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Designoftheotherthings
la mostra mette in scena una serie di esperienze collettive e di personaggi in grado di mostrare alcune dimensioni interessanti e problematiche del fare ricerca alternativa in Italia, in un’accezione di design molto aperta e innovativa.
Comunicato stampa
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Tra sogni e bisogni
Silvana Annicchiarico
Direttore Triennale Design Museum
Con la terza edizione del Triennale Design Museum intitolata “Quali cose siamo” ricomincia nel CreativeSet un nuovo ciclo di mostre dedicate a quella generazione che nel 2006, in occasione delcensimento che ha mappato oltre 1000 progettisti e della successiva mostra che ne ha selezionati ed esposti 121, ho voluto chiamare The New Italian Design.
Non è un compito facile quello di scegliere e selezionare le personalità più innovative e rappresentative di una generazione che sempre più spesso è spinta o indotta a operare in modo carsico,scomparendo all’improvviso alla vista per poi riapparire più in là, o di lato, e quasi sempre dove tutto ti aspetti meno che la riapparizione.
Ma per inaugurare questo secondo ciclo di mostre dedicate al nuovo design italiano, in continuità, ma non in successione gerarchica con le mostre che hanno caratterizzato la precedente edizione del Museo, ho pensato di mettere l’una accanto all’altra differenti modalità di operare, diverse attitudini progettuali, diversi e non omologabili ambiti espressivi. La scelta è stata quella di privilegiare, almeno in questa prima occasione, non il tradizionale design del prodotto bensì quello che a vario titolo ha a che fare con l’immateriale.
I gruppi e i designer selezionati apparentemente non hanno nessun contatto, nessuna relazione. Sicuramente non sono né una scuola né un movimento, e tuttavia sono animati tutti da una forte tensione ideale, da un’attenzione specifica e non strumentale per lo spazio pubblico (quello reale su cui operano esperienze come Esterni, Id-Lab o Reggio Children e quello virtuale su cui si muove Kublai Sintesi) e da una consolidata attitudine al pensiero critico o alla lettura critica del mondo, arrivando addirittura a lavorare sull’intersezione fra vivente e non vivente, come nel caso di quell’organismo a metà fra oggetto e sistema biologico che è Neuroscope di Elio Caccavale.
Io non so se i progetti e i percorsi esposti delineino davvero – come sostiene il curatore Stefano Maffei – il possibile paesaggio di una nuova utopia dentro i percorsi progettuali del design italiano. Sono portata a credere e a pensare che l’utopia abbia a che fare con i sogni più che con i bisogni, con l’immaginazione del possibile piuttosto che con la manutenzione dell’esistente, mentre ciò che il visitatore troverà in mostra – a prima vista – ondeggia in uno spazio in cui sogni e bisogni non sono nettamente distinguibili. Ma non è detto che ciò sia un male, o un limite. Anzi, forse proprio questa concretezza e questa mescolanza, questa capacità di fare rete che caratterizza quasi tutte le esperienze esposte, assieme alla volontà di fare design laddove prima non si pensava di poterlo fare (anche se poi già lo si faceva…) sono i tratti distintivi di uno sforzo di innovazione e di cambiamento che sta investendo impetuosamente almeno una parte della scena italiana, e che un’istituzione come il Triennale Design Museum non può non cercare di rendere visibile e di comunicare.
Oggetti del pensiero.
il paesaggio delle altre cose
Stefano Maffei
La mostra ci ha portato un bastimento… carico di nuovi nomi, di esperienze diverse, di cose nuove.
asap, Massimo Banzi, Elio Caccavale, esterni, Experientia, Id-Lab, Kublai, Lanificio Leo, SENSEable City Lab-MIT, Reggio Children-Atelier Raggio di Luce.
Come grandi scatole, scaricate sul molo… sono sbarcate nel Triennale Design Museum.
Dentro a esse… idee, filosofie, oggetti, servizi, immagini.
In contrasto con l’esibita panoplia del Museo. Qui il design è immagine celata dell’altro.
Qualcosa in cui bisogna guardare dentro.
Ma non solo letteralmente.
Guardarci dentro è un’espressione idiomatica italiana – credo intraducibile – che significa, più o meno, la sospensione della fiducia di chi guarda a una cosa, a un fenomeno... fino a che non si è compreso il meccanismo, il principio che lo anima. Un po’ come nel libro di Nathan Rosenberg1. Per capire come funziona il mondo bisogna guardare dentro la scatola. In questo caso le scatole della mostra sono bianche, eteree, spugnose, pulsanti.
Ognuna di esse è una piccola messa in scena che ha al suo interno il motore di un’idea. Di una performance, di un servizio.
E quando non sono scatole… la mostra aggiunge nuvole. Di oggetti.
Tutto ciò diviene un insieme di attrattori che non funzionano attraverso il senso della vista, ma attraverso la comprensione dei processi che stanno dietro tutto ciò che viene mostrato.
Nessun gesto o forma magniloquente. Anche perché nessuno dei protagonisti comunica se stesso in questo modo.
Solo idee messe in scena.
Per raccontarle e spiegarle un progetto di allestimento dello studio ZPZPartners integrato da un progetto della comunicazione dello studio FM, che ribalta queste idee sulle pareti attraverso un racconto per icone, quasi una serie di appunti scarabocchiati come moderni, personali graffiti.
I protagonisti di questa mostra lavorano su idee che mettono in relazione il progetto con la sostenibilità, la sperimentazione scientifica e culturale, i servizi e il territorio, la tecnologia e la società, l’educazione e la tradizione locale.
E alla fine non producono solo oggetti ma… forse oggetti del pensiero.
asap, continuazione del pensiero OPOS, con il progetto Recycled Knit promuove il recupero della fibra non utilizzata di cachemire con cui vengono prodotti nuovi capi di maglieria… agendo sulla sostenibilità dei processi e sull’intelligenza dello stile di consumo.
Massimo Banzi, progettista-hacker o forse uno che semplicemente si immagina le cose e le fa funzionare, che abbatte la distanza tra tecnologia, funzione e interazione con la sua scheda elettronica Arduino, diventata quasi uno standard mondiale nel campo dell’educazione e della programmazione interattiva.
Elio Caccavale, con il suo Neuroscope che rappresenta bene il pensiero anticipatore del design quando si pone di fronte alla frontiera della ricerca scientifica e alla sua dimensione culturale e sociale.
esterni, con il suo anticipatore (e anti-italiano… in senso positivo), idea di un progetto pubblico, collettivo, partecipato: public design nel senso più alto del termine che si occupa di noi, degli spazi in cui viviamo, della città.
Experientia ci ricorda che noi viviamo anche di interazioni con gli oggetti che ci circondano con il progetto di interfacce touch Vodafone Lifestream, facendoci capire che certi temi del progetto sono accessibili anche a expertise nazionali, ma assolutamente paragonabili alle grandi e famose realtà straniere.
Id-Lab, continuazione dell’esperienza dell’Interaction Design Institute di Ivrea che comunica un tema pubblico importante come il progetto del Piano Generale Territoriale milanese e il suo piano dei servizi, applicato alla comunicazione dei servizi su scala territoriale.
Kublai, un portale-piattaforma per la promozione dei creativi e dei loro progetti finanziato dal Ministero dello Sviluppo Economico: una visione contemporanea e attuale del progetto inteso come creatività alimentata da un circuito di peer production.
Lanificio Leo, un’azienda innovativa e sperimentale in un territorio difficilissimo, la Calabria, con il progetto Tipico/Atipico che recupera e trasforma l’idea di souvenir con un progetto di tessile stampato con un’antichissima tecnica avanti anni luce e lontano dagli orrori del kitsch contemporaneo. Innovazione e tradizione, come recita il loro azzeccato slogan aziendale.
Per il SENSEable City Lab-MIT non ci sarebbe quasi bisogno di presentazioni: il progetto è la Copenhagen Wheel una ruota high-tech che accumula l’energia umana per renderla disponibile quando l’utente ne ha bisogno (è una soluzione per la pedalata assistita). Ha la bellezza e la funzionalità delle cose semplici e intelligenti integrate da una visione di prodotto-servizio: attraverso un iPhone è possibile controllare le prestazioni della ruota (il cambio, l’assistenza del motore elettrico) e anche (attraverso i sensori in essa contenuti) le informazioni sul traffico, le condizioni ambientali o sulla comunità connessa degli altri ciclisti.
Reggio Children-Atelier Raggio di Luce, con l’installazione Scrivere con la luce è un esempio di ciò che è possibile vivere nell’Atelier Raggio di Luce presso il Centro Internazionale del Bambino, ovvero dell’educazione come un processo di ricerca sperimentale. Il tema è importante, affascinante e universale: una dimensione di un fenomeno naturale come quello della luce affrontato con spirito scientifico e allo stesso tempo curioso, poetico, emozionale.
Oggetti del pensiero… ecco la frase da tenere a mente.
Materiale e immateriale uniti da un senso.
Non semplice merce. Inutile, sostituibile, dimenticabile.
1 N. Rosenberg, Dentro la scatola nera, Il Mulino, Bologna 1984.
Silvana Annicchiarico
Direttore Triennale Design Museum
Con la terza edizione del Triennale Design Museum intitolata “Quali cose siamo” ricomincia nel CreativeSet un nuovo ciclo di mostre dedicate a quella generazione che nel 2006, in occasione delcensimento che ha mappato oltre 1000 progettisti e della successiva mostra che ne ha selezionati ed esposti 121, ho voluto chiamare The New Italian Design.
Non è un compito facile quello di scegliere e selezionare le personalità più innovative e rappresentative di una generazione che sempre più spesso è spinta o indotta a operare in modo carsico,scomparendo all’improvviso alla vista per poi riapparire più in là, o di lato, e quasi sempre dove tutto ti aspetti meno che la riapparizione.
Ma per inaugurare questo secondo ciclo di mostre dedicate al nuovo design italiano, in continuità, ma non in successione gerarchica con le mostre che hanno caratterizzato la precedente edizione del Museo, ho pensato di mettere l’una accanto all’altra differenti modalità di operare, diverse attitudini progettuali, diversi e non omologabili ambiti espressivi. La scelta è stata quella di privilegiare, almeno in questa prima occasione, non il tradizionale design del prodotto bensì quello che a vario titolo ha a che fare con l’immateriale.
I gruppi e i designer selezionati apparentemente non hanno nessun contatto, nessuna relazione. Sicuramente non sono né una scuola né un movimento, e tuttavia sono animati tutti da una forte tensione ideale, da un’attenzione specifica e non strumentale per lo spazio pubblico (quello reale su cui operano esperienze come Esterni, Id-Lab o Reggio Children e quello virtuale su cui si muove Kublai Sintesi) e da una consolidata attitudine al pensiero critico o alla lettura critica del mondo, arrivando addirittura a lavorare sull’intersezione fra vivente e non vivente, come nel caso di quell’organismo a metà fra oggetto e sistema biologico che è Neuroscope di Elio Caccavale.
Io non so se i progetti e i percorsi esposti delineino davvero – come sostiene il curatore Stefano Maffei – il possibile paesaggio di una nuova utopia dentro i percorsi progettuali del design italiano. Sono portata a credere e a pensare che l’utopia abbia a che fare con i sogni più che con i bisogni, con l’immaginazione del possibile piuttosto che con la manutenzione dell’esistente, mentre ciò che il visitatore troverà in mostra – a prima vista – ondeggia in uno spazio in cui sogni e bisogni non sono nettamente distinguibili. Ma non è detto che ciò sia un male, o un limite. Anzi, forse proprio questa concretezza e questa mescolanza, questa capacità di fare rete che caratterizza quasi tutte le esperienze esposte, assieme alla volontà di fare design laddove prima non si pensava di poterlo fare (anche se poi già lo si faceva…) sono i tratti distintivi di uno sforzo di innovazione e di cambiamento che sta investendo impetuosamente almeno una parte della scena italiana, e che un’istituzione come il Triennale Design Museum non può non cercare di rendere visibile e di comunicare.
Oggetti del pensiero.
il paesaggio delle altre cose
Stefano Maffei
La mostra ci ha portato un bastimento… carico di nuovi nomi, di esperienze diverse, di cose nuove.
asap, Massimo Banzi, Elio Caccavale, esterni, Experientia, Id-Lab, Kublai, Lanificio Leo, SENSEable City Lab-MIT, Reggio Children-Atelier Raggio di Luce.
Come grandi scatole, scaricate sul molo… sono sbarcate nel Triennale Design Museum.
Dentro a esse… idee, filosofie, oggetti, servizi, immagini.
In contrasto con l’esibita panoplia del Museo. Qui il design è immagine celata dell’altro.
Qualcosa in cui bisogna guardare dentro.
Ma non solo letteralmente.
Guardarci dentro è un’espressione idiomatica italiana – credo intraducibile – che significa, più o meno, la sospensione della fiducia di chi guarda a una cosa, a un fenomeno... fino a che non si è compreso il meccanismo, il principio che lo anima. Un po’ come nel libro di Nathan Rosenberg1. Per capire come funziona il mondo bisogna guardare dentro la scatola. In questo caso le scatole della mostra sono bianche, eteree, spugnose, pulsanti.
Ognuna di esse è una piccola messa in scena che ha al suo interno il motore di un’idea. Di una performance, di un servizio.
E quando non sono scatole… la mostra aggiunge nuvole. Di oggetti.
Tutto ciò diviene un insieme di attrattori che non funzionano attraverso il senso della vista, ma attraverso la comprensione dei processi che stanno dietro tutto ciò che viene mostrato.
Nessun gesto o forma magniloquente. Anche perché nessuno dei protagonisti comunica se stesso in questo modo.
Solo idee messe in scena.
Per raccontarle e spiegarle un progetto di allestimento dello studio ZPZPartners integrato da un progetto della comunicazione dello studio FM, che ribalta queste idee sulle pareti attraverso un racconto per icone, quasi una serie di appunti scarabocchiati come moderni, personali graffiti.
I protagonisti di questa mostra lavorano su idee che mettono in relazione il progetto con la sostenibilità, la sperimentazione scientifica e culturale, i servizi e il territorio, la tecnologia e la società, l’educazione e la tradizione locale.
E alla fine non producono solo oggetti ma… forse oggetti del pensiero.
asap, continuazione del pensiero OPOS, con il progetto Recycled Knit promuove il recupero della fibra non utilizzata di cachemire con cui vengono prodotti nuovi capi di maglieria… agendo sulla sostenibilità dei processi e sull’intelligenza dello stile di consumo.
Massimo Banzi, progettista-hacker o forse uno che semplicemente si immagina le cose e le fa funzionare, che abbatte la distanza tra tecnologia, funzione e interazione con la sua scheda elettronica Arduino, diventata quasi uno standard mondiale nel campo dell’educazione e della programmazione interattiva.
Elio Caccavale, con il suo Neuroscope che rappresenta bene il pensiero anticipatore del design quando si pone di fronte alla frontiera della ricerca scientifica e alla sua dimensione culturale e sociale.
esterni, con il suo anticipatore (e anti-italiano… in senso positivo), idea di un progetto pubblico, collettivo, partecipato: public design nel senso più alto del termine che si occupa di noi, degli spazi in cui viviamo, della città.
Experientia ci ricorda che noi viviamo anche di interazioni con gli oggetti che ci circondano con il progetto di interfacce touch Vodafone Lifestream, facendoci capire che certi temi del progetto sono accessibili anche a expertise nazionali, ma assolutamente paragonabili alle grandi e famose realtà straniere.
Id-Lab, continuazione dell’esperienza dell’Interaction Design Institute di Ivrea che comunica un tema pubblico importante come il progetto del Piano Generale Territoriale milanese e il suo piano dei servizi, applicato alla comunicazione dei servizi su scala territoriale.
Kublai, un portale-piattaforma per la promozione dei creativi e dei loro progetti finanziato dal Ministero dello Sviluppo Economico: una visione contemporanea e attuale del progetto inteso come creatività alimentata da un circuito di peer production.
Lanificio Leo, un’azienda innovativa e sperimentale in un territorio difficilissimo, la Calabria, con il progetto Tipico/Atipico che recupera e trasforma l’idea di souvenir con un progetto di tessile stampato con un’antichissima tecnica avanti anni luce e lontano dagli orrori del kitsch contemporaneo. Innovazione e tradizione, come recita il loro azzeccato slogan aziendale.
Per il SENSEable City Lab-MIT non ci sarebbe quasi bisogno di presentazioni: il progetto è la Copenhagen Wheel una ruota high-tech che accumula l’energia umana per renderla disponibile quando l’utente ne ha bisogno (è una soluzione per la pedalata assistita). Ha la bellezza e la funzionalità delle cose semplici e intelligenti integrate da una visione di prodotto-servizio: attraverso un iPhone è possibile controllare le prestazioni della ruota (il cambio, l’assistenza del motore elettrico) e anche (attraverso i sensori in essa contenuti) le informazioni sul traffico, le condizioni ambientali o sulla comunità connessa degli altri ciclisti.
Reggio Children-Atelier Raggio di Luce, con l’installazione Scrivere con la luce è un esempio di ciò che è possibile vivere nell’Atelier Raggio di Luce presso il Centro Internazionale del Bambino, ovvero dell’educazione come un processo di ricerca sperimentale. Il tema è importante, affascinante e universale: una dimensione di un fenomeno naturale come quello della luce affrontato con spirito scientifico e allo stesso tempo curioso, poetico, emozionale.
Oggetti del pensiero… ecco la frase da tenere a mente.
Materiale e immateriale uniti da un senso.
Non semplice merce. Inutile, sostituibile, dimenticabile.
1 N. Rosenberg, Dentro la scatola nera, Il Mulino, Bologna 1984.
25
maggio 2010
Designoftheotherthings
Dal 25 maggio al 27 giugno 2010
design
Location
TRIENNALE DESIGN MUSEUM
Milano, Viale Emilio Alemagna, 6, (Milano)
Milano, Viale Emilio Alemagna, 6, (Milano)
Orario di apertura
martedì-domenica 10.30-20.30
Giovedì e venerdì 10.30-23.00
Autore
Curatore