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De Pisis a Ferrara
Il 2 aprile saranno trascorsi cinquant’anni dalla morte di Filippo de Pisis (1896-1956). Ferrara, la città in cui è nato, lo ricorda con una mostra allestita a Palazzo dei Diamanti
Comunicato stampa
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Il 2 aprile saranno trascorsi cinquant’anni dalla morte di Filippo de Pisis (1896-1956). Ferrara, la città in cui è nato, lo ricorda con una mostra allestita a Palazzo dei Diamanti, a cura di Maria Luisa Pacelli e organizzata in collaborazione da Ferrara Arte e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea. Per l’occasione sarà pubblicato il catalogo generale interamente illustrato dei de Pisis del museo ferrarese, uno strumento prezioso per diffonderne la conoscenza.
È un’esposizione diversa dalle precedenti poiché, ad eccezione de I grandi fiori di casa Massimo, recentemente acquisiti dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara e in deposito presso il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea “Filippo de Pisis”, le opere esposte sono delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea. Si tratta della collezione più importante di lavori del grande artista, che conta quarantanove olii e duecentocinque opere su carta. Ciò non deve far pensare ad una mostra che non testimoni ogni aspetto dell’arte di de Pisis.
La rassegna comincia con uno dei suoi primissimi esercizi pittorici, Passeri (1908), che racconta del suo rapporto estemporaneo con la pittura negli anni della giovinezza quando ad assorbire la maggior parte delle sue energie erano gli interessi letterari.
A documentare il salto di qualità che la pittura di de Pisis compie nel biennio 1924-25, prendendo le distanze dal mito della “bella pittura” di tradizione ottocentesca, è la Natura morta col martin pescatore (1925). Segue il trasferimento dell’artista a Parigi, nella primavera del 1925, dove all’inizio diede corso ad una personalissima rivisitazione della pittura metafisica – conosciuta negli anni ferraresi quando nacque la sua amicizia con De Chirico – che si riflette in quell’incantesimo onirico e intellettuale che sono Le cipolle di Socrate (1927). L’anno 1928 registra la nascita di un nuovo inconfondibile genere di veduta, La Coupole, e di natura morta, I pesci marci, entrambi frutto della «cenere di un fuoco»: quello che si accende, subitaneo, quando si incontrano il cuore del poeta e l’anima delle cose.
Nel 1929, nei Propositi che è solito scrivere all’inizio di ogni nuovo anno, de Pisis annota: «Per la pittura niente romanticherie, niente pesci marci, niente cipolle, niente jolis coins de Paris, niente “marmellate pittoriche”.» Tali propositi trovano riscontro anche in opere di anni successivi come la Natura morta con agli (1930) e la Natura morta marina (1932) dove ogni riferimento alla metafisica è scomparso e ciò che conta sono le emozioni dell’artista di fronte al soggetto e la capacità di trascriverle sulla tela. Nel Gladiolo fulminato (1930) e nei Grandi fiori di casa Massimo (1931) i sentimenti di de Pisis si identificano sempre più con i suoi soggetti e con il modo di rappresentarli. È una tragedia che si consuma sotto i nostri occhi il Gladiolo: quella di una vita stroncata all’improvviso. Tutt’altra cosa sono i Grandi fiori: un inno alla bellezza che nel diario privato di de Pisis corrisponde ad un’ora di gioia. Segue la sua moderna interpretazione del tema dell’efebo, documentata in mostra da Il nudino rosa (1931) e da quegli affascinanti «segni d’incanto e di inquietudine» che sono i suoi disegni, straordinarie pagine di un diario artistico e umano.
È diverso il suo modo di dipingere nello studio dove, spesso, il suo linguaggio pittorico si fa più meditato, un modo di dipingere che produce capolavori come La lepre (1932) e la Natura morta con pane, formaggio e bottiglia (1936). Viale a Parigi (1938) e Strada di Parigi (1938) testimoniano il furore creativo col quale de Pisis, nel pieno della sua maturità artistica, è pronto a fermare sulla tela con inimitabile immediatezza, grazie alla sua prodigiosa «stenografia pittorica», il paesaggio e l’emozione che suscita in lui. Poi, come in Una rosa sta buttando (1938), quel furore creativo cede il passo, talvolta, a momenti di meditazione assorta, colma di dolcezza e di emotività trattenuta.
È straordinario il suo talento di ritrattista, insieme raffinato e violento, capace, come in quel capolavoro che è Ritratto di Allegro (1940), di rapire in un lampo da un volto i sentimenti del soggetto e di trasferirli istantaneamente sulla tela.
Negli anni Quaranta, dopo il rientro in Italia avvenuto nel 1939, la tensione degli anni precedenti in parte si placa e torna a crescere nella sua pittura il peso della sua cultura poetica e letteraria. Così si spiega quell’autentica «gemma», come ha scritto de Pisis stesso sul dipinto, che è la splendida Falena (1945).
La mostra si conclude con l’ultima straordinaria stagione del suo lavoro, quando il pittore della vita si trasforma nel poeta della morte e per esprimere sulla tela questa emozione estrema prosciuga la sua febbrile «stenografia pittorica» e costruisce un’inedita sintassi figurativa ridotta all’essenziale. È in clinica, a Villa Fiorita, che matura appieno l’ultima fase della sua pittura. È l’anno 1950. «Ora sto molto meglio e dipingo come un Angelo», scrive de Pisis a Comisso nella tarda primavera. Fu forse in quei giorni che l’artista trovò la forza di schiarire la sua tavolozza e infondere un estremo palpito di vita ai suoi soggetti: le commoventi Rose bianche e anche la splendida, intensissima, Rosa nella bottiglia, dove si frammenta e si irrigidisce sempre più il segno, però, e appaiono sottili pennellate di colore nero che parlano dell’inizio della consunzione delle cose e annunciano un cambiamento imminente. C’è ancora una larva di colore, un soffio di vita, in una tela come Natura morta sul tavolo (1951), ma poi, inesorabilmente, le mille luci della sua tavolozza si spengono nella Natura morta con pipa e calamaio (1951). Cala la sera dentro la serra di Villa Fiorita acconciata a studio e quella lettera sigillata posata sul tavolo potrebbe essere il testamento del pittore. Negli anni seguenti, fino al 1953, nasceranno ancora alcuni capolavori (Le pere, 1953), ma il suo straordinario “diario pittorico”, scritto giorno dopo giorno, per oltre venticinque anni, è ormai giunto al termine.
Se Ferrara possiede una simile raccolta di de Pisis lo deve a tre benefattori: uno sconosciuto al grande pubblico, Giuseppe Pianori, e due notissimi, Manlio e Franca Malabotta. Questa mostra è anche un segno di profonda gratitudine verso di loro che, con rara generosità, hanno arricchito la città di questo straordinario patrimonio artistico.
Agricoltore ferrarese facoltoso, Giuseppe Pianori, sentendo approssimarsi la fine, maturò il desiderio di perpetuare la memoria sua e della sua famiglia e, il 24 marzo 1980, si recò dal notaio e gli consegnò il suo testamento. Morì poco dopo, il 12 maggio, e tre giorni più tardi venne pubblicato il testamento dove si legge: «Per onorare in modo degno e duraturo la memoria della Famiglia Pianori, intendo costituire e costituisco la fondazione denominata: “Giuseppe Pianori” con lo scopo di sviluppare e arricchire il patrimonio artistico e culturale di Ferrara attraverso l’acquisizione di opere d’arte moderna da destinarsi alla Galleria Civica d’Arte Moderna della città…» È da quel momento che ha cominciato a prendere corpo la collezione ferrarese dei de Pisis, acquistati uno dopo l’altro, nel corso degli anni. Ma un salto di qualità decisivo la collezione l’ha compiuto il 28 settembre del 1996 quando Franca Fenga Malabotta ha reso pubblica la sua decisione di donare a Ferrara la celebre collezione di opere di Filippo de Pisis che il marito, il notaio e raffinato collezionista e critico d’arte Manlio Malabotta, aveva raccolto tra il 1940 e il 1969 e che lei aveva saputo conservare e valorizzare per oltre un ventennio con una competenza e un amore rari nel mondo del collezionismo. C’è tutta la grandezza di de Pisis nei capolavori della collezione Malabotta, e c’è anche quella del collezionista che ha visto, capito, raccolto e amato le opere di questo artista, e di sua moglie che, dopo decenni di vita in comune con loro, ha deciso di rinunciare al dialogo quotidiano con quei figli adottivi pur di condividere col pubblico quel suo grande amore.
Il 15 ottobre del 2002 il materiale documentario del fondo depisisiano ferrarese è stato arricchito da un altro prezioso atto di liberalità: quello che Luisa Laureati Briganti ha compiuto nei confronti delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea donando, nel decennale della scomparsa del marito, professor Giuliano Briganti, l’intera fototeca utilizzata per la predisposizione del catalogo generale dell’opera pittorica di Filippo de Pisis (1908-53) da lui curato.
È un’esposizione diversa dalle precedenti poiché, ad eccezione de I grandi fiori di casa Massimo, recentemente acquisiti dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara e in deposito presso il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea “Filippo de Pisis”, le opere esposte sono delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea. Si tratta della collezione più importante di lavori del grande artista, che conta quarantanove olii e duecentocinque opere su carta. Ciò non deve far pensare ad una mostra che non testimoni ogni aspetto dell’arte di de Pisis.
La rassegna comincia con uno dei suoi primissimi esercizi pittorici, Passeri (1908), che racconta del suo rapporto estemporaneo con la pittura negli anni della giovinezza quando ad assorbire la maggior parte delle sue energie erano gli interessi letterari.
A documentare il salto di qualità che la pittura di de Pisis compie nel biennio 1924-25, prendendo le distanze dal mito della “bella pittura” di tradizione ottocentesca, è la Natura morta col martin pescatore (1925). Segue il trasferimento dell’artista a Parigi, nella primavera del 1925, dove all’inizio diede corso ad una personalissima rivisitazione della pittura metafisica – conosciuta negli anni ferraresi quando nacque la sua amicizia con De Chirico – che si riflette in quell’incantesimo onirico e intellettuale che sono Le cipolle di Socrate (1927). L’anno 1928 registra la nascita di un nuovo inconfondibile genere di veduta, La Coupole, e di natura morta, I pesci marci, entrambi frutto della «cenere di un fuoco»: quello che si accende, subitaneo, quando si incontrano il cuore del poeta e l’anima delle cose.
Nel 1929, nei Propositi che è solito scrivere all’inizio di ogni nuovo anno, de Pisis annota: «Per la pittura niente romanticherie, niente pesci marci, niente cipolle, niente jolis coins de Paris, niente “marmellate pittoriche”.» Tali propositi trovano riscontro anche in opere di anni successivi come la Natura morta con agli (1930) e la Natura morta marina (1932) dove ogni riferimento alla metafisica è scomparso e ciò che conta sono le emozioni dell’artista di fronte al soggetto e la capacità di trascriverle sulla tela. Nel Gladiolo fulminato (1930) e nei Grandi fiori di casa Massimo (1931) i sentimenti di de Pisis si identificano sempre più con i suoi soggetti e con il modo di rappresentarli. È una tragedia che si consuma sotto i nostri occhi il Gladiolo: quella di una vita stroncata all’improvviso. Tutt’altra cosa sono i Grandi fiori: un inno alla bellezza che nel diario privato di de Pisis corrisponde ad un’ora di gioia. Segue la sua moderna interpretazione del tema dell’efebo, documentata in mostra da Il nudino rosa (1931) e da quegli affascinanti «segni d’incanto e di inquietudine» che sono i suoi disegni, straordinarie pagine di un diario artistico e umano.
È diverso il suo modo di dipingere nello studio dove, spesso, il suo linguaggio pittorico si fa più meditato, un modo di dipingere che produce capolavori come La lepre (1932) e la Natura morta con pane, formaggio e bottiglia (1936). Viale a Parigi (1938) e Strada di Parigi (1938) testimoniano il furore creativo col quale de Pisis, nel pieno della sua maturità artistica, è pronto a fermare sulla tela con inimitabile immediatezza, grazie alla sua prodigiosa «stenografia pittorica», il paesaggio e l’emozione che suscita in lui. Poi, come in Una rosa sta buttando (1938), quel furore creativo cede il passo, talvolta, a momenti di meditazione assorta, colma di dolcezza e di emotività trattenuta.
È straordinario il suo talento di ritrattista, insieme raffinato e violento, capace, come in quel capolavoro che è Ritratto di Allegro (1940), di rapire in un lampo da un volto i sentimenti del soggetto e di trasferirli istantaneamente sulla tela.
Negli anni Quaranta, dopo il rientro in Italia avvenuto nel 1939, la tensione degli anni precedenti in parte si placa e torna a crescere nella sua pittura il peso della sua cultura poetica e letteraria. Così si spiega quell’autentica «gemma», come ha scritto de Pisis stesso sul dipinto, che è la splendida Falena (1945).
La mostra si conclude con l’ultima straordinaria stagione del suo lavoro, quando il pittore della vita si trasforma nel poeta della morte e per esprimere sulla tela questa emozione estrema prosciuga la sua febbrile «stenografia pittorica» e costruisce un’inedita sintassi figurativa ridotta all’essenziale. È in clinica, a Villa Fiorita, che matura appieno l’ultima fase della sua pittura. È l’anno 1950. «Ora sto molto meglio e dipingo come un Angelo», scrive de Pisis a Comisso nella tarda primavera. Fu forse in quei giorni che l’artista trovò la forza di schiarire la sua tavolozza e infondere un estremo palpito di vita ai suoi soggetti: le commoventi Rose bianche e anche la splendida, intensissima, Rosa nella bottiglia, dove si frammenta e si irrigidisce sempre più il segno, però, e appaiono sottili pennellate di colore nero che parlano dell’inizio della consunzione delle cose e annunciano un cambiamento imminente. C’è ancora una larva di colore, un soffio di vita, in una tela come Natura morta sul tavolo (1951), ma poi, inesorabilmente, le mille luci della sua tavolozza si spengono nella Natura morta con pipa e calamaio (1951). Cala la sera dentro la serra di Villa Fiorita acconciata a studio e quella lettera sigillata posata sul tavolo potrebbe essere il testamento del pittore. Negli anni seguenti, fino al 1953, nasceranno ancora alcuni capolavori (Le pere, 1953), ma il suo straordinario “diario pittorico”, scritto giorno dopo giorno, per oltre venticinque anni, è ormai giunto al termine.
Se Ferrara possiede una simile raccolta di de Pisis lo deve a tre benefattori: uno sconosciuto al grande pubblico, Giuseppe Pianori, e due notissimi, Manlio e Franca Malabotta. Questa mostra è anche un segno di profonda gratitudine verso di loro che, con rara generosità, hanno arricchito la città di questo straordinario patrimonio artistico.
Agricoltore ferrarese facoltoso, Giuseppe Pianori, sentendo approssimarsi la fine, maturò il desiderio di perpetuare la memoria sua e della sua famiglia e, il 24 marzo 1980, si recò dal notaio e gli consegnò il suo testamento. Morì poco dopo, il 12 maggio, e tre giorni più tardi venne pubblicato il testamento dove si legge: «Per onorare in modo degno e duraturo la memoria della Famiglia Pianori, intendo costituire e costituisco la fondazione denominata: “Giuseppe Pianori” con lo scopo di sviluppare e arricchire il patrimonio artistico e culturale di Ferrara attraverso l’acquisizione di opere d’arte moderna da destinarsi alla Galleria Civica d’Arte Moderna della città…» È da quel momento che ha cominciato a prendere corpo la collezione ferrarese dei de Pisis, acquistati uno dopo l’altro, nel corso degli anni. Ma un salto di qualità decisivo la collezione l’ha compiuto il 28 settembre del 1996 quando Franca Fenga Malabotta ha reso pubblica la sua decisione di donare a Ferrara la celebre collezione di opere di Filippo de Pisis che il marito, il notaio e raffinato collezionista e critico d’arte Manlio Malabotta, aveva raccolto tra il 1940 e il 1969 e che lei aveva saputo conservare e valorizzare per oltre un ventennio con una competenza e un amore rari nel mondo del collezionismo. C’è tutta la grandezza di de Pisis nei capolavori della collezione Malabotta, e c’è anche quella del collezionista che ha visto, capito, raccolto e amato le opere di questo artista, e di sua moglie che, dopo decenni di vita in comune con loro, ha deciso di rinunciare al dialogo quotidiano con quei figli adottivi pur di condividere col pubblico quel suo grande amore.
Il 15 ottobre del 2002 il materiale documentario del fondo depisisiano ferrarese è stato arricchito da un altro prezioso atto di liberalità: quello che Luisa Laureati Briganti ha compiuto nei confronti delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea donando, nel decennale della scomparsa del marito, professor Giuliano Briganti, l’intera fototeca utilizzata per la predisposizione del catalogo generale dell’opera pittorica di Filippo de Pisis (1908-53) da lui curato.
11
marzo 2006
De Pisis a Ferrara
Dall'undici marzo al 04 giugno 2006
arte moderna
Location
PALAZZO DEI DIAMANTI
Ferrara, Corso Ercole I D'este, 21, (Ferrara)
Ferrara, Corso Ercole I D'este, 21, (Ferrara)
Biglietti
intero € 5.00, ridotto € 4.00, scuole € 2.00
Orario di apertura
tutti i giorni dalle 10.00 alle 18.00
Ufficio stampa
STUDIO ESSECI
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Curatore