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Debra Werblud – Limbo
personale
Comunicato stampa
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Debra Werblud è nata a New York. Vive e lavora a Venezia.
Nell’ultima installazione di Debra Werblud per lo Studio d’Arte Contemporanea Pino Casagrande, Limbo, ci vengono incontro tronchi neri (lunghe e sottili sagome di ferro), profili di alberi in un impenetrabile bosco le cui variazioni di scala sottendono una profondità prospettica. Ma presto la semplicità dei profili trasforma i tronchi, rendendoli astratte stille di un fitto gocciolio. Se il loro orientamento implica la forza di gravità, è anche vero che rimangono sospesi a mezz’aria sopra il pavimento, come congelati. Di fronte ad essi, retro-illuminate, due pareti con diverse figure su pannelli, come lampi improvvisi sugli antichi ritmi strutturali della natura. In contrasto con la grandezza delle sagome arboree, sono studi ravvicinati di particolari di tronchi o di rami, colti da punti di vista strategici e diversificati, stampati in nero intenso su una superficie traslucida bianca. Ciascuna immagine articola il suo peculiare stato – dal viluppo dei rami della volta di una foresta vista dal basso, ai lisci tronchi neri fusi nelle loro più pure forme astratte – e tutte si contendono un’attenzione individuale, mentre i nostri occhi vengono guidati dall’architettura d’insieme.
L’esperienza nel suo complesso riporta alla mente frammenti d’immaginario di una silenziosa passeggiata invernale nel folto dei boschi, dove la linea d’orizzonte è cancellata dalla spessa coltre di neve e ogni cosa è colta in una quiescenza sospesa. Assenza di gravità e gravità si intrecciano; perdiamo il nostro orientamento.
Sotto le immagini degli alberi e dei tronchi, vediamo dettagli della superficie irregolare e agitata dell’oceano, ancora una volta senza nessuna linea dell’orizzonte ad orientarci. Riecheggiano le trame dei tronchi sovrastanti, ma le loro superfici sono increspate da mille pieghe. La nostra attenzione viene attratta verso il pavimento bianco dalle vedute acquatiche, collocandoci sul limitare tra neve e acqua, e al contempo l’abisso che sottintendono e le loro superfici agitate, in contrasto con le immagini ariose degli alberi sovrastanti, determinano uno stato di inquietudine per quanto ci aspetta. Attraverso la lunga e stretta apertura tra le due pareti, intravediamo una figura che volteggia acrobatica in diverse sfumature di grigio. Il suo corpo riflette luce bianca, attirando la nostra attenzione nella profondità dello spazio dove ruota, palpita, volteggia, diviene sfuocata e torna nitida. L’effetto è ipnotico. La figura è un adulto di sesso femminile, raccolta in una posizione semi fetale. Ma nel volgere vorticoso la connotazione sessuale è perduta, o diviene semplicemente irrilevante. Quando oltrepassiamo la soglia dell’apertura per entrare nello spazio oscuro, lasciamo quella che abbiamo pensato fosse la familiarità rassicurante della natura, per avvicinare un’immagine spettrale e irrisolta di noi stessi. A sua volta, la natura spoglia alle nostre spalle non soddisfa le nostre aspettative di rinascita, ma diventa testimone indifferente, teatro o addirittura soggetto del succedersi degli eventi creati dall’uomo.
L’impulso a iniziare dal paesaggio è stato intrepidamente esplorato nell’arco degli ultimi 150 anni, in particolare in fotografia, con immagini che dischiudevano un nuovo mondo intatto, carico di potenziale metaforico. Questa influenza della fotografia è evidente nel lavoro di Debra Werblud, dove l’uso della luce è di importanza primaria. L’artista però non fa fotografie, ma per ottenere le sue immagini mescola tecnologie avanzate con strumenti tradizionali (la figura femminile è disegnata a mano sul computer e poi manipolata digitalmente). Werblud esige molto dai materiali che sceglie e si appassiona nell’architettare soluzioni originali per risolvere le numerose difficoltà tecniche che insorgono durante la creazione di un ambiente; senza dubbio un risultato dei suoi anni di progettazione urbana e di conceptual design.
Le pulsazioni dell’immaginazione così accuratamente studiate, dalle immagini grafiche piatte fino al successivo movimento umano, hanno la loro base nella nostra esperienza del mondo fisico: ma subito dopo veniamo scagliati nel metafisico. Mentre Werblud indaga la percezione ci chiede anche di considerare qualcosa di profondamente primordiale. Come è paragonabile l’antica esperienza della dissociazione che tutti abbiamo provato camminando in un bosco innevato, alla nostra riconciliazione fisica e spirituale con il mondo in generale? E proprio questo mondo dove la nostra comprensione della natura umana, a chi e a cosa appartiene, è costantemente discussa e messa in dubbio? Limbo era il posto riservato nell’Inferno ai pagani, gli altri, coloro che non conformavano la loro individualità.
Questo lavoro è un’indagine personale quanto collettiva. I boschi sono spogliati delle loro foglie e ridotti ad elementi essenziali, assoluti e percettivi. L’animazione si sforza di afferrare e rivelare gli stessi elementi della figura umana. Siamo nel vortice del regno dell’inconscio.
Katherine Gass
Nell’ultima installazione di Debra Werblud per lo Studio d’Arte Contemporanea Pino Casagrande, Limbo, ci vengono incontro tronchi neri (lunghe e sottili sagome di ferro), profili di alberi in un impenetrabile bosco le cui variazioni di scala sottendono una profondità prospettica. Ma presto la semplicità dei profili trasforma i tronchi, rendendoli astratte stille di un fitto gocciolio. Se il loro orientamento implica la forza di gravità, è anche vero che rimangono sospesi a mezz’aria sopra il pavimento, come congelati. Di fronte ad essi, retro-illuminate, due pareti con diverse figure su pannelli, come lampi improvvisi sugli antichi ritmi strutturali della natura. In contrasto con la grandezza delle sagome arboree, sono studi ravvicinati di particolari di tronchi o di rami, colti da punti di vista strategici e diversificati, stampati in nero intenso su una superficie traslucida bianca. Ciascuna immagine articola il suo peculiare stato – dal viluppo dei rami della volta di una foresta vista dal basso, ai lisci tronchi neri fusi nelle loro più pure forme astratte – e tutte si contendono un’attenzione individuale, mentre i nostri occhi vengono guidati dall’architettura d’insieme.
L’esperienza nel suo complesso riporta alla mente frammenti d’immaginario di una silenziosa passeggiata invernale nel folto dei boschi, dove la linea d’orizzonte è cancellata dalla spessa coltre di neve e ogni cosa è colta in una quiescenza sospesa. Assenza di gravità e gravità si intrecciano; perdiamo il nostro orientamento.
Sotto le immagini degli alberi e dei tronchi, vediamo dettagli della superficie irregolare e agitata dell’oceano, ancora una volta senza nessuna linea dell’orizzonte ad orientarci. Riecheggiano le trame dei tronchi sovrastanti, ma le loro superfici sono increspate da mille pieghe. La nostra attenzione viene attratta verso il pavimento bianco dalle vedute acquatiche, collocandoci sul limitare tra neve e acqua, e al contempo l’abisso che sottintendono e le loro superfici agitate, in contrasto con le immagini ariose degli alberi sovrastanti, determinano uno stato di inquietudine per quanto ci aspetta. Attraverso la lunga e stretta apertura tra le due pareti, intravediamo una figura che volteggia acrobatica in diverse sfumature di grigio. Il suo corpo riflette luce bianca, attirando la nostra attenzione nella profondità dello spazio dove ruota, palpita, volteggia, diviene sfuocata e torna nitida. L’effetto è ipnotico. La figura è un adulto di sesso femminile, raccolta in una posizione semi fetale. Ma nel volgere vorticoso la connotazione sessuale è perduta, o diviene semplicemente irrilevante. Quando oltrepassiamo la soglia dell’apertura per entrare nello spazio oscuro, lasciamo quella che abbiamo pensato fosse la familiarità rassicurante della natura, per avvicinare un’immagine spettrale e irrisolta di noi stessi. A sua volta, la natura spoglia alle nostre spalle non soddisfa le nostre aspettative di rinascita, ma diventa testimone indifferente, teatro o addirittura soggetto del succedersi degli eventi creati dall’uomo.
L’impulso a iniziare dal paesaggio è stato intrepidamente esplorato nell’arco degli ultimi 150 anni, in particolare in fotografia, con immagini che dischiudevano un nuovo mondo intatto, carico di potenziale metaforico. Questa influenza della fotografia è evidente nel lavoro di Debra Werblud, dove l’uso della luce è di importanza primaria. L’artista però non fa fotografie, ma per ottenere le sue immagini mescola tecnologie avanzate con strumenti tradizionali (la figura femminile è disegnata a mano sul computer e poi manipolata digitalmente). Werblud esige molto dai materiali che sceglie e si appassiona nell’architettare soluzioni originali per risolvere le numerose difficoltà tecniche che insorgono durante la creazione di un ambiente; senza dubbio un risultato dei suoi anni di progettazione urbana e di conceptual design.
Le pulsazioni dell’immaginazione così accuratamente studiate, dalle immagini grafiche piatte fino al successivo movimento umano, hanno la loro base nella nostra esperienza del mondo fisico: ma subito dopo veniamo scagliati nel metafisico. Mentre Werblud indaga la percezione ci chiede anche di considerare qualcosa di profondamente primordiale. Come è paragonabile l’antica esperienza della dissociazione che tutti abbiamo provato camminando in un bosco innevato, alla nostra riconciliazione fisica e spirituale con il mondo in generale? E proprio questo mondo dove la nostra comprensione della natura umana, a chi e a cosa appartiene, è costantemente discussa e messa in dubbio? Limbo era il posto riservato nell’Inferno ai pagani, gli altri, coloro che non conformavano la loro individualità.
Questo lavoro è un’indagine personale quanto collettiva. I boschi sono spogliati delle loro foglie e ridotti ad elementi essenziali, assoluti e percettivi. L’animazione si sforza di afferrare e rivelare gli stessi elementi della figura umana. Siamo nel vortice del regno dell’inconscio.
Katherine Gass
18
settembre 2005
Debra Werblud – Limbo
Dal 18 settembre al 18 novembre 2005
arte contemporanea
Location
STUDIO D’ARTE CONTEMPORANEA PINO CASAGRANDE
Roma, Via Degli Ausoni, 7a, (Roma)
Roma, Via Degli Ausoni, 7a, (Roma)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì 17-20 e su appuntamento
Vernissage
18 Settembre 2005, ore 19
Autore