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Domenico Fatigati – RIGORE COSTRUTTIVO DELLA PURA ASTRAZIONE GEOMETRICA
Che Fatigati abbia scelto, per il suo quotidiano esercizio, la strada della linea e del colore non è dubitabile. Come però egli proceda nella composizione di tali elementi che restituiscono pagine di grande rigore ma anche di libertà visiva, merita qualche osservazione più capillare.
Comunicato stampa
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Domenico Fatigati, un’arte-non oggettiva
Ada Patrizia Fiorillo
Che cosa sia l’arte astratta è interrogativo che assilla, ormai dal secolo scorso, innumerevoli studiosi: storici dell’arte, critici, letterati, filosofi, semiologici. È una domanda ansiosa, ancora oggi di difficile risposta, per una forma di linguaggio che convive con l’altra, ossia con un linguaggio referenziale o, più semplicemente figurale. Fin dal suo apparire nel primo decennio del Novecento, s’intende nel suo palesarsi più noto, senza cioè risalire alla preistoria, essa ha registrato molte interpretazioni. Si tratta di letture adattate a modalità di espressioni diverse che hanno, a loro volta, generato categorie e designazioni, tra le quali, le più ricorrenti, astrattismo, astrazione, arte non-oggettiva. Non è questa la sede per addentrarsi in una problematica complessa ancorché lessicologica che ammette molte sfumature. Se però la terminologia arte-non oggettiva trova esemplificazione “in opere – suggerisce Georges Roque – che non hanno più alcun riferimento alla natura o alla realtà esteriore e sono costituite esclusivamente dall’organizzazione interna di linee, colori, volumi e piani”, credo che Domenico Fatigati possa iscriversi, di primo acchito, in questo filone.
Dico in primis, perché l’artista campano che ho conosciuto solo da poco, per il tramite del comune amico Giorgio Agnisola, mi sembra che leghi altresì la sua esperienza di artista astratto, propriamente geometrico, ad un campo aperto di ipotesi interpretative. Che Fatigati abbia scelto, per il suo quotidiano esercizio, la strada della linea e del colore non è dubitabile. Come però egli proceda nella composizione di tali elementi che restituiscono pagine di grande rigore ma anche di libertà visiva, merita qualche osservazione più capillare. Scorrendo le opere che datano più o meno dal 2014 ad oggi, ci si accorge che egli non si muove privilegiando esclusivamente il codice di un’arte fine a se stessa. Già i titoli, alcuni dei quali ricorrenti, anche per soluzioni compositive diverse, Il gioco delle onde, Onde, Equilibrio, L’armonia dei punti, fino alla dizione (che non è negazione, ma forse il contrario) di Senza titolo, appaiono indicativi. Insomma, non vi è bisogno che vi sia un referente esterno, per comunicare ciò che appartiene ad una dimensione interiore e che il mondo suggerisce al di là delle immagini che riconosciamo come figure o oggetti. Fatigati si affida a strumenti che sono propri della pittura, ma non solo. Le sue sono sia superfici bidimensionali che giocano sulla relazione di linee (a volte proprio segni) e colori cadenzati con reciproco equilibrio, sia composizioni in aggetto che cercano una relazione con lo spazio. Nell’uno e nell’altro caso l’artista sperimenta per esse materie diverse, dal legno al plexiglass, al forex, ritagliate e lavorate secondo un ordine visivo, un assetto formale per il quale queste pagine chiedono allo spettatore di andare oltre. L’artista schiude cioè verso una sollecitazione percettiva imbastita sul richiamo di analogie, di profondità, di prospettive, anche lì dove tutto sembrerebbe vivere in un’estetica al limite del decoro nella sua accezione migliore, priva di emotività. È il suo un registro voluto che, non a caso, ha fatto parlare la critica di un ascendente nella lezione dell’arte programmata, peculiarmente nella declinazione optical. Un richiamo che, del resto, traspare in alcune soluzioni, soprattutto in quelle dove l’uso della china accelera verso l’artificio cinetico di forme virtuali. Sono potenzialità espressive dalle quali è certamente attratto, salvo a registrare che rispetto all’interesse di quelle correnti per una cultura tecnologica che sfruttava nei processi ideativi le conquiste meccaniche, luminose o elettromagnetiche, Fatigati, pare privilegiare una cifra di artigianalità che lo vuole costruttore in prima persona delle sue forme. In questa sapienza che è dedizione, paziente ricerca nel fissare la variazione nella ripetibilità, Fatigati mostra la necessità di dare un senso al suo lavoro, senza isolarlo nell’anonimato. Nella struttura ordinata della sua geometria egli lascia posto ad alterazioni, di peso tra le materie, di carattere tra i colori, di direzione tra le linee, cercando ipotesi aperte al significato di queste narrazioni che restano però strettamente collegate al significante del suo segno plastico.
Simbolismo geometrico e poesia nell’arte di Mimmo Fatigati
di Giorgio Agnisola
Equilibrio e misura, ovvero ordine psicologico e ritmo compositivo, paiono a primo avviso i caratteri della produzione artistica di Mimmo Fatigati: artista serio, schivo, attivo operatore culturale impegnato da anni nel suo antico territorio del circondario partenopeo. Equilibrio e misura chiaramente leggibili nel suo linguaggio. Che ha da sempre come punti di riferimento della sua ricerca l’ “optical art” e i suoi derivati: una ricerca che potrebbe apparire poco incline alla narrazione di sé e del proprio mondo spirituale. Non è così, in effetti. Che l’opera si affermi con un simbolismo geometrico, non esclude che quel simbolismo comporti un principio di poesia. D’altra parte la scelta di uno stile ha un senso proprio in relazione al mondo umano e spirituale che sovrintende al linguaggio e in qualche modo lo significa e lo motiva.
Nell’arte di Fatigati quello dello stupore, del miracolo, di una sintesi interpretata nell’ordine di una composizione rigorosa di tasselli visivi mi sembra un primo elemento da sottolineare. L’artista acerrano ha vivo il senso della costruzione a partire da elementi prevalentemente geometrici, che egli assembla sul filo corrivo di una autentica ispirazione: che non riguarda solo la forma o il colore, ma altresì il reciproco rapporto cromatico e spaziale e intrinsecamente la tensione psicologica e spirituale che essi suggeriscono. Non solo, ma l’aspetto costruttivo del suo linguaggio annette una sapienza compositiva in cui gli stessi risalti cromatici e formali sono in relazione fin dal principio con la sequenza visiva, sicché quest’ultima si legge come una sorta di prefigurazione dell’opera, intimamente, pazientemente e talora lungamente vigilata.
Per Fatigati l’arte è modulazione poetica oltre che sensitiva e costruttiva. Ciò giustifica i sottili passaggi tonali, i precisi eppure calibrati rilievi, i motivi cangianti del suo registro, che ha mille sfumature, percepibili a seconda dell’angolo di visuale e della fonte di luce. Siamo oltre la pittura naturalmente e oltre un assetto di superficie, eppure l’opera resta legata a un principio pittorico. C’è infatti come un insieme di riverberi nelle opere che nello sguardo amalgamano segni e colori, rilievi e assetti formali, superando lo stesso iniziale fascino della texture. Un riverbero che mentre è dentro la percezione, al tempo stesso la trascende, diventa come aura che sublima la stessa visione. Frutto raffinato del rigore costruttivo dell’artista, vissuto come sguardo interiore, come aspirazione ad una superiore armonia.
Ada Patrizia Fiorillo
Che cosa sia l’arte astratta è interrogativo che assilla, ormai dal secolo scorso, innumerevoli studiosi: storici dell’arte, critici, letterati, filosofi, semiologici. È una domanda ansiosa, ancora oggi di difficile risposta, per una forma di linguaggio che convive con l’altra, ossia con un linguaggio referenziale o, più semplicemente figurale. Fin dal suo apparire nel primo decennio del Novecento, s’intende nel suo palesarsi più noto, senza cioè risalire alla preistoria, essa ha registrato molte interpretazioni. Si tratta di letture adattate a modalità di espressioni diverse che hanno, a loro volta, generato categorie e designazioni, tra le quali, le più ricorrenti, astrattismo, astrazione, arte non-oggettiva. Non è questa la sede per addentrarsi in una problematica complessa ancorché lessicologica che ammette molte sfumature. Se però la terminologia arte-non oggettiva trova esemplificazione “in opere – suggerisce Georges Roque – che non hanno più alcun riferimento alla natura o alla realtà esteriore e sono costituite esclusivamente dall’organizzazione interna di linee, colori, volumi e piani”, credo che Domenico Fatigati possa iscriversi, di primo acchito, in questo filone.
Dico in primis, perché l’artista campano che ho conosciuto solo da poco, per il tramite del comune amico Giorgio Agnisola, mi sembra che leghi altresì la sua esperienza di artista astratto, propriamente geometrico, ad un campo aperto di ipotesi interpretative. Che Fatigati abbia scelto, per il suo quotidiano esercizio, la strada della linea e del colore non è dubitabile. Come però egli proceda nella composizione di tali elementi che restituiscono pagine di grande rigore ma anche di libertà visiva, merita qualche osservazione più capillare. Scorrendo le opere che datano più o meno dal 2014 ad oggi, ci si accorge che egli non si muove privilegiando esclusivamente il codice di un’arte fine a se stessa. Già i titoli, alcuni dei quali ricorrenti, anche per soluzioni compositive diverse, Il gioco delle onde, Onde, Equilibrio, L’armonia dei punti, fino alla dizione (che non è negazione, ma forse il contrario) di Senza titolo, appaiono indicativi. Insomma, non vi è bisogno che vi sia un referente esterno, per comunicare ciò che appartiene ad una dimensione interiore e che il mondo suggerisce al di là delle immagini che riconosciamo come figure o oggetti. Fatigati si affida a strumenti che sono propri della pittura, ma non solo. Le sue sono sia superfici bidimensionali che giocano sulla relazione di linee (a volte proprio segni) e colori cadenzati con reciproco equilibrio, sia composizioni in aggetto che cercano una relazione con lo spazio. Nell’uno e nell’altro caso l’artista sperimenta per esse materie diverse, dal legno al plexiglass, al forex, ritagliate e lavorate secondo un ordine visivo, un assetto formale per il quale queste pagine chiedono allo spettatore di andare oltre. L’artista schiude cioè verso una sollecitazione percettiva imbastita sul richiamo di analogie, di profondità, di prospettive, anche lì dove tutto sembrerebbe vivere in un’estetica al limite del decoro nella sua accezione migliore, priva di emotività. È il suo un registro voluto che, non a caso, ha fatto parlare la critica di un ascendente nella lezione dell’arte programmata, peculiarmente nella declinazione optical. Un richiamo che, del resto, traspare in alcune soluzioni, soprattutto in quelle dove l’uso della china accelera verso l’artificio cinetico di forme virtuali. Sono potenzialità espressive dalle quali è certamente attratto, salvo a registrare che rispetto all’interesse di quelle correnti per una cultura tecnologica che sfruttava nei processi ideativi le conquiste meccaniche, luminose o elettromagnetiche, Fatigati, pare privilegiare una cifra di artigianalità che lo vuole costruttore in prima persona delle sue forme. In questa sapienza che è dedizione, paziente ricerca nel fissare la variazione nella ripetibilità, Fatigati mostra la necessità di dare un senso al suo lavoro, senza isolarlo nell’anonimato. Nella struttura ordinata della sua geometria egli lascia posto ad alterazioni, di peso tra le materie, di carattere tra i colori, di direzione tra le linee, cercando ipotesi aperte al significato di queste narrazioni che restano però strettamente collegate al significante del suo segno plastico.
Simbolismo geometrico e poesia nell’arte di Mimmo Fatigati
di Giorgio Agnisola
Equilibrio e misura, ovvero ordine psicologico e ritmo compositivo, paiono a primo avviso i caratteri della produzione artistica di Mimmo Fatigati: artista serio, schivo, attivo operatore culturale impegnato da anni nel suo antico territorio del circondario partenopeo. Equilibrio e misura chiaramente leggibili nel suo linguaggio. Che ha da sempre come punti di riferimento della sua ricerca l’ “optical art” e i suoi derivati: una ricerca che potrebbe apparire poco incline alla narrazione di sé e del proprio mondo spirituale. Non è così, in effetti. Che l’opera si affermi con un simbolismo geometrico, non esclude che quel simbolismo comporti un principio di poesia. D’altra parte la scelta di uno stile ha un senso proprio in relazione al mondo umano e spirituale che sovrintende al linguaggio e in qualche modo lo significa e lo motiva.
Nell’arte di Fatigati quello dello stupore, del miracolo, di una sintesi interpretata nell’ordine di una composizione rigorosa di tasselli visivi mi sembra un primo elemento da sottolineare. L’artista acerrano ha vivo il senso della costruzione a partire da elementi prevalentemente geometrici, che egli assembla sul filo corrivo di una autentica ispirazione: che non riguarda solo la forma o il colore, ma altresì il reciproco rapporto cromatico e spaziale e intrinsecamente la tensione psicologica e spirituale che essi suggeriscono. Non solo, ma l’aspetto costruttivo del suo linguaggio annette una sapienza compositiva in cui gli stessi risalti cromatici e formali sono in relazione fin dal principio con la sequenza visiva, sicché quest’ultima si legge come una sorta di prefigurazione dell’opera, intimamente, pazientemente e talora lungamente vigilata.
Per Fatigati l’arte è modulazione poetica oltre che sensitiva e costruttiva. Ciò giustifica i sottili passaggi tonali, i precisi eppure calibrati rilievi, i motivi cangianti del suo registro, che ha mille sfumature, percepibili a seconda dell’angolo di visuale e della fonte di luce. Siamo oltre la pittura naturalmente e oltre un assetto di superficie, eppure l’opera resta legata a un principio pittorico. C’è infatti come un insieme di riverberi nelle opere che nello sguardo amalgamano segni e colori, rilievi e assetti formali, superando lo stesso iniziale fascino della texture. Un riverbero che mentre è dentro la percezione, al tempo stesso la trascende, diventa come aura che sublima la stessa visione. Frutto raffinato del rigore costruttivo dell’artista, vissuto come sguardo interiore, come aspirazione ad una superiore armonia.
01
luglio 2023
Domenico Fatigati – RIGORE COSTRUTTIVO DELLA PURA ASTRAZIONE GEOMETRICA
Dal primo al 23 luglio 2023
arte contemporanea
Location
GALLERIA DEL CARBONE
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Orario di apertura
da mercoledì a venerdì 17.00-20.00; sabato e festivi 17.00-20.00; chiuso il lunedì e martedì
Vernissage
1 Luglio 2023, ore 18.00
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