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Domenico Pievani – Passaggi di deriva
L’arte totale di Domenico Pievani nasce dal desiderio profondo di ricuperare una sensibilità persa. Sensibilità che potrebbe aiutarci ad essere pienamente vivi, o almeno utopisticamente a tentare di esserlo.
Comunicato stampa
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PASSAGGI DI DERIVA
“La forma è vuoto, e il vuoto non è che la forma”
Hrdaya Sutra
L'arte totale di Domenico Pievani nasce dal desiderio profondo di ricuperare una sensibilità persa. Sensibilità che potrebbe aiutarci ad essere pienamente vivi, o almeno utopisticamente a tentare di esserlo.
"Prima che la mente sorga, dove sono le cose?" recita un koan giapponese. La cultura orientale da sempre concepisce il vuoto come pienezza, un vuoto zen dove il tutto è riconducibile al vuoto. Come sottolinea Lao-tzu: “Quando un artigiano costruisce un vaso, l’utilità del vaso sta proprio là dove esso è vuoto”. La narratività della mostra di Pievani si sviluppa dal vuoto iniziale, prende poi forma come manifestazione di una realtà possibile, per concludersi infine con un successivo ritorno al vuoto finale, che non è altro che il nostro vuoto interiore. La mostra dunque si presenta quasi come una meditazione alla ricerca delle consonanze tra tutti gli elementi interagenti nello spazio della mostra Tutto ciò provoca in noi, occidentali incalliti, un profondo senso di straniamento ma anche di suggestione.
L’artista crea uno spazio totale espressivo che include la materia, sia naturale come l’acqua ed il fuoco, sia artificiale e pertanto costruita dall’uomo, come i puntoni zincati o le reti metalliche; la parola circola attraverso i libri-capitelli ed i libri a muro; gli elementi visivi come le fotografie e le installazioni costruiscono visivamente l’ambiente ed infine l’elemento fondamentale di tutta l’operazione, ovvero noi, soggetti spettatori. Quasi come un piccolo teatro del mondo, con il suo tempo, il suo spazio e le sue forme rituali. Tutti gli elementi vengono ridotti sempre all'essenziale in modo tale da accentuare l'intensità dell'esperienza, tracciando un'immagine lievemente aperta. Questa apertura complessiva dell'opera stimola fortemente gli spettatori a costruire il proprio mondo fisico-psichico partendo dallo spazio estetico dato.
Uno spazio altro, ben delimitato, che si presenta tramite un viaggio rituale, un rito di passaggio, una deriva che Pievani ci obbliga a compiere. Nella prima sala attira la nostra attenzione l’opera Uno sguardo sul vuoto che presenta due libri di due tradizioni diverse, San Juan de la Cruz e Oseki Isamatsu, che riflettono sulla centralità del vuoto nell’esperienza umana, sia mistica sia quotidiana. La seconda stanza presenta invece, proprio sulla soglia, dei puntoni zincati che sbarrano l’entrata, comprimendo il passaggio allo spazio centrale che si espande successivamente per dar luogo alle installazioni. L’acqua, il fuoco, il tempo che scorre e modifica le opere, la fotografia che raffigura l’artista stesso, il tutto si presenta quasi come un rituale di purificazione. Come in ogni rito d’iniziazione lo spettatore deve imparare delle cose, deve crescere, deve liberarsi del passato, deve trovare un proprio equilibrio. I soggetti immedesimandosi nel percorso proposto dall’artista riescono a risvegliarsi momentaneamente, raggiungendo per la durata della permanenza in questo spazio uno stato di liberazione del mentale, una deriva spirituale che li mette in consonanza con l’universo tutto.
In questo modo e tramite questi strumenti espressivi Domenico Pievani porta avanti la sua lotta personale contro il 'complotto' della realtà oggettiva. L’artista ci obbliga a proiettare la nostra individualità dentro il suo spazio estetico per ricuperare la nostra sensibilità e "sentire" il mondo reale tramite i nostri sensi e non solo tramite la nostra stanca mente. Una deriva che parte dalla fisicità del corpo per arrivare al centro vuoto della totalità. Una deriva per imparare ad essere.
Mirtha Paula Mazzocchi
“La forma è vuoto, e il vuoto non è che la forma”
Hrdaya Sutra
L'arte totale di Domenico Pievani nasce dal desiderio profondo di ricuperare una sensibilità persa. Sensibilità che potrebbe aiutarci ad essere pienamente vivi, o almeno utopisticamente a tentare di esserlo.
"Prima che la mente sorga, dove sono le cose?" recita un koan giapponese. La cultura orientale da sempre concepisce il vuoto come pienezza, un vuoto zen dove il tutto è riconducibile al vuoto. Come sottolinea Lao-tzu: “Quando un artigiano costruisce un vaso, l’utilità del vaso sta proprio là dove esso è vuoto”. La narratività della mostra di Pievani si sviluppa dal vuoto iniziale, prende poi forma come manifestazione di una realtà possibile, per concludersi infine con un successivo ritorno al vuoto finale, che non è altro che il nostro vuoto interiore. La mostra dunque si presenta quasi come una meditazione alla ricerca delle consonanze tra tutti gli elementi interagenti nello spazio della mostra Tutto ciò provoca in noi, occidentali incalliti, un profondo senso di straniamento ma anche di suggestione.
L’artista crea uno spazio totale espressivo che include la materia, sia naturale come l’acqua ed il fuoco, sia artificiale e pertanto costruita dall’uomo, come i puntoni zincati o le reti metalliche; la parola circola attraverso i libri-capitelli ed i libri a muro; gli elementi visivi come le fotografie e le installazioni costruiscono visivamente l’ambiente ed infine l’elemento fondamentale di tutta l’operazione, ovvero noi, soggetti spettatori. Quasi come un piccolo teatro del mondo, con il suo tempo, il suo spazio e le sue forme rituali. Tutti gli elementi vengono ridotti sempre all'essenziale in modo tale da accentuare l'intensità dell'esperienza, tracciando un'immagine lievemente aperta. Questa apertura complessiva dell'opera stimola fortemente gli spettatori a costruire il proprio mondo fisico-psichico partendo dallo spazio estetico dato.
Uno spazio altro, ben delimitato, che si presenta tramite un viaggio rituale, un rito di passaggio, una deriva che Pievani ci obbliga a compiere. Nella prima sala attira la nostra attenzione l’opera Uno sguardo sul vuoto che presenta due libri di due tradizioni diverse, San Juan de la Cruz e Oseki Isamatsu, che riflettono sulla centralità del vuoto nell’esperienza umana, sia mistica sia quotidiana. La seconda stanza presenta invece, proprio sulla soglia, dei puntoni zincati che sbarrano l’entrata, comprimendo il passaggio allo spazio centrale che si espande successivamente per dar luogo alle installazioni. L’acqua, il fuoco, il tempo che scorre e modifica le opere, la fotografia che raffigura l’artista stesso, il tutto si presenta quasi come un rituale di purificazione. Come in ogni rito d’iniziazione lo spettatore deve imparare delle cose, deve crescere, deve liberarsi del passato, deve trovare un proprio equilibrio. I soggetti immedesimandosi nel percorso proposto dall’artista riescono a risvegliarsi momentaneamente, raggiungendo per la durata della permanenza in questo spazio uno stato di liberazione del mentale, una deriva spirituale che li mette in consonanza con l’universo tutto.
In questo modo e tramite questi strumenti espressivi Domenico Pievani porta avanti la sua lotta personale contro il 'complotto' della realtà oggettiva. L’artista ci obbliga a proiettare la nostra individualità dentro il suo spazio estetico per ricuperare la nostra sensibilità e "sentire" il mondo reale tramite i nostri sensi e non solo tramite la nostra stanca mente. Una deriva che parte dalla fisicità del corpo per arrivare al centro vuoto della totalità. Una deriva per imparare ad essere.
Mirtha Paula Mazzocchi
05
febbraio 2004
Domenico Pievani – Passaggi di deriva
Dal 05 febbraio al 26 marzo 2004
arte contemporanea
Location
DIECI.DUE!
Milano, Via Volvinio, 30, (Milano)
Milano, Via Volvinio, 30, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a venerdì 15,30 - 19 /sabato su appuntamento