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Domenico Rambelli
Mostra antologica di Domenico Rambelli che continua il programma di rilettura della scultura del Novecento iniziato nell’ottobre 2006.
Comunicato stampa
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DOMENICO RAMBELLI
(Pieve del Ponte, Faenza, 1886 – Roma 1972)
Domenica 25 gennaio 2009, alle ore 17, nelle sale del MUSMA. Museo della Scultura Contemporanea. Matera, si inaugura la mostra antologica di Domenico Rambelli che continua il programma di rilettura della scultura del Novecento iniziato nell’ottobre 2006.
L’esposizione, a cura di Giuseppe Appella, comprende 10 sculture (tra queste: L’incurabile, 1905; Ritratto di Francesco Beltramelli, 1908; Autoritratto, 1920; Popolana che canta, 1922; Il fante morente, 1925-1927, coll. MUSMA; Busto di Franco Ciarlantini, 1926; Myrtia Ciarlantini, 1929; Ritratto di Minto Ghirlandi, 1960) e 50 disegni datati 1905-1960, oltre a un ricco apparato di immagini e documenti, spesso inediti, che mettono in evidenza il lungo percorso espressivo dello scultore faentino e l’impegno profuso nella realizzazione di monumenti sottratti alla retorica fino a quel momento evidente nelle piazze e nei cimiteri di tutta Italia. Scrive Rambelli: “Questi monumenti hanno provocato grande rumore a causa di una ricerca di forma larga e piena che tende ritrovare lo smarrito senso dello statuario monumentale che regge lo spazio”.
Infatti, tutti i faentini raccolti nel “cenacolo di amici” di Domenico Baccarini (Ercole Drei, Francesco Nonni, Giovanni Guerrini, Giuseppe Ugonia, Orazio Toschi, Riccardo Gatti e Pietro Melandri, del quale il MUSMA possiede un nutrito gruppo di opere), pur conservando una traccia di liberty o di simbolismo tipici di quegli anni, non scadevano mai nella maniera, perché la propensione era verso l’espressionismo, un po’ terragno, come giustamente lo definisce Barilli, quindi con scarsi debiti nei riguardi della Germania, proprio come accade agli altri due compagni di strada di Rambelli: Arturo Martini e Lorenzo Viani.
L’esigenza di essenzialità contraddistingue subito Rambelli nel lavoro che compie sulla figura umana. Senza farsi mai condizionare dai canoni di bellezza ancora imperanti in quasi tutto il “Novecento” della Sarfatti, affronta l’organismo umano servendosi di schemi che tengono conto della geometria, espressiva e dinamica ma sottratta, al tempo stesso, sia al primo futurismo che al richiamo all’ordine. Perciò, è asciutto, essenziale, senza mai spegnere lo spirito vitale che anima l’immagine, quasi sempre legata ai temi della sua terra d’origine, alla cultura contadina della frazione faentina da cui proviene.
Il disegno è lo specchio fedele di questo lavoro tenace di scavo, di eliminazione dei particolari ritenuti inutili o fotografici, descrittivi o aneddotici, per arrivare a esprimere una visione solo con elementi costruttivi e plastici, tali da “ingabbiare un pensiero”, “racchiudere in larghe forme la sostanza emotiva, dinamica, eroica del nostro tempo”.
***
Domenico Rambelli era nato a Pieve del Ponte, nei pressi di Faenza, nel 1886.
Comincia, giovanetto, a modellare le prime sculture in argilla e viene accolto nella Scuola locale di arti e mestieri. Conosce Domenico Baccarini e si associa al gruppo degli artisti faentini a lui legati. Nel 1902 segue Baccarini a Firenze e per tre anni frequenta la Scuola libera del nudo all’Accademia. Conosce Lorenzo Viani, Giovanni Costetti e altri artisti.
Esordisce a Roma nel 1905 con L’uomo malato. Nel 1907 espone alla Biennale di Venezia il Ritratto del pittore Antonio Berti. Nel 1908, realizza a Faenza il Monumento a Raffaele Pasi, insieme agli altri componenti del Circolo baccariniano partecipa alla I Biennale Romagnola, compie il primo viaggio a Parigi, ritorna a Firenze per proseguire i suoi studi. Nel 1914 è di nuovo a Parigi ma, per lo scoppio della prima guerra mondiale, rientra in Italia e si arruola. Ferito e congedato, nel 1916 inizia a Faenza, come insegnante di plastica, i corsi alla scuola serale di ceramica. Nel 1919 ottiene l’incarico per i corsi normali al Reale Istituto della Ceramica di Faenza
Nel 1920 partecipa al Concorso per il monumento ai Caduti di Viareggio che vincerà e inaugurerà nel 1927 e che Carrà, Parronchi e Soffici definirono “fra i più belli eretti in Italia alla gloria dei Caduti”. Inizia il periodo più intenso della sua attività che lo renderà celebre durante il regime fascista. Realizza, infatti, diversi monumenti importanti: Fontana Angelica, Torino 1921-1922; Fante che dorme, Brisighella, 1926-1927; Francesco Baracca, Lugo di Romagma, 1927-1936, ecc. oltre alle sculture di grandi dimensioni (Vittorio Emanuele III, il Duce, il Fante che canta) nell’ambito della Mostra della Rivoluzione Fascista, Roma 1932, nella quale svolge una parte di primo piano. Intanto, si sono consolidati i rapporti di amicizia con Dudovich, Marinetti, Sironi, Carrà, Messina, Giò Ponti, Funi, Marino Marini, Ojetti, Francesco Sapori, Carena, Mafai.
Tra un impegno e l’altro, partecipa alla XIII Biennale di Venezia (1922), alla I e II Mostra del “Novecento” (1926, 1929), è protagonista della III Quadriennale di Roma nella quale vince il I Premio per la scultura.
La II Guerra Mondiale rallenta la sua attività. Si stabilisce prima a Bologna (1944-1947) e poi a Roma (1948), dove insegna all’Accademia di Belle Arti e, dal 1951, lavora alla Cappella di S. Francesco nella Basilica di S. Eugenio, oltre che dedicarsi alla preparazione del monumento ad Alfredo Oriani che vorrebbe collocare a Faenza. Tra il 1955 e il 1957 realizza, a Lugo e a Faenza, le pietre tombali per gli amici Balilla Pratella e Giuseppe Donati così come, a suo tempo, a Viareggio, aveva preparato quella dell’amico inseparabile Lorenzo Viani.
Nel 1960 viene nominato Accademico di San Luca. Scompare a Roma il 1 settembre 1972, quando aveva appena finito di modellare il gesso per una grande statua di Alfredo Oriani destinata a Faenza. Il bronzo verrà realizzato grazie a Dino Gavina nel 1990 e collocato in Largo Toki.
Di tutto ciò, dopo il saluto e una introduzione del Presidente della Fondazione Zetema di Matera Raffaello De Ruggieri, parleranno il curatore del MUSMA Giuseppe Appella e il collezionista Luigi Ghirlandi, la cui famiglia, a Bologna, ha avuto lunga consuetudine con Domenico Rambelli.
Com’è ormai tradizione, il materiale della mostra verrà pubblicato nel prossimo numero dei “quaderni di scultura contemporanea” che annualmente raccoglie l’attività del Museo.
La prossima mostra, dal 2 marzo al 24 aprile 2009, verrà dedicata a Toti Scialoja tra parola e immagine.
(Pieve del Ponte, Faenza, 1886 – Roma 1972)
Domenica 25 gennaio 2009, alle ore 17, nelle sale del MUSMA. Museo della Scultura Contemporanea. Matera, si inaugura la mostra antologica di Domenico Rambelli che continua il programma di rilettura della scultura del Novecento iniziato nell’ottobre 2006.
L’esposizione, a cura di Giuseppe Appella, comprende 10 sculture (tra queste: L’incurabile, 1905; Ritratto di Francesco Beltramelli, 1908; Autoritratto, 1920; Popolana che canta, 1922; Il fante morente, 1925-1927, coll. MUSMA; Busto di Franco Ciarlantini, 1926; Myrtia Ciarlantini, 1929; Ritratto di Minto Ghirlandi, 1960) e 50 disegni datati 1905-1960, oltre a un ricco apparato di immagini e documenti, spesso inediti, che mettono in evidenza il lungo percorso espressivo dello scultore faentino e l’impegno profuso nella realizzazione di monumenti sottratti alla retorica fino a quel momento evidente nelle piazze e nei cimiteri di tutta Italia. Scrive Rambelli: “Questi monumenti hanno provocato grande rumore a causa di una ricerca di forma larga e piena che tende ritrovare lo smarrito senso dello statuario monumentale che regge lo spazio”.
Infatti, tutti i faentini raccolti nel “cenacolo di amici” di Domenico Baccarini (Ercole Drei, Francesco Nonni, Giovanni Guerrini, Giuseppe Ugonia, Orazio Toschi, Riccardo Gatti e Pietro Melandri, del quale il MUSMA possiede un nutrito gruppo di opere), pur conservando una traccia di liberty o di simbolismo tipici di quegli anni, non scadevano mai nella maniera, perché la propensione era verso l’espressionismo, un po’ terragno, come giustamente lo definisce Barilli, quindi con scarsi debiti nei riguardi della Germania, proprio come accade agli altri due compagni di strada di Rambelli: Arturo Martini e Lorenzo Viani.
L’esigenza di essenzialità contraddistingue subito Rambelli nel lavoro che compie sulla figura umana. Senza farsi mai condizionare dai canoni di bellezza ancora imperanti in quasi tutto il “Novecento” della Sarfatti, affronta l’organismo umano servendosi di schemi che tengono conto della geometria, espressiva e dinamica ma sottratta, al tempo stesso, sia al primo futurismo che al richiamo all’ordine. Perciò, è asciutto, essenziale, senza mai spegnere lo spirito vitale che anima l’immagine, quasi sempre legata ai temi della sua terra d’origine, alla cultura contadina della frazione faentina da cui proviene.
Il disegno è lo specchio fedele di questo lavoro tenace di scavo, di eliminazione dei particolari ritenuti inutili o fotografici, descrittivi o aneddotici, per arrivare a esprimere una visione solo con elementi costruttivi e plastici, tali da “ingabbiare un pensiero”, “racchiudere in larghe forme la sostanza emotiva, dinamica, eroica del nostro tempo”.
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Domenico Rambelli era nato a Pieve del Ponte, nei pressi di Faenza, nel 1886.
Comincia, giovanetto, a modellare le prime sculture in argilla e viene accolto nella Scuola locale di arti e mestieri. Conosce Domenico Baccarini e si associa al gruppo degli artisti faentini a lui legati. Nel 1902 segue Baccarini a Firenze e per tre anni frequenta la Scuola libera del nudo all’Accademia. Conosce Lorenzo Viani, Giovanni Costetti e altri artisti.
Esordisce a Roma nel 1905 con L’uomo malato. Nel 1907 espone alla Biennale di Venezia il Ritratto del pittore Antonio Berti. Nel 1908, realizza a Faenza il Monumento a Raffaele Pasi, insieme agli altri componenti del Circolo baccariniano partecipa alla I Biennale Romagnola, compie il primo viaggio a Parigi, ritorna a Firenze per proseguire i suoi studi. Nel 1914 è di nuovo a Parigi ma, per lo scoppio della prima guerra mondiale, rientra in Italia e si arruola. Ferito e congedato, nel 1916 inizia a Faenza, come insegnante di plastica, i corsi alla scuola serale di ceramica. Nel 1919 ottiene l’incarico per i corsi normali al Reale Istituto della Ceramica di Faenza
Nel 1920 partecipa al Concorso per il monumento ai Caduti di Viareggio che vincerà e inaugurerà nel 1927 e che Carrà, Parronchi e Soffici definirono “fra i più belli eretti in Italia alla gloria dei Caduti”. Inizia il periodo più intenso della sua attività che lo renderà celebre durante il regime fascista. Realizza, infatti, diversi monumenti importanti: Fontana Angelica, Torino 1921-1922; Fante che dorme, Brisighella, 1926-1927; Francesco Baracca, Lugo di Romagma, 1927-1936, ecc. oltre alle sculture di grandi dimensioni (Vittorio Emanuele III, il Duce, il Fante che canta) nell’ambito della Mostra della Rivoluzione Fascista, Roma 1932, nella quale svolge una parte di primo piano. Intanto, si sono consolidati i rapporti di amicizia con Dudovich, Marinetti, Sironi, Carrà, Messina, Giò Ponti, Funi, Marino Marini, Ojetti, Francesco Sapori, Carena, Mafai.
Tra un impegno e l’altro, partecipa alla XIII Biennale di Venezia (1922), alla I e II Mostra del “Novecento” (1926, 1929), è protagonista della III Quadriennale di Roma nella quale vince il I Premio per la scultura.
La II Guerra Mondiale rallenta la sua attività. Si stabilisce prima a Bologna (1944-1947) e poi a Roma (1948), dove insegna all’Accademia di Belle Arti e, dal 1951, lavora alla Cappella di S. Francesco nella Basilica di S. Eugenio, oltre che dedicarsi alla preparazione del monumento ad Alfredo Oriani che vorrebbe collocare a Faenza. Tra il 1955 e il 1957 realizza, a Lugo e a Faenza, le pietre tombali per gli amici Balilla Pratella e Giuseppe Donati così come, a suo tempo, a Viareggio, aveva preparato quella dell’amico inseparabile Lorenzo Viani.
Nel 1960 viene nominato Accademico di San Luca. Scompare a Roma il 1 settembre 1972, quando aveva appena finito di modellare il gesso per una grande statua di Alfredo Oriani destinata a Faenza. Il bronzo verrà realizzato grazie a Dino Gavina nel 1990 e collocato in Largo Toki.
Di tutto ciò, dopo il saluto e una introduzione del Presidente della Fondazione Zetema di Matera Raffaello De Ruggieri, parleranno il curatore del MUSMA Giuseppe Appella e il collezionista Luigi Ghirlandi, la cui famiglia, a Bologna, ha avuto lunga consuetudine con Domenico Rambelli.
Com’è ormai tradizione, il materiale della mostra verrà pubblicato nel prossimo numero dei “quaderni di scultura contemporanea” che annualmente raccoglie l’attività del Museo.
La prossima mostra, dal 2 marzo al 24 aprile 2009, verrà dedicata a Toti Scialoja tra parola e immagine.
25
gennaio 2009
Domenico Rambelli
Dal 25 gennaio al primo marzo 2009
arte contemporanea
Location
MUSMA – MUSEO DELLA SCULTURA CONTEMPORANEA MATERA
Sasso Caveoso, Via San Giacomo, (MATERA)
Sasso Caveoso, Via San Giacomo, (MATERA)
Biglietti
comprensivo della visita al Musma: intero Euro 5,00; ridotto Euro 3,50
Orario di apertura
dal martedì alla domenica dalle 10,00 alle 14,00. Giornata di chiusura il lunedì.
Vernissage
25 Gennaio 2009, ore 17
Ufficio stampa
ZETEMA
Autore
Curatore