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Digital Meditation – Dario Tironi
Dario Tironi fonda la sua riflessione: la tecnologia sarà in grado di farsi veicolo per la nostra ricerca interiore? Ci fornirà elementi che aiutino a definire la nostra anima e ad alimentare la nostra spiritualità?
Comunicato stampa
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Da sempre, il progresso e lo sviluppo tecnologico costituiscono il motore che spinge l’essere umano verso una continua evoluzione. È la conseguenza di uno spirito d’invenzione inesauribile volto non solo a godere di semplici vantaggi, qualche agio nella vita di tutti i giorni, ma la salvezza: la spinta che stimola il progresso tecnologico è strettamente connessa con la religione. È un ancestrale desiderio dell’uomo di possedere gli strumenti che gli restituiscano una somiglianza al divino e oggi, nell’Era Digitale, abbiamo forse raggiunto un rapporto di sudditanza nei confronti della tecnologia, quella stessa devozione da sempre riservata alla religione.
La produzione e l’utilizzo dei dispositivi assumono connotazioni che vanno oltre lo scopo pratico per il quale sono concepiti, acquisendo valenze simboliche di riconoscimento e appartenenza sociale, d’identificazione; sono oggi avvertiti come indispensabili per definire la propria identità. Elementi divinatori come feticci, amuleti, totem, che avevano la funzione di accompagnare nella ricerca interiore della spiritualità durante gli atti di preghiera, hanno oggi le sembianze di dispositivi tecnologici e su questa osservazione l’artista Dario Tironi fonda la sua riflessione: la tecnologia sarà in grado di farsi veicolo per la nostra ricerca interiore? Ci fornirà elementi che aiutino a definire la nostra anima e ad alimentare la nostra spiritualità?
Coerentemente a tutto il suo percorso, le opere di Dario Tironi nascono dall’assemblaggio di oggetti di recupero ma non sono più di natura domestica e quotidiana bensì scarti industriali, dispositivi invenduti, supporti obsoleti come CD, mouse, tastiere, spazzolini elettrici che, scelti dall’artista per la loro pura forma, si svuotano della loro funzione legata al virtuale. Elementi modulari ripetuti danno vita a strutture geometriche simboliche, oggetti devozionali che rappresentano la nostra fede nella tecnologia e nel sistema capitalista-consumistico: la quantità dei CD utilizzati (circa ventimila) nell’opera Chiesa tecnocratica dà solo una minima idea di che portata abbia avuto la produzione di questi supporti digitali. Impilati a formare una struttura compatta e semitrasparente che si colora
di diverse gradazioni di verde a seconda della riflessione della luce, richiama alla mente i grattacieli avveniristici in vetro, simboli dell’ostentazione del potere e della ricchezza (che, non a caso, è commisurata allo sviluppo tecnologico di un Paese).
La ripetizione modulare si ritrova nell’opera Digital waves dove una serie di poggiapolsi da tastiera forma un’onda creando un ironico riferimento all’espressione “surfing the internet” e associandolo a qualcosa di potenzialmente illimitato. La scelta dell’oggetto, che nasce con lo scopo di agevolare la scrittura durante il lavoro a computer, sottolinea l’indispensabile utilizzo delle mani per la navigazione nel virtuale e dunque l’impossibilità di allontanarsi dalla concretezza del reale.
In OM decine di spazzolini elettrici in funzione creano una vibrazione diffusa che rimanda ai suoni dei mantra ripetuti durante le pratiche meditative, atti a facilitare il raggiungimento di uno stato di estrema concentrazione. Inoltre, l’artista compie un ulteriore riferimento alla cura dei denti, simbolo di forza vitale.
La scultura E-Totem incarna l’oggetto divinatorio 2.0: elettrodomestici e dispositivi elettronici sovrapposti e assemblati creano una modulazione quasi anatomica donando alla scultura un aspetto sacrale con un rimando immediato a culture arcaiche.
Con l’opera The dream catcher l’artista racconta la regressione allo stadio infantile alla quale andiamo incontro a causa del nostro desiderio del possesso. Un acchiappa-sogni, oggetto appartenente alle culture indigene del Nord America e utilizzato per vegliare sul sonno dei bambini,
è reinterpretato con un groviglio di cavi e dispositivi ricordandoci la nostra vulnerabile condizione di consumatori compulsivi e irresponsabili, circondati da telecamere di sorveglianza che noi stessi scegliamo di tenere nella nostra quotidianità.
Nell’opera Supporti, l’artista sostituisce dei monitor a composizioni di vari elementi che enfatizzano l’approccio scultoreo di manipolazione del reale, contrapponendosi allo schermo come finestra verso il virtuale e alla condizione di spettatori passivi a cui siamo indotti durante la fruizione dei contenuti.
Il monitor, o meglio il suo involucro è utilizzato dall’artista anche nell’opera scultorea e audio Senza titolo, per formare un elemento misterioso e indefinito, una sorta di cassa di amplificazione da cui è possibile ascoltare una traccia audio creata elaborando alcune registrazioni dell’adhan (la chiamata alla preghiera islamica). Il risultato è un canto sacro riprodotto attraverso suoni artificiali che rimandano ai rumori dei dispositivi elettronici e alla vibrazione dei motori elettrici.
Le sculture figurative proseguono la serie Things, progetto che vede la realizzazione di opere attraverso l’uso di una moltitudine di materiali di recupero e prodotti di scarto della società di massa, giocattoli, soprammobili, spazzatura tecnologica in generale, definibili tecno-fossili: prodotti recenti ma già obsoleti e non più alla moda, in nome di quella incessante catena di produzione e consumo che causa bulimia di possesso. Questi oggetti posseggono un valore simbolico intrinseco essendo testimoni dei nostri bisogni, desideri, gusti estetici, abitudini.
La figurazione e il rimando alla statuaria classica esprimono il desiderio di ricostruire una realtà che rifletta la speranza di una rinascita dalle rovine del presente. Una realtà in cui, magari, il credo ideologico sia fondato su una tecnologia veicolo di crescita interiore anziché alienazione.
Federica Picco
La produzione e l’utilizzo dei dispositivi assumono connotazioni che vanno oltre lo scopo pratico per il quale sono concepiti, acquisendo valenze simboliche di riconoscimento e appartenenza sociale, d’identificazione; sono oggi avvertiti come indispensabili per definire la propria identità. Elementi divinatori come feticci, amuleti, totem, che avevano la funzione di accompagnare nella ricerca interiore della spiritualità durante gli atti di preghiera, hanno oggi le sembianze di dispositivi tecnologici e su questa osservazione l’artista Dario Tironi fonda la sua riflessione: la tecnologia sarà in grado di farsi veicolo per la nostra ricerca interiore? Ci fornirà elementi che aiutino a definire la nostra anima e ad alimentare la nostra spiritualità?
Coerentemente a tutto il suo percorso, le opere di Dario Tironi nascono dall’assemblaggio di oggetti di recupero ma non sono più di natura domestica e quotidiana bensì scarti industriali, dispositivi invenduti, supporti obsoleti come CD, mouse, tastiere, spazzolini elettrici che, scelti dall’artista per la loro pura forma, si svuotano della loro funzione legata al virtuale. Elementi modulari ripetuti danno vita a strutture geometriche simboliche, oggetti devozionali che rappresentano la nostra fede nella tecnologia e nel sistema capitalista-consumistico: la quantità dei CD utilizzati (circa ventimila) nell’opera Chiesa tecnocratica dà solo una minima idea di che portata abbia avuto la produzione di questi supporti digitali. Impilati a formare una struttura compatta e semitrasparente che si colora
di diverse gradazioni di verde a seconda della riflessione della luce, richiama alla mente i grattacieli avveniristici in vetro, simboli dell’ostentazione del potere e della ricchezza (che, non a caso, è commisurata allo sviluppo tecnologico di un Paese).
La ripetizione modulare si ritrova nell’opera Digital waves dove una serie di poggiapolsi da tastiera forma un’onda creando un ironico riferimento all’espressione “surfing the internet” e associandolo a qualcosa di potenzialmente illimitato. La scelta dell’oggetto, che nasce con lo scopo di agevolare la scrittura durante il lavoro a computer, sottolinea l’indispensabile utilizzo delle mani per la navigazione nel virtuale e dunque l’impossibilità di allontanarsi dalla concretezza del reale.
In OM decine di spazzolini elettrici in funzione creano una vibrazione diffusa che rimanda ai suoni dei mantra ripetuti durante le pratiche meditative, atti a facilitare il raggiungimento di uno stato di estrema concentrazione. Inoltre, l’artista compie un ulteriore riferimento alla cura dei denti, simbolo di forza vitale.
La scultura E-Totem incarna l’oggetto divinatorio 2.0: elettrodomestici e dispositivi elettronici sovrapposti e assemblati creano una modulazione quasi anatomica donando alla scultura un aspetto sacrale con un rimando immediato a culture arcaiche.
Con l’opera The dream catcher l’artista racconta la regressione allo stadio infantile alla quale andiamo incontro a causa del nostro desiderio del possesso. Un acchiappa-sogni, oggetto appartenente alle culture indigene del Nord America e utilizzato per vegliare sul sonno dei bambini,
è reinterpretato con un groviglio di cavi e dispositivi ricordandoci la nostra vulnerabile condizione di consumatori compulsivi e irresponsabili, circondati da telecamere di sorveglianza che noi stessi scegliamo di tenere nella nostra quotidianità.
Nell’opera Supporti, l’artista sostituisce dei monitor a composizioni di vari elementi che enfatizzano l’approccio scultoreo di manipolazione del reale, contrapponendosi allo schermo come finestra verso il virtuale e alla condizione di spettatori passivi a cui siamo indotti durante la fruizione dei contenuti.
Il monitor, o meglio il suo involucro è utilizzato dall’artista anche nell’opera scultorea e audio Senza titolo, per formare un elemento misterioso e indefinito, una sorta di cassa di amplificazione da cui è possibile ascoltare una traccia audio creata elaborando alcune registrazioni dell’adhan (la chiamata alla preghiera islamica). Il risultato è un canto sacro riprodotto attraverso suoni artificiali che rimandano ai rumori dei dispositivi elettronici e alla vibrazione dei motori elettrici.
Le sculture figurative proseguono la serie Things, progetto che vede la realizzazione di opere attraverso l’uso di una moltitudine di materiali di recupero e prodotti di scarto della società di massa, giocattoli, soprammobili, spazzatura tecnologica in generale, definibili tecno-fossili: prodotti recenti ma già obsoleti e non più alla moda, in nome di quella incessante catena di produzione e consumo che causa bulimia di possesso. Questi oggetti posseggono un valore simbolico intrinseco essendo testimoni dei nostri bisogni, desideri, gusti estetici, abitudini.
La figurazione e il rimando alla statuaria classica esprimono il desiderio di ricostruire una realtà che rifletta la speranza di una rinascita dalle rovine del presente. Una realtà in cui, magari, il credo ideologico sia fondato su una tecnologia veicolo di crescita interiore anziché alienazione.
Federica Picco
24
settembre 2022
Digital Meditation – Dario Tironi
Dal 24 settembre al 22 ottobre 2022
arte contemporanea
Location
GARE 82
Brescia, Via Villa Glori, 5, (Brescia)
Brescia, Via Villa Glori, 5, (Brescia)
Orario di apertura
da lunedì a sabato ore 15-19
Vernissage
24 Settembre 2022, ore 18
Sito web
Autore
Curatore
Autore testo critico