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Davide Tranchina – Big Bang
Davide Tranchina presenta un ciclo di opere inedite con cui l’artista sperimenta un diverso impiego del medium fotografico, più concettuale e volto a esplorare nuove possibilità espressive.
Comunicato stampa
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Nella personale dal titolo BIG BANG Davide Tranchina presenta un ciclo di opere inedite con cui l’artista sperimenta un diverso impiego del medium fotografico, più concettuale e volto a esplorare nuove possibilità espressive.
Sono close-up in bianco e nero, di grande formato, ottenuti scansionando le impronte di luce lasciate su carta fotosensibile da oggetti d’uso quotidiano posti “a contatto”. Queste tracce luminose paiono scie di una presenza spettrale, effimera, e disegnano nello spazio nero dello sfondo forme dall’immagine familiare ma dall’aspetto surreale. Ricordano navi fantasma, funghi atomici, spazi siderali e galassie provenienti da universo misterioso, lontano, permeato di realismo magico ma anche di solitudine. Oppure possono sembrare frammenti evanescenti di un sogno e realtà immaginate che affiorano dalle profondità della nostra “caverna interiore”, dove abitano le passioni più segrete.
Un senso di metafisica bellezza è manifestato dal risalto dato ai rapporti cromatici tra luce/oscurità e dalla deriva semantica degli oggetti impressi, che nelle immagini di Davide Tranchina diventano “altro” smascherando la natura ambigua del reale.
Un importante elemento di differenza rispetto ai lavori precedenti risiede nella perdita di un referente con la realtà, che lascia posto all’emergere di una soggettività e di una narrazione visionarie. Nell’installazione ambientale costruita in un’ala della galleria, ad esempio, l’artista crea uno spazio siderale dove lo spettatore può esperire la realtà mentale di un notturno stellato.
Un procedimento antico e rudimentale come l’immagine “a contatto” assume nel lavoro di Davide Tranchina una valenza di novità: non solo nella sua qualità estetica, ma anche nella sua pratica concettuale. Infatti, l’obsolescenza di una tecnica superata può liberare quella dimensione utopica insita agli albori di ogni processo tecnologico, svelando la doppia valenza delle cose - ne parla suggestivamente Walter Benjamin ne’ I passages di Parigi. In questo lavoro l’artista ricorre a un modello artistico alternativo capace di esprimere visivamente quella contraddizione esistente tra il realismo insito nella fotografia e il reale, mostrando tanto l’oggetto quanto la sua “ombra” e riflettendo sulla percezione delle cose e la loro immagine a posteriori.
Marinella Paderni / Un’avventura del pensiero
Un eterno ritorno all’atto primo della fotografia - la magia della luce che fissa l’impronta di un oggetto senza la mediazione dell’apparecchio fotografico - è l’origine di questo nuovo lavoro di Davide Tranchina.
E’ un ritorno all’idea di fotografia come scrittura di luce, riscoprendo quell’incanto che le è proprio e che conferisce una dimensione fantasmatica alle immagini fotografiche, in cui realtà e irrealtà si compenetrano in un’unità magica.
E’ un eterno vedere nella fotografia la “scomparsa” di un oggetto, e guardarlo riapparire sotto forma d’immagine latente, indiziale, generando un processo di apparizione e rivelazione di quelle realtà essenziali che sfuggono normalmente allo sguardo umano. La fotografia è il luogo in cui tutto il reale si deposita nell’immagine salvandolo dall’oblio, senza consentire dispersioni, frammentazioni o percezioni parziali della realtà. Nel processo di deposito del reale nel “tempo fotografico”, c’è l’alchimia di un frammento di vita dell’oggetto colto in un momento irripetibile, un istante eternizzato nell’immagine fotografica che genera una diversa temporalità del soggetto e una durata sospesa.
Questo carattere traboccante è indagato dall’artista per compiere un viaggio a ritroso alle origini della fotografia con l’intento di esplorare nuove possibilità di senso del linguaggio fotografico.
Figure evanescenti e sfumate compaiono nelle nuove fotografie in bianco e nero di Davide Tranchina. Sono le ombre bianche lasciate da oggetti comuni sulla carta fotosensibile, che si “depositano” per contatto. Vegetali, bottiglie, vetri macchiati, modellini di navi sono la matrice originale di queste forme eteree, che hanno la stessa consistenza dei sogni un attimo prima del risveglio.
L’artista scansiona le impronte di luce lasciate sulla carta, le elabora successivamente selezionando dei particolari, isolando dei frammenti, realizzando dei “close-up” o stampandole in grandi formati, a seconda dell’immagine latente che affiora dal lavoro di ricerca. Quelli che prima sembravano oggetti, ora paiono tracce di un mondo surreale ai confini dell’immaginifico: cieli stellati, funghi atomici, vascelli fantasma. Osservati nella loro possibilità di mutare carattere, contesto, “natura”, al di là del loro referente reale, Tranchina attua con questo lavoro una riflessione sui concetti di originale, di copia, e sul potere d’astrazione della fotografia che non duplica la realtà ma ne esibisce una nuova.
A differenza dello scatto, nell’immagine a contatto la luce pare “scannerizzare” gli oggetti dentro e fuori, cogliendo nella loro texture radiografica una qualità spettrale. L’ombra bianca su fondo nero crea una deriva visiva, una sorta di miraggio, che producono nello sguardo dello spettatore un incanto maggiore ed evocano una visionarietà metafisica.
Quest’ombra bianca rappresenta il doppio dell’ombra ”naturale” (l’ombra nera), e allo stesso tempo suggerisce l’idea del negativo fotografico, della pellicola nera impressa da tracce bianche. Positivo e negativo, realtà e apparenza si mischiano e s’invertono di grado cambiando il senso dell’immagine, che appare ora una visione e non più una rappresentazione dell’oggetto.
In questo processo di ombre e luci, di sparizione nell’apparizione, si oltrepassa la smaterializzazione del reale e la sfera della virtualità, caratteristici dell’era digitale, per fare ritorno all’essenza delle cose, ad una relazione tra sguardo e incantamento non filtrato da sovrastrutture e mediazioni tecnologiche.
Il senso del meraviglioso e l’alienazione dal referente reale sono acuiti nell’installazione ambientale Big Bang, un soffitto celeste che si rispecchia anche nel pavimento creando uno spazio siderale avvolgente. Entrando in questo ambiente, lo spettatore si trova dentro l’immagine, diventando parte del riflesso stesso. L’opera non si limita alla sola contemplazione; incorporato nello spazio, lo spettatore fa esperienza di una sensorialità diversa, più tattile, sospeso tra l’illusorietà dell’universo e il miraggio di un “buco nero” impossibile. Un effetto straordinario di estraneamento che la fotografia rende possibile ogni volta perché, come diceva Jean Baudrillard, “... l’illusione non si oppone alla realtà, ne è un’altra più sottile, che avvolge la prima con il segno della sua sparizione”.
Sono close-up in bianco e nero, di grande formato, ottenuti scansionando le impronte di luce lasciate su carta fotosensibile da oggetti d’uso quotidiano posti “a contatto”. Queste tracce luminose paiono scie di una presenza spettrale, effimera, e disegnano nello spazio nero dello sfondo forme dall’immagine familiare ma dall’aspetto surreale. Ricordano navi fantasma, funghi atomici, spazi siderali e galassie provenienti da universo misterioso, lontano, permeato di realismo magico ma anche di solitudine. Oppure possono sembrare frammenti evanescenti di un sogno e realtà immaginate che affiorano dalle profondità della nostra “caverna interiore”, dove abitano le passioni più segrete.
Un senso di metafisica bellezza è manifestato dal risalto dato ai rapporti cromatici tra luce/oscurità e dalla deriva semantica degli oggetti impressi, che nelle immagini di Davide Tranchina diventano “altro” smascherando la natura ambigua del reale.
Un importante elemento di differenza rispetto ai lavori precedenti risiede nella perdita di un referente con la realtà, che lascia posto all’emergere di una soggettività e di una narrazione visionarie. Nell’installazione ambientale costruita in un’ala della galleria, ad esempio, l’artista crea uno spazio siderale dove lo spettatore può esperire la realtà mentale di un notturno stellato.
Un procedimento antico e rudimentale come l’immagine “a contatto” assume nel lavoro di Davide Tranchina una valenza di novità: non solo nella sua qualità estetica, ma anche nella sua pratica concettuale. Infatti, l’obsolescenza di una tecnica superata può liberare quella dimensione utopica insita agli albori di ogni processo tecnologico, svelando la doppia valenza delle cose - ne parla suggestivamente Walter Benjamin ne’ I passages di Parigi. In questo lavoro l’artista ricorre a un modello artistico alternativo capace di esprimere visivamente quella contraddizione esistente tra il realismo insito nella fotografia e il reale, mostrando tanto l’oggetto quanto la sua “ombra” e riflettendo sulla percezione delle cose e la loro immagine a posteriori.
Marinella Paderni / Un’avventura del pensiero
Un eterno ritorno all’atto primo della fotografia - la magia della luce che fissa l’impronta di un oggetto senza la mediazione dell’apparecchio fotografico - è l’origine di questo nuovo lavoro di Davide Tranchina.
E’ un ritorno all’idea di fotografia come scrittura di luce, riscoprendo quell’incanto che le è proprio e che conferisce una dimensione fantasmatica alle immagini fotografiche, in cui realtà e irrealtà si compenetrano in un’unità magica.
E’ un eterno vedere nella fotografia la “scomparsa” di un oggetto, e guardarlo riapparire sotto forma d’immagine latente, indiziale, generando un processo di apparizione e rivelazione di quelle realtà essenziali che sfuggono normalmente allo sguardo umano. La fotografia è il luogo in cui tutto il reale si deposita nell’immagine salvandolo dall’oblio, senza consentire dispersioni, frammentazioni o percezioni parziali della realtà. Nel processo di deposito del reale nel “tempo fotografico”, c’è l’alchimia di un frammento di vita dell’oggetto colto in un momento irripetibile, un istante eternizzato nell’immagine fotografica che genera una diversa temporalità del soggetto e una durata sospesa.
Questo carattere traboccante è indagato dall’artista per compiere un viaggio a ritroso alle origini della fotografia con l’intento di esplorare nuove possibilità di senso del linguaggio fotografico.
Figure evanescenti e sfumate compaiono nelle nuove fotografie in bianco e nero di Davide Tranchina. Sono le ombre bianche lasciate da oggetti comuni sulla carta fotosensibile, che si “depositano” per contatto. Vegetali, bottiglie, vetri macchiati, modellini di navi sono la matrice originale di queste forme eteree, che hanno la stessa consistenza dei sogni un attimo prima del risveglio.
L’artista scansiona le impronte di luce lasciate sulla carta, le elabora successivamente selezionando dei particolari, isolando dei frammenti, realizzando dei “close-up” o stampandole in grandi formati, a seconda dell’immagine latente che affiora dal lavoro di ricerca. Quelli che prima sembravano oggetti, ora paiono tracce di un mondo surreale ai confini dell’immaginifico: cieli stellati, funghi atomici, vascelli fantasma. Osservati nella loro possibilità di mutare carattere, contesto, “natura”, al di là del loro referente reale, Tranchina attua con questo lavoro una riflessione sui concetti di originale, di copia, e sul potere d’astrazione della fotografia che non duplica la realtà ma ne esibisce una nuova.
A differenza dello scatto, nell’immagine a contatto la luce pare “scannerizzare” gli oggetti dentro e fuori, cogliendo nella loro texture radiografica una qualità spettrale. L’ombra bianca su fondo nero crea una deriva visiva, una sorta di miraggio, che producono nello sguardo dello spettatore un incanto maggiore ed evocano una visionarietà metafisica.
Quest’ombra bianca rappresenta il doppio dell’ombra ”naturale” (l’ombra nera), e allo stesso tempo suggerisce l’idea del negativo fotografico, della pellicola nera impressa da tracce bianche. Positivo e negativo, realtà e apparenza si mischiano e s’invertono di grado cambiando il senso dell’immagine, che appare ora una visione e non più una rappresentazione dell’oggetto.
In questo processo di ombre e luci, di sparizione nell’apparizione, si oltrepassa la smaterializzazione del reale e la sfera della virtualità, caratteristici dell’era digitale, per fare ritorno all’essenza delle cose, ad una relazione tra sguardo e incantamento non filtrato da sovrastrutture e mediazioni tecnologiche.
Il senso del meraviglioso e l’alienazione dal referente reale sono acuiti nell’installazione ambientale Big Bang, un soffitto celeste che si rispecchia anche nel pavimento creando uno spazio siderale avvolgente. Entrando in questo ambiente, lo spettatore si trova dentro l’immagine, diventando parte del riflesso stesso. L’opera non si limita alla sola contemplazione; incorporato nello spazio, lo spettatore fa esperienza di una sensorialità diversa, più tattile, sospeso tra l’illusorietà dell’universo e il miraggio di un “buco nero” impossibile. Un effetto straordinario di estraneamento che la fotografia rende possibile ogni volta perché, come diceva Jean Baudrillard, “... l’illusione non si oppone alla realtà, ne è un’altra più sottile, che avvolge la prima con il segno della sua sparizione”.
17
novembre 2009
Davide Tranchina – Big Bang
Dal 17 novembre 2009 al 16 gennaio 2010
fotografia
Location
NICOLETTA RUSCONI
Milano, Corso Venezia, 22, (Milano)
Milano, Corso Venezia, 22, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a sabato, dalle 15.00 alle 19.00. Chiuso domenica e lunedì.
Vernissage
17 Novembre 2009, ore 18.30
Autore
Curatore