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Does the angle between two walls have a happy ending?
Il group show riunisce dieci artisti differenti il cui lavoro ricontestualizza criticamente e concettualmente la storia dell’arte, dell’architettura e del design. Il progetto vuole essere una riflessione sul paesaggio urbano e sul suo sviluppo architettonico.
Comunicato stampa
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'Tutti noi abbiamo sogni che ci rassicurano. L'architettura è un palcoscenico in cui abbiamo bisogno di sentirci a nostro agio per poter recitare.' A Handful of Dust, JG Ballard, tratto da The Guardian Weekly, Lunedì 20 Marzo 2006
‘Does the angle between two walls have a happy ending?’ riunisce dieci artisti dalla ricerca e ambito di provenienza molto differenti il cui lavoro riposiziona e ricontestualizza criticamente e concettualmente la storia convenzionale dell'arte, dell'architettura e del design al fine di evidenziare le coincidenze fra il politico, il poetico e l'estetico. Il titolo è preso da un annuncio pubblicato da JG Ballard in AMBIT, la leggendaria rivista inglese con la quale lo scrittore ha collaborato negli anni '60 e che ha lasciato una traccia unica, e a volte sovversiva, attraverso saggi sull’arte, sulla poesia e sul sociale. Partendo dall'eredità del modernismo e dalla sua influenza sulla produzione postindustriale, il progetto vuole essere una riflessione sul paesaggio urbano, sul suo sviluppo architettonico e sulla stampa tipografica, intesi come poli di attrazione o di conflitto che determinano le conseguenti scelte e azioni di inclusione o esclusione.
L’architettura ha avuto da sempre un ruolo fondamentale nei cambiamenti politici, sociali e ideologici che hanno segnato il corso del nostro modo di vivere e per questo risulta campo privilegiato per una approfondita analisi delle dinamiche sociali. Mentre alcuni degli artisti in mostra esplorano il potenziale delle idee utopistiche, altri guardano verso un ormai decaduto idealismo del modernismo (rappresentato da 'un futuro che avrebbe potuto essere' nell’ottica dell'attuale visione della crisi e del crollo del modernismo). Ci sono diversi punti d’incontro fra i lavori presentati: le relazioni tra architettura, forma e natura; l'indagine sui concetti di tempo e spazio in un contesto storico e in quello moderno; le sfide alla natura della percezione nella storia dell'architettura, del design e della pittura; l’esplorazione di spazi pubblici e privati attraverso architettura e urbanistica con una specifica relazione alle questioni sociali.
La relazione fra lo spazio fisico, il tempo e la percezione, e in particolare la sua evoluzione nel contesto storico e moderno, è al centro delle ricerche di Tim Hyde, Alexander Apostol e Armando Andrade Tudela. Il lavoro di Apostol parte dallo sguardo sulla città come luogo per osservare gli effetti secondari della modernità (in particolare in America Latina) per esplorare i lati più oscuri di un progresso segnato dal fallimento delle utopie. In modo simile, Armando Andrade Tudela sceglie di mettere in discussione i presupposti concettuali e formali di modernità creando spazi e ambienti eterogenei costruiti attraverso un punto di vista architettonico, geografico e sociale. Contemporaneamente, Tim Hyde usa l'architettura modernista come palcoscenico per mettere in mostra la relazione fra lo spazio e le interazioni fisiche in modo da sfidare il meccanismo dell’interpretazione e mettere in discussione la natura della rappresentazione.
La tensione fra ordine e disordine nelle opere di Nicola Lopez, Salvatore Arancio e Diana Al-Hadid è fortemente evocativa ma allo stesso tempo profondamente inquietante. I loro lavori si incontrano nell'analisi della rappresentazione storica così come nell'architettura come metafora (spesso alterando e capovolgendo o invertendo il soggetto) per riflettere sulla fragilità e sul caos del mondo contemporaneo. Mentre Al-Hadid realizza delle costruzioni apparentemente impossibili che evocano i sentimenti di instabilità e di disorientamento connessi a edifici labirintici, Arancio invece sceglie di confrontarsi con la sospensione tra reale e finzione attraverso un'enfasi sulla costruzione e sull'organizzazione per suggerire, in un certo senso, l’inefficacia dell’umano rispetto alla natura. Lopez, d'altra parte, usa l'architettura e la struttura architettonica per creare immagini di paesaggi che lottano vorticosamente contro se stessi oltre ogni controllo o comprensione.
Alexandre Arrechea, Andre Komatsu, Ishmael Randall-Weeks e Andrea Sala hanno in comune un approccio fisico e concettuale al disegno e alla costruzione dei propri lavori attraverso un interesse profondo sia negli spazi pubblici che privati con riferimenti a specifici modelli architettonici e contesti sociali. Mentre Komatsu è affascinato dalle procedure di costruzione e di distruzione scegliendo di usare rifiuti e macerie raccolti per strada a cui attribuisce una nuova funzionalità, Randall Weeks preferisce trasformare gli stessi materiali in funzionali costruzioni o unità abitative con lo scopo di interrogarsi sui progressi delle società attraverso il design, l'architettura e le scienze. Similmente, Arrechea concentrandosi sull'analisi delle strutture di potere realizza composizioni di architettura surreale creando un 'teatro dell'assurdo' dove sono in gioco l'eredità intellettuale del socialismo e le sue contraddizioni. D'altra parte, le forme aperte e quasi non risolte di Sala sospendono in un certo senso il concetto dell’appartenenza dell’architettura e dell’oggetto di design al proprio tempo, rivelano una natura più selvatica che ordinata, mentre il design ha subito negli anni un’evoluzione logica e lineare per cui un certo tipo di risoluzione formale è riconducibile alle possibilità tecniche e alle necessità (o alle velleità) tipiche di un’epoca ben precisa. Andrea si appropria dell’oggetto indagato, in certi casi lo riduce drasticamente di scala prima ancora di cambiarne i connotati, per poi trasferirne il destino in un mondo a parte, in un immenso e, allo stesso tempo, domestico archivio immaginario, un giardino delle forme possibili.
‘Does the angle between two walls have a happy ending?’ riunisce dieci artisti dalla ricerca e ambito di provenienza molto differenti il cui lavoro riposiziona e ricontestualizza criticamente e concettualmente la storia convenzionale dell'arte, dell'architettura e del design al fine di evidenziare le coincidenze fra il politico, il poetico e l'estetico. Il titolo è preso da un annuncio pubblicato da JG Ballard in AMBIT, la leggendaria rivista inglese con la quale lo scrittore ha collaborato negli anni '60 e che ha lasciato una traccia unica, e a volte sovversiva, attraverso saggi sull’arte, sulla poesia e sul sociale. Partendo dall'eredità del modernismo e dalla sua influenza sulla produzione postindustriale, il progetto vuole essere una riflessione sul paesaggio urbano, sul suo sviluppo architettonico e sulla stampa tipografica, intesi come poli di attrazione o di conflitto che determinano le conseguenti scelte e azioni di inclusione o esclusione.
L’architettura ha avuto da sempre un ruolo fondamentale nei cambiamenti politici, sociali e ideologici che hanno segnato il corso del nostro modo di vivere e per questo risulta campo privilegiato per una approfondita analisi delle dinamiche sociali. Mentre alcuni degli artisti in mostra esplorano il potenziale delle idee utopistiche, altri guardano verso un ormai decaduto idealismo del modernismo (rappresentato da 'un futuro che avrebbe potuto essere' nell’ottica dell'attuale visione della crisi e del crollo del modernismo). Ci sono diversi punti d’incontro fra i lavori presentati: le relazioni tra architettura, forma e natura; l'indagine sui concetti di tempo e spazio in un contesto storico e in quello moderno; le sfide alla natura della percezione nella storia dell'architettura, del design e della pittura; l’esplorazione di spazi pubblici e privati attraverso architettura e urbanistica con una specifica relazione alle questioni sociali.
La relazione fra lo spazio fisico, il tempo e la percezione, e in particolare la sua evoluzione nel contesto storico e moderno, è al centro delle ricerche di Tim Hyde, Alexander Apostol e Armando Andrade Tudela. Il lavoro di Apostol parte dallo sguardo sulla città come luogo per osservare gli effetti secondari della modernità (in particolare in America Latina) per esplorare i lati più oscuri di un progresso segnato dal fallimento delle utopie. In modo simile, Armando Andrade Tudela sceglie di mettere in discussione i presupposti concettuali e formali di modernità creando spazi e ambienti eterogenei costruiti attraverso un punto di vista architettonico, geografico e sociale. Contemporaneamente, Tim Hyde usa l'architettura modernista come palcoscenico per mettere in mostra la relazione fra lo spazio e le interazioni fisiche in modo da sfidare il meccanismo dell’interpretazione e mettere in discussione la natura della rappresentazione.
La tensione fra ordine e disordine nelle opere di Nicola Lopez, Salvatore Arancio e Diana Al-Hadid è fortemente evocativa ma allo stesso tempo profondamente inquietante. I loro lavori si incontrano nell'analisi della rappresentazione storica così come nell'architettura come metafora (spesso alterando e capovolgendo o invertendo il soggetto) per riflettere sulla fragilità e sul caos del mondo contemporaneo. Mentre Al-Hadid realizza delle costruzioni apparentemente impossibili che evocano i sentimenti di instabilità e di disorientamento connessi a edifici labirintici, Arancio invece sceglie di confrontarsi con la sospensione tra reale e finzione attraverso un'enfasi sulla costruzione e sull'organizzazione per suggerire, in un certo senso, l’inefficacia dell’umano rispetto alla natura. Lopez, d'altra parte, usa l'architettura e la struttura architettonica per creare immagini di paesaggi che lottano vorticosamente contro se stessi oltre ogni controllo o comprensione.
Alexandre Arrechea, Andre Komatsu, Ishmael Randall-Weeks e Andrea Sala hanno in comune un approccio fisico e concettuale al disegno e alla costruzione dei propri lavori attraverso un interesse profondo sia negli spazi pubblici che privati con riferimenti a specifici modelli architettonici e contesti sociali. Mentre Komatsu è affascinato dalle procedure di costruzione e di distruzione scegliendo di usare rifiuti e macerie raccolti per strada a cui attribuisce una nuova funzionalità, Randall Weeks preferisce trasformare gli stessi materiali in funzionali costruzioni o unità abitative con lo scopo di interrogarsi sui progressi delle società attraverso il design, l'architettura e le scienze. Similmente, Arrechea concentrandosi sull'analisi delle strutture di potere realizza composizioni di architettura surreale creando un 'teatro dell'assurdo' dove sono in gioco l'eredità intellettuale del socialismo e le sue contraddizioni. D'altra parte, le forme aperte e quasi non risolte di Sala sospendono in un certo senso il concetto dell’appartenenza dell’architettura e dell’oggetto di design al proprio tempo, rivelano una natura più selvatica che ordinata, mentre il design ha subito negli anni un’evoluzione logica e lineare per cui un certo tipo di risoluzione formale è riconducibile alle possibilità tecniche e alle necessità (o alle velleità) tipiche di un’epoca ben precisa. Andrea si appropria dell’oggetto indagato, in certi casi lo riduce drasticamente di scala prima ancora di cambiarne i connotati, per poi trasferirne il destino in un mondo a parte, in un immenso e, allo stesso tempo, domestico archivio immaginario, un giardino delle forme possibili.
29
aprile 2010
Does the angle between two walls have a happy ending?
Dal 29 aprile al 05 giugno 2010
arte contemporanea
Location
FEDERICA SCHIAVO GALLERY
Roma, Piazza Di Montevecchio, 16, (Roma)
Roma, Piazza Di Montevecchio, 16, (Roma)
Orario di apertura
da martedì a domenica 11 - 19
Vernissage
29 Aprile 2010, ore 18.00
Autore
Curatore