare e lasciarsi portare via dalla realtà notturna, fatto accadente e vero quanto pieno di poesia. A guardare i lavori dedicati alle “corride” anni fa, la sinfonia delle tinte evoca atmosfere sivigliane, caldo del mediterraneo, ventagli e rose, Garcia Lorca e Rafael Alberti , pittura da romanzo, un Frisoni narratore. Se si pensa ai suoi “asfalti”, idea presa e ripresa, la sintesi è ancora più intensa : si “stacca” dalla terra un pezzo di asfalto, indagato nelle sue mille rughe di espressione fatta di strisce da parcheggio, tombini, quotidiana presenza per chiunque. Frisoni usa supporti lignei e impasta bitume e colori, ha bisogno di spazio e materia per dare “quella” realtà. Dà il senso della realtà più reale, porta in primo piano ciò che è sotto alle ruote ogni giorno, tutti i giorni. E così con le “carte”, visitazioni accorte di tecniche che il linguaggio comune chiama “miste” ma che sono frutto di una applicazione difficoltosa, convinta e certosina. Quindi c’è il Frisoni che si misura con le composizioni esaltanti per loro stesso contenuto : pala d’ altare dedicata al Beato Alberto Marvelli ed alla Beata argentina Laura Nicuna, Chiesa dei Salesiani, Rimini. Con quelle, altre opere sacre, niente limiti. 4. Come non ce ne sono nelle acqueforti possenti e curatissime, vincenti e silenziose di qualche tempo fa. Racconti di strade lastricate, aloni di luce lontana dei lampioni, sagome di fabbricati, automobili ferme in riga come soldatini bravi, nella notte della sua città. Importante è entrare nella realtà, dalla porta principale. Quella che ci chiudiamo in faccia da soli e che è spalancata all’ occhio ed alla sensibilità dell’ artista. A Crotone, anni fa, eravamo vicini di sedia mentre presentavo la sua pittura ad un pubblico accorto e curioso, riunito in occasione della conferenza stampa di presentazione di una sua fortunata mostra nel capoluogo ionico. Mi sembrava logico dire della sua bravura, razionale riconoscergli il merito di aver indagato la realtà con una poetica vincente, doveroso collocarlo tra quelli che “ non puoi confondere con altri ”. Sembrava imbarazzato. Frisoni non vuole che si parli troppo di lui. Con certezza penso che non voglia che si parli troppo in generale. Questo è Davide Frisoni : uno che guarda la realtà con gli occhi del pittore senza smettere di sognare, rigorosamente a colori. Ma è meglio lavorare, con gli occhi su Rimini e sul mondo. La realtà è tutta da dipingere. Giorgio Barassi
IN UN VORTICE DI POLVERE GLI ALTRI VEDEVAN SICCITA’ A ME RICORDAVA LA GONNA DI JENNY IN UN BALLO DI TANTI ANNI FA. ( Il suonatore Jones , F. De Andrè)
Sei lì che vorresti mordere il volante, quel maledetto rosso non cambia colore nemmeno a pagarlo. Poi si trasfigura nell’ agognato verde, hai il via libera per rincorrere il tuo ritardo. In fondo al viale alberato, quello che fai per accorciare. Un altro di quei semafori senza fine. Sbuffi, imprechi, maledici. E te la prendi con quello davanti che intanto si sistema il nodo della cravatta o con la signora che rivede il trucco. Aggiungici che magari, al riaccendersi del verde-speranza-di-arrivare-in-orario, con un tempismo impressionante quanto imbecille, qualcuno strombazza come se dal suono del clacson dipendesse la ripartenza della fila. Oppure pensi alla storia del tassista bolognese dietro alla signora attenta solo al proprio specchietto. Dopo due rossi e due verdi senza esito il tassista sbotta: “… quando viene bèn la tonalità di verde che le piace, andiamo, Signora ? …”. Storie di ordinari incroci. Se invece sei Davide Frisoni da Rimini, pittore della realtà e non solo, ti fermi disciplinato e cominci, sotto quel rosso fuoco, a disegnare il quadro che verrà. Schizzi la verità per quella che è, esiliando le nevrosi metropolitane in un nulla vacante ed inutile, laddove stanno benissimo, perché quella che vedi ( quella che Frisoni vede ) è la realtà vista con l’ occhio del pittore. Frisoni ha il sorriso romagnolo e la battuta pronta, un curriculum importante in cui gli accenti maggiori fanno ripensare alla classicità. E guarda in faccia a ciò che è reale facendo capire che l’ emozione dei riflessi del rosso di un semaforo, i colori alternati dei segnali stradali, i riverberi delle luci del mattino sull’ asfalto o le orme nella sabbia di Bellariva hanno una poesia che noi comuni mortali non vediamo. Siamo troppo presi dall’ essere come gli altri. 1. In questo Frisoni ha tutto dell’ artista puro, quello che inquadra un pezzo di cielo mentre gli cammini a fianco e magari gli stai parlando, e già immagazzina i dati per un quadro. Luci ed atmosfere che arrivano da quella che tutti chiamiamo creatività e che invece ha il nome e il cognome della realtà. È da lì che arrivano le vedute di una Rimini invernale, di un asfalto lucido di pioggia o delle strade trafitte dal sole che buca gli alberi verso la Galvanina. Frisoni è intuitivo ma anche pigro, se si pensa al modo che ha per risolvere il problema della natura morta: “… le mie scarpe,dopo una giornata di lavoro in studio, i tubetti spremuti dei miei colori … una bitta solitaria nel porto canale … il cappello di un torero nella sabbia dell’ arena … è tutto già presente, come oggetti che hanno già durato la fatica di vivere . Le nature morte ci sono già, sono già fatte …”. Sente il tempo, ne avverte le pulsazioni meno visibili per un occhio normale, ma più reali e sincere che mai. Il riflesso di un sole settembrino, dorato come i grappoli d’ uva per un buon bianco, accarezza la sagoma di un’auto al semaforo. Questione di attimi. Lui vede e dipinge, mentre tutti noi pensiamo ai fatti nostri, allo stesso semaforo. La formazione classica gli ha dato tantissimo. Non dimentica Michelangelo ( ha chiamato così il suo primogenito ) e le rielaborazioni che ne ha fatto, la partecipazione ai premi importanti con quadri composti, impeccabili e la sapienza nel dosaggio di quanto serve per le sue solenni, reali, fascinose figure. Volti letti con una somma di accenni alla classicità ma anche alla elaborazione pittorica di ricerca. Racconti di facce del mare e della terra. Probabilmente il momento della consapevolezza del suo stesso talento. Non ama la approssimazione, ma se ne deve servire per fare in fretta le sue fondamenta all’ idea di un dipinto. Sotto un semaforo o nel bel mezzo di un incrocio non si scherza. Gli altri, quelli che “ in un vortice di polvere vedevan siccità ” , hanno fretta. Allora serve il Frisoni disegnatore : pronto. Un blocco appoggiato da qualche parte nella Panda, ormai famosa come la slitta di Segantini, l’accenno a matita e via. Prima che gli altri muovano le proprie nevrosi, magari prima di quello che comincia a suonare e non ha ancora capito che tra lo spegnersi di un rosso e l’accendersi del relativo verde, al suono di quel clacson, si misura l’ imbecillità. Prima suona, più punti prende. 2. Poi ti avvicini a un suo dipinto, magari grande e grosso come quelli che liberano meglio la sua anima, e ci trovi il Frisoni ricercatore sottile. Colpi incrociati di spatola,materia tenuta a bada e ben stesa, rossi di fuoco e verdi da sogno, bianchi scalmanati mandati a spasso nella tela enorme e nessuna sottolineatura particolare, nessun elemento portato volutamente in primo piano. Tutto intero, niente escluso, un dipinto di Frisoni è figlio del concetto di quel dipingere il reale. Ti tocca, se vuoi leggerne le pieghe sottili, guardarlo più e più volte, da punti diversi e sempre avanzando verso le particolarità dell’ impasto cromatico. In un tempo di riassunti pseudopittorici e di minimalismo, o, peggio, di paesaggio - cartolina e di poca sacrosanta fantasia italica, è oro colato il suo infilarsi tra il quotidiano senza nemmeno sfiorare il banale. Spiritoso, ma anche spirituale. A volte cita la preghiera, la mette attaccata a quei dipinti silenziosamente meravigliosi, la sua produzione più meditativa. Albe sulla spiaggia, tramonti tra la sabbia e il cielo. Una luce prepotente, diversa, esce del quadro e ti arriva addosso. Una luce che è figlia di prove e riprove e madre di tante altre luci nate insieme all‘ idea di un quadro come “ Il mio silenzio, la mia preghiera ” , tanto per ricordarne uno . Lo riguardi dopo aver letto il titolo e capisci che lui, in quel posto della sua riviera romagnola, ci ha pregato davvero. Il silenzio sentito con quella luce ha il vestito della solennità, ma ci vuole lui a fartelo sentire. Ci vuole il pittore che vede quello che noi non vediamo in una spiaggia vuota o guardiamo senza ben vedere. Schietto, efficace per questo. Non convenzionale, ma neppure rivoluzionario. Tradizionalista, orgoglioso il giusto. Ama la sua città, se la coccola dall’ alto con dipinti che leggono la sagoma di Rimini dalle colline di Montefiore Conca e di Coriano, tratta la città augustea e balneare avvolgendola di amore casereccio. Piadina e champagne, liscio e valzer lento, certo che si può. E quando i silenzi del quotidiano sono quelli del lungomare, stavolta vuoto, senza i suoni del festival estivo, privo di tedeschi sempre più grossi e rossi di sole, senza le divette vere o finte in passeggiata, senza i playboy decaduti o i fighetti in uso attuale, ne esce il Frisoni vincente ed accattivante, che usa un senso della realtà più fedele e sognante insieme. Senza l’estate: Frisoni bada al sodo della realtà, meglio le altre stagioni, che avvolgono Rimini del fascino silente del mare d’ inverno (“ … sabbia bagnata / manifesti già sbiaditi di pubblicità …” - E. Ruggeri -) dove conciliare la riflessione e la potenza della tecnica provata e riprovata anno dopo anno, spatola dopo spatola. 3. Le pozzanghere davanti ai sottopassaggi, il silenzio dei lidi vuoti, le cabine come un complemento metafisicheggiante della immodificabile realtà presente. Il viale adorno solo dei lampioni e della scia rossa dei fanali delle auto. Crepuscolo, sogni da sognare per strada, perché lì vengono meglio. La scena, al porto o tra le strade che si srotolano di fianco al mare, sembra aspettare la Gradisca o il “Ciccio che scoppia” o lo Sceicco Bianco su un altalena legata ai cartelloni delle spiagge attrezzate o, perché no, altri personaggi usciti da Amarcord, figli del riminese più amato, che ha sognato e fatto sognare noi dei suoi stessi sogni : Federico Fellini. Frisoni lo ricorda spesso, ne parla. Prima o poi lo omaggerà, a modo suo, senza clamore, con la semplicità comprensibile del suo linguaggio pittorico sopraffino. Tradizione, realtà e leggerezza. Così Davide Frisoni combina gli elementi principali della sua pittura che ha toccato tasti memorabili e note che dalla realtà hanno preso molto per dare altrettanto. Per molti, lui è “quello delle macchine”. Non ho mai tollerato una definizione così limitativa. Non si può congelare il talento di un artista così completo solo in una delle sue espressioni, per quanto sia la più nota. Basta leggere la potenza dei rossi, amati da tutti, sprigionati dai fanali delle auto che entrano in una galleria, in mezzo al buio animato solo da quel passare. C’ è un atmosfera vitale incredibile, energia da ribellione futurista dentro una tecnica che pigia sulla materia. Guardare e lasciarsi portare via dalla realtà notturna, fatto accadente e vero quanto pieno di poesia. A guardare i lavori dedicati alle “corride” anni fa, la sinfonia delle tinte evoca atmosfere sivigliane, caldo del mediterraneo, ventagli e rose, Garcia Lorca e Rafael Alberti , pittura da romanzo, un Frisoni narratore. Se si pensa ai suoi “asfalti”, idea presa e ripresa, la sintesi è ancora più intensa : si “stacca” dalla terra un pezzo di asfalto, indagato nelle sue mille rughe di espressione fatta di strisce da parcheggio, tombini, quotidiana presenza per chiunque. Frisoni usa supporti lignei e impasta bitume e colori, ha bisogno di spazio e materia per dare “quella” realtà. Dà il senso della realtà più reale, porta in primo piano ciò che è sotto alle ruote ogni giorno, tutti i giorni. E così con le “carte”, visitazioni accorte di tecniche che il linguaggio comune chiama “miste” ma che sono frutto di una applicazione difficoltosa, convinta e certosina. Quindi c’è il Frisoni che si misura con le composizioni esaltanti per loro stesso contenuto : pala d’ altare dedicata al Beato Alberto Marvelli ed alla Beata argentina Laura Nicuna, Chiesa dei Salesiani, Rimini. Con quelle, altre opere sacre, niente limiti. 4. Come non ce ne sono nelle acqueforti possenti e curatissime, vincenti e silenziose di qualche tempo fa. Racconti di strade lastricate, aloni di luce lontana dei lampioni, sagome di fabbricati, automobili ferme in riga come soldatini bravi, nella notte della sua città. Importante è entrare nella realtà, dalla porta principale. Quella che ci chiudiamo in faccia da soli e che è spalancata all’ occhio ed alla sensibilità dell’ artista. A Crotone, anni fa, eravamo vicini di sedia mentre presentavo la sua pittura ad un pubblico accorto e curioso, riunito in occasione della conferenza stampa di presentazione di una sua fortunata mostra nel capoluogo ionico. Mi sembrava logico dire della sua bravura, razionale riconoscergli il merito di aver indagato la realtà con una poetica vincente, doveroso collocarlo tra quelli che “ non puoi confondere con altri ”. Sembrava imbarazzato. Frisoni non vuole che si parli troppo di lui. Con certezza penso che non voglia che si parli troppo in generale. Questo è Davide Frisoni : uno che guarda la realtà con gli occhi del pittore senza smettere di sognare, rigorosamente a colori. Ma è meglio lavorare, con gli occhi su Rimini e sul mondo. La realtà è tutta da dipingere. Giorgio Barassi
20
dicembre 2008
Davide Frisoni – Ri-Vedute Riminesi
Dal 20 dicembre 2008 al 20 marzo 2009
arte contemporanea
Location
NUOVA RICERCA
Rimini, Viale Luigi Settembrini, 17h , (Rimini)
Rimini, Viale Luigi Settembrini, 17h , (Rimini)
Vernissage
20 Dicembre 2008, ore 12
Sito web
www.frisonipittore.com
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