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Diego Ibarra Sanchez – Hijacked Education
Diego Ibarra Sánchez lavora da oltre un decennio al progetto Hijacked Education che lo ha impegnato in Paesi come il Pakistan, l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, il Libano, una ricerca che vuole essere una denuncia delle condizioni di bambini e ragazzi in età scolare durante i periodi di guerra.
Comunicato stampa
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Il 10 ottobre 2017 Mudima Lab inaugura la terza mostra nell’ambito del progetto GUERRE, dal titolo Hijacked Education, attraverso gli scatti del fotografo documentarista Diego Ibarra Sánchez.
GUERRE è il titolo del progetto per il primo ciclo di mostre ideato e curato da Mudima Lab, e prevede sei mostre personali della durata di circa due mesi ciascuna.
Il progetto GUERRE nasce dalla volontà di dare visibilità ai fotoreporter di guerra che spesso non hanno istituzioni alle spalle e rischiano la vita nelle aree di conflitto contemporanee: il fil rouge delle sei mostre è proprio l’intersecarsi delle guerre e delle conseguenti migrazioni di popoli all’interno del bacino del Mediterraneo e del Medio Oriente, il tentativo di raccontare attraverso gli occhi dei fotografi cause ed effetti di guerre a noi vicine ma troppo spesso considerate un argomento distante, da un mondo occidentale indifferente, se non per le problematiche economiche che ne possano derivare.
Un ringraziamento particolare va a MeMo di Torino per aver creduto nell’idea, e per aver facilitato il contatto e il rapporto con i fotografi coinvolti nel progetto.
Dopo il lavoro di Fabio Bucciarelli (Premio Robert Capa 2012, World Press Photo 2013) tratto dal progetto The Dream, e di Manu Brabo (Premio Pulitzer 2013 per il fotogiornalismo) con Libia. Illusione di libertà, si presenta qui il lavoro di Diego Ibarra Sánchez. I tre oltre a essere fotoreporter freelance sono anche fondatori di MeMo Coop a Torino, memo-mag.com. La realtà di MeMo rappresenta un network, un punto di ritrovo per fotoreporter freelance di tutto il mondo che vogliano sentirsi parte di una comunità e che necessitino di essere tutelati nel loro lavoro, una professione che prevede molti rischi e che non sempre viene supportata economicamente in modo adeguato.
La nostra idea, vista l’esperienza pluridecennale all’interno del mondo della cultura della Fondazione Mudima, è proprio quella di portare il fotogiornalismo di guerra in un ambito parallelo ma diverso da quello consueto delle testate giornalistiche, con l’obiettivo di coinvolgere un pubblico sempre più ampio nella comprensione di alcuni temi di certo dolorosi, non semplici, ma che inevitabilmente ci riguardano da vicino e nei confronti dei quali non possiamo rimanere estranei.
Al termine del progetto GUERRE sarà realizzato un libro edito da Fondazione Mudima che conterrà l’intera esperienza, attraverso testi critici e foto degli autori.
Irene Di Maggio e Fabio Mantegna
Hijacked Education
Diego Ibarra Sánchez lavora da oltre un decennio al progetto Hijacked Education che lo ha impegnato in Paesi come il Pakistan, l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, la Nigeria, il Libano, una ricerca che vuole essere una denuncia delle condizioni di bambini e ragazzi in età scolare durante i periodi di guerra.
Il titolo, Hijacked Education, non lascia dubbi sul messaggio che il fotografo intende comunicare: “l’istruzione, la cultura, la scuola sottratte” a bambini inevitabilmente condannati a “rimanere indietro” e ai quali è stato negato il futuro.
Diego Ibarra Sánchez ha documentato senza sosta la quotidianità nei campi profughi, nelle città trasformate in teatri di guerra, realizzando un corpus di lavori caratterizzato da una ricerca intima, delicata per così dire, e in cui emerge uno sguardo vigile ma sempre rispettoso nei confronti dei soggetti.
Allo stesso tempo l’intento dell’autore è denunciare come «la violenza, l’estremismo, l’intolleranza e la paura stiano cancellando il futuro di un’intera generazione di migliaia di bambini.
Ci sono scuole distrutte e abbandonate, come altari senza forma della conoscenza perduta.
Ci sono insegnanti e studenti in esilio, bambini-soldato, un’istruzione rapita e stuprata. Ci sono libri bruciati, fotografie sul pavimento, identità perse e rubate. Ci sono classi vuote, banchi ammucchiati, accatastati, coperti con il vuoto dell’ignoranza» (Diego I. Sánchez).
Durante la distruzione da parte dell’Isis del nord dell’Iraq e della Siria, le scuole sono state occupate e trasformate in basi militari, i programmi scolastici cancellati e riformulati con l’obiettivo di ripristinare una formazione dogmatica e retrograda, che ha inteso fare tabula rasa delle conquiste ottenute in ambito culturale.
Le famiglie, costrette a fuggire, si ritrovano in esilio in insediamenti temporanei molto simili a prigioni improvvisate, dove il tempo si ferma, rimane sospeso. Senza che se ne abbia percezione trascorrono mesi, anni, sempre nell’attesa di poter ritornare nel proprio Paese che, nella maggior parte dei casi, è stato devastato dalla guerra e nel quale bisogna ricostruire tutto.
Se questo è doloroso per gli adulti, di certo è drammatico per i bambini che vedono la loro infanzia rubata e, quando riescono a sopravvivere, insieme ad essa hanno perduto per sempre la possibilità di accedere a un’istruzione che permetta loro di non essere adolescenti e poi adulti costretti a lavori sotto pagati per poter sopravvivere.
È uno sguardo, quello di Diego Ibarra Sánchez, che va oltre la prima linea, mostrandoci ciò che resta dopo i bombardamenti, le uccisioni e le battaglie: un’umanità che non ha più nulla se non la propria vita, e migliaia di bambini che hanno perso il loro futuro.
L’autore si pone in una posizione molto critica nei confronti dell’utilizzo delle immagini nella nostra società, definendo questo momento storico come «un’ era lobotomizzata, di “turismo” sul dolore altrui»: con il suo lavoro egli si impegna affinché la fotografia non sia soltanto una finestra che concede di vedere cosa accade nel mondo, ma si faccia mezzo in grado di sollevare domande e generare riflessioni.
La sensibilità estetica dell’autore, alimentata dal suo bagaglio culturale e personale – figlio di un’insegnante e padre a sua volta – è lo strumento che accompagna colui che osserva nel dramma dei nostri tempi.
Gli scatti di Diego Ibarra Sánchez diventano la voce di questi bambini e risvegliano le nostre coscienze.
Le foto in mostra documentano questa instancabile ricerca, fra campi profughi, scuole distrutte e bambini che, nonostante tutto, non perdono il sorriso.
Significativo il fatto che Hijacked Education non abbia un confine territoriale, i Paesi immortalati negli scatti dell’autore sono infatti diversi, dalla Siria al Pakistan, dal Libano all’Iraq, il messaggio di denuncia lanciato da Diego Ibarra Sánchez è universale, è la testimonianza che le guerre sono tutte uguali, dopo la violenza quello
che rimane è una frattura insanabile nella linea del tempo dei sopravvissuti.
Diego Ibarra Sánchez Bio
Diego Ibarra Sánchez, co-fondatore di MeMo, è un fotografo documentarista che vive in Libano. Egli crede fortemente nella fotografia documentaria in quanto strumento che gli permette di farsi testimone di situazioni ai margini, dimenticate, raccontando così la resilienza e il coraggio dei protagonisti di queste storie, sempre nel pieno rispetto delle loro condizioni.
Oltre a portare avanti la propria ricerca personale con una forte motivazione, Diego pubblica molte delle sue storie su diverse testate giornalistiche e riviste, come The New York Times, Der Spiegel, Al Jazeera e Diari ARA.
Nel 2006 ottiene dei finanziamenti che gli permettono di trascorrere un anno in Sud America, dove approfondisce la sua ricerca nell’ambito della narrazione visiva.
Dopo il rientro in Spagna, lavora per due anni per il giornale Catalano Avui e, parallelamente, porta avanti i suoi progetti personali. Nel 2009 si trasferisce in Pakistan dove documenta per anni la società e il territorio, elaborando una parte importante del suo lavoro.
Nel frattempo continua a viaggiare in diversi Paesi, fra questi l’Afghanistan, il Bahrain, la Libia, la Nigeria, e la Tanzania.
Nel 2014 lascia il Pakistan per il Libano dal quale continua a spostarsi per seguire i suoi progetti in Medio Oriente.
GUERRE
Guerre.
Un termine al plurale, un significato plurale, un’unica conseguenza.
Lo scenario di guerra che circonda il Mediterraneo oggi e che comprende anche il Medio Oriente è variegato
e quanto più complicato, nel suo divenire e nel suo evolversi continuo fra antiche lacerazioni riaffiorate e nuovi interessi economici globali che, da lontano, controllano la scacchiera internazionale.
Equilibri spezzati e spinte bilaterali fra Occidente e Oriente muovono masse di persone come fossero onde che fluttuano da una parte all’altra e, così come le onde si infrangono a riva, allo stesso modo le persone vengono sospinte verso altre rive, le nostre, nella speranza della vita.
Tutto questo accade quotidianamente, sia che vogliamo o meno soffermarci sulla realtà, essa continua ad accadere anche senza la nostra attenzione.
Si tratta di vite umane, come sempre nelle guerre, ma a noi che stiamo dall’“altra parte” troppo spesso sfugge il concetto di vita o di morte, per una tutela psicologica tendiamo ad abituarci ai numeri che ci vengono forniti fra chi perde la vita oggi o chi vincerà domani continuando ad uccidere.
Siamo di fronte a catastrofi umanitarie alle quali non si può restare indifferenti.
Un piccolo passo che possiamo fare è proprio quello di dedicare un momento della nostra vita ad approfondire ciò che sta davvero accadendo non lontano da noi, ampliando la nostra conoscenza.
I fotoreporter di guerra riportano dai loro viaggi realtà e conoscenza dei fatti, dalla prima linea della guerra
o da dietro le quinte, documentando con instancabile precisione la vita e la morte durante i conflitti, e rendendoci testimoni degli scenari politico-economici che si avvicendano.
Questi fotografi ci restituiscono le conseguenze sulle persone e sui popoli, e disegnano con la fotografia una mappa dei cambiamenti storici prima che questi vengano “formalizzati” dalla politica e dall’economia internazionale.
Irene Di Maggio
Dalla parte di chi scatta
La dinamica entro la quale si realizza uno scatto è variabile.
Molto dipende dalla situazione che ci spinge a fotografare, certo è che dal momento in cui mettiamo il nostro occhio a contatto con il “mirino”, non vediamo più nulla intorno a noi: la scena si consuma e vive all’interno
di quel riquadro sul quale siamo concentrati. E’ un po’ come stare sott’acqua, tutto quello che accade sopra il livello del mare lo si percepisce come ovattato, mentre con gli occhi cerchiamo di avere ben chiaro quello che riusciamo a scorgere attraverso la maschera.
Gli eventi si moltiplicano, il fotografo deve saper osservare e allo stesso tempo ascoltare, perchè tutto si evolve veloce anche alle sue spalle.
La concentrazione è fondamentale e tutto quello che riuscirà a percepire ascoltando gli sarà d’aiuto per prevedere quello che potrebbe susseguirsi di lì a breve.
Tutto ciò vale ancora di più, e allo stesso tempo è determinante, per chi ha scelto di fotografare in zone di conflitto. Un automatismo non semplice, difficile da unire ad una sensibilità personale, talvolta artistica, che chiamiamo comunemente dote naturale.
Da fotografo, sono convinto che la consapevolezza di tutto questo sia fondamentale per poter leggere una foto
e darne quindi un giudizio critico.
Fabio Mantegna
GUERRE è il titolo del progetto per il primo ciclo di mostre ideato e curato da Mudima Lab, e prevede sei mostre personali della durata di circa due mesi ciascuna.
Il progetto GUERRE nasce dalla volontà di dare visibilità ai fotoreporter di guerra che spesso non hanno istituzioni alle spalle e rischiano la vita nelle aree di conflitto contemporanee: il fil rouge delle sei mostre è proprio l’intersecarsi delle guerre e delle conseguenti migrazioni di popoli all’interno del bacino del Mediterraneo e del Medio Oriente, il tentativo di raccontare attraverso gli occhi dei fotografi cause ed effetti di guerre a noi vicine ma troppo spesso considerate un argomento distante, da un mondo occidentale indifferente, se non per le problematiche economiche che ne possano derivare.
Un ringraziamento particolare va a MeMo di Torino per aver creduto nell’idea, e per aver facilitato il contatto e il rapporto con i fotografi coinvolti nel progetto.
Dopo il lavoro di Fabio Bucciarelli (Premio Robert Capa 2012, World Press Photo 2013) tratto dal progetto The Dream, e di Manu Brabo (Premio Pulitzer 2013 per il fotogiornalismo) con Libia. Illusione di libertà, si presenta qui il lavoro di Diego Ibarra Sánchez. I tre oltre a essere fotoreporter freelance sono anche fondatori di MeMo Coop a Torino, memo-mag.com. La realtà di MeMo rappresenta un network, un punto di ritrovo per fotoreporter freelance di tutto il mondo che vogliano sentirsi parte di una comunità e che necessitino di essere tutelati nel loro lavoro, una professione che prevede molti rischi e che non sempre viene supportata economicamente in modo adeguato.
La nostra idea, vista l’esperienza pluridecennale all’interno del mondo della cultura della Fondazione Mudima, è proprio quella di portare il fotogiornalismo di guerra in un ambito parallelo ma diverso da quello consueto delle testate giornalistiche, con l’obiettivo di coinvolgere un pubblico sempre più ampio nella comprensione di alcuni temi di certo dolorosi, non semplici, ma che inevitabilmente ci riguardano da vicino e nei confronti dei quali non possiamo rimanere estranei.
Al termine del progetto GUERRE sarà realizzato un libro edito da Fondazione Mudima che conterrà l’intera esperienza, attraverso testi critici e foto degli autori.
Irene Di Maggio e Fabio Mantegna
Hijacked Education
Diego Ibarra Sánchez lavora da oltre un decennio al progetto Hijacked Education che lo ha impegnato in Paesi come il Pakistan, l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, la Nigeria, il Libano, una ricerca che vuole essere una denuncia delle condizioni di bambini e ragazzi in età scolare durante i periodi di guerra.
Il titolo, Hijacked Education, non lascia dubbi sul messaggio che il fotografo intende comunicare: “l’istruzione, la cultura, la scuola sottratte” a bambini inevitabilmente condannati a “rimanere indietro” e ai quali è stato negato il futuro.
Diego Ibarra Sánchez ha documentato senza sosta la quotidianità nei campi profughi, nelle città trasformate in teatri di guerra, realizzando un corpus di lavori caratterizzato da una ricerca intima, delicata per così dire, e in cui emerge uno sguardo vigile ma sempre rispettoso nei confronti dei soggetti.
Allo stesso tempo l’intento dell’autore è denunciare come «la violenza, l’estremismo, l’intolleranza e la paura stiano cancellando il futuro di un’intera generazione di migliaia di bambini.
Ci sono scuole distrutte e abbandonate, come altari senza forma della conoscenza perduta.
Ci sono insegnanti e studenti in esilio, bambini-soldato, un’istruzione rapita e stuprata. Ci sono libri bruciati, fotografie sul pavimento, identità perse e rubate. Ci sono classi vuote, banchi ammucchiati, accatastati, coperti con il vuoto dell’ignoranza» (Diego I. Sánchez).
Durante la distruzione da parte dell’Isis del nord dell’Iraq e della Siria, le scuole sono state occupate e trasformate in basi militari, i programmi scolastici cancellati e riformulati con l’obiettivo di ripristinare una formazione dogmatica e retrograda, che ha inteso fare tabula rasa delle conquiste ottenute in ambito culturale.
Le famiglie, costrette a fuggire, si ritrovano in esilio in insediamenti temporanei molto simili a prigioni improvvisate, dove il tempo si ferma, rimane sospeso. Senza che se ne abbia percezione trascorrono mesi, anni, sempre nell’attesa di poter ritornare nel proprio Paese che, nella maggior parte dei casi, è stato devastato dalla guerra e nel quale bisogna ricostruire tutto.
Se questo è doloroso per gli adulti, di certo è drammatico per i bambini che vedono la loro infanzia rubata e, quando riescono a sopravvivere, insieme ad essa hanno perduto per sempre la possibilità di accedere a un’istruzione che permetta loro di non essere adolescenti e poi adulti costretti a lavori sotto pagati per poter sopravvivere.
È uno sguardo, quello di Diego Ibarra Sánchez, che va oltre la prima linea, mostrandoci ciò che resta dopo i bombardamenti, le uccisioni e le battaglie: un’umanità che non ha più nulla se non la propria vita, e migliaia di bambini che hanno perso il loro futuro.
L’autore si pone in una posizione molto critica nei confronti dell’utilizzo delle immagini nella nostra società, definendo questo momento storico come «un’ era lobotomizzata, di “turismo” sul dolore altrui»: con il suo lavoro egli si impegna affinché la fotografia non sia soltanto una finestra che concede di vedere cosa accade nel mondo, ma si faccia mezzo in grado di sollevare domande e generare riflessioni.
La sensibilità estetica dell’autore, alimentata dal suo bagaglio culturale e personale – figlio di un’insegnante e padre a sua volta – è lo strumento che accompagna colui che osserva nel dramma dei nostri tempi.
Gli scatti di Diego Ibarra Sánchez diventano la voce di questi bambini e risvegliano le nostre coscienze.
Le foto in mostra documentano questa instancabile ricerca, fra campi profughi, scuole distrutte e bambini che, nonostante tutto, non perdono il sorriso.
Significativo il fatto che Hijacked Education non abbia un confine territoriale, i Paesi immortalati negli scatti dell’autore sono infatti diversi, dalla Siria al Pakistan, dal Libano all’Iraq, il messaggio di denuncia lanciato da Diego Ibarra Sánchez è universale, è la testimonianza che le guerre sono tutte uguali, dopo la violenza quello
che rimane è una frattura insanabile nella linea del tempo dei sopravvissuti.
Diego Ibarra Sánchez Bio
Diego Ibarra Sánchez, co-fondatore di MeMo, è un fotografo documentarista che vive in Libano. Egli crede fortemente nella fotografia documentaria in quanto strumento che gli permette di farsi testimone di situazioni ai margini, dimenticate, raccontando così la resilienza e il coraggio dei protagonisti di queste storie, sempre nel pieno rispetto delle loro condizioni.
Oltre a portare avanti la propria ricerca personale con una forte motivazione, Diego pubblica molte delle sue storie su diverse testate giornalistiche e riviste, come The New York Times, Der Spiegel, Al Jazeera e Diari ARA.
Nel 2006 ottiene dei finanziamenti che gli permettono di trascorrere un anno in Sud America, dove approfondisce la sua ricerca nell’ambito della narrazione visiva.
Dopo il rientro in Spagna, lavora per due anni per il giornale Catalano Avui e, parallelamente, porta avanti i suoi progetti personali. Nel 2009 si trasferisce in Pakistan dove documenta per anni la società e il territorio, elaborando una parte importante del suo lavoro.
Nel frattempo continua a viaggiare in diversi Paesi, fra questi l’Afghanistan, il Bahrain, la Libia, la Nigeria, e la Tanzania.
Nel 2014 lascia il Pakistan per il Libano dal quale continua a spostarsi per seguire i suoi progetti in Medio Oriente.
GUERRE
Guerre.
Un termine al plurale, un significato plurale, un’unica conseguenza.
Lo scenario di guerra che circonda il Mediterraneo oggi e che comprende anche il Medio Oriente è variegato
e quanto più complicato, nel suo divenire e nel suo evolversi continuo fra antiche lacerazioni riaffiorate e nuovi interessi economici globali che, da lontano, controllano la scacchiera internazionale.
Equilibri spezzati e spinte bilaterali fra Occidente e Oriente muovono masse di persone come fossero onde che fluttuano da una parte all’altra e, così come le onde si infrangono a riva, allo stesso modo le persone vengono sospinte verso altre rive, le nostre, nella speranza della vita.
Tutto questo accade quotidianamente, sia che vogliamo o meno soffermarci sulla realtà, essa continua ad accadere anche senza la nostra attenzione.
Si tratta di vite umane, come sempre nelle guerre, ma a noi che stiamo dall’“altra parte” troppo spesso sfugge il concetto di vita o di morte, per una tutela psicologica tendiamo ad abituarci ai numeri che ci vengono forniti fra chi perde la vita oggi o chi vincerà domani continuando ad uccidere.
Siamo di fronte a catastrofi umanitarie alle quali non si può restare indifferenti.
Un piccolo passo che possiamo fare è proprio quello di dedicare un momento della nostra vita ad approfondire ciò che sta davvero accadendo non lontano da noi, ampliando la nostra conoscenza.
I fotoreporter di guerra riportano dai loro viaggi realtà e conoscenza dei fatti, dalla prima linea della guerra
o da dietro le quinte, documentando con instancabile precisione la vita e la morte durante i conflitti, e rendendoci testimoni degli scenari politico-economici che si avvicendano.
Questi fotografi ci restituiscono le conseguenze sulle persone e sui popoli, e disegnano con la fotografia una mappa dei cambiamenti storici prima che questi vengano “formalizzati” dalla politica e dall’economia internazionale.
Irene Di Maggio
Dalla parte di chi scatta
La dinamica entro la quale si realizza uno scatto è variabile.
Molto dipende dalla situazione che ci spinge a fotografare, certo è che dal momento in cui mettiamo il nostro occhio a contatto con il “mirino”, non vediamo più nulla intorno a noi: la scena si consuma e vive all’interno
di quel riquadro sul quale siamo concentrati. E’ un po’ come stare sott’acqua, tutto quello che accade sopra il livello del mare lo si percepisce come ovattato, mentre con gli occhi cerchiamo di avere ben chiaro quello che riusciamo a scorgere attraverso la maschera.
Gli eventi si moltiplicano, il fotografo deve saper osservare e allo stesso tempo ascoltare, perchè tutto si evolve veloce anche alle sue spalle.
La concentrazione è fondamentale e tutto quello che riuscirà a percepire ascoltando gli sarà d’aiuto per prevedere quello che potrebbe susseguirsi di lì a breve.
Tutto ciò vale ancora di più, e allo stesso tempo è determinante, per chi ha scelto di fotografare in zone di conflitto. Un automatismo non semplice, difficile da unire ad una sensibilità personale, talvolta artistica, che chiamiamo comunemente dote naturale.
Da fotografo, sono convinto che la consapevolezza di tutto questo sia fondamentale per poter leggere una foto
e darne quindi un giudizio critico.
Fabio Mantegna
10
ottobre 2017
Diego Ibarra Sanchez – Hijacked Education
Dal 10 ottobre al 25 novembre 2017
fotografia
Location
MUDIMA LAB
Milano, Via Alessandro Tadino, 20, (Milano)
Milano, Via Alessandro Tadino, 20, (Milano)
Orario di apertura
Dal martedì al venerdì 15 -19
Sabato su appuntamento
Vernissage
10 Ottobre 2017, Ore 18:00
Autore
Curatore