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Domenico Magazù – Paesaggi e passaggi
Le due rassegne, allestite in contemporanea nelle ridenti cittadine della pianura piemontese, vogliono far capire agli amanti d’arte il graduale passaggio del pittore dai tagli di chiaro stampo subalpino sino all’ultima produzione incentratasi su tratti informali anche se ancora sottilmente figurativi.
Comunicato stampa
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PAESAGGI E PASSAGGI NELLA PITTURA DI DOMENICO MAGAZU’
Nato a Mondovì, Magazù si è ritrovato, sin da ragazzo, ad avere un particolare interesse per il disegno e la pittura, interesse accresciuto col passare del tempo e che, da subito, lo ha fatto avvicinare al paesaggio con una tavolozza preziosa e dagli efficaci accenti. La frequentazione di amici pittori quali, Pirotti, Mana, Remigante, Libero Nada, e lo studio dei Grandi del passato, ha inoltre fatto sì che lo stesso abbia trovato un’ atmosfera adatta ai suoi sogni artistici: una realtà viva, poetica, duratura. Si sa che, normalmente, l’arte pare non essere alla portata di tutti:è un mito da sfatare perché anche gli operatori, come i fruitori, pagano un prezzo iniziale per ritorvarsi nell’olimpo, e , in questo caso, il bravo Domenico ha pagato più di quanto credesse, però è riuscito ad essere personalmente soddisfatto e a soddisfare i suoi “proseliti”. Ma se, come si poteva leggere in una vecchia brochure di presentazione di una delle tante mostre tenute un po’ovunque dove si sottolineava che “ Tra il delirio delle ricerche, delle percezioni cosmiche, dei messaggi avveniristici della pittura cosiddetta moderna, con un candore disarmante, Magazù ha voluto, vuole e vorrà rimanere indubbiamente un pittore verista” oggi è necessario rivedere questa affermazione. Con lo scorrere del tempo l’artista, che peraltro si poneva già in una condizione più contemporanea rispetto ai suoi modelli “rimestando” la visione con un romanticismo volto a preludere passaggi informali, ha infatti iniziato a porre in atto ricerche particolari suggerite da una sensibilità e da una capacità di reinterpretazione del naturale intrinseca e mai doma. Sono comparsi così i primi scorci e paesaggi trattati su preparazione a sabbia che connotavano in modo più attuale il ductus pittorico. Poi le prime restrizioni del definito e le materiche campiture segnate più dal colore e dalla libera composizione che dal riscontro oggettivo precedente. Infine un totale quanto liberatorio passaggio a quella che si potrebbe definire un’ espressione neo-informale. Sono nati così “Composizione con strappo ad S”, “Sessantaquattro”, “Composizioni” di piccolo formato molto materiche ed i nuovi “Paesaggi Urbani”: derivazione evidente delle basi di partenza ma revisione totale della comunicazione personale. E’ emersa prepotente la pienezza fenomenica di una pittura che possedeva già grande energia e talvolta persino asprezza d’accenti timbrici, ma anche accordi tonali delicati e dolci, tenuti però con sobrietà nella gamma dei bruni e degli azzurri, spessori e intrighi materici tormentati con furia o accarezzati con morbida insistenza, e andamenti veramente mutevoli, con un incedere ora spezzato e convulso, dove si sente la volontà di non cedere ai lenocini del mestiere, ora al contrario rapido, vigoroso e largo: memorie, si potrebbe dire, dell’impeto essenziale che animava certe opere informali, come quelle di Schneider o di Moreni. In realtà, questa “nuova” pittura, che sembra opporre il silenzio della sua evidenza sensibile alle petulanti richieste d’esegesi iconografiche, come se temesse di rimanere intrappolata nella gabbia delle definizioni concettuali precostituite, è prodiga di suggestioni e di suggerimenti che le creano intorno un alone di risonanze emotive e memoriali. Soprattutto non deve sfuggire come la stessa oscillante trama di rimandi e di corrispondenze sia ancorata intorno ad alcuni nuclei figurali profondi, che appena s’intravedono nel groviglio delle pennellate e dei colpi di spatola, ma che una volta individuati si rivelano carichi di un ‘eccezionale forza espressiva. Sono geometrie d’azzurro e di nero, di rosso, grigio o giallo graffiate e distese di scatto sulla superficie del quadro; spruzzi, colature, rimescolii vorticosi e turbolenze. Sono di solito frammento di un mondo colto in certe sue essenziali qualità sensibili che nascono ancora dal desiderio elementare di riproporre la natura in un modo meno esplicitamente dichiarato e anzi quasi dissimulato nella caotica dispersione dei pochi brandelli di realtà cui esso rimane attaccato. È difficile resistere alla tentazione di collocare la pittura di Magazù nel solco di quelle correnti dell’Informale che, proprio in Italia, aveva con più decisione piegato i temi della ricerca esistenziale nella direzione della riscoperta della natura, la natura, appunto che, come scriveva Francesco Arcangeli, sentiamo premere non solo fuori di noi, ma anche dentro, “strato profondo di passione e di sensi, felicità, tormento” limite perciò non remoto e inattingibile, se non attraverso la memoria, come vorrebbe l’idea di una natura ormai esclusa dall’universo delle forme simboliche che imbozzano l’uomo, ma prossimo e urgente, entro il quale si compie interamente la parabola dell’esistenza, della presenza cioè individuale e storica dell’uomo sulla terra. Da queste rapidissime considerazioni dovrebbe risultare abbastanza chiaramente che la pittura di Domenico non costituisce comunque un caso di “rivisitazione” o di “citazione”. Questi modi di porsi di fronte al passato più o meno recente dell’arte condividono il pregiudizio “Modernista” della linearità dello sviluppo, del progresso obbligato di novità in novità, siano pure queste soltanto le novità che si manifestano nel piccolo scarto tra il testo originale e la sua citazione. E come spiegare l’impressione vivacemente provocata dalle immagini dipinte da Magazù se non ricordando anche la lezione “storica” del Futurismo con il proprio dinamismo ed il concetto di una dimensione urbana tutta particolare? Infatti il gesto dell’artista suscita una dimensione spaziale accentuatamente dinamica. Il gesto segna i percorsi di un colore dotato di una vitalità fisica particolarmente evidente, sia nei momenti di gioiosa luminosità, sia in quelli sprofondati nelle opacità della materia. Ma nello stesso tempo esso evoca la presenza di qualcosa che è al di là dello schermo del quadro: in questo senso è, appunto, il risultato dell’accumularsi, nello spazio del supporto, dei segni del dialogo dell’artista con il mondo. Un dialogo che continua in parallelo anche con la riproposizione dello stile dal quale è partito.
Giorgio Barberis
Nato a Mondovì, Magazù si è ritrovato, sin da ragazzo, ad avere un particolare interesse per il disegno e la pittura, interesse accresciuto col passare del tempo e che, da subito, lo ha fatto avvicinare al paesaggio con una tavolozza preziosa e dagli efficaci accenti. La frequentazione di amici pittori quali, Pirotti, Mana, Remigante, Libero Nada, e lo studio dei Grandi del passato, ha inoltre fatto sì che lo stesso abbia trovato un’ atmosfera adatta ai suoi sogni artistici: una realtà viva, poetica, duratura. Si sa che, normalmente, l’arte pare non essere alla portata di tutti:è un mito da sfatare perché anche gli operatori, come i fruitori, pagano un prezzo iniziale per ritorvarsi nell’olimpo, e , in questo caso, il bravo Domenico ha pagato più di quanto credesse, però è riuscito ad essere personalmente soddisfatto e a soddisfare i suoi “proseliti”. Ma se, come si poteva leggere in una vecchia brochure di presentazione di una delle tante mostre tenute un po’ovunque dove si sottolineava che “ Tra il delirio delle ricerche, delle percezioni cosmiche, dei messaggi avveniristici della pittura cosiddetta moderna, con un candore disarmante, Magazù ha voluto, vuole e vorrà rimanere indubbiamente un pittore verista” oggi è necessario rivedere questa affermazione. Con lo scorrere del tempo l’artista, che peraltro si poneva già in una condizione più contemporanea rispetto ai suoi modelli “rimestando” la visione con un romanticismo volto a preludere passaggi informali, ha infatti iniziato a porre in atto ricerche particolari suggerite da una sensibilità e da una capacità di reinterpretazione del naturale intrinseca e mai doma. Sono comparsi così i primi scorci e paesaggi trattati su preparazione a sabbia che connotavano in modo più attuale il ductus pittorico. Poi le prime restrizioni del definito e le materiche campiture segnate più dal colore e dalla libera composizione che dal riscontro oggettivo precedente. Infine un totale quanto liberatorio passaggio a quella che si potrebbe definire un’ espressione neo-informale. Sono nati così “Composizione con strappo ad S”, “Sessantaquattro”, “Composizioni” di piccolo formato molto materiche ed i nuovi “Paesaggi Urbani”: derivazione evidente delle basi di partenza ma revisione totale della comunicazione personale. E’ emersa prepotente la pienezza fenomenica di una pittura che possedeva già grande energia e talvolta persino asprezza d’accenti timbrici, ma anche accordi tonali delicati e dolci, tenuti però con sobrietà nella gamma dei bruni e degli azzurri, spessori e intrighi materici tormentati con furia o accarezzati con morbida insistenza, e andamenti veramente mutevoli, con un incedere ora spezzato e convulso, dove si sente la volontà di non cedere ai lenocini del mestiere, ora al contrario rapido, vigoroso e largo: memorie, si potrebbe dire, dell’impeto essenziale che animava certe opere informali, come quelle di Schneider o di Moreni. In realtà, questa “nuova” pittura, che sembra opporre il silenzio della sua evidenza sensibile alle petulanti richieste d’esegesi iconografiche, come se temesse di rimanere intrappolata nella gabbia delle definizioni concettuali precostituite, è prodiga di suggestioni e di suggerimenti che le creano intorno un alone di risonanze emotive e memoriali. Soprattutto non deve sfuggire come la stessa oscillante trama di rimandi e di corrispondenze sia ancorata intorno ad alcuni nuclei figurali profondi, che appena s’intravedono nel groviglio delle pennellate e dei colpi di spatola, ma che una volta individuati si rivelano carichi di un ‘eccezionale forza espressiva. Sono geometrie d’azzurro e di nero, di rosso, grigio o giallo graffiate e distese di scatto sulla superficie del quadro; spruzzi, colature, rimescolii vorticosi e turbolenze. Sono di solito frammento di un mondo colto in certe sue essenziali qualità sensibili che nascono ancora dal desiderio elementare di riproporre la natura in un modo meno esplicitamente dichiarato e anzi quasi dissimulato nella caotica dispersione dei pochi brandelli di realtà cui esso rimane attaccato. È difficile resistere alla tentazione di collocare la pittura di Magazù nel solco di quelle correnti dell’Informale che, proprio in Italia, aveva con più decisione piegato i temi della ricerca esistenziale nella direzione della riscoperta della natura, la natura, appunto che, come scriveva Francesco Arcangeli, sentiamo premere non solo fuori di noi, ma anche dentro, “strato profondo di passione e di sensi, felicità, tormento” limite perciò non remoto e inattingibile, se non attraverso la memoria, come vorrebbe l’idea di una natura ormai esclusa dall’universo delle forme simboliche che imbozzano l’uomo, ma prossimo e urgente, entro il quale si compie interamente la parabola dell’esistenza, della presenza cioè individuale e storica dell’uomo sulla terra. Da queste rapidissime considerazioni dovrebbe risultare abbastanza chiaramente che la pittura di Domenico non costituisce comunque un caso di “rivisitazione” o di “citazione”. Questi modi di porsi di fronte al passato più o meno recente dell’arte condividono il pregiudizio “Modernista” della linearità dello sviluppo, del progresso obbligato di novità in novità, siano pure queste soltanto le novità che si manifestano nel piccolo scarto tra il testo originale e la sua citazione. E come spiegare l’impressione vivacemente provocata dalle immagini dipinte da Magazù se non ricordando anche la lezione “storica” del Futurismo con il proprio dinamismo ed il concetto di una dimensione urbana tutta particolare? Infatti il gesto dell’artista suscita una dimensione spaziale accentuatamente dinamica. Il gesto segna i percorsi di un colore dotato di una vitalità fisica particolarmente evidente, sia nei momenti di gioiosa luminosità, sia in quelli sprofondati nelle opacità della materia. Ma nello stesso tempo esso evoca la presenza di qualcosa che è al di là dello schermo del quadro: in questo senso è, appunto, il risultato dell’accumularsi, nello spazio del supporto, dei segni del dialogo dell’artista con il mondo. Un dialogo che continua in parallelo anche con la riproposizione dello stile dal quale è partito.
Giorgio Barberis
09
ottobre 2009
Domenico Magazù – Paesaggi e passaggi
Dal 09 al 30 ottobre 2009
arte contemporanea
Location
TORRE CIVICA
Caramagna Piemonte, Piazza Castello, 1, (Cuneo)
Caramagna Piemonte, Piazza Castello, 1, (Cuneo)
Orario di apertura
venerdì 15/18,30- sabato e domenica 10/12; 15/18,30
Sito web
www.domenicomagazù.it
Autore
Curatore