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Dina Moretti
Comunicato stampa
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La scelta di non appellarmi ad un supporto critico per presentare il mio lavoro in questa mostra non è stata facile. Il confrontarmi con lo scrivere è stata però un’esperienza arricchente sotto molti punti di vista.
Forse lo scrivere mi aiuta anche a posizionarmi per rapporto all’attuale scenario sempre più fitto e complesso della tanta e forse troppa produzione artistica e, una prima domanda che mi pongo, come artista in campo, è: a quale bisogno essa corrisponda. L’addentrarmi nel mondo dell’arte e, in particolar modo nella pittura è per me un mezzo e al tempo stesso una necessità vitale per nutrire e vivificare quella dimensione umana che non di solo pane si nutre e senza la quale la vita stessa perderebbe buona parte del suo senso.
Non voglio qui approfondire tematiche filosofiche, ma non posso dissociare la pratica della pittura e delle arti in generale dalla sfera spirituale, perché è ad esse che questa appartiene fin dagli albori.
Per dimensione spirituale intendo tutto ciò che è antecedente la parola, la comprende e, al tempo stesso, la oltrepassa. Vivo la parola come importante veicolo nelle relazioni umane e nello stesso tempo ostacolo nell’espressione dell’inesprimibile, di cui la religiosità è parte integrante.
Sono convinta che tutti noi, in modo più o meno consapevole, portiamo dentro le tracce di una religiosità incontaminata dai dogmi delle chiese e delle confessioni, una religiosità archetipica (re-ligare) confermata dal fatto che sempre più spesso, oggi, è diventata scelta e fatto personale.
Credo che la modernità ci ha portato a stati di consapevolezza sempre più ampi, ma allo stesso tempo a fenomeni di eresia dell’anima ben leggibili nella decadenza culturale e nel nichilismo contemporanei. Spesso mi sento sola nella ricerca che tende ad oltrepassare l’apparenza delle cose, tanto più che oggi il culto dell’esteriorità è atteggiamento assai più diffuso di quello riflessivo e introspettivo.
Le certezze e i credo precostituiti creano un senso di sicurezza, ma non soddisfano e tanto meno esauriscono una ricerca di senso che integri i paradossi della vita; sprofondare nella depressione oppure affrontare e penetrare il mondo dell’ombra e del mistero?
Quando dipingo il barlume delle forme che affiorano dall’oscurità, sento che appartengono a qualcosa di profondo e arcaico, a qualcosa che, varcando la soglia dell’apparenza, ne rinnova il senso. Un po’ come di fronte all’immagine di un simbolo: inseguo nell’ombra la luce di verità che contiene integrando poi il mio piccolo vissuto in una dimensione più ampia che mi restituisce uno stato di appartenenza al tutto.
Il dialogo attorno all’opera scaturisce dunque dal rapporto con lo spettatore solo se avviene una sorta di matrimonio tra spiriti sottesi ad un’unica Idea generatrice.
Il mio punto di riferimento è proprio quest’idea, un’idea di cui l’oggetto è solo il pretesto che racchiude e sintetizza l’esperienza personale integrata con l’esperienza umana più generale nel costante dibattito tra dualismo terreno e assoluto divino.
L’esercizio della pittura mi permette di visualizzare possibili sintesi d’integrazione di opposti quali, per esempio: ragione-intuizione, forma-non forma, luce-ombra, geometria-organicità, micro-macrocosmo e di viverne gli inevitabili paradossi che lasciano aperta la via dell’imponderabile.
Il dialogo tra tutti questi elementi trova un proprio ordine sulla superficie del dipinto grazie alle leggi della composizione, a volte trasgredite da licenze poetiche funzionali al manifestarsi dell’idea sottesa.
Sono consapevole del fatto che il post-moderno è una ripresa di elementi e concetti già conosciuti. Non c’è nulla da inventare, si possono solo trovare nuovi modi d’interpretare e quindi nuovi approcci al passato per nuove sintesi nel presente e nuovi modi di affrontare il futuro.
L’idea universale, l’arché intimamente connesso all’umana profonda sofferenza intrinseca alla vita è esprimibile solo attraverso le arti in tutte sue forme , per le quali è necessaria molta disciplina interiore … facile a dirsi, un po’ meno a farsi!
La pittura è, per me, un mezzo indispensabile per il quale, con l’andar degli anni, ho ridotto, fin quasi all’essenziale, sia gli strumenti di partenza che gli strumenti d’azione. Mi spiego meglio: innanzi tutto cerco sempre di “crearmi” le superfici sulle quali lavoro scegliendone dimensioni e qualità partendo da vecchie lenzuola o assemblando e riciclando in vario modo materie cartacee. Nel caso delle stele preparo un recto-verso che taglia lo spazio pur essendone parte integrante.
Sulle superfici preparate proietto micro-immagini catturate in natura: immagini del microcosmo che rapiscono le emozioni. Indago ed elaboro queste immagini attraverso schizzi, disegni, che non escludono elaborazioni computerizzate, finché ciò che mi si presenta agli occhi è qualcosa che sento appartenere ad una dimensione profonda. Per mezzo della pittura ne compio poi una sorta di sintesi alchemica che mi permette di tradurre l’immagine in espansione su diversi formati e supporti. E‘un processo di pulizia, di sintesi, volto alla ricerca di un’essenzialità che ha l’ambizione di contenere il tutto … a volte ci riesco, a volte m’accontento accettando i limiti, a volte è un fiasco, ma con l’esperienza sento che pian piano e faticosamente m’avvicino a qualcosa di autentico ed essenziale.
L’esperienza col colore mi ha portata, per coerenza d’intenti, ad una sorta di epurazione e allontanamento dai chiassosi accostamenti da cui siamo già quotidianamente bombardati.
La ricerca meditativa verso l’essenzialità dell’Essere, mi ha condotta, dopo la stesura di migliaia di campionature cromatiche, a un colore che potesse contenerli tutti e allo stesso tempo non contenerne alcuno. Questa operazione di sintesi mi ha guidata verso il nero: un nero scaldato con catrame liquido; una sorta di colore-non colore, che coerentemente accompagna la forma-non forma dell’immagine che si sviluppa lentamente sulla superficie. La tecnica della pittura ad olio mi consente di seguire questa lentezza in un dialogo meditativo che mi aiuta ad avvicinare lentamente l’Essenza.
Concludo questa riflessione con una citazione dell’artista Claudio Parmigiani: - Parlare del proprio lavoro significa tacere, perché l’opera è un’iniziazione al silenzio.-
Dina Moretti
Forse lo scrivere mi aiuta anche a posizionarmi per rapporto all’attuale scenario sempre più fitto e complesso della tanta e forse troppa produzione artistica e, una prima domanda che mi pongo, come artista in campo, è: a quale bisogno essa corrisponda. L’addentrarmi nel mondo dell’arte e, in particolar modo nella pittura è per me un mezzo e al tempo stesso una necessità vitale per nutrire e vivificare quella dimensione umana che non di solo pane si nutre e senza la quale la vita stessa perderebbe buona parte del suo senso.
Non voglio qui approfondire tematiche filosofiche, ma non posso dissociare la pratica della pittura e delle arti in generale dalla sfera spirituale, perché è ad esse che questa appartiene fin dagli albori.
Per dimensione spirituale intendo tutto ciò che è antecedente la parola, la comprende e, al tempo stesso, la oltrepassa. Vivo la parola come importante veicolo nelle relazioni umane e nello stesso tempo ostacolo nell’espressione dell’inesprimibile, di cui la religiosità è parte integrante.
Sono convinta che tutti noi, in modo più o meno consapevole, portiamo dentro le tracce di una religiosità incontaminata dai dogmi delle chiese e delle confessioni, una religiosità archetipica (re-ligare) confermata dal fatto che sempre più spesso, oggi, è diventata scelta e fatto personale.
Credo che la modernità ci ha portato a stati di consapevolezza sempre più ampi, ma allo stesso tempo a fenomeni di eresia dell’anima ben leggibili nella decadenza culturale e nel nichilismo contemporanei. Spesso mi sento sola nella ricerca che tende ad oltrepassare l’apparenza delle cose, tanto più che oggi il culto dell’esteriorità è atteggiamento assai più diffuso di quello riflessivo e introspettivo.
Le certezze e i credo precostituiti creano un senso di sicurezza, ma non soddisfano e tanto meno esauriscono una ricerca di senso che integri i paradossi della vita; sprofondare nella depressione oppure affrontare e penetrare il mondo dell’ombra e del mistero?
Quando dipingo il barlume delle forme che affiorano dall’oscurità, sento che appartengono a qualcosa di profondo e arcaico, a qualcosa che, varcando la soglia dell’apparenza, ne rinnova il senso. Un po’ come di fronte all’immagine di un simbolo: inseguo nell’ombra la luce di verità che contiene integrando poi il mio piccolo vissuto in una dimensione più ampia che mi restituisce uno stato di appartenenza al tutto.
Il dialogo attorno all’opera scaturisce dunque dal rapporto con lo spettatore solo se avviene una sorta di matrimonio tra spiriti sottesi ad un’unica Idea generatrice.
Il mio punto di riferimento è proprio quest’idea, un’idea di cui l’oggetto è solo il pretesto che racchiude e sintetizza l’esperienza personale integrata con l’esperienza umana più generale nel costante dibattito tra dualismo terreno e assoluto divino.
L’esercizio della pittura mi permette di visualizzare possibili sintesi d’integrazione di opposti quali, per esempio: ragione-intuizione, forma-non forma, luce-ombra, geometria-organicità, micro-macrocosmo e di viverne gli inevitabili paradossi che lasciano aperta la via dell’imponderabile.
Il dialogo tra tutti questi elementi trova un proprio ordine sulla superficie del dipinto grazie alle leggi della composizione, a volte trasgredite da licenze poetiche funzionali al manifestarsi dell’idea sottesa.
Sono consapevole del fatto che il post-moderno è una ripresa di elementi e concetti già conosciuti. Non c’è nulla da inventare, si possono solo trovare nuovi modi d’interpretare e quindi nuovi approcci al passato per nuove sintesi nel presente e nuovi modi di affrontare il futuro.
L’idea universale, l’arché intimamente connesso all’umana profonda sofferenza intrinseca alla vita è esprimibile solo attraverso le arti in tutte sue forme , per le quali è necessaria molta disciplina interiore … facile a dirsi, un po’ meno a farsi!
La pittura è, per me, un mezzo indispensabile per il quale, con l’andar degli anni, ho ridotto, fin quasi all’essenziale, sia gli strumenti di partenza che gli strumenti d’azione. Mi spiego meglio: innanzi tutto cerco sempre di “crearmi” le superfici sulle quali lavoro scegliendone dimensioni e qualità partendo da vecchie lenzuola o assemblando e riciclando in vario modo materie cartacee. Nel caso delle stele preparo un recto-verso che taglia lo spazio pur essendone parte integrante.
Sulle superfici preparate proietto micro-immagini catturate in natura: immagini del microcosmo che rapiscono le emozioni. Indago ed elaboro queste immagini attraverso schizzi, disegni, che non escludono elaborazioni computerizzate, finché ciò che mi si presenta agli occhi è qualcosa che sento appartenere ad una dimensione profonda. Per mezzo della pittura ne compio poi una sorta di sintesi alchemica che mi permette di tradurre l’immagine in espansione su diversi formati e supporti. E‘un processo di pulizia, di sintesi, volto alla ricerca di un’essenzialità che ha l’ambizione di contenere il tutto … a volte ci riesco, a volte m’accontento accettando i limiti, a volte è un fiasco, ma con l’esperienza sento che pian piano e faticosamente m’avvicino a qualcosa di autentico ed essenziale.
L’esperienza col colore mi ha portata, per coerenza d’intenti, ad una sorta di epurazione e allontanamento dai chiassosi accostamenti da cui siamo già quotidianamente bombardati.
La ricerca meditativa verso l’essenzialità dell’Essere, mi ha condotta, dopo la stesura di migliaia di campionature cromatiche, a un colore che potesse contenerli tutti e allo stesso tempo non contenerne alcuno. Questa operazione di sintesi mi ha guidata verso il nero: un nero scaldato con catrame liquido; una sorta di colore-non colore, che coerentemente accompagna la forma-non forma dell’immagine che si sviluppa lentamente sulla superficie. La tecnica della pittura ad olio mi consente di seguire questa lentezza in un dialogo meditativo che mi aiuta ad avvicinare lentamente l’Essenza.
Concludo questa riflessione con una citazione dell’artista Claudio Parmigiani: - Parlare del proprio lavoro significa tacere, perché l’opera è un’iniziazione al silenzio.-
Dina Moretti
29
novembre 2008
Dina Moretti
Dal 29 novembre 2008 al 17 novembre 2009
arte contemporanea
Location
GALLERIA MOSAICO
Chiasso, Via Emilio Bossi, 32, (Mendrisio)
Chiasso, Via Emilio Bossi, 32, (Mendrisio)
Orario di apertura
martedì-sabato 15- 18.30 e su appuntamento, chiuso domenica, lunedì e festivi. Chiuso dal 24 dicembre al 6 gennaio
Vernissage
29 Novembre 2008, ore 17.30
Sito web
www.dinamoretti.ch
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